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Autore: hotaru    03/07/2011    2 recensioni
«Al aveva ormai ben chiaro che le corrispondenze tra il suo mondo e quello in cui si trovava ora non sarebbero mai finite: era davvero come in uno specchio, dove destra e sinistra erano sì scambiate, ma rimanevano sempre tali. Non avrebbe mai smesso di stupirsene, anche se ormai si aspettava di trovarne una ogni volta che girava un angolo.
E quando la sua primogenita, Trisha Elric, nacque lo stesso giorno di quel mese di febbraio in cui lui e Ed avevano compiuto la trasmutazione umana, non poté fare a meno di sorridere. Di sorridere perché davvero certe ferite si curavano da sole, col tempo.»
Sequel di "Regentage- Giorni di pioggia"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Altro personaggio, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
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2- La locomotiva La locomotiva


"È difficile avere un fratello maggiore che fa sempre di testa sua, eh?"

(Alphonse Elric, episodio 11)



Al non aveva mai pensato che due fratelli potessero detestarsi. Non davvero, almeno. Litigare ogni tanto, questo sì; ma la frequenza con cui lo facevano i suoi due figli maggiori cominciava a diventare preoccupante.
- Non toccarli! - era la battuta immancabile quando Trisha si metteva a giocare con dei mattoncini di legno, ben consapevole che Edwin avrebbe voluto giocarci subito anche lui. Sembrava farlo apposta.
- Perché? - chiedeva infatti il fratello, imbronciato.
- Ci sto giocando io! -.
- Tu lo fai sempre, quando li uso io! -.
- Non è vero! -.
- Invece... -.
- Devo venire lì? - la voce di Tiarnan, proveniente dalla stanza accanto, bloccò uno schiaffo che altrimenti sarebbe stato ben indirizzato.
- No! - esclamarono all'unisono i due bambini, per una volta d'accordo.
Se all'inizio Al era rimasto sorpreso nel vedere che si picchiavano e litigavano in continuazione, ormai non sapeva più cosa fare.
Un paio di volte aveva seriamente pensato di mandarli per un mese su un certo isolotto deserto, tanto per vedere se imparavano ad andare un po' accordo. Era certo che Tiarnan non avrebbe avuto niente in contrario, ma a fargli lasciar perdere quell'idea fu la certezza che le due più piccole avrebbero voluto andarci a tutti i costi anche loro. E a tre e quattro anni forse era ancora un po' presto.
Man mano che crescevano, comunque, il rapporto dei suoi figli maggiori sembrava svilupparsi in modo molto diverso da quello che aveva unito lui e Ed. Innanzitutto perché il povero Edwin veniva costantemente tiranneggiato dalla sorella maggiore, e poi perché si picchiavano almeno una volta al giorno. Ad Al sembrava ancora più strano se lo paragonava al rapporto che avevano invece le due più piccole, complici in qualunque cosa facessero. Trisha e Edwin sembravano perennemente in guerra, e a sette e sei anni c'era da chiedersi se la situazione potesse ancora cambiare.
Tuttavia una volta in cui Trisha non esitò a buttarsi in una rissa a scuola per aiutare suo fratello, dando un pugno ad un ragazzino il doppio di lei e rimediando altrettanto, Al si rese conto che poi così disastroso non era. Tornarono a casa sporchi e malconci, e la giustificazione di Trisha fu che “solo lei poteva picchiare quello scemo di Edwin”.
Venne rimproverata per aver dato dello scemo a suo fratello, ma Al non poté fare a meno di sentirsi orgoglioso di loro: aveva avuto la prova che anche i suoi figli si sarebbero salvati l'un l'altra, nel caso fossero stati puniti da un cerchio alchemico per la trasmutazione umana. Anche se sperava davvero che non sarebbe successo nulla del genere.

Una cosa del genere, in realtà, accadde poche settimane dopo.

