"E' proprio sicuro, dottore?"
"Ahem... Temo proprio di sì"
L'uomo in camice bianco guardò la ragazza con la coda dell'occhio, incrociò le
mani per poggiarci sopra il mento e borbottò qualcosa sistemandosi gli occhiali
sul naso. Chiuse gli occhi.
Poi li riaprì, scuotendo la testa, e fissò la ragazza davanti a sé; era carina,
occhi come due nocciole e capelli castani ben scalati e pettinati.
"Signorina, sa che la TSS non è una malattia da nulla"
"Ma lei può curarla, non è vero?"
"Nessuno può farlo"
Il dottore la guardò. Si aspettava che da un momento all'altro esplodesse, che
piangesse, che gridasse, che lo supplicasse di fare qualcosa.
Invece lei rimase zitta zitta, con la mano destra all'altezza del mento e
l'indice in bocca.
Sambrava una bimba piccola che, non riuscendo a dormire, è andata in camera dei
genitori ma non sa se svegliarli o meno.
Poi improvvisamente si riscosse, tolse l'indice dalla bocca e parlò.
Con grande sorpresa del dottore, la sua voce era ferma.
"Cosa devo fare?"
L'uomo si alzò, aprì la bocca, si risedette alla scrivania di mogano, prese dei
fogli e li ripoggiò, si sistemò di nuovo gli occhiali sul naso, prese in mano
una penna, cominciò a giocarci.
"Aspettare"
"Quanto?"
Il dottore serrò gli occhi e ruppe la penna che si spezzò con un crack secco.
"Le fanno di carta pesta, queste cose..."
La ragazza pensò che se la stanza fosse stata un po' più silenziosa sarebbe
esplosa. Ringraziò silente il ticchettio dell'orologio, che le placò i nervi per
qualche secondo.
Quel tanto che le bastava per domandare
"Com'è successo... cioè... perché...?"
"E' una malattia rara, un caso su un milione se non di più"
"Ho chiesto come, non quanto"
Le venne da ridere alla squallidissima battuta. Poi si trattenne pensando che da
ridere non c'era proprio un bel niente.
Ma il silenzio l'avrebbe uccisa se non avesse fatto qualcosa.
Meglio ridere che piangere, si disse, e poi scoppiò in una risata isterica.
Il dottore inarcò le sopracciglia.
"Si chiama TSS, Sindrome da Shock Tossico, che tutti conoscono come Sindrome da
tampone. Usando gli assorbenti interni si rischia di incappare in... Beh, non ha
sintomi ma è così rara... oh, così rara!"
La ragazza ebbe l'impressione che, se avesse potuto, il dottore avrebbe sbattuto
la testa contro la scrivania.
"Quanto tempo ho?"
"E' difficile da dire"
"Quanto?
"Sette giorni, ora più ora meno"
La ragazza prese la sua borsa e giacca e uscì da quell'ambiente soffocante.
Il sole di giugno le colpì gli occhi come un pugno; il vento le frustò le guance
e le gambe.
Almeno, si disse, leniva il dolore che aveva nel basso ventre.
Sorrise fra sé, ironicamente.
Quanto avrebbe voluto che nevicasse.
Non vedere mai più la neve, non vedere la pioggia cadere, non mangiare mai più
la polenta italiana, non vedere più i suoi parenti Russi.
Aveva solo sette giorni per sistemarsi.
Poi sarebbe morta.
Sorrise di nuovo della sorte.
Chiuse gli occhi e si lasciò investire dal leggero vento d'estate, mentre il
sole le scaldava il viso.
"In fondo, non è poi una così brutta giornata" -disse, e si incamminò verso casa
di Takao.
-
Hilary non era una ragazza infelice.
Non aveva alcuna mania suicida o cose del genere, soprattutto perché aveva
sempre pensato che sprecare al vita quando molti altri lottavano per non
perderla fosse davvero da siocchi.
O, meglio, dapersone senza speranza.
E lei non era senza speranza, men che meno infelice, aveva tanti amici e buoni
voti a scuola, una famiglia disponibile e una casa a cui poter tornare, persone
su cui poter contare.
La sua vita era sempre stata piena di belle emozioni e il suo cuore era pieno di
ricordi che, anche se a volte dolorosi, la accompagnavano aiutandola ad andare
avanti in ogni momento.
In definitiva, Hilary non aveva alcuna intenzione di morire.
Ma qualche giorno prima era arrivata a casa sua una lettera che le
diagnosticava, dopo un'attenta analisi, una grave malattia.
Le era venuta a causa dell'uso sconsiderato che faceva dei Tamponi. Li usava non
solo per il ciclo ma anche per tutte le altre perdite che aveva, di ogni genere.
Si sa,non leggere le avvertenze delle medicine porta non a curare, ma a
conseguenze amare.
Chiaro che Hilary non si aspettava nulla del genere come giustifica alla sua
malattia, caso rarissimo.
Comunque era inutile pensare al passato, piangere sul latte versato: adesso
aveva solo sette giorni da vivere preparandosi a morire.
Si massaggiò le tempie chiedendosi se ci fossero altre soluzioni, altre vie
d'uscita, altri modi per evitare tutto quello che di lì a poco le sarebbe
capitato.
Intanto stava camminando verso casa di Takao.
Dovevano allenarsi per il torneo estivo che si sarebbe tenuto a Luglio.
Hilary rabbrividì: non li avrebbe mai visti gareggiare.
Il solo pensiero le parve così strano, quasi ridicolo, che emise uno strano
sbuffo di incredulità.
Sette giorni, troppo pochi!
Come avrebbe fatto a dire a tuti quello che doveva, o voleva, come avrebbe fatto
a dire a...
Il pensiero di Key la colpì come una pugnalata allo stomaco. Improvvisamente
tutto le fu più chiaro, tutto...
Si fermò, senza curarsi del fatto che era in ritardo; osservò il suo riflesso
nella vetrina di una gioielleria.
Il cielo le cadde addosso improvvisamente, capì che per lei l'autunno e
l'inverno non sarebbero arrivati, che la primavera non sarebbe tornata.
Qualcosa si sciolse dentro di lei e finalmente cominciò a piangere.