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Autore: Dilandau85    01/07/2011    0 recensioni
Breve fanfiction di pochi capitoli scritta di getto dopo aver visto l'anime di Gantz, in particolare su Joichiro Nishi. Un ipotetico racconto sul suo anno nella stanza della sfera nera, dal volo dal tetto alle vicende iniziali del manga/anime.
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Cerchiamo di stare calmi prima di tutto e di fare un po’ di chiarezza”, prese la parola il più anziano del gruppo.
Nishi si buttò a sedere sul pavimento, nell’attesa che Gantz mostrasse l’obiettivo della missione odierna e tutto iniziasse. Ogni volta era sempre curioso di osservare i comportamenti del gruppo di prescelti.
Guardandosi intorno vide che anche altri piano piano iniziarono a seguire il suo esempio mettendosi a sedere per terra. Quanto meno questa volta gente isterica non ce n’era, erano tutti così calmi che quasi non gli pareva vero. Era la prima volta che nessuno urlasse a destra e sinistra facendo domande cui non esisteva risposta, che nessuno piangesse o si disperasse. Persino la bambina di dieci anni si accucciò per terra in ammirevole silenzio. Che fortuna, gli mettevano la rabbia addosso le persone troppo emotive.
“Che ne dite se ognuno di noi si presentasse e dicesse l’ultimo ricordo che ha prima di svegliarsi qui?”
Ecco, nonostante la novità della quiete quella di interrogarsi sugli ultimi ricordi era qualcosa che avveniva ogni volta. Come se potesse servire mai a qualcosa! Tuttavia ogni volta saltava fuori qualcuno che proponeva questa inutile idea. E anche questa volta l’idea fu presa positivamente da ognuno con discreto entusiasmo. Nishi attese paziente e tollerante che fosse il suo turno per poter recitare il suo solito gioco.
“Mi chiamo Issei Nagano, ho cinquant’otto anni e sono un dirigente presso la Fuynan… Ero in macchina, un furgone contro mano mi è venuto addosso…”
Il vecchio invitò colui che gli stava più vicino a fare lo stesso.
“Io sono Mitusda Hanamori, trentun anni, sono operaio presso l’impianto siderurgico di Atanaba. Ho avuto un incidente sul lavoro”
“Mi chiamo Tori Kimura”, prese la parola la ragazza in uniforme, “frequento la seconda media presso la scuola Shiratori… Mi spiace, ma al momento non ricordo assolutamente cosa stessi facendo prima di trovarmi qui… Ricordo solo che mi trovavo a casa mia, con la mia famiglia…” il suo sguardo era tanto allucinato da mettere paura.
“Sono Joichiro Nishi, seconda media, sono morto cadendo”, ripeté la stessa frase che pronunciava ogni qual volta iniziasse il trenino delle presentazioni.
“Io sono Watanabe Taro, trentadue anni, gestisco un piccolo ristorante a Ichinomiya. Se non è stato un sogno una coppia di malviventi è entrata nel mio locale e mi ha sparato, ma non ne sono sicuro…”
Nishi guardò oltre il trentenne. Era il turno della ragazzina.
“Stai tranquilla piccolina, nessuno vuole farti del male”, fece il vecchio con voce calda, “Vuoi dirci anche tu come ti chiami, quanti anni hai e cosa ricordi?”
“Io mi chiamo Eri Yoshiba e ho dieci anni. Mi sono addormentata in ospedale”
“Capisco…”, riprese Issei il vecchio.
“Manco solo io”, era la volta dell’odiato Susumu, “Sono Susumu Yamagi, ho venticinque anni; sono impiegato presso gli uffici della JGK Bank. Sono stato investito mentre attraversavo la strada cinque mesi e mezzo fa”
“Cinque mesi e mezzo fa?”, Nishi poté vedere stupore negli occhi di tutti mentre pronunciavano quelle parole. Ecco, ora era il momento del siparietto di Susumu, la più grande rottura di palle che doveva sorbirsi ogni volta che si ritrovasse in quell’appartamento.
“Sì, io so molto di questo posto, chiedetemi pure ciò che volete, cercherò per quanto possibile di rispondervi. Ma prima di tutto vi consiglio di indossare la tuta, come quella che porto io. Potrete trovarla all’interno della sfera, appena questa si aprirà”
“Cosa ci succederà ora?”, chiese il vecchio.
“Tra un po’ verremo teletrasportati fuori da qui e saremo bersagliati dagli attacchi di mostri extraterrestri; so che molti non mi crederanno, ma è la verità”
Nishi osservò con sorpresa che il detestabile Susumu quella volta era riuscito a carpire l’attenzione del suo uditorio, che pendeva letteralmente dalle sue labbra; nessuno aveva osato pensare di non credere alle sue assurde parole. Joichiro non sapeva se definirli estremamente saggi o estremamente stolti per questo.
“Non vi nascondo che sarà dura là fuori, ma io cercherò di proteggere ciascuno di voi. Statemi vicino e vedrete che sopravvivremo tutti insieme a quest’inferno”
Nishi emise un ghigno a quelle parole; Yamagi era veramente patetico con quel suo modo di fare falso e ipocrita. Non vedeva l’ora di essere trasferito, così da rendersi invisibile ed evitarsi quell’odioso spettacolo. Susumu immediatamente si accorse di quella smorfia di disappunto e colse l’occasione al volo
“E cercate di diffidare dalle persone come lui”
Nishi volse lo sguardo altrove sentendosi chiamato in causa; il dito indice del venticinquenne gravava pesante e solenne su di lui. Iniziava seriamente ad irritarsi. In fondo voleva soltanto essere lasciato in pace.
“E perché, scusa?”, fece qualcuno nella stanza.
“Conosco bene quel moccioso, ed è uno dei peggiori bastardi che conosco. Dovete sapere che conosce molte più cose di me su questo posto, ma non vi dirà mai niente; anzi, farà di tutto perché crepiate tutti là fuori”
“Se invece iniziassi a crepare tu Yamagi il mondo sarebbe soltanto un posto migliore”, rispose con odio. Basta, ormai Susumu Yamagi aveva rotto i coglioni; la sua vita aveva i minuti contati.
“Dice la verità?”, si chiesero gli astanti interrogativi.
“Oh, ma certo che dice la verità”, si prese la briga di rispondere Nishi stesso, “Tanto non ci sarà bisogno che io faccia niente. Morirete comunque, con o senza il mio intervento; e anche con o senza l’intervento di quella testa di cazzo laggiù”
“Visto, ve l’avevo detto!”, rispose prontamente Susumu, “Quel tipo è simpatico quasi come pestare una merda sul marciapiede”
Solo Nishi trovò divertente la battuta e vi rise di gusto benché fosse architettata alle sue spalle. Ogni tanto quello stronzo riusciva a suo modo ad essere persino simpatico!
“E va bene, hai vinto tu”, cominciò Nishi continuando a ridere, “Hai ragione. Ascoltate tutti, date retta al veterano ed eroe Susumu Yamagi se volete sopravvivere. Ascoltate le sue parole, e stringetevi addosso a lui quando saremo fuori, e vedrete che andrà tutto bene”, disse a tutti continuando a trovare la cosa divertente. Avesse potuto scommettere su quelle parole si sarebbe giocato tutto ciò che aveva; di sicuro sarebbe divenuto milionario!
A quel punto la sfera iniziò a cantare come era consuetudine e tutti si avvicinarono per leggere le scritte che comparvero sulla sua liscia superficie nera. Poi si aprì e tutti furono ancora più sorpresi. Tutte scene già viste. Yamagi continuò le sue prolisse spiegazioni su come usare le armi e persino su come indossare la tuta. Tutti seguirono il suo consiglio e la indossarono; era la prima volta che succedeva; semplicemente sbalorditivo! La possibilità che il numero di sopravvissuti a quella missione superasse le consuete due persone iniziò ad accarezzare Nishi con fastidio. Ma era solo a combattimento iniziato che si sarebbe potuto affermare con certezza qualcosa del genere. Probabilmente però quella volta, se almeno fossero riusciti a combattere prima di crepare come degli inetti, gli avrebbero semplificato il compito, e di questo non poteva che esserne lieto.
Non ebbe nemmeno bisogno di andare a raccattare una pistola. Era da un po’ di tempo infatti che si portava a casa anche quella oltre alla tuta. Nel tempo libero ci aveva ammazzato solo qualche gatto randagio del quartiere, finora, ma almeno così teneva allenata la mano.
Passarono solo pochi minuti prima che il trasferimento ebbe inizio. Neanche ebbe finito di materializzarsi che si rese immediatamente invisibile. Ecco, ora si trovavano tutti in mezzo alla strada.
“Ci siamo tutti, state tutti bene?”, fece Susumu con aria da leader. Ma che domande, chi voleva incantare? Perché mai non sarebbero dovuti stare tutti bene?!
“Un momento, manca l’altro ragazzo delle medie”, fece la sua coetanea. “Non ti preoccupare, quello stronzo fa sempre così, appena finito il trasferimento sparisce per andare chissà dove”, povero ignorante, Susumu! Non aveva ancora capito dopo tutto quel tempo che si trovasse proprio là in mezzo a loro?
“Qualcuno sa dove ci troviamo?”
“Io lo so”, riprese la parola Tori Kimura, “Siamo a Uchiname”
“E come fai ad esserne sicura?”
“Perché questo è il mio quartiere! Vivo a due isolati da qui”, più che pronunciava quelle parole e più che appariva agitata, “Devo andare assolutamente a casa!”, si vedeva che smaniava dalla voglia di allontanarsi dal gruppo.
“No, non farlo!”, urlò Susumu afferrandola per un braccio, “Rischieresti di morire!”, ma bravo Susumu! Che impresa che era stata salvare la vita di quella ragazzina a quel modo! Un vero gesto eroico! Nishi iniziava a seccarsi; quelle chiacchiere inutili stavano solo rubando tempo alla missione! Che la ragazzina andasse pure a crepare nel tentativo di tornare a casa!
“Ehi, guardate là!”
Il primo ad accorgersene fu l’operaio trentenne. Lungo le strade notturne perfettamente deserte della notte, il drappello di persone distanti da loro neanche cento metri non poteva che attirare l’attenzione. Peccato che a guardare meglio non si trattasse di persone; cioè, avevano le sembianze di esseri umani, ed erano anche vestiti come dei comuni ragazzi, ma il loro aspetto era mostruoso.
“Si stanno avvicinando!”, il cospicuo gruppo di mostri stava camminando proprio verso di loro.
“Ascoltate le mie parole! Nessuna pietà, fate fuoco con entrambi i grilletti delle vostre pistole e sfruttate le potenzialità della tuta. Non fuggite troppo lontano o morirete. Insieme vedrete che ce la faremo”, certo, come no! Nishi sapeva che appena la situazione si sarebbe messa male Susumu si sarebbe imboscato da qualche parte lasciando morire tutti quanti. Ma effettivamente per chi non lo conoscesse in quel momento non poteva che apparire come un faro nell’oscurità.
“Tori, giusto?”, continuò quello a rivolgersi alla ragazza, “Prenditi cura di Eri mentre noi combatteremo”
“Si mangia!!”, gridarono i mostri iniziando a correre verso di loro con aria feroce.
Con un salto Nishi si levò dalla strada e si mise comodamente a sedere su un tetto da cui avrebbe potuto avere una visuale migliore. Cazzo, i mostri di quel giorno facevano davvero paura, anche solamente a vedere dalla foga con cui avevano preso a caricare i Gantzers. Meglio togliersi dalle scatole per il momento e stare a guardare.

Non furono passati neanche cinque minuti che i cadaveri del vecchio e del proprietario del ristorante facevano bella mostra di sé fatti a pezzi sull’asfalto. Per il resto la battaglia continuava ad imperversare e gli altri del gruppo che finora erano sopravvissuti avevano ingaggiato un’aspra lotta con i feroci alieni. Bene, che li tenessero occupati! Per lui tutto sarebbe stato più semplice. Tuttavia c’era qualcosa che non tornava. La ragazzina, Eri, era stata lasciata da sola proprio sotto a lui, e se ne stava rannicchiata dietro un palo di cemento piangendo dalla paura. Nessuna traccia invece della sua coetanea che doveva restare a badare alla bambina. Non riuscendo a scorgere il suo cadavere la cosa lo incuriosì. Poi si rese subito conto che la stupida doveva essere corsa verso casa, o verso il gran botto che avrebbe fatto a breve la sua testa.