- Papà – sussurrò Trisha una sera in cui aveva litigato con Edwin più furiosamente del solito, mentre Al le rimboccava le coperte – Ma a che servono i fratelli? -.
Al lanciò un'occhiata al letto accanto: Edwin sembrava essersi già addormentato, il respiro profondo e regolare. Tornò poi a guardare Trisha, che pareva non sopportarlo da sette anni a quella parte, e decise di essere sincero con lei:
- Ad avere qualcuno quando i genitori non ci sono -.
- Ma tu e la mamma siete qui. Tutti e due – obiettò lei.
Già quella risposta così ovvia- anche se per lui e Ed non lo era mai stata- fece capire ad Al che la vita dei suoi figli era ormai davvero diversa da quella che aveva avuto lui.
- Non per sempre -.
- Perché no? - domandò Trisha, corrugando la fronte.
- Un giorno avrete bisogno l'uno dell'altra – la avvisò, terminando di rimboccarle le coperte.
- Ma tu hai avuto bisogno di tuo fratello? -.
- Certo. E ne ho bisogno ancora adesso -.
- Se è così, come mai non l'abbiamo mai visto? - replicò di nuovo Trisha, poco convinta.
Al fece del suo meglio per nascondere un sorriso: davvero, sembrava avessero preso lo stampo di Ed e ne avessero fatto una versione femminile.
- Perché verrà quando sarà lui, ad aver bisogno di me – replicò Al, scostandole i capelli dalla fronte – E adesso dormi -.


- Dalla signora O' Toole? Perché? - domandò Trisha.
- Per andare a prendere le lenzuola a cui ha rifatto l'orlo. Poi ci penserò io ad andare a pagarla, sono già d'accordo con lei – spiegò sua madre – Andate tu e Edwin, io qui ho da fare -.
Le giornate di ottobre andavano facendosi pian piano più rigide, ma quel giorno non c'erano nuvole, e il cielo era di quell'azzurro un po' fumoso tipico dell'autunno.
- Mi raccomando: tornate a casa prima che faccia buio -.
- Va bene -.
Non era la prima volta che andavano a fare qualche commissione insieme e, dal ritmo con cui sua sorella si incamminò, Edwin intuì che non doveva avere in mente soltanto le lenzuola.
- Forza, allunga il passo – gli ordinò infatti, senza voltarsi.
Edwin non replicò: sapeva che sarebbe rimasto all'oscuro dei piani di Trisha finché non avrebbero avuto le lenzuola fra le mani, per cui non gli rimaneva che obbedire e spicciarsi.
- Bene – quando si ritrovarono di nuovo per strada, a tempo record e con le lenzuola in una cesta, al sicuro sotto una spessa coperta, Trisha si decise a sputare il rospo. Aveva dipinta in faccia l'espressione da “la combiniamo grossa senza che ci scoprano: ho tutto il piano in mente”, che intimoriva sempre Edwin. Anche se poi non mancava mai di prendervi parte.
- Andiamo dai Connolly, forza -.
- Cosa? - esclamò Edwin – Perché? -.
Lo chiese anche se ne sapeva perfettamente il motivo: aveva sentito anche lui uno dei bambini più grandi, a scuola, sfidare apertamente Trisha ad andare a cogliere uno dei crisantemi che crescevano nel recinto delle pecore dei Connolly. Era una sfida piuttosto gettonata, tra i ragazzini delle elementari, perché quei crisantemi fiorivano sempre prima del tempo: e dei fiori dei morti che sbocciavano così presto alimentavano parecchie storie in paese.
- Ma... ma lo sai cosa si dice su quei crisantemi? - fece infatti Edwin.
- Certo che lo so. Abito qui da più tempo di te, sai? - replicò Trisha, che sapeva perfettamente quanto le voci dicessero che quei fiori dovevano avere un'origine soprannaturale, senza contare che crescevano in un recinto di ovini, il che li rendeva decisamente sinistri – Secondo papà è normale che la gente dia spiegazioni simili alle cose che non capisce. È semplicemente probabile che quel terreno sia pieno di semi di crisantemo, e che le capre li... concimino parecchio. Per questo fioriscono prima -.
- Lo so anch'io cosa dice papà – bofonchiò Edwin – Però... non è troppo lontano? La fattoria dei Connolly è vicino ai binari della ferrovia, a più di un chilomentro da qui! -.
- Se ci muoviamo facciamo in fretta, dai – replicò Trisha – E poi non c'è neanche una nuvola: non rischiamo nemmeno di bagnare le lenzuola -.
Edwin non sembrava molto convinto, ma non si era mai tirato indietro da una scorribanda con sua sorella, visto che poi poteva dare la colpa a lei. Non che i suoi genitori gli credessero, ma... ci provava sempre.
- Va bene – sospirò – Ma la cesta la porti anche tu -.
- Quante storie – sbottò Trisha, prendendo tuttavia la cesta dalle braccia di Edwin – Andiamo -.

Anche il passo che mantennero per raggiungere la fattoria dei Connolly fu piuttosto spedito- se volevano andare e tornare prima che facesse buio, e soprattutto non insospettire troppo la loro madre, era necessario. Per un tratto costeggiarono la ferrovia, che passava proprio a poca distanza dal recinto delle pecore, tanto che queste ultime non si spaventavano nemmeno più quando sentivano lo sferragliare del treno.
- Eccoli lì – Trisha adocchiò subito i crisantemi, già fioriti malgrado si fosse solo all'inizio di ottobre – Vado e torno, tieni le lenzuola lontane dalle pecore -.
Non c'era bisogno che glielo dicesse: Edwin stringeva la cesta come se ne andasse della sua stessa vita.
- Sicura che non è pericoloso? - chiese però, leggermente in apprensione.
- Edwin, fifone, sono pecore – replicò Trisha, una gamba già issata su un palo della recinzione – L'unico pericoloso può essere il montone, ma è chiuso nell'altro recinto -.
Non terminò di dirlo, che il montone si fece per l'appunto sentire: diede un paio di forti cornate contro lo steccato, guardandoli furioso con le sue pupille orizzontali.
- Non mi piacciono gli occhi delle pecore – mormorò infatti Edwin, più a se stesso che a sua sorella: Trisha era infatti già saltata dentro al recinto delle femmine, che si erano semplicemente spostate in massa, come una gran nuvola lanosa.
Anche il montone la notò, mentre si dirigeva in fretta verso la macchia di crisantemi e ne coglieva uno, e iniziò a caricare con più forza la recinzione.
Edwin, che era indietreggiato senza rendersene conto verso dei cespugli di biancospino, le mani ormai bianche tanto erano convulsamente strette sul manico della cesta, notò all'improvviso qualcosa che gli mozzò il respiro.
Aveva cercato di distogliere lo sguardo dall'animale, perché sapeva che questo l'avrebbe reso ancora più furioso, ma l'occhio gli era caduto sul tratto di steccato contro cui il montone si stava sfogando: persino da quella distanza riuscì a vedere che il legno era marcio. In paese si diceva che i Connolly avessero ormai intenzione di vendere, perché i figli se n'erano andati e il vecchio padre non riusciva più a tener dietro alle mille incombenze di una fattoria. Ma Edwin non avrebbe mai immaginato che si sarebbe dimenticato perfino di controllare il recinto del montone, lasciando che il legno marcisse sotto le frequenti piogge.
Era ormai indietreggiato tanto che sentiva le spine dei cespugli contro la schiena. Un altro passo ancora e sarebbe finito dritto nel biancospino, quando si rese conto che lo sguardo dell'animale non era puntato su di lui, ma su Trisha. L'intrusa che aveva osato entrare nel recinto delle femmine.
Fu un attimo: proprio mentre sua sorella scavalcava di nuovo la recinzione, il montone riuscì a spaccare il legno marcio dello steccato, aprendo una breccia tanto grande da poterne uscire.
- Trisha! SCAPPA! - urlò Edwin, con quanto fiato aveva in gola, incapace di muoversi.
In un istante Trisha vide la bestia caricarla, e istintivamente si tirò indietro, di nuovo nel recinto delle femmine, al sicuro perché il legno di quello steccato era ancora perfettamente sano.
Ciò a cui non aveva pensato era che, così facendo, esponeva completamente Edwin al pericolo.
E il montone non ci mise molto a capirlo: se il suo obiettivo iniziale era fuori portata, non gli ci volle che un attimo per volgersi verso l'altro moccioso e iniziare a caricarlo.
Anche Edwin seguì l'istinto: mollò la cesta e iniziò a correre, ripercorrendo a ritroso la strada che avevano seguito all'andata, dirigendosi senza accorgersene verso i binari.
Fu solo Trisha, sebbene morta di paura, a rendersi conto di un serpente scuro e fumoso che andava avvicinandosi sempre di più. Il treno delle cinque stava arrivando, puntuale come ogni giorno, la locomotiva che sferragliava e ansimava e rombava.
E stava correndo verso Edwin, o Edwin stava correndo verso di lei.
Trisha saltò fuori dal recinto talmente in fretta che rischiò di slogarsi una caviglia. Dalla cesta ancora intatta agguantò il primo lenzuolo della pila, lavato di fresco e ancora profumato, senza curarsi del fango e delle macchie d'erba mentre se lo trascinava dietro.
Corse senza quasi respirare, urlando a Edwin di deviare, di deviare prima dei binari. Lui sembrò sentirla, perché pochi istanti dopo si buttò di lato, incespicando in un'irregolarità del terreno, riuscendo ad aggirare il montone che lo caricava a testa bassa.
Adesso correva verso Trisha, pallido come un cencio, e Trisha correva verso di loro. Il treno aveva iniziato a fischiare, ma era come se nessuno lo sentisse.
Quando fu abbastanza vicina, Trisha lanciò il lenzuolo addosso alla testa dell'animale, che scalciò e girò confuso su se stesso per qualche attimo, troppo furioso per fermarsi. Avevano sperato entrambi che si sarebbe calmato, ma pur non vedendo nulla il montone continuò a correre, senza più sapere in quale direzione.
Era di nuovo diretto verso i binari, e stavolta aveva Trisha in traiettoria, che ansimava come se avesse consumato tutto il fiato di una vita lunga sette anni. Anche anni dopo non avrebbe saputo dire se sarebbe riuscita a spostarsi, se Edwin non l'avesse tirata indietro all'ultimo istante. L'ultimo istante prima che il montone finisse sui binari, dritto contro la locomotiva, finendo investito dal treno.
Non rimasero a guardare il macello di sangue e muscoli ovini stritolati sulle rotaie; bastò loro la vista della massa di lana insanguinata da lontano, per defilarsi il più in fretta possibile.
Arrancarono fra l'erba alta, tirandosi l'un l'altra per le braccia, finché non riuscirono a rimettersi in piedi. Andarono a recuperare la cesta con le lenzuola superstiti e tornarono subito verso casa, senza dire nemmeno una parola.
Del crisantemo, finito a terra accanto al recinto delle pecore, Trisha non si ricordava più. E comunque non gliene sarebbe importato niente.


- Prova a parlarci tu – insistette Tiarnan in un sussurro, mentre terminava di lavare i piatti.
- Non so se è una buona idea – rispose Al – Mi sembrano parecchio sconvolti -.
- Appunto per questo: quando sono tornati erano sporchi di erba e fango, e mancava un lenzuolo – più che arrabbiata, Tiarnan aveva un'aria parecchio preoccupata – Sembrava fossero... beh, appena sopravvissuti a qualcosa -.
In effetti il fatto che non avessero aperto bocca per tutta la sera, nemmeno per litigare o farsi una linguaccia a vicenda, significava che doveva essere accaduto qualcosa di serio.
- Magari hanno visto il montone che è finito oggi sotto il treno – ipotizzò Al, fermando Alice che cercava di infilare una mano nella zuccheriera dopo aver bevuto il suo té – Stasera ho visto il veterinario: mi ha detto che quella povera bestia aveva le corna piene di vermi, doveva essere impazzito dal dolore per riuscire a buttare giù lo steccato. Non dev'essere stato un bello spettacolo -.
- L'ho sentito anch'io, ma è successo proprio dietro alla fattoria dei Connolly. Come avrebbero fatto loro a vederlo? -.
Al non rispose. Più che per mancanza di argomentazioni, fu un improvviso sospetto nato dal nulla a farlo tacere su quella faccenda.
- Cecelia, Alice! Andