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Autore: DazedAndConfused    29/06/2011    2 recensioni
Stuart ebbe l’istinto di scoppiare a ridere, non appena vide il suo amico trascinarsi dietro uno di quei Teddy Boys che brulicavano per le vie di Liverpool, ma la sua educazione ebbe la meglio, imponendogli di sorridere e salutare il nuovo arrivato.
-Stu, lui è John Lennon, John, questo è Stuart Sutcliffe! John scrive delle figate assurde, mentre Stuart dipinge benissimo!-

Prima classificata al contest "Il quinto Beatle" indetto da Melardhoniel.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Stuart Sutcliffe
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Drawing the sky.

 

Liverpool, 1943

 

Quando sentì gli schiamazzi furiosi provenienti dal cortile, la donna intervenne per separare i due litiganti: Peter e John erano tra i bimbi più scalmanati, un incrocio tra scimmie selvatiche e zitelle acide che se la prendono per un nonnulla quando si critica loro qualcosa. A quanto pareva la lite era scoppiata per via di una presa in giro che il primo aveva rivolto all’altro, di natura piuttosto irascibile e irrequieta: arrivare alle mani era stata una conseguenza piuttosto prevedibile, ma Millie aveva liquidato il tutto con uno sculaccione a testa e l’invito a far pace.

Se ne ritornò all’interno dell’edificio, per riposarsi un po’ e magari bersi una tazza di tè, quando passò davanti ad una porta socchiusa e sentì una voce femminile, probabilmente quella della collega Anna, provenire dall’interno della stanzetta:

-Stuart, che stai facendo?-

Nel sentire quel nome, la donna si fermò per vedere cosa stesse succedendo, facendo ben attenzione a non farsi scoprire.

-Disegno, non si vede?-

Millie sorrise: era solo un bambino ma la lingua di certo non gli mancava!

Per tutta risposta l’altra donna aveva riso imbarazzata per la stupidità della sua domanda, e aveva continuato: -Ma fuori c’è un bel sole e tutti i tuoi compagni sono a giocare… Perché non vai da loro?-

-Non mi va, preferisco disegnare.- aveva risposto secco, prendendo la gomma e cancellando qualcosa che non gli andava a genio.

La maestra aveva capito che insistere non sarebbe servito a nulla, e così decise di assecondarlo.

-Ti capisco, fare disegni è molto bello… Posso vedere il tuo?-

Il bambino la scrutò perplesso poi, forse in un moto di fiducia, le porse il foglio dal lato su cui le figure non erano state calcate dalla sua manina paffutella.

La donna lo ringraziò e girò il disegno, rimanendo stupita: erano scarabocchi fatti da un bambino, ma la padronanza della prospettiva e dei colori era impressionante.

-Sai dov’è la matita rosa?-

Anna si riscosse dai suoi pensieri: -Purtroppo no… Credo sia andata persa…-

-Pazienza, posso crearla io!- esclamò entusiasta lui, strappandole il disegno dalle mani e rimettendosi all’opera: il mozzico del pastello fucsia in mano, il bimbo tinse il cielo di quel colore, ripassandoci poi sopra il bianco e lasciando di sasso la maestra.

-Hai visto? Il fucsia è diventato rosa grazie al bianco!- trillò festoso, esibendo tutto fiero il suo capolavoro.

Tralasciando il colpo di genio, la donna si concentrò sul cielo:

-Stuart, come mai il cielo è rosa? Per caso è andata persa anche la matita azzurra?-

Il bambino scosse il capo ridendo: -Oh, no! Sono io che ho voluto farlo così… Questo è il mio papà sulla nave che, dopo aver passato la notte a contare le stelle, all’alba pesca un tonno gigantesco per me!- e indicò le misure del pesce allargando le braccia come più poteva.

Anna rise e gli scompigliò i capelli mentre, da dietro la porta, Millie osservava la scena e sorrideva calma.

 

Liverpool, 1947

 

-Ooooh, dirty Maaaggiee Maeee, they have taken her awaaaay…-

-Charles, che diamine stai facendo?!-

Il baccano aveva svegliato Millie che, preoccupata per i figli, era corsa al piano inferiore per controllare la situazione.

-Oh, ciao Millie! Lo sai che sei bellissimaaa?- l’uomo fece per attirarla a sé, ma la donna si scostò furibonda.