Decise di lasciare per un attimo la scena del combattimento per vedere che stesse combinando Tori. Se davvero casa sua era là vicino forse ce l’avrebbe fatta a scamparla dalla bomba che aveva nella testa. Chissà che effetto avrebbe fatto combattere nel quartiere dove si trova la propria casa; era una cosa che si chiedeva da sempre.
La raggiunse in fretta, dal momento che aveva percorso ben poca strada e solo dopo aver verificato sul dispositivo che non vi fossero alieni nelle immediate vicinanze si privò dell’invisibilità.
“Sai che se continui ad allontanarti così ti salterà in aria la testa, vero?”, non seppe neanche perché lo disse. In realtà non gliene fregava granché di cosa la ragazza combinava.
“Da dove arrivi? Mi hai messo paura!”
“Sono sempre stato qui, mi tengo nascosto per non venire attaccato e mi mostro solo quando non ci sono rischi”
“E’ meschino…”
“Lo so, ma tecnica che vince non si cambia”
“Comunque non mi devo allontanare molto, casa mia si trova dietro quest’angolo”, rispose prontamente e con decisione quella, malgrado fosse chiaramente visibile che fosse sconvolta e agitata fuori misura.
“E cosa pensi di fare una volta a casa? Nessuno riuscirà a vederti…”, sapeva che il suo tono era provocatorio, ma d’altronde era proprio quello ciò che voleva.
“Non m’importa che qualcuno veda me! Sono io che voglio vedere la mia famiglia! Mi basta solo quello”
Nishi rimase sorpreso dalla decisione con cui erano state pronunciate quelle parole. Ci voleva un bel coraggio per fare un’affermazione del genere, o comunque bisognava avere cognizione di una situazione particolare. Cosa avrà voluto dire? Quest’interrogativo lo spinse a continuare a seguirla poco distante. Ma appena svoltato l’angolo il loro cammino si interruppe.
“Noo!!”, gridò la ragazza in lacrime, in un misto di rabbia e disperazione; e appena anche lui la raggiunse dietro l’angolo finalmente fu tutto chiaro.
“Merda…”, esclamò anche lui a quella vista.
C’era una palazzina a pochi metri da loro. L’intera zona circostante era delimitata dal nastro giallo e nero della polizia e da cartelli. Alzando lo sguardo poté vedere che il terzo piano dell’abitazione era letteralmente saltato per aria. Le finestre erano tutte esplose e i muri completamente neri per il fumo e per il fuoco che probabilmente dovevano aver infuriato. Anche il resto del palazzo sembrava aver subito qualche danno collaterale.
Nishi raggiunse la ragazzina che nel frattempo era crollata a piangere in ginocchio sull’asfalto mentre continuava a ripetersi che non poteva essere vero. Ricontrollò il radar per sicurezza, perché la prudenza non era mai troppa. Maledizione, gli alieni si stavano avvicinando a loro! Era assurdo come fosse impossibile per i malcapitati del Gantz riuscire a trovare un nascondiglio dove non venire scovati dagli alieni. Nishi ipotizzò addirittura a giustificazione di ciò che gli alieni utilizzassero l’olfatto per trovarli; altrimenti non c’erano altre spiegazioni. Ma chissà se era davvero così.
Annusando lui per primo il pericolo decise di tornare di nuovo invisibile senza dare alcuna spiegazione a nessuno. L’ultima volta che vide Tori questa stava correndo verso casa sua; cazzi suoi d’ora in avanti. Il timer indicava che mancava solamente un quarto d’ora per portare a termine la caccia, e non c’era altro tempo da perdere. Tornò verso la zona del combattimento per vedere quanti fossero ancora sopravvissuti, e durante il cammino eliminò sparandogli dalla sua invisibilità un discreto numero di alieni minori. Quando giunse sul luogo principale dello scontro il boss alieno aveva appena fatto fuori uno dei pochi superstiti, ovvero l’operaio.
Si guardò intorno.
“Che macello…”, fu soltanto in grado di dire. Erano tutti morti, come al solito, persino della bambina non avevano avuto pietà.
Susumu invece era ancora in vita, arrancando con la tuta fuori uso cercando di fare fuori con la sua pistola quanti più mostri riuscisse ad eliminare. Nishi corse in suo aiuto, dandogli una mano ad ammazzare gli alieni che gli si stavano stringendo addosso, ma solo per una ragione: era lui che voleva fare fuori l’odiato ragazzo. Tutto ciò gli ricordava un appetitoso sogno che aveva fatto qualche settimana addietro…
Ma non c’era tempo per i mostri minori, la priorità restava l’eliminazione del boss; lasciò Susumu e si diresse alle spalle del mostro più grosso. E l’invisibilità funzionò alla grande, perché quando gli sparò un gran numeri di colpi alle spalle, questo non si era neanche accorto della sua presenza. Fossero state tutte così semplici le missioni! L’alieno si accorse di essere stato attaccato troppo tardi, quando ormai i colpi erano stati sparati. La sua morte era solo questione di tempo, per quanto questi ora si dimenasse per colpire il suo misterioso e invisibile aggressore.
Anche questa era fatta. Ora era la volta di Susumu. Il cuore gli batteva forte. Si chiedeva se sarebbe stato in grado di fare una cosa del genere, di uccidere un uomo, per quanto odiato, così, a sangue freddo e senza pietà. Nel sogno era tutto più semplice, mentre ora che era il momento dei fatti quella famosa e dannata promessa di “essere sempre bravo” che aveva fatto a sua madre in maniera tanto superficiale prima che questa morisse era come un pesante macigno appeso al suo collo. Ma appena si volse verso Susumu ogni perplessità cessò di esistere; il ragazzo giaceva a terra decapitato, massacrato da uno di quegli alieni. Nonostante tutti i dubbi che aveva avuto fece una smorfia di disappunto di fronte a questo fatto. Aveva perso quell’occasione… Chissà se era meglio o peggio così. Probabilmente sua madre sarebbe stata felice per il fatto che suo figlio non fosse ancora divenuto un assassino…
Neanche tre secondi dopo iniziò il trasferimento. Povero Susumu! Quella volta la fortuna gli aveva detto male! Sarebbe bastato per lui resistere per meno di un altro minuto e adesso sarebbe stato ancora vivo! Ma d’altronde era probabile che una cosa del genere prima o poi accadesse, era soltanto questione di tempo. E ora che finalmente era successa poteva sentire finalmente il suo cuore più leggero!

Al ritorno nella stanza della sfera si diresse subito verso di essa e la intimò di iniziare subito a dare i punteggi. Una volta terminata la missione quella di sapere quanti punti avesse accumulato diveniva una vera smania per lui. Ma anche quella volta era stato troppo impaziente. Dopo qualche secondo il cane iniziò a materializzarsi nella stanza. Maledizione, ogni volta dimenticava quel dettaglio!
“Adesso puoi iniziare, Gantz!”
Ma anche ora la sfera lo ignorò. Eppure non avrebbe mai detto che ci sarebbero stati altri superstiti. Invece entro poco iniziò a trasferirsi nella stanza anche Tori Kimura.
“Così alla fine ce l’hai fatta…”, che palle, non aveva fatto a tempo a liberarsi di Susumu che già doveva sopportare un altro superstite.
La ragazza non rispose, anzi, non si curò minimamente delle sue parole. Era ancora sconvolta dagli eventi e non aveva ancora smesso di piangere. Nishi azzardò che forse tanto era presa dalle sue faccende che neanche si era accorta della presenza degli alieni e di tutto il casino che era successo, e così facendo l’aveva scampata. Tutto ciò era buffo.
Finalmente Gantz si decise a dare i punti. Attese il suo turno con le palpitazioni; non che sperasse nei cento punti del suo sogno, ma magari quella volta la sfera poteva essere stata magnanima nei suoi confronti e avergli dato un buon punteggio…
“Nishi-kun 9 punti, 80 punti totali, 20 punti alla fine”
Non era male come punteggio. E quell’ottanta gli piaceva sempre di più. Aveva un bel suono, era molto vicino ai cento. Poteva definirsi contento.
Quando anche agli altri due furono comunicati i punteggi, ovvero zero punti, la sfera si spense e la serratura della porta si aprì. Il cane non se lo fece ripetere due volte e scodinzolando si allontanò e terminò di aprire l’uscio grattando con le zampe anteriori, scappandosene chissà dove.
Anche lui in genere era il primo a volersene andare dall’appartamento. Ma non quella volta.
“Ehi, guarda che puoi andartene anche tu. Ora la porta è aperta”, intimò maleducatamente verso la ragazza; voleva soltanto restare da solo con la sfera. Dopo tutti quei mesi era giunto il momento di capirne qualcosa di più, e non voleva scocciatori tra le scatole.
“Posso chiederti soltanto che scuola frequenti?”
Chiedendosi che diavolo poteva importargliene di un dettaglio del genere rispose
“Le Nagashimura, a Shinjuku”
Senza neanche salutare la ragazza se ne andò. Finalmente non c’era rimasto più nessuno. Nei giorni che avevano preceduto la missione si era domandato incessantemente cosa fosse il Gantz. E tra le varie ipotesi che aveva fatto, l’idea che si potesse trattare di qualcosa molto simile ad un computer non era mancata. Adesso era giunto il momento di fare un tentativo. Di computer se ne intendeva abbastanza. Certo, se anche il Gantz fosse una specie di computer, chissà che linguaggio avrebbe utilizzato. Così iniziò con un tentativo.
“Ehi, Gantz, sei ancora attivo?”
Nessuna risposta giunse. Si avvicinò alla sfera e si accucciò di fronte a lei. La superficie nera era perfettamente liscia. Provò a tastare, ma non ottenne nessun risultato; probabilmente non aveva niente a che fare con un touch screen. Dal momento che la sfera era ancora aperta guardò dentro il suo interno. L’uomo intubato ad essa era sempre lì e sempre incosciente. Chissà che diavolo era quella cosa e chi l’avesse creata! Tuttavia gli seccava essere ignorato a quel modo.
“Mi riesci a sentire? Dammi un segno che ci sei ancora e non mi ignorare! Ho un mucchio di domande da farti!”
Quando anche questa seconda frase non sortì alcun effetto scosse l’uomo all’interno della sfera con qualche pacca. Fu solo a quel punto che il Gantz si accese facendo comparire sulla sua superficie la schermata raffigurante il suo punteggio.
“Gantz, mostrami tutti quelli che hai in memoria”
Sapeva che sarebbe stato assolutamente inutile, tuttavia dopo quell’assurdo sogno che aveva fatto tanto valeva fare un tentativo. In fondo in fondo, per quanto conoscesse la verità, una piccolissima parte di sé continuava a sperare che qualcosa di irrealizzabile potesse invece fantasticamente realizzarsi… Tuttavia il suo raziocinio non sbagliava. Tra le persone in memoria di Gantz non vi era traccia di sua madre. Maledisse ulteriormente quel dannato sogno che non aveva fatto altro che illuderlo inutilmente.
Ok, appurato ora che i sogni erano solo sogni, era giunto il momento di dedicarsi a qualcosa più serio. Sembrava che Gantz potesse comprendere i comandi vocali. Pensò che ogni linguaggio informatico creato dell’uomo aveva una sua guida, quindi tentò
“Gantz, mostrami l’elenco di tutti i comandi cui sei in grado di rispondere”
La sfera recepì l’ordine e mandò una schermata con una lista quasi infinita di istruzioni. Nishi pensò che attraverso di essa avrebbe potuto ottenere un gran numero di informazioni su cosa fosse quella dannata sfera. E comunque quella che aveva appena avuto era la conferma che se anche Gantz non fosse stato proprio un computer, per lo meno era qualcosa che gli si potesse avvicinare di molto.
Osservò all’interno della sfera; ogni computer era dotato di porte di vario genere. Mentre cercava di trovare qualche accesso esterno l’idea che quella cosa potesse essere qualcosa creato dall’umanità si faceva sempre più pressante. E quando trovò una porta seriale nascosta tra i cavi dentro la sfera non ebbe più dubbi. Non si stava sbagliando, quella che aveva appena visto dentro la sfera era proprio una porta seriale! Maledizione, se soltanto avesse avuto con sé il portatile! Forse attraverso un portatile avrebbe potuto muoversi più agilmente nel linguaggio di Gantz. Ebbe una voglia matta di correre a casa e prendere il computer, ma temeva che una volta tornato all’appartamento avrebbe trovato soltanto una porta chiusa. A quel punto la delusione sarebbe stata troppo forte. Si accontentò per il momento di utilizzare il linguaggio vocale con la sfera, ripromettendosi per le volte future di ricordarsi di portare con sé un pc.
Scorse la lunga lista per vedere di trovare qualche comando particolarmente interessante. La stringa “communicate” attirò immediatamente la sua attenzione.
“Communicate”, impartì l’istruzione.
La schermata mutò mostrando una domanda: “Con chi?”
Che diavolo ne sapeva con chi? Fece un tentativo
“Dammi un elenco”
E il tentativo andò a buon termine. La schermata mutò di nuovo mostrando un elenco degli utenti al momento in linea. Fondamentalmente erano nomi di città di tutto il mondo e ogni secondo che passava ne scomparivano alcuni e ne comparivano altri. Questa cosa lo interessava particolarmente. Peccato non ci fosse nessun’altra città giapponese al momento. Gli toccava parlare in inglese, per quanto ci riuscisse
“Fammi parlare con New York”
La sfera rispose con la schermata “connessione aperta”
Passò tutta la notte a parlare con il team di New York, poi, quando quello lo mandò a quel paese e si fu disconnesso passò a quello di Londra, San Francisco e azzardò pure Parigi. Parlare in inglese era davvero faticoso, ma lo sforzo ne valeva la pena. Ottenne un sacco di informazioni. A partire dal fatto che di appartamenti come quello in cui si trovava lui al momento ve ne fosse un numero esagerato, che Gantz era un artefatto prodotto dall’uomo probabilmente in uno stabilimento tedesco, e che il mondo avrebbe visto la sua fine entro un anno da allora.
“What does it mean?”, chiese per avere maggiori delucidazioni a riguardo. Poté vedere il suo interlocutore seccato di fronte a tanta insistenza, ma infine la risposta giunse
“Try the ‘katastrophe’ command, you moron”
“Wait just a second! I’ve another question; is there any other way to communicate between gantzers? Such as internet?”
“I gotta go now. You pissed me off. I’ll send you an address and some passwords”
Prima di staccarsi dalla connessione l’utente inviò i dati che aveva promesso che comparvero sulla schermata. Nishi prese nota mentalmente di essi in attesa di essere a casa sua davanti al computer per poter tentare l’accesso al sito in questione. Poi provò il comando katastrophe per vedere di cosa si trattava più nel dettaglio.
“Gantz, katastrophe”
Ma visto così da solo, quel conto alla rovescia che sarebbe scaduto dopo circa dodici mesi da quel momento, proprio come aveva asserito il suo interlocutore, aveva ben poco senso.
Stette tutta la notte davanti alla sfera a studiarne tutte le potenzialità, finché verso l’alba non fu sopraffatto dalla stanchezza e crollò addormentato là su quel pavimento di parquet.
Quando si risvegliò doveva essere l’ora di pranzo; il sole entrava prepotentemente dalle ampie vetrate dell’appartamento illuminandone ogni dettaglio. La scuola per quel giorno era andata, ma di questo non gliene fregava granché. Si stiracchiò e si tirò a sedere. Doveva essere davvero stanco morto per crollare su quello scomodo e duro legno; solo ora riusciva a sentire schiena e collo tutti anchilosati.
“Ehi Gantz, ci sei ancora?”
Scrutò la sfera, ma non gli giunse alcun tipo di risposta. Probabilmente si era spenta. Tentò in qualche modo di riattivarla ma non ci fu nulla da fare. Pazienza, sarebbe stato per la prossima volta. Ora aveva soltanto voglia di tornare a casa. Voleva aggiornare il suo blog coi dettagli dell’ultima missione; ma solo quelli. Tutte le restanti novità che aveva scoperto sulla sfera si sarebbe guardato bene dal pubblicarle. Meglio tenere per sé tutte quelle utili e preziose informazioni. Per il resto invece non vedeva l’ora di venire richiamato per la prossima missione. Cavolo, ottanta punti erano tanti! Gli sembrava fosse passato solo un giorno dalla sua prima missione, e invece era passato quasi un anno, e aveva quasi finito il gioco! Era una bella sensazione.
  
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