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Autore: purplebowties    26/06/2011    12 recensioni
L’ha lasciata libera, ma non riuscirà mai a separarsi veramente dall’idea di quello che avrebbero potuto essere, se solo lui non avesse rovinato tutto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Nate Archibald, Serena Van Der Woodsen | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Autore: purplebowties

Titolo: Splinters of the darkest mirror

Fandom: Gossip Girl, Chuck\Blair

Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Nate Archibald, Serena Van Der Woodsen

                       Nominati: Louis Grimaldi, Andrew Tyler

Genere: Introspettivo, sentimentale

Note: Scrissi questa fanfiction l'estate della mia maturità. La quarta stagione era appena terminata ed io, invece che a studiare, pensavo a scrivere di un amore distrutto e a piangere e ad ascoltare Baglioni. Partecipai ad un contest, che vinsi. La fanfiction è divisa in brevi parti, perché l’ho voluta costruire come un collage di momenti, di incursioni nella mente dei personaggi ed in particolare di Chuck. In riferimento a lui ho immaginato il personaggio come uno specchio rotto: ogni frammento di questa fan fiction avrebbe voluto essere uno spaccato della sua anima (a pezzi, secondo me). 

Introduzione: L’ha lasciata libera, ma non riuscirà mai a separarsi veramente dall’idea di quello che avrebbero potuto essere, se solo lui non avesse rovinato tutto

* * *



Non parlano mai di lei.

Se c'è una cosa che Nate ha imparato nel tempo passato a crescere insieme è che se Chuck non vuole parlare di qualcosa, è quasi impossibile cavargli di bocca di più di un semplice sospiro ed ottimistico ai limiti della stoltezza aspettarsi qualcosa di meno criptico di un lungo sguardo eloquente.

Quasi, perché Blair riuscirebbe a fargli confessare qualunque cosa: è l'eccezione che conferma la regola, il piccolo nervo scoperto sulla scintillate maschera di noncuranza e fascinosa indifferenza che Chuck è solito mostrare. Il filo tirato sulla sua giacca Gucci.

E Nate sa - ed il pensiero lo pizzica con una certa amarezza mentre il Jet della Bass Industries sorvola l'Europa - che lei può non essere fisicamente con loro (perché è intenta ad organizzare il suo splendido matrimonio reale con qualcuno che non è Chuck Bass, per quanto assurdo ed insensato tutto ciò possa sembrare) ma resta una presenza inevitabile, un bagaglio pesantissimo che lui e Chuck si trascinano per il loro viaggio di perdizione.

Perché Chuck può fingersi assolutamente sereno e pacifico all'idea dell'amore della sua vita che sposa un principe - uno vero questa volta, non un triste surrogato come poteva essere stato Nate per Blair ai tempi del liceo - , ma la verità è molto più crudele (e credibile).

Blair è con loro ad ogni modella filiforme e frivola che lui e Chuck si spartiscono bellamente, ad ogni bottiglia di Champagne - rigorosamente Don Perignon del '951, Chuck non transige su questo e Nate ha il tatto di non chiedergli perchè - che consumano, ad ogni festa, ad ogni alba trascorsa a passarsi un po’ di fumo in memoria dei vecchi tempi.

E' negli occhi di Chuck, in quell'indistinto bagliore di vuoto che Nate gli legge tristemente nello sguardo. E' nel fascicolo che Andrew Tyler spedisce settimanalmente a Chuck e del quale Nate finge di non conoscere l'esistenza.

E la perdizione diventa malinconia.



L'argomento Blair Waldorf viene finalmente ed esplicitamente fuori alle tre del mattino di una giornata di inizio Luglio. C'è la sabbia fina ed  umida sotto i loro piedi, una bottiglia di Scotch quasi del tutto vuota tra le mani di Nate e le Bottega Veneta di Chuck abbandonate qualche metro prima del punto in cui sono fermi - e Chuck non ha ancora definito plebeo il fatto di essersi seduto per terra perché sono le Fiji, la spiaggia è deserta ed è probabilmente troppo ubriaco per pensarci al momento.

Gli occhi scuri di Chuck sono fissi all'orizzonte quando infine decide di parlare di lei, e c'è una tale pesantezza nello sguardo poco lucido che Nate non può fare altro che sospirare e lanciare un piccolo sasso nello specchio d'acqua limpidissima.

"Spero davvero che lei sia felice," mormora appena e Nate è abbastanza sobrio da cogliere ogni amara sfumatura di tristezza e rimpianto e rassegnazione di quel sussurro doloroso.

"Sono sicuro che lo è, amico," risponde dopo un minuto intero di silenzio, in cui si prende la libertà di finire l'ultimo sorso di Scotch e guardare il cielo sopra le loro testa con aria assorta.

La verità è che lui non ci crede nemmeno un po’, ma è questo che Chuck vuole sentirsi dire, perché l'ha lasciata libera di andare, di brillare come una stella lontana dall'ombra di un uomo - di un bambino spaurito, in realtà, pensa a volte Nate - troppo a pezzi  per regalarle solo sorrisi di miele e parole dolci. Non ci crede perché è palese: le stelle brillano solo al buio e Chuck, con quello sguardo troppo profondo ed amareggiato, è un cielo nero come la pece.

 



Quando avevano diciassette anni ed andavano in vacanza insieme, lui e Nate facevano sempre una piccola sfida, decretata da un paio di bicchieri di scotch e risate entusiaste. “A chi sancisce più accordi in una notte,” si dicevano stringendosi la mano.

Adesso, mentre osservano Barcellona dall’attico di un luxury hotel, non possono fare atro che ridere di quell’espressione così assurda.

“Dovremmo rifarlo,” propone Chuck e c’è un certo luccichio nei suoi occhi scuri, qualcosa che a Nate ricorda il Chuck Bass di una volta, quell’infallibile concentrato di arroganza e megalomania.

Chuck muore dalla voglia di sentirsi di nuovo così libero, con il mondo in mano ed il cuore leggero.

E allora brindano, condividono una canna e si preparano al loro meglio per la “battuta di caccia”, mentre Nate accenna il motivetto di One Bourbon, one Scotch, one Beer2 e Chuck lo segue a ruota, sistemando i capelli corvini di modo da farli apparire falsamente disordinati.

Mentre Barcellona albeggia e Chuck restituisce un tubino striminzito alla settima ragazza senza nome della serata, le labbra di Blair Waldorf sono ancora l’unica cosa a cui riesce a pensare. Nel confuso turbinio di colori, luci, vestiti costosi e profumi da donna c’è un solo punto fermissimo: non potrà mai più essere quel Chuck Bass, quel ragazzino sfrontato e bisognoso di attenzioni, perché quel Chuck Bass non sapeva che cosa fosse l’amore.

E lui lo sa, invece. Lo sa fin troppo bene.

Perché il suo cuore brucia e non c’è nulla che possa colmare il vuoto che lei ha lasciato.

“Sono Chuck Bass,” sussurra. La prevedibile vittoria è solo un frutto amaro.




Una notte di fine Luglio, Chuck non riesce a dormire. Roma è sempre così rumorosa, con le sue vespe colorate e la parlata chiassosa di chi cammina notte e giorno per le vie del centro. Le aveva promesso che ce l’avrebbe portata.

Quando stavano ancora insieme, Blair gli aveva fatto giurare che avrebbero fatto letteralmente il giro del mondo insieme e Chuck aveva detto sì, perché - lui lo ricorda ancora con una punta di malizia e nostalgia - la vestaglia da camera di Blair era troppo trasparente per restare a lungo appoggiata sul corpo filiforme e perché non aveva mai veramente imparato a non assecondare ogni singolo capriccio di quell’angelo con lo sguardo diabolico.

Ancora oggi, sarebbe disposto a fare tutto per lei. Morirebbe, forse. Ed è per questo che non rimpiange di averla lasciata andare, per quanto il pensiero di Blair tra le braccia di un altro gli dia l’impulso di rompere un altro vetro – o altri cento.

Non lo rimpiange perché il loro rapporto è logorante, brucia come le fiamme ardenti e lui non vuole che lei si scotti di nuovo. Non a causa sua.

L’anello di platino con il suo diamante spropositatamente grande - bianco, purissimo, non come quel pezzo volgare ed appariscente che ora lei porta al dito -  resta stretto nelle mani di Chuck, mentre gli occhi si perdono a guardare Roma dall’alto di una finestra.

L’ha lasciata libera, ma non riuscirà mai a separarsi veramente dall’idea di quello che avrebbero potuto essere, se solo lui non avesse rovinato tutto (una, due, un’infinità di volte). 

Il diamante è la lama che taglia la sua carne viva e la città diventa un indistinto tremolio di luci mentre gli occhi si offuscano acquosi.

 



“Avanti, amico. Cosa c’è in quelle dannate foto?”

Nate affronta l’argomento a colazione, con Johannesburg davanti agli occhi ed una tazza di caffè amaro tra le mani. C’è qualcosa che non va affatto bene nel comportamento di Chuck, qualcosa che a che fare con due giorni di silenzi troppo prolungati e un paio di notti pressoché prive di sonno.

“Non so proprio a cosa tu ti riferisca,” sospira Chuck, voltando le pagine della sua copia giornaliera del Times, bene attento a tenere il quotidiano alto sul volto, così che il suo migliore amico non debba guardarlo in faccia.

Nate ride, ride di gusto perché, prima dell’uragano Blair Waldorf, Chuck avrebbe ingannato chiunque con un ghigno furbo ed uno sguardo tagliente, mentre ora leggerlo è semplice persino per lui, che non è mai stato un mago dell’introspezione.

“Eri un bugiardo migliore una volta, Bass,” commenta sarcastico e Chuck abbassa finalmente il giornale, buttando lì un sospiro contrito.


Due ore dopo, il divano della suite è ingombro di foto di Blair e cartelline di pelle che riportano le date di ogni settimana dall’inizio dell’estate. Chuck tiene stretta con una mano quella dei primi di Agosto e con l’altra un bicchiere di scotch colmo quasi fino all’orlo, l’aria del tutto assorta.

“Queste foto sono strane, Nathaniel,” afferma con una certa sicurezza e Nate è davvero confuso quando comincia a sfogliare il fascicolo, perché lui non trova nulla di sbagliato nel modo in cui Blair se ne sta abbracciata a Louis Grimaldi sul parapetto di uno yacht attraccato a Capri.

Nulla se non Louis stesso, ovviamente. Ma Blair sorride e a Nate sembra sinceramente serena con il suo cappello di paglia a tesa larga e un prendisole velato rosso ciliegia. “Io non…”

“Sta fingendo,” decreta Chuck e a Nate non rimare altro da fare che chiudere gli occhi ed espirare lentamente, perché aspettava da tempo il momento in cui Chuck sarebbe arrivato a negare l’evidenza: più o meno maturo, Chuck Bass è sempre Chuck Bass e non può fisicamente fare a meno di vedere complotti ovunque e amare Blair Waldorf fino al punto di convincersi di cose inesistenti.

“Chuck, andiamo. Sappiamo tutti e due di che cosa si tratta.”

“Non me lo sto inventando, Nate. Quello non è il suo vero sorriso; è così spento.”

C’è un momento di silenzio, in cui Nate si passa le mani sul viso e sospira. E' tutto trppo difficile: non basta un viaggio, non basta il tuo migliore amico o dozzine e dozzine di party per superare il fatto che l’amore della tua vita sta per sposare un altro uomo.

“Chuck, ascoltami.” E’ il tono perentorio di Nate che costringe Chuck ad alzare gli occhi dalla fatidica foto, perché Nate non è mai così deciso quando parla, è sempre gentile e misurato. Eppure ora c’è una nota dura, categorica nelle sue parole, qualcosa di definitivo. “Ti stai solo facendo del male.”

 


E’ piuttosto naturale che Nate stia lì ad osservarlo mentre brucia ogni singola foto.

Hanno fatto un patto: Chuck ha promesso di smettere di farsi inviare fascicoli su Blair da Andrew Tyler e di liberarsi di tutte quelle immagini dolorose.
Un patto alla vecchia maniera, con tanto di stretta di mano e brindisi per sottoscrivere l’accordo.

E’ curioso che Nate gli abbia detto che avrebbe provato sollievo una volta finito, perché, ad ogni foto bruciata al fuoco di un accendino d’argento, Chuck sente il cuore spezzarsi in parti sempre più piccole e la malinconica rassegnazione gli stringe la gola al punto che persino respirare gli pare un’impresa difficilissima.

Ne conserva una, comunque.

La infila nel portafogli mentre Nate è impegnato a chiamare il servizio in camera per il pranzo e riesce persino a sorridere dell’assoluta mancanza di furbizia del suo migliore amico. E’ una bella foto della metà di Giugno, una dove Blair è sola e sorridente, sdraiata su un lettino prendisole dello yacht, con un cocktail alla fragola tra le mani ed un costume bianco perla.

E’ semplicemente stupenda e Chuck preferisce immaginarla così, quando chiude gli occhi, tentando di ignorare il cattivo presentimento che gli pesa sul petto al ricordo del sorriso così spento degli ultimi scatti.

 


Blair merita la sua favola, si ripete per un numero incalcolabile di volte. Ogni tanto, però, l’idea che loro due sarebbero stati una favola perfetta lo tiene sveglio la notte ed i ricordi si impossessano di lui.

La cosa peggiore è che non riesce a dimenticare.

E non solo mentalmente. Chuck non riesce fisicamente a far sparire il ricordo di Blair. Se chiude gli occhi, riesce ancora a percepire le dita sottili percorrergli tutto il profilo del viso, riesce ancora a far scorrere i palmi tra i boccoli di lei e ad inebriarsi di quel profumo elegante e costoso. Riesce ancora a sentirla ridere.

La cosa peggiore è che, in realtà, non ci tenta nemmeno.

Perché il dolore lanciante che prova al fluire di tutti quei ricordi (tanto vividi da sembrare crudelmente reali e presenti) gli permette di fingere che lei sia ancora con lui.

 



“Non credi che sia ora di tornare a casa?”

Quando Nate gli fa quella domanda, a cena, durante una serata di fine Agosto, Chuck si prende tutto il tempo di finire il suo sorso di vino rosso, ingoiare un pezzo di agnello arrosto e sospirare. Se sei stanco di Londra sei stanco della vita3,” si limita a rispondere con un sorriso bieco.

Non si sente convinto all'idea di tornare a New York.

Tornare a casa significherebbe trovare la mancanza di Blair in ogni angolo, sentire il peso di quell’assenza come un macigno enorme posato sul petto ed affrontare concretamente, passando davanti al suo attico vuoto, l’idea che lei non tornerà mai da lui, che sposerà un altro uomo, che sposerà un dannato principe, un uomo che è tutto quello che lui non sa essere – che non può essere.

“Perché non andiamo qualche giorno da Serena prima di tornare? Los Angeles è una perfetta tappa conclusiva, Nathaniel,” aggiunge e resta a guardare Nate che finge di pensarci su, perché sa di aver toccato il suo punto debole: per quanto stoicismo Nate si diverta a mostrare, è assolutamente incapace di resistere alla tentazione di passare qualche giornata con Serena – o anche solo un minuto con quell’uragano biondo e volubile che è la sua sorellastra.

“Si, credo che si possa fare,” risponde prevedibilmente Nate senza riflettere e Chuck sorride sollevato, perché non è ancora pronto ad una New York senza Blair Waldorf - non lo sarà mai davvero.

D’altronde, cos’è una città senza la sua Regina?

 



Serena è abbronzata e troppo entusiasta quando corre verso di loro all’aeroporto, i capelli biondi che le ricadono sulle spalle ed una moltitudine di braccialetti sbatacchianti e rumorosi ai polsi.

Li abbraccia entrambi, come se non li vedesse da anni, fa un passo indietro, li fissa stupita e poi li abbraccia di nuovo.

“Sono così felice che siate arrivati!” trilla entusiasta e poi gli occhi azzurri saettano inevitabilmente verso Chuck ed è davvero facile capire che lei si aspettava di vederlo arrivare ubriaco, amareggiato e velenoso, con gli occhi pieni di buio e le mani tremanti – perché è così che perdere Blair lo ha sempre ridotto e, dopotutto, Serena ha le sue buone ragioni nel fare certe previsioni.

“Sto bene, S,” le dice Chuck prima che lei possa effettivamente chiedergli nulla ed è un sollievo ritrovarsi tutti e tre a ridere come dei ragazzini, ma Chuck non può fare a meno di pensare a Blair mentre l’allegria del momento si mischia a quella triste malinconia di fondo di cui non riesce a liberarsi.

 



Chuck e Serena sono una certezza quando si tratta di divertirsi e non è strano che la sera stessa si ritrovino a girare insieme per locali – perché Nate ha dato loro buca all’ultimo momento, lamentandosi del jet-lag come una ragazzina viziata.

E’ solo dopo un paio d’ore spese a raccontare aneddoti divertenti riguardo al viaggio che Chuck si azzarda a fare la domanda più ovvia, sebbene abbia sinceramente paura della risposta. Ma un paio di cocktail di troppo lo hanno reso più coraggioso, quindi la voce è abbastanza sicura quando finalmente si decide a chiedere di Blair.

“E’ felice?” domanda a Serena all’improvviso e non c’è davvero il bisogno di specificare il soggetto perché lei capisca di chi lui stia parlando. 

Serena prende un sorso troppo lungo della sua tequila, sospira e si morde il labbro con fare nervoso, cercando qualcosa di convincente da dire, perché in realtà lei non ne ha la minima idea, ma confessargli che non ha notizie di Blair da quasi due mesi la fa sentire talmente crudele che mentire le sembra davvero l’opzione migliore. C’è un bagliore di supplica ora negli occhi di Chuck, e Serena sa che cosa lui vorrebbe sentirsi dire.

“Sta benissimo, Chuck,” risponde, con troppa velocità e con troppo entusiasmo.

Gli occhi di Chuck si abbassano per un attimo, le palpebre si chiudono per un lunghissimo secondo mentre espira l’aria fumosa del locale con le labbra serrate. “Non sei mai stata una grande bugiarda, lo sai?” le chiede con piatto sarcasmo e poi la guarda dritto negli occhi, con una certa disperata intensità che Serena non può ignorare. “Dimmi la verità, Serena,” mormora in un soffio e non aggiunge un ti prego, perché la sua mente è troppo occupata a elaborare scenari terribili per lasciarsi andare all’emotività.

“Non la sento da due mesi,” confessa Serena con voce sommessa e Chuck non può fare altro che passarsi una mano sul viso e abbandonarsi senza opporre resistenza al malessere che scoppia inevitabile dentro di lui.

 



E’ come se avesse un macigno nello stomaco ora, un nodo strettissimo che gli impedisce di respirare regolarmente, mentre la brutta sensazione che ha segretamente nutrito per tutta l’estate prende una forma più consistente e lo ferisce, lo fa letteralmente a pezzi.

Le rassicurazioni che Chuck tenta da solo di darsi sono vane ed irritanti, sciocche, quasi senza senso. Blair potrebbe essere stata occupata (sta organizzando un matrimonio reale, infondo), ma non è mai troppo occupata per Serena. Blair potrebbe avere scelto di voltare definitivamente pagina e lasciarsi tutti loro alle spalle, ma lui sa che lei non ne sarebbe capace – perché Blair non è Serena e non potrebbe mai fare a meno dei pilastri della sua vita, sposata o non sposata che sia. Due mesi sono un tempo troppo lungo per un silenzio dettato semplicemente dalla fretta, dagli impegni o dalla voglia di sentirsi completamente gettata nel futuro. Decisamente troppo lungo.

 



Succede in un modo piuttosto meccanico. L’orologio Cartier segna le due del mattino e le dita di Chuck si muovono febbrilmente sul palmare, fino a che gli occhi non riescono a scorgere il nome Blair in contrasto con la luce biancastra dello schermo.

La chiamata parte prima che lui si possa fermare a riflettere sul fatto che non ha più nessun diritto di telefonarle, di provare sollievo nel sentire la sua voce, di immaginarla fare un sussulto prima di rispondere e poi sorridere, mordicchiandosi delicatamente il labbro inferiore in una tiepida finta esitazione. Non ha più nessun diritto di preoccuparsi per lei, eppure è con il cuore in gola e le labbra serrate che Chuck resta a sperare che Blair gli risponda, mentre il telefono squilla a vuoto.

Solo per sapere che lei sta bene.

Solo per non dover sentirsi morire capendo di averla gettata di nuovo nel buio.

Solo per poter sentirsi sollevato all’idea di saperla felice con un altro uomo – e la grandezza del suo sentimento lo fa sembrare così vuoto e disperato che si spaventa quando pensa di amare Blair al punto di sperare che lei stia veramente bene con qualcuno che non è lui.

Quando scatta la segreteria telefonica per la sesta volta gli occhi di Chuck bruciano al pensiero che, una volta, Blair non avrebbe permesso al suo cellulare di fare più di uno squillo quando lui la chiamava. Una volta, lei sarebbe sempre stata pronta a parlare con lui.

 



I tarli della mente sono qualcosa con cui Chuck ha sempre dovuto convivere. L’idea ossessiva di non essere mai all’altezza della situazione, di essere un debole, di essere una dannata delusione su tutti i fronti, lo accompagnano da sempre.

Allo stesso modo, l’idea che Blair possa non essere felice lo tormenta nel profondo e non basta lo scotch, non bastano le rassicurazioni di Nate e di Serena per fargli passare quel tumulto che sente nel petto, ed è per questo che continua a chiamare, ad attendere invano che lei risponda al telefono,
ma lei non lo fa mai e lui sente la sua mancanza bruciargli in gola talmente forte da impedirgli il respiro.

E’ con la morte nel cuore che, un paio di sere dopo, Chuck propone a Nate di tornare a casa, perché questo viaggio avrebbe dovuto guarirlo ed invece si sente ancora più dolorante e ferito di quando è partito.

 



New York non è la stessa senza Blair Waldorf. E' come se la città sia diventata un insensato aggrovigliarsi di strade affollate e grattacieli. Sembra vuota, così spogliata del suo particolare più prezioso.

Chuck è davanti alle porte del Charles’ Place quando realizza quanto profondamente vorrebbe che Blair fosse con lui, mentre malinconico osserva l’edificio che avrebbe potuto essere il loro nuovo inizio.

 



Non saprebbe definire il sentimento provato nel ricevere la notizia del suo ritorno: è una sorta di sensazione agrodolce quella che gli ottenebra la mente mentre fissa stupito le foto di una Blair vestita di rosa pallido e sorridente che scende da un jet privato a fianco di Louis.

E’ gioia. E’ amore. E’ odio.

E quella stupida rivista scandalistica finisce nel cestino dell’immondizia – perché, comunque, guardare fa ancora troppo male.

 



Chuck ricorda ogni minimo particolare della notte in cui il suo cuore ha incominciato a battere davvero: ricorda quel vestito finito a terra in una nuvola di tessuto costoso e la seta lucida della sottoveste di Blair riflettere tutte le luci del Victrola. Ricorda i boccoli scossi con impertinenza ed il sorriso malizioso con cui lei lo aveva guardato. Ricorda il sapore che avevano le sue labbra e il luccichio degli occhi di Blair mentre lui la faceva sua per la prima di infinite volte. 

Ricorda l’impressione di non aver vissuto fino a quell’attimo.

Ed ora, ora che la osserva dall’alto delle scale muoversi dentro ad un vestito imponente tra il chiacchiericcio indistinto di uno stupido party, il braccio serrato attorno a quello nobile del suo futuro marito, Chuck non può fare a meno di pensare che è come rivederla per la prima volta.
Solo che fa più male. Solo che ora non si sente rinascere, si sente morire dentro.

 


A metà della serata, Chuck si trova a rimpiangere i tempi in cui ubriacarsi era sufficiente per non sentire più nulla. Oggi il suo bicchiere è vuoto solo per metà ed i suoi occhi sono fissi su di lei, che si muove tra la folla con grazia, il bicchiere di Champagne ancora intatto tra le mani.

E’ splendida, una piccola bambola, e lui vorrebbe correre da lei, ignorando quel damerino dall’aria poco intelligente che lei si trascina dietro, mentre mostra a tutta la sala il suo dannato anello di fidanzamento.

Vorrebbe gridare al mondo che la ama e che non riesce, per quanto ci provi disperatamente, a non rimpiangere di averla lasciata andare. Non ci riesce, anche se sa di avere fatto la cosa più giusta. Vorrebbe, eppure resta nell’ombra a guardarla da lontano, con l’aria malinconica di chi sa benissimo il valore di quello che ha ceduto.

Perché lei è felice ora, si ripete, come una sciocca litania ribadita all’infinito, ripetuta fino a convincersi di non aver notato nessun sorriso di circostanza fare capolinea fra le labbra di Blair.

Ma l’evidenza lo schiaccia come un macigno qualche minuto dopo quando, finalmente, i loro sguardi si incontrano in un attimo rubato e clandestino di fugace e reciproca sorpresa. E’ un secondo eterno quello che Chuck passa ad annegare negli occhi di Blair: non c’è felicità in quelle pozze di caldo nocciola.

Non c’è allegria, non c’è vitalità e Chuck ricorda improvvisamente quelle foto che tanto lo avevano preoccupato, ricorda i suoi sospetti e le telefonate senza risposta.

Ricorda e si sente una persona orribile. Ricorda e vorrebbe non averla mai lasciata andar via.

 

E’ questo il bello dei tetti, pensa Chuck mentre il suo completo su misura si copre inevitabilmente di polvere, con la schiena premuta contro un muretto di cemento: non c’è mai nessuno.

Il silenzio è una lama tagliente che graffia il suo viso più e più di una volta, mentre l’aria ancora soffocante di inizio Settembre gli rende faticoso respirare.

Non è una sorpresa che lei lo trovi lì, le gambe abbandonate a terra e gli occhi chiusi, con il capo piegato indietro. Non è una sorpresa che sia lei a correre da lui, ancora una volta. Non sono una sorpresa i tacchi di Blair che spezzano il silenzio del tetto del Palace Hotel, non è una sorpresa quel profumo di Chanel n°5 che gli da l’impressione di cadere in un baratro di ricordi. Non è una sorpresa aprire gli occhi e vederla davanti a lui, l’espressione indecifrabile e gli occhi quasi lucidi, le labbra infuocate di rossetto che tremano impercettibilmente.

“Chuck,” lo chiama Blair mormorando e Chuck si ritrova a ricordare che cosa significa vivere.

 

Non c’è davvero bisogno di parlare.

Una volta, lui l’avrebbe stuzzicata fino a costringerla a confessare tutta l’insoddisfazione, una volta sarebbe stato contento di sapere che non c’è modo che lei possa essere davvero felice senza di lui.

Ora non prova alcuna gioia. Prova solo stanchezza e l’immensa voglia di dirle che gli dispiace – anche se non sa per cosa, in realtà. Ha talmente tante cose per cui non le ha mai davvero chiesto scusa che potrebbe rimanere una notte intera a domandare perdono.

Gli dispiace di non essere stato all’altezza del loro amore.

Gli dispiace di averla lasciata andare.

Gli dispiace di non riuscire a dimenticarla.

Gli dispiace per averla condannata ad amarlo per sempre.


Stare in silenzio è semplicemente più facile ed è nel silenzio che la mano di Blair stringe la sua e Chuck non ha più vergogna di lasciare scivolare una lacrima lungo il viso.

 

“Quindi, quando te ne sei accorta?” le chiede infine lui, scoprendosi di nuovo capace di parlare.

La mano di Blair trema per una frazione di secondo dentro a quella di Chuck e lui trattiene il respiro, perchè si era ripromesso che lei non avrebbe mai più fremuto di dolore (o piacere) per lui.

Eppure eccoli, seduti su un tetto a tremare di paura, di emozione, di desiderio. Consumati.

“Di che cosa?” risponde Blair con una domanda e le sue labbra assumono una piega strana, una sorta di sorriso rassegnato.

“Di non essere felice.”

Una volta, lei avrebbe negato tutto. Una volta gli avrebbe sputato in faccia quanto la sua vita fosse gioiosa e luminosa, quando stesse bene senza di lui e poi lo avrebbe baciato per ripicca, per dimostrare di non provare più nulla ed avrebbero finito per fare l’amore con sorprendente intensità.

Ora lei si limita ad alzare le spalle e a scuotere la testa. E sorride, sorride per davvero.

“Non sono felice senza di te, Chuck,” afferma  Blair con voce spezzata ed è curioso che Chuck capisca che, nell’ammetterlo a lui, lei lo sta ammettendo soprattutto anche a se stessa.

“Non dovrebbe essere così,” tenta lui, ma la sua obbiezione è troppo debole. Blair ormai è troppo vicina e le sue labbra sono troppo rosse per essere ignorate o rifiutate.

“Non dovrebbe. Ma è così.”

La voce di Blair gli esplode dentro come un tuono e tutto quello che può fare, tutto quello che la testa, il cuore, l’istinto gli dicono di fare è baciarla.

 

E’ una delle cose belle dei tetti, pensa Chuck, mentre Blair resta accoccolata nell’incavo della sua spalla, il vestito elaborato abbandonato a terra in un groviglio indistinto di lustrini: le stelle sembrano più vicine ed è come vivere in una realtà parallela. Sui tetti, nessuno ti viene mai a cercare e si può amare, si può sognare, si può essere se stessi.

“Sono incinta, Chuck,” gli mormora Blair nell’orecchio, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e forse lo è per davvero, perché da un rapporto mortifero come il loro non può nascere altro che vita.

Ed è luce, è felicità sopra lo stupore del momento, mentre Chuck la guarda negli occhi come se non l’avesse mai vista veramente. 

Sui tetti, anche le verità più sconvolgenti assumono un’altra forma. Ed è per questo che Chuck si limita a baciarle la testa e ripeterle che la ama, perché questa realtà, questa realtà cruda, assurda, dolorosa e complicata è tremendamente migliore di una favola.


   
 
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