-Vattene, sei ubriaco fradicio! Che cavolo ti salta in mente? Non hai più sedici anni, ne hai più di quaranta e hai tre figli piccoli che vogliono dormire! Vattene a letto, va’!-

Ma l’uomo storse il naso e insistette ancora, incontrando però la resistenza ancor più cocciuta di sua moglie:

-Ho detto di andartene a letto! A cosa serve passare mesi e mesi lontano da casa, se quando torni non badi ai tuoi figli e passi le notti a scialacquare i soldi al pub più vicino? Dovresti solo vergognarti!-

A quelle parole l’orgoglio maschile di Charles ebbe il sopravvento, e anche la sua impulsività.

Lasciò Millie sul pavimento, il labbro inferiore che le sanguinava, e se ne uscì dalla stanza, un -Brutta sgualdrina del cazzo- tra i denti, senza nemmeno accorgersi della figurina silenziosa che se ne stava all’uscio.

 

Il bimbo sgattaiolò nella stanza e si accovacciò davanti alla madre, mentre questa, in preda al panico, cercò di nascondersi goffamente la ferita.

Per tutta risposta, il figlio le porse un fazzoletto pulito senza guardarla in faccia, e prese a fissare quasi ipnotizzato il raggio di luna che filtrava dalla finestra.

-Stuart, io…-

-Non dire nulla: io vado a vedere se Pauline e Joyce dormono, tu vai a riposare, che sarai stanchissima…- e, detto questo, si alzò e se ne andò al piano di sopra, mentre la madre iniziò a singhiozzare sommessamente.

 

Liverpool, 1959

 

-Penso che un giorno o l’altro prenderò cavalletto e pennelli e me ne andrò in giro in autostop: dipingerò campi di grano e montagne innevate, e per campare farò dei ritratti veloci a chi li vorrà… Potrò respirare il profumo della libertà, finalmente!-

-Mmm, ok… Bell’idea.- Bill sorseggiò la birra stancamente, quasi non badando alle parole dell’amico, che però aveva notato quel suo fare disattento.

-Beh, che c’è, Bill? Non mi dirai che ti stai annoiando!-

-Ma che dici, Stu? Sarà solamente la millesima volta che mi ripeti i tuoi folli progetti di vita, cosa vuoi che mi annoi!- sbuffò l’altro, roteando gli occhi.

D’improvviso, però, si tirò su arzillo e volò all’ingresso del locale: -Oh, John! Finalmente sei arrivato! Vieni, voglio farti conoscere una persona…-

Stuart ebbe l’istinto di scoppiare a ridere, non appena vide il suo amico trascinarsi dietro uno di quei Teddy Boys che brulicavano per le vie di Liverpool, ma la sua educazione ebbe la meglio, imponendogli di sorridere e salutare il nuovo arrivato.

-Stu, lui è John Lennon, John, questo è Stuart Sutcliffe! John scrive delle figate assurde, mentre Stuart dipinge benissimo!-

L’entusiasmo di Bill era palpabile, e sia John che Stu pensarono che, da un momento all’altro, questi avrebbe certamente cominciato a saltellare allegramente per tutto il locale.

Il ragazzo però si diede una calmata e, nel giro di poco tempo, i tre si ritrovarono al tavolo a ridere a crepapelle tra una birra e un racconto demenziale di Lennon, finendo la nottata ubriachi marci.

 

Liverpool, 1960

 

-Sessantacinque sterline! Dico SESSANTACINQUE STERLINE! Occazzo, Stu!-

John saltò addosso all’amico, stritolandolo e iniziando a girare in tondo, sempre senza staccarsi da lui.

-Vero? Non ci posso credere, cazzo!- gli rispose l’altro, ridendo e ricambiando felice l’abbraccio.

-Sono un’infinità, porca vacca! Cosa pensi di farci?-

Stuart si staccò dall’amico e lo fissò sibillino: -Mah, io un’idea ce l’avrei…-

 

Millie entrò nella camera del figlio, per controllare se vi fossero abiti da lavare, quando lo sguardo le cadde sulla sedia di fianco al letto.

Incredula, le si avvicinò e fece per sollevare la mano, ma la voce del figlio la bloccò:

-Proprio così, mamma. Quello è il mio nuovo basso e, a partire da oggi, sono ufficialmente nella band di John.-

 

Amburgo, 1960

 

-Stu, Stuuu!-

John stava scrollando l’amico che, imperterrito, continuava a dormire come un sasso; perse la pazienza e gli tolse di dosso quelle quattro lenzuola in croce che lo coprivano, mentre gli spifferi di Amburgo fecero il loro dovere svegliandolo per benino.

-Vaffanculo, John! Mi ero appena addormentato, cazzo!- urlò l’altro, premendosi con forza il cuscino sulla testa, nella vana speranza di ritrovare il sonno ormai perduto.

-Dai, Stu… è ora di andare. Lo spettacolo deve continuare.- gli sorrise, prendendogli il guanciale dalle mani e aiutandolo ad alzarsi.

-Vaffanculo ad Amburgo, vaffanculo al Preludin, vaffanculo al Kaiserkeller, vaffanculo a Koschmider, vaffanculo ai Beatles…-

-… e vaffanculo a te, John.- disse sottovoce Lennon.

-… e vaffanculo a te, John, che prevedi sempre quello che sto per dire!-

John iniziò a ridere come un cretino mentre Stu, imbronciato, non volle mostrargli il sorrisetto che gli stava nascendo sulle labbra.

-Aaah, al diavolo!- borbottò, andando a lavarsi e lasciando l’amico sdraiato sul letto, intento a tenersi la pancia per le troppe risate.

 

-Good golly miss Molly, sure like to ball, when you’re rockin’ and a rollin’, can’t hear your mama caaaaall…-

I cinque raccolsero gli applausi del pubblico ma, al loro invito di proseguire nel mach shau, John rispose con un bel dito medio cacciato fuori di tutto cuore.

-Devo mangiare, porca puttana! Mangiare, mangé, eat, do you understand?-

Ma i tedeschi, ormai pieni di birra, sbattevano i loro boccali vuoti sui tavoli di legno marcio, intimando loro di continuare.

-Bitte, ein Moment! Wir wollen etwas essen!- urlò Paul al microfono, cercando di calmare l’atmosfera: ottenne l’effetto desiderato, sotto lo sguardo ammirato degli amici.

E mentre McCartney spiegava inorgoglito a Best che finalmente le lezioni di tedesco erano servite a qualcosa, Lennon trascinò via con sé George e Stu, poggiando un braccio sulle rispettive spalle.

-Dai, amici, andiamo a sbafarci una di quelle deliziose “bistecche”!- sbraitò sarcastico, facendoli ridere.

Si avvicinarono al bancone, quando George si staccò dall’amico per andare a salutare una persona:

-Hey, Klaus! Come va? Tutto bene?-

E mentre Harrison e Lennon se ne stavano a chiacchierare, Stu si guardò intorno, le pareti del Kaiserkeller che si sovrapponevano a quelle dipinte della Kasbah.

Sorrise, ricordando il tempo speso ad affrescare l’intonaco muffoso del locale di Mona Best, quando Klaus gli picchiettò la spalla, facendolo voltare:

-Stuart, posso presentarti la mia ragazza?-

Sutcliffe piantò i propri occhi in quelli gelidi della ragazza che gli stava davanti.

-Piacere, io sono Astrid.-

 

Amburgo, 1961

 

Le acque dell’Elba scorrevano calme, quasi ad accompagnare il volo che qualche uccello sporadico compiva ancora nel cielo fumoso.

Stuart aveva gli occhi fissi su Astrid, ma non la guardava per davvero, immerso com’era nel contare le piroette che una foglia faceva, cadendo al suolo.

-Ti sei pentito di averli lasciati partire senza di te?-

La domanda della ragazza lo fece sobbalzare, ma il giovane non le mostrò la sua sorpresa per una domanda del genere.

Afferrò la foglia e prese a giocherellare con lo stelo:

-Mmm, forse.-

Gli occhi chiari di Astrid si spalancarono, non celando affatto lo stupore per quella sua risposta.

-… o forse no. Sai,- si tirò su un gomito, -stavo pensando alla mia vita. A com’era prima e a com’è adesso… Alle scelte che ho fatto, alle occasioni che ho sprecato, ai sogni che ho inseguito…-

Si girò e la guardò dritta negli occhi:

-Ci pensi mai a cosa sarebbe successo se tu avessi o non avessi fatto una certa cosa? Ad esempio: se io quel giorno non avessi ascoltato John e gli altri, se non avessi comprato quel dannatissimo basso, se avessi speso tutte quelle sterline in tele e pennelli… Ora, dove sarei?-

Si fermò a fissare le acque del fiume, nel punto in cui parevano unirsi al cielo in una massa grigiastra d’acqua e d’aria.

-… Ma soprattutto: cosa sarei?-

Astrid gli si avvicinò, accarezzandogli i capelli.

-Un insegnante d’arte, un figlio meraviglioso, l’uomo dei sogni nel letto di una ragazza qualunque… Ma io non ti avrei conosciuto.-

-Però non è successo: ora sono qui, tu sei con me e io ti appartengo, Astrid, e non c’è niente al mondo che possa affermare il contrario.-

La ragazza evitò il suo sguardo e si concentrò sul canneto che costeggiava la sponda del fiume.

-Nessuno appartiene veramente a qualcun altro, Stu. Le persone si vogliono bene, si odiano, si amano, si disprezzano, si stimano, si invidiano… ma non sono mai di nessuno.-

-Questo lo dici tu: ritengo che già il fatto di pensare ad una persona o il ricordare dei momenti più o meno felici trascorsi con lei sia sintomo di appartenenza.-

Stuart riprese a guardare gli uccelli librarsi nel cielo plumbeo, quando Astrid, accarezzandosi l’anello che portava al dito, si decise ad interrompere il silenzio:

-Tu mi ricorderai, Stu?-

Il ragazzo sorrise leggermente e si voltò a guardarla per l’ennesima volta:

-Non ho mai smesso di farlo.-

 

Amburgo, 1962

 

Il tessuto dei pantaloni si macchiò di sangue, ma la ragazza non vi badò: poggiò la sua testa sulle ginocchia e vi abbandonò sopra qualche carezza, parlandogli, mentre l’ambulanza strillava disperata tra le vie della città.

-Appena ti sentirai un po’ meglio, torneremo a Liverpool… e andremo di nuovo in Italia, in quel posto bellissimo! Mangeremo fino a scoppiare, ci rincorreremo in riva al mare, verremo baciati dal sole e faremo l’amore sotto le stelle…-

Gli occhi socchiusi, Stuart stava a sentire la sua voce sempre più lontana, incrinata e irrealmente stridula.

-Non lasciarmi, Stu… Ti prego, non abbandonarmi… Non lasciarmi sola, amore mio, non farlo…-

Il ragazzo le sorrise stanco.

Non la guardava già più.

 

Ignoto, 1980

 

Uno squarcio, un lampo.

L’uomo aprì gli occhi all’improvviso; -è un incubo!- si disse.

Sbatté le palpebre più e più volte e provò ad alzarsi, ma si ripiegò su se stesso.

-La spalla, cazzo!-

 

-Devo smetterla di farmi-devo smetterla di farmi-devo smetterla di farmi-

Con le mani premute forti sugli occhi, l’uomo ripeteva un mantra con il quale sperava di potersi finalmente risvegliare.

-Oh, ciao John! Anche tu qua?-

Una voce che conosceva molto bene però lo costrinse ad aumentare la sua preghiera.

-Devo cambiare spacciatore-devo cambiare spacciatore-devo cambiare spacciatore-

Il ragazzo rise: -Sei sempre il solito cretino! Non vedi che sono io?-

Nel sentire quella frase, l’altro spalancò gli occhi e rimase di sasso nel trovarsi davanti lui.

-Stu? OMMIODDIO!-

John corse ad abbracciare l’amico, facendogli cadere i pennelli sporchi per terra.

-Ma oddio, Stu! Che cosa ci fai qua?

-Sto disegnando il cielo.-

-Vorrai dire “dipingendo”… Che poi, è anche vero che è impossibile dipinger-COME HAI DETTO, SCUSA?-

-No, hai capito bene: lo sto disegnando.-

E, detto quello, tracciò l’ultima riga, che andò a formare un cancello: si cacciò la matita in tasca e spinse l’inferriata.

-Beh, che stai aspettando? Vieni?-

John osservò il suo vecchio amico: i capelli ordinatamente scompigliati, gli occhi verdi ed affascinanti e quella spolverata di lentiggini, Stuart restava sempre il ragazzo che a Liverpool aveva fatto strage di cuori.

Tutto quello gli suonava strano e, anche se in cuor suo sapeva benissimo che avrebbe dovuto adattarvisi, era come se fosse ancora una parte estranea, un qualcosa che non riusciva ad incastrarsi alla perfezione in quell’enorme meccanismo.

-John, non potrai più ritornare sulla Terra… So che è dura da accettare, ma purtroppo è così. Quindi, prima ti rassegni e meglio è.-

Lennon sobbalzò: gli aveva forse letto nel pensiero?

-Avanti, vieni…- gli tese la mano, e lui la strinse.

Insieme s’incamminarono verso la luce ed entrarono nel giardino, lungo i cui lati correvano dei roseti.

Stuart si staccò e accarezzò malinconico i petali di una rosa:

-Ho trascorso gli ultimi diciotto anni a disegnare rose per lei, per quando finalmente ci ritroveremo…-

Sospirò.

-E mi sono disegnato un angolo tutto mio, qui, perché mi sentivo così terribilmente solo…-

Si voltò verso l’amico, sorridendogli: -Ma ora ci sei tu, e posso condividere questo piccolo Paradiso con te, John.-

Lennon, intanto, osservava il giardino a bocca aperta: -Stu, ma questo è… Questo è Strawberry Field! Diamine, l’hai disegnato uguale!-

Stuart sorrise compiaciuto, e annuì con il capo: sapeva quanto John fosse affezionato a quel vecchio orfanotrofio.

-Pazzesco, semplicemente pazzesco…- mormorò quello, sdraiandosi sull’erba e chiudendo gli occhi.

L’amico lo imitò e, dopo qualche minuto di silenzio, intervenne: -Sai che anch’io ho incontrato Elvis? Mi ha fatto anche l’autografo! Perché, se avessi aspettato te, alla buon’ora che l’avrei ricevuto!-

John si tirò su un gomito e lo fissò stizzito: -Senti un po’, Dean Martin dei poveri, non è mica colpa mia se hai tirato le cuoia prima che diventassi un pochino famosetto, eh!-

Stuart rise di cuore e Lennon fece altrettanto, quando il primo interruppe le risa: -Anzi, sai che ti dico? Andiamo a trovare lui, Cochran e tutta la gente che da giovani sognavamo di incontrare!-

-Ci sto, socio!-

I due amici si alzarono e, uno sotto braccio all’altro, si avviarono verso i loro idoli.

 

Amburgo, 1980

 

Come ogni mattina, Astrid si alzò abbastanza presto e andò in giardino: amava prendersi cura dei fiori e vederli crescere rigogliosi, ma in una zona il terreno non era fertile.

Vi era però qualcosa di strano: da un po’ di tempo, in quel fazzoletto di terra ogni giorno trovava una rosa sbocciata dal nulla, probabilmente per confortarla, che durante la notte moriva per fare spazio ad una ancor più bella la mattina seguente.

Quella mattina, le spine che la punsero appartenevano ad una rosa che aveva i petali del color del cielo, così bella ed irreale allo stesso tempo.

Era certa che vi fosse qualcosa sotto ma, prima di poter fare anche una sola delle mille congetture che aveva in mente, la raggiunse il marito, abbracciandola stretta da dietro e sussurrandole: -Astrid… John Lennon è stato ucciso.-

La donna sentì le ginocchia mancarle e iniziò a singhiozzare, mentre l’uomo la teneva stretta a sé.

Non si accorse che le sue lacrime erano ormai divenute stelle, dipinte sui petali che ora stavano cadendo al suolo.

 

 

Note dell’autrice

Prima classificata al Contest “Il quinto Beatle” indetto dalla cara Melardhoniel (grazie al cazzo, partecipavamo solo in due LOL), questa storia è nata quasi per caso.

Era da un po’ di tempo che volevo scrivere qualcosa su Stu, ma non ho mai trovato il coraggio di farlo, perché lo conoscevo poco (e tuttora è così).

Ho preso informazioni dall’Anthology, da Wikipedia, da Backbeat e dalla mia fantasia, che sicuramente sono fonti più affidabili di quella che sto per nominare.

So che la scena di Charles avrà sconvolto tutti, ma a mia discolpa posso dire che già non sono molte le informazioni che si hanno su Stu, figuriamoci sui suoi genitori!

Quindi, se non vi sta bene la parte sopra citata, vi propongo di unirvi alla sottoscritta per un pestaggio coi fiocchi ai danni di quel cazzone patentato di Philip Norman, che nel suo “Shout!” ha descritto Charles proprio così e.e

E nulla, vi prego solo di aver pietà di me e di non lanciarmi troppi pomodori :3

Adiè e grazie per il tempo che perderete a leggerla LOL

Bacioni,

 

Dazed;

   
 
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