Fanfic su attori > Coppia Garland/Bolger
Ricorda la storia  |      
Autore: Aya Lawliet ___backupFGI    01/07/2011    1 recensioni
Ma per una volta, per una sola volta, smascherata da un amico e dal canto triste di un usignolo in gabbia, Judy Garland concesse ai propri occhi lucenti d’offuscarsi.
{Ray Bolger/Judy Garland ♥}
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dietro le quinte di una gabbia invisibile ~

prompt: #022, nightingale

 

 

 

Le riprese andavano avanti da tempo immemore. Si era parlato di concludere in poche settimane, all’inizio; ma l’avvento del technicolor – e le scarpette rosse e il sentiero dorato e tutto il resto – li aveva presto portati a ricominciare praticamente daccapo. Per non parlare degli incidenti. A quel punto, era piuttosto normale per chiunque iniziare a dare segni di scontento e impazienza: Bert si era già lamentato spesso con Fleming in persona; Jack asseriva da tempo di aver perso il sonno, per via del cigolante rumore di latta che ormai lo accompagnava anche una volta smesso il costume di scena; e lo stesso Ray – anche se detestava ammetterlo – in ogni ora del giorno e della notte si sentiva in volto il fastidio ruvido della paglia che imbottiva i suoi vestiti. Davvero, quel film sarebbe probabilmente diventato un successo mondiale [‘La più grande emozione cinematografica dai tempi di Biancaneve!’] ma di certo lo sarebbe stato a caro prezzo.

Soltanto Judy non manifestava alcun cedimento. Allegra e determinata, continuava a sorridere e a impegnarsi, alla stregua della Dorothy Gale che era stata chiamata a interpretare. Nemmeno per lei era facile; l’avevano trasformata in una tale serie di diverse Dorothy che Ray si meravigliava che potesse ancora riconoscersi – eppure mai, neanche una volta, gli era parsa scoraggiata. Be’, forse soltanto allora, quando avevano deciso di tagliare la parte intermedia della loro prima scena insieme. Quello le era proprio dispiaciuto. E non solo a lei, dopotutto.

Ray sapeva bene, lo aveva capito dal primo minuto passato con lei sul set, quanto Judy volesse dimostrare di potercela fare: e forse era per questo che continuava a sbirciarla, non visto, in cerca di un qualsiasi avviso di stanchezza, un qualunque minimo pretesto per poterle tendere la mano e dirle non sei sola in questo mondo.

Perché – per quanto bene recitasse – anche Judy era stanca. E lei aveva solo sedici anni. Non era nell’età giusta per stancarsi di niente.

C’erano tante piccole cose a suggerirglielo, cose che magari non notava nessun altro: il modo in cui gli stringeva più forte la mano, dopo l’ennesima prova del numero del Jitterbug, come a cercare il suo sostegno per continuare; o gli sguardi assonnati che gli lanciava alla sera, prima di augurargli la buonanotte con voce fin troppo smorzata; oppure anche quei lunghissimi minuti che passava sola nella sua stanza ogni giorno – no, non il tipico ritardo femminile e adolescenziale: Judy era molto zelante. Se si teneva tutto quel tempo stretto addosso, non poteva che servirle a costruirsi quella maschera di ottimismo con la quale andava incontro a tutti loro.

E a Ray – più della paglia – questo faceva male da morire.

Era stato con quei pensieri che quel pomeriggio aveva bussato alla sua porta, l’abito di scena già indosso, la tela sul viso e la gabbia sotto il braccio.

«Ti ho portato una cosa.»

Judy gli aveva aperto subito, anche lei pronta [bellissima] nel suo vestitino azzurro, gli occhi pieni di nient’altro che non fosse curiosità e la pura gioia di vederlo. Gli facevano sempre un certo effetto, quegli occhi. Dovevano esserci tante cose non dette, dietro, ma ciò che era in bella vista non lo lasciava meno confuso e nervoso.

«Che cosa?»

L’aveva lasciato entrare guardando il panno che copriva la gabbia. Ray si era fermato sulla soglia, un po’ impacciato; solo dopo un lungo momento – in cui si era concesso di studiare con garbo il suo sorriso incoraggiante – aveva tirato via la stoffa per mostrarle l’uccellino.

«Mi hanno fatto un regalo di compleanno che credo sia molto più adatto a te.»

Ora, era da diversi secondi che Judy andava con lo sguardo da lui alla gabbia, un po’ smarrita. Ray si chiedeva se comprendesse il vero motivo di quel gesto: ne avevano parlato, qualche volta, di quella gabbia più grande e più bella e più invisibile che era il loro universo, e nella quale nessuno – nella quale lei non meritava di finire intrappolata facendo finta che nulla fosse successo, che niente compromettesse i suoi giorni forzandola a indossare un’aura dorata anche quando dentro aveva voglia di urlare. Ne avevano parlato; e Judy era una ragazza troppo intelligente per non capire. Anche se quell’aura era bendisposta ad accettarla.

Ma per una volta, per una sola volta, smascherata da un amico e dal canto triste di un usignolo in gabbia, Judy Garland concesse ai propri occhi lucenti d’offuscarsi.

E fu molto più commosso, e più umido, ma anche più vero il sorriso con cui si rivolse di nuovo a Ray.

«Anch’io ho una cosa per te.»

Non aspettò di ricevere una risposta. Scostò appena la gabbia con l’usignolo, perché non fosse più d’ostacolo tra loro; e si sollevò sulle punte delle scarpette rosse, e sfiorò i lembi della maschera grezza che gli copriva il volto. Ray si tirò indietro, con un po’ meno convinzione di quella che avrebbe voluto e dovuto avere.

«No, cosa – ferma! Ci vorranno altre sei ore per...!»

Ma quel sorriso gli spense le parole in gola.

Quando neppure la maschera fu più un ostacolo, e con quello stesso sorriso Judy gli sfiorò le labbra, Ray dovette impegnarsi a fondo per ricordarsi che lei aveva solo sedici anni.

«In scena tra due minuti!»

Al grido del megafono di Fleming, Judy si ritrasse e rivolse quell’espressione incantevole che aveva solo per lui all’usignolo; e davvero, per un attimo ne fu geloso. Poi, mentre lei prendeva con delicatezza la gabbia, lui fece del suo meglio per risistemarsi la maschera, nascondendo l’imbarazzo dietro la solita allegria da Spaventapasseri.

«Ho, ehm, paura che ce ne vorranno più di due.»

Risero piano insieme, e dopo aver posato la gabbia accanto al suo letto, Judy lo prese per mano e lo guidò fuori alla ricerca di una truccatrice sfaccendata.

«A proposito... Grazie, Ray.» Anche stavolta lo strinse più forte, ma non fu per debolezza. C’era una nuova forza nel suo tocco. «E buon compleanno.»

Ray ricambiò, grattandosi una guancia con la mano libera, e canticchiando qualcosa che suonò come then perhaps I’ll deserve you and be even worthy of you [si augurò di vederlo libero, quell’usignolo. Prima o poi. E anche Judy] if I only had a brain.

 

 

 

 

 

 

Nota: Nessuna coppia di attori al mondo può aver sviluppato un legame come quello che Il Mago di Oz fece nascere tra Judy Garland e Ray Bolger. Per tutta la sua vita, Judy continuò a chiamare Ray ‘il mio Spaventapasseri’, un pensiero dolcissimo che – a dirne una – non ebbe invece nei confronti di Jack Haley e Bert Lahr, il Boscaiolo e il Leone, e che – a dirne un’altra – ha portato a più recenti collaborazioni, come quella del 1963 nel Judy Garland Show, che sono esempi di raro e sincero affetto. Mi piace vederlo come un amore mai compiuto, e spero di non risultarvi melensa ma, sul serio, per me quei due si amavano e si sono sempre amati.

Le riprese del capolavoro in technicolor del 1939 si conclusero ufficialmente in quel febbraio. Il compleanno di Ray Bolger era il 10 gennaio, pertanto questa shot vuole ambientarsi circa un mese prima della fine della lavorazione al film. Il verso da lui canticchiato nel finale è tratto dalla scena tagliata dal numero di If I only had a brain; lo Spaventapasseri cantava quelle parole a Dorothy.

Tutti i riferimenti alle sofferenze causate dalla produzione sono assolutamente reali: si ricominciò daccapo dopo aver scelto di usare il technicolor, e per lo stesso motivo si modificarono particolari importanti del copione quali la presenza delle scarpette rosse e la pelle verde della Strega dell’Ovest; i costumi di scena erano realizzati in modo tanto realistico da risultare dannosi per la salute degli attori; Judy Garland, allora sedicenne, fu costretta per tutto il tempo a recitare, cantare e ballare con indosso una fascia che le stringesse il seno, nascondendo l’evidenza fisica della sua vera età – e naturalmente a partire da questo momento lo show business la inglobò, segnando per sempre tutta la sua vita, nel modo tragico che conosciamo più o meno tutti. Fu un lavoro estenuante che portò a taluni incidenti quasi fatali. Eppure, il risultato è un’autentica magia, che ha avuto il massimo merito di unire persone straordinarie.

A Ray e Judy, ovunque siano, sperando che siano insieme.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Coppia Garland/Bolger / Vai alla pagina dell'autore: Aya Lawliet ___backupFGI