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Autore: Electra_Gaunt    02/07/2011    3 recensioni
Era delusa profondamente. Arrabbiata. Dolorante.
E non sapeva il perché, la ragione. La sospettava ma non l’avrebbe mai ammessa a se stessa.
No, mai.
Si stese sul letto, stringendosi le gambe al petto. Attese tra il sogno e la veglia, sperando che qualche sacra divinità potesse lenirle le ferite in petto. Ma l’unica cosa a cui si ritrovò a pensare fu Elisah ed il suo magnifico viso.
[Partecipante al MINI ORIGINAL 1 indetto da Eylis]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick dell’autore: Electra_Gaunt
Titolo: Il Luogo Segreto
Tipologia: one-shot
Lunghezza: 3.441 (secondo il contatore di Word)
Genere: romantico, introspettivo
Avvertimenti: yuri
Rating: giallo ( diciamo una via di mezzo tra il giallo e l'arancione^^)
Credits: nessuna citazione
Note dell'autore: Dico solo che è la mia prima yuri, quindi non sono molto ferrata in questo campo. Mi è piaciuto immensamente scriverla e spero di potermici cimentare nuovamente. La prima e l'ultima parte (scritte in corsivo) sono "digressioni" che si collocano successivamente all'evento finale della fic. Spero che l'utilizzo del Prompt vada bene. In definitiva, ho fatto del mio meglio.Questa storia ha partecipato al MINI ORIGINAL CONCORSO indetto da Eylis che ringrazio per il giudizio preciso. Purtroppo è arrivata ultima ma, in fondo, lo sapeto :D Spero vi piaccia, comunque.

Saluti


 

 

- Il Luogo Segreto –
 

La notte era sempre stata profonda, solenne, nella sua immensità. Inondava qualunque ambiente, posandosi con garbo sopra ogni anfratto di mondo, promettendo ore di pace e serenità. Anche quella stanza era ricoperta di tenebre, fatta eccezione per sporadici tratti luminosi che si insinuavano dalle finestre, leggermente scostate.

Le insegne luminose di cui tutta la città era piena disturbavano, come di consueto, le persone che risiedevano in quel palazzo, rendendo difficile il lavoro a Morfeo.

Uno di questi raggi sfavillanti si rifletté su di un tavolino posto all’angolo della graziosa cameretta, proprio accanto al letto sfatto. Era in legno, finemente decorato, e ricoperto da un centrino in pizzo,anch’esso curato nei minimi dettagli. Vi era posato un mazzo di fiori freschi e odorosi (margherite, forse?) che, con la loro dolce fragranza, rendevano l’ambiente caldo ed accogliente. Vivo.

Accanto vi era una scatola, piccola e rovinata, dall’aspetto antico ma dalla bellezza sottile ed incantevole. Non v’erano scritte né segni, nessun elemento che potesse ricondurre a ciò che effettivamente conteneva.
Perché qualcosa conteneva.
Probabilmente qualcosa di molto prezioso.



Stefany si alzò dal letto con una strana allegria, quella mattina. Un entusiasmo inaspettato le scorreva sottopelle, rendendola elettrizzata sin all’inverosimile. Il sole filtrava dalle persiane accostate, inondando di luce la stanzetta graziosamente arredata dal mobilio di legno bianco, che si abbinava perfettamente alle pareti rosa confetto.
Si stiracchiò sorridente, abbracciando con entusiasmo il mattino, come potesse davvero accarezzarlo con le mani affusolate. Osservò per qualche secondo l’ambiente che la circondava, per poi alzarsi e dirigersi verso il bagno. Si adoperò affinché potesse apparire quantomeno presentabile agli occhi della gente, vestendosi accuratamente ed indossando un paio di jeans neri, abbinati con una maglietta grigia. Infine si truccò come di consueto, con la solita matita nera dal tratto troppo spesso e il mascara del medesimo colore. Continuò a sorridere al suo riflesso, rendendosi conto di quanto il suo sorriso, appunto, fosse bello. Solitamente l’unica espressione che le si poteva scorgere in viso era quella seria e posata. Stefany era una ragazza complicata, piena di elementi discordanti e dal carattere inafferrabile, lunatico.
Non aveva mai avuto punti fermi, una famiglia stabile, amici di cui fidarsi ciecamente. Non era popolare a scuola, non era bella. Aveva sempre ricercato una certa invisibilità ed ogni decisione era presa e valutata in funzione di questo aspetto.
L’unico soggetto che, forse, si era interessata a conoscerla era Elisah.
Quest’ultima era assolutamente la sua nemesi, dal carattere forte ed ammaliante, sicura delle proprie capacità e fiera. Famosa e splendida, si aggirava per i corridoi dell’Istituto Wolff con aggressività ed eleganza, quasi sempre scortata da decine di ragazzi e dalle occhiate invidiose della fauna femminile, che popolava l’edifico durante l’ora di pranzo.
Nessuno sapeva della loro amicizia, se si poteva definire tale, nessuno avrebbe dovuto mai saperlo. Stefany capiva quanto Elisah tenesse alla propria reputazione o, almeno, pensava di comprenderlo. Non le dava fastidio evitarla durante le lezioni, distogliere lo sguardo quando l’altra si ritrovava a fissarla insistentemente. Qualche volta le si era anche avvicinata per parlarle ma Stefany era stata bravissima a sfuggirle, come una saponetta dalle mani. Comunque si incontravano sempre dopo le lezioni, all’ultimo piano dell’imponente edificio che tutti i ragazzi del piccolo distretto di Colchester odiavano tanto. Era una specie di torre altissima e Stefany, ogni singola volta, aveva l’impressione di poter toccare il cielo con un dito.
Rammentava il giorno in cui l’aveva incontrata e ricordava perfettamente di come si fosse sentita violata da lei che, senza consenso alcuno, le aveva usurpato il nascondiglio. Elisah aveva spalancato leggermente gli occhi, seccata dalla presenza dell’altra ragazza. Poi, però, sorrise, osservandola bene in volto.
“cosa ci fai tu, qui?”

Glielo aveva chiesto con rabbia, risentita ed offesa dal leggero sorriso che l’altra le stava rivolgendo.

“potrei farti la stessa domanda..ma mi stanco a ripetere ciò che già è stato detto.”
“non puoi stare qui, le regole della scuo-”
“perché? Tu, forse, puoi?”
“no, ma..”
“senti: che ne dici se ce lo dividiamo da persone civili?E’ talmente rilassante stare qui..”

Dopo quella affermazione, Stefany non aveva pronunciato verbo, insicura su come (e cosa) avrebbe dovuto replicare. Non le andava a genio che qualcun altro le prendesse metà del suo luogo segreto ma, effettivamente, non aveva alcuna scelta. Da quel giorno, nonostante non si fossero mai date appuntamento a voce, si erano sempre incontrate lì. Il primo periodo si era sentita in soggezione innanzi alla perfezione di Elisah che, di riflesso, si trovava perfettamente a suo agio. Ma con il passare del tempo si era abituata alla sua presenza silenziosa, forte.

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Quando giunse a scuola, tutti la scrutarono proprio come avrebbero fatto se si fossero trovati di fronte un alieno: non avevano alcun ritegno, l’educazione abbandonata chissà dove. Probabilmente non era mai esistita, per i suoi compagni.
Tra i tanti visi sconosciuti ed altri già visti, la riconobbe.
I capelli biondi e gli occhi verdi, il tono di voce sensuale ed autoritario al contempo.
Non si fece impressionare dalle risate di scherno delle altre ragazze che le stavano intorno anzi, per la prima volta, le sorrise in pubblico. Proseguì, poi, verso l’interno dell’edificio, certa del fatto che Elisah la stesse seguendo con lo sguardo penetrante. Infatti quest’ultima era rimasta impressionata e sorpresa, molto più di quanto dava a vedere.
Era la prima volta che le sorrideva in maniera decisa, innanzi ad altre persone. Si sentì entusiasta di ogni cosa e, spinta da una forza sconosciuta, scese dal muretto sul quale era seduta e la rincorse. La campanella suonò proprio in quel momento ed i corridoi si riempirono di studenti. La perse immediatamente di vista.
Voleva incontrarla, sentiva il bisogno impellente di parlare con lei e ascoltare quella voce cristallina, leggermente bassa. La chioma riccia non era facile da individuare nel caos che assediava l’atrio dell’Istituto. Elisah sbuffò scocciata dalla situazione, irritata profondamente dal dover aspettare sino alla fine della giornata. Le sue amiche la raggiunsero ed, insieme, si diressero a lezione. La giovane era certa che il profitto di quella mattinata sarebbe stato minimo, troppo impegnata a contare i minuti che la separavano da Stefany.

Quando anche l’ultimo secondo passò, e la campana maledetta inaugurò la conclusione delle lezioni, Elisah corse fuori dalla classe senza salutare nessuno. Evitò il casino dell’ora di punta con passi frettolosi e, agilmente, salì le scalinate della rinominata torretta.
Stefany era già lì, appoggiata al gradino più in basso, compostamente seduta e con in mano un libro che non attirava totalmente la sua attenzione: tendeva ad alzare continuamente lo sguardo al cielo, per scrutare la volta celeste, sorridendo alle nuvole. La bionda continuò ad osservarla in silenzio, con il battito accelerato e lo sguardo sconvolto. Era bellissima, anche se Stefany non se ne rendeva pienamente conto. Non l’aveva mai vista tanto serena, felice. Che fosse successo qualcosa?
Che avesse incontrato qualcuno?
Un ragazzo, forse?
La leggera preoccupazione che aveva sentito in cuor suo venne sostituita da un altro sentimento che, per quanto incredibile, assomigliava alla gelosia. Non era possibile, si ripeteva Elisah. Ma, ugualmente, gli occhi le s’infiammarono e la bocca le si contorse in una smorfia. La mente non riusciva a mantenere la calma necessaria a riportarla al benessere che prima aveva provato nel vederla.
“come mai così felice, quest’oggi? Non ti ho mai vista sorridere apertamente.” Disse con voce solenne, interrompendo il silenzio fastidioso che si era venuto a creare.
Stefany sussultò voltandosi, poi, per sorriderle nuovamente ed alzandosi successivamente in piedi. Elisah sentì vacillare la frustrazione che le sconquassava il petto.
“Elisah, ciao! Come stai? Ti aspettavo..”
“come sto? Dovrei porti io questa domanda, non credi?”
L’altra si bloccò e fece un passo indietro. Per la prima volta dopo molto tempo, nonostante fosse già accaduto di sentirsi respinta dall’amica, comprese che qualcosa non andava nel comportamento di Elisah. La conosceva abbastanza bene da sapere che il suo atteggiamento freddo e severo non avrebbe portato a nulla di buono.
“cosa..?”
“perché non mi rispondi? Dopo tanto tempo che ci conosciamo non vuoi confidarti con me?”
“ma cosa dici? I-io..”
“dai avanti, non fare la timida: chi è lui?”
“lui chi?” disse realmente indispettita dalle parole della compagna.
“colui che è causa di quella smorfia che ti ritrovi per sorriso!”
Se ne pentì nel momento stesso in cui concluse l’esclamazione. Vide negl’occhi color cioccolato di Stefany uno strano bagliore di delusione e risentimento. Ella abbassò lo sguardo e si allontanò, voltandole le spalle.
“no! Aspetta..mi dispiace, non volevo. Sono nervosa..io, non volevo, Stefy..aspetta..”
L’altra continuò a camminare imperterrita, senza guardarla in faccia. Era decisa a non piangere, nonostante quelle situazioni la facessero alterare talmente tanto da portarla a quei livelli di emotività. Scese la prima rampa di scale lentamente, assimilando bene i rumori ed i passi. Concentrarsi su qualcosa di meno importante le serviva per calmarsi, rilassare i muscoli. Schiarire la mente annebbiata dalla rabbia che provava in petto.
Elisah le bloccò un polso, facendo arrestare la sua marcia verso l’uscita della scuola.
“ti prego..lasciami spiegare. C’è una cosa che non sai..e..”
“non la voglio sapere. Non mi interessa.” Disse allontanandosi nuovamente da lei “sei sempre tu, quella che ha i problemi e che è stressata, vero? Mai le altre persone! Mai io..L’unica di cui tutti si devono preoccupare è Elisah!”
Gli occhi le divennero troppo lucidi e le lacrime incominciarono a sgorgare, senza che Stefany potesse controllarle. Era stanca di quella situazione, la trovava deleteria.
“io ero…”
“tu sei e basta. Dici le cose come le pensi, senza mezzi termini. Sappi che questo non è una cosa positiva. Potrai farla con gli altri, ma non funziona con me.”
Stefany imboccò nuovamente l’uscita ma prima di varcare la soglia definitivamente si ritrovò a sussurrare verso Elisah: “è solo il mio compleanno”.
Poi fuggì via in preda a singhiozzi violenti.

Il ritorno a casa fu faticoso e lungo. La vista rimase appannata,durante tutto il tragitto, da un lieve strato di lacrime e le pupille arrossate non le conferirono un bel aspetto. Si era sentita male dentro quando Elisah l’aveva aggredita con tutto quell’astio represso.L’allegria di quella stessa mattina, ormai, era svanita nel nulla.
La lite non aveva avuto fondamento né motivo per essere discussa, sin dal principio. Assolutamente inutile. Stefany si sentì in colpa di non essere stata capace di chiedere la ragione del nervosismo di Elisah. Non erano amiche, forse?
Le amiche non si comportavano così tra di loro.
Probabilmente non lo erano mai state.
I passi rimbombarono nelle sue orecchie e le scarpe continuarono a produrre un leggero rumore, a contatto con l’asfalto del marciapiede. Il viale era sgombro di persone e nell’aria aleggiava una quiete inattesa. Adorava il silenzio, le permetteva di respirare davvero senza che nessuno potesse interromperla.
Si sentiva libera come spesso non le capitava d’essere.
Il cielo, nel mentre, si face rosso, segno che la mattina luminosa stava già lasciando il posto alla sera. Il calore del sole morente le riscaldò la pelle lattea e le illuminò il viso fine. I capelli, ricci, le ricaddero sulle spalle con eleganza.
Si diresse verso l’appartamento, piccolo ma grazioso, che divideva con sua madre e la sua sorellina Clarisse. Voleva molto bene a quella peste dai capelli rossi, giovane e dolcissima, dai tratti del viso sottili ed aristocratici. Fu la prima persona che vide nel preciso istante in cui varcò la soglia di casa. Urlava contenta attorno al tavolo della cucina, mentre Annabeth, sua madre, rideva con lei. Erano prese dal preparare una torta alle mele e lei non voleva rovinare quell’attimo di serenità, con le sue lacrime. Non si era mai sentita parte integrante del loro nucleo e, nonostante la sua freddezza, le dispiaceva un poco.
Si fiondò in camera, senza neanche salutare le due, richiudendosi la porta alle spalle. Si tolse la maglietta ed i jeans di quella mattina, prendendo dall’armadio un vestito leggero in lino che soleva indossare in casa, color blu scuro.
La mente continuava a girare frenetica verso mete irraggiungibili, avvolta da ragionamenti contorti e privi di significato alcuno.
Era delusa profondamente. Arrabbiata. Dolorante.
E non sapeva il perché, la ragione. La sospettava ma non l’avrebbe mai ammessa a se stessa.
No, mai.
Si stese sul letto, stringendosi le gambe al petto. Attese tra il sogno e la veglia, sperando che qualche sacra divinità potesse lenirle le ferite in petto. Ma l’unica cosa a cui si ritrovò a pensare fu Elisah ed il suo magnifico viso.



Qualcuno bussò alla porta, facendola destare immediatamente.
“Stefy? Ci sei?”
La voce di Clarisse era leggermente assonnata, quasi impalpabile. Rivolse lo sguardo alla finestra e notò come la notte fosse scesa già da molto tempo. S’alzò con calma ed accese l’abatjour che troneggiava sul comodino affianco al letto.
“Stefy?”
“sì, arrivo Clarisse.”
“c’è qui una tua amica. Dice che è urgente e ti vuole parlare assolutamente.”
Quelle parole la fecero bloccare. Lei non aveva amici, non conosceva nessuno. Il sonno ancora le annebbiava la mente, rendendo più complessi i processi di immagazzinamento della memoria. Di conseguenza le ci volle un po’, prima di ricollegare l’amica ad Elisah.
“dille che non ci sono, non desidero parlarle.”
“ma io le ho detto che ti avrei avvisato immediatamente. Ora è seduta in sala..penso stia parlando con mamma.”
Stefany sbuffò, leggermente divertita dalla situazione impensabile. Poi ricordò il motivo per il quale si era venuta a creare e tutto la sua ilarità svanì.
Rassegnata scese le scale, dirigendosi verso la piccola saletta di casa sua. Prima di varcarne la soglia, riuscì a percepire il tono di voce della bionda, basso ed agitato. Si sporse verso l’entrata, immedesimandosi in una spia della CIA, e la osservò attentamente. Indossava i soliti abiti firmati e particolarmente ricercati in quel periodo. Portati da lei, apparivano anche eleganti cosa che, effettivamente, non erano. Poi la scrutò in viso, ripercorrendo mentalmente il tratto di pelle che evidenziava la mascella squadrata sino a giungere all’attaccatura del seno.
Arrossì furiosamente e scosse la testa.
Non avrebbe dovuto fare certi pensieri su di lei né, tantomeno, sul suo corpo formoso. Non era giusto, non era eticamente corretto. Ma non poteva evitarlo, non vi era mai riuscita sin da quando l’aveva vista per la prima volta. C’erano stati attimi in cui si era sentita bruciare dentro, quasi avesse lava nelle vene. Paragone assurdo, forse, ma veritiero.
Con le guance a fuoco, oltrepassò la porta scorrevole e si accinse a salutare con educazione la nuova arrivata, in una parvenza di contentezza.
“è stato un piacere conoscerti, Elisah. Spero tu voglia venire a trovarci ancora. Sarebbe un piacere”
“anche per me, signora.”
“vi lascio parlare, allora.” Concluse Elisabeth prima d’essere interrotta dalla figlia.
“no, mamma, rimani pure. Io ed Elisah usciamo un po’.” Disse, rivolgendo un sorriso lieve all’amica. Lei stette al gioco.
“ma certo, stia tranquilla. È una bella serata. Andremo a fare una passeggiata.”
La donna annuì salutandole e scortandole sino all’ingresso.
Le due uscirono di casa richiudendosi la porta alle spalle, senza rivolgersi parola.
Elisah scrutò il volto di Stefany per tutto il tragitto. I piedi si muovevano da soli, seguivano una traiettoria a loro sconosciuta. L’aria, nonostante fosse fresca e sottile, le appariva pesante come un macigno. S’accorse di non poter a parlare. Strano come, proprio lei, non riuscisse ad esprimersi adeguatamente davanti a Stefany. Era la sola persona che la influenza a tal punto.
La sola persona davvero importante.
“perché non mi sorridi?”
La domanda rimbombò tra gli abeti per poi ricadere nel sottobosco florido e rigoglioso di erbe e fiori dal profumo indistinguibile. L’essenza della menta si intrecciava a quella della salvia e del timo. Sembrava di essere in un altro luogo, lontano da tutto. Perfetto.
“dovrei?”
“vorrei che lo facessi. Ma è colpa mia se sei arrabbiata, quindi ti posso capire se non vorrai più parlarmi. Ma ci sono cose che non sai, cose che ho faticato a comprendere ed a accettarle. Non voglio ferirti, non voglio vederti piangere a causa mia. Per un mio errore. Ti prego non..”
Stefany scosse la testa, sentendo le lacrime sgorgare nuovamente, proprio come prima. La voce di Elisah le rimbombava nella mente, come una campanella dal tintinnio fastidioso ed incantevole al contempo.
Le parole non avevano senso, nella sua testa. Il filo logico era invisibile e lei, per quanto tentasse, non riusciva ad afferrarlo.
“perché?! – urlò stringendosi i capelli e premendo le dita sulla radice della cute – perché fai tutto questo?! Io non capisco..non capisco..e questo mi fa impazzire..” disse, singhiozzando senza sosta.
Elisah non riuscì a trattenersi e si avvicinò al corpo dell’altra, così fragile e profumato. Resisterle per tutto quel tempo non era stato affatto facile: ogni volta che le scrutava il volto,sentiva dentro di sé l’attrazione farsi più forte. Le labbra fremevano, vibravano, come non le era mai capitato mentre la mani prudevano, attendendo la loro ricompensa. Cercava, pertanto, di rimanere lontano dalla sua fonte di distrazione, tormentata dalla consapevolezza che quel corpo non sarebbe mai stato suo.
Che quel cuore non le sarebbe mai appartenuto.
La strinse a sé con fare protettivo, sentendosi colpevole sino al midollo. Le mani erano serrate sui suoi fianchi rotondi, mentre la testa di Stefany era ricaduta automaticamente nell’incavo tra la spalla ed il collo.
I respiri di entrambe erano accelerati e, furiosi, sbattevano tra i lembi di pelle scoperta dai vestiti. Assieme si sedettero nell’erba alta, sentendo i loro arti farsi più stanchi, quasi il peso da portare sulle spalle fosse troppo pesante da sostenere.
“ti prego..dimmelo. Non posso fare finta di niente..” ripeté imperterrita, alzando lo sguardo verso il viso dell’altra con espressione implorante.
Accadde tutto in un attimo nel quale Elisah, ormai al culmine della sopportazione, s’era sporta verso Stefany sfiorandole la bocca con la propria. Per quanto il contatto fu breve, le apparve il periodo più lungo e magnifico che avesse mai vissuto. Tutto ciò che desiderava, si ripeté la bionda, era tra le sue braccia: la donna che amava.
Le labbra umide erano calde, screpolate e perfette come le aveva sempre immaginate. Ma neanche nei suoi sogni più spinti le erano apparse tanto sensuali. Non avrebbe potuto farne più a meno. Stefany, d’altro canto, si sentì scivolare tra le braccia di Elisah, in una presa ben più salda della precedente. Sembrava volesse inglobarla in sé, bramosa di un contatto più profondo del previsto. Le mani della timida ragazza scesero a percorrerle il collo niveo, profumato, e questo gesto provocò un fremito alla compagna che, in risposta, spostò le labbra verso la sua mandibola.
L’ossigeno venne a mancare improvvisamente, destandole dall’incanto in cui erano cadute. Stefany riappoggiò il viso arrossato sulla spalla di Elisah mentre, quest’ultima, riallacciava le braccia attorno alla vita della mora.
Non la guardò in faccia, non ci riusciva, troppo emozionata e spaventata del verdetto da parte della compagna che, in definitiva, l’aveva fatta innamorare di sé.
“ecco, perché. Ti amo.” Sussurrò.
“anche io, ti amo.”
“mi dispiace di aver reagito male questa mattina pensavo solo..”
Stefany alzò lo sguardo, curiosa.
“cosa?”
“che tu avessi..ecco..incontrato un ragazzo..e cose di questo genere..”
L’altra scoppiò a ridere, come mai le era successo di fare, non riuscendo a trattenersi.
“sei gelosa? Di me?” disse, accarezzandole la guancia dolcemente ed Elisah, per un breve attimo, chiuse gli occhi e si perse in quel gesto affettuoso.
“mi pare ovvio.” Concluse spingendola verso il basso e facendo stendere il suo corpo per intero. Vi si piazzò sopra, sollevandosi leggermente sui gomiti per non schiacciarla totalmente e poter guardare il suo viso completamente. Stava sorridendo e gli occhi le scintillavano.
Era bellissima.
“dato che è il tuo compleanno, ti ho portato una cosa. Tieni.” Disse estraendo dalla tasca un piccolo cofanetto senza segni né scritte, dall’aspetto elegante e fine. Stefany lo scosse leggermente, cercando di capire cosa vi fosse contenuto ma senza riuscirci.
Ma, d’altronde, non le importava.
“grazie”



I fiori non durano mai tanto se non sono ben piantati nella terra. Neanche quelli resistettero e, pian piano, con innata grazia, si ripiegarono su loro stessi. Persero di forma e la fragranza che, precedentemente, emanavano i loro petali si esaurì in un soffio di vento.
Le foglie verde scuro, più ombrose della stessa notte, si staccarono con cautela dallo stelo per poi posarsi dolcemente al suolo. La polvere era dappertutto ed il tempo, ormai, dimenticato. La scatola, finemente decorata, attese immutabile per molte stagioni in cui i soli parvero inseguirsi e le lune alternarsi con le nuvole, instancabilmente. Nessuno si interessò mai al contenuto di quel cofanetto poiché la bellezza dell’oggetto non risiedeva al suo interno ma, bensì, in ciò che rappresentava fuori. Oltre.
La sua storia.
Il loro amore.






The end


  
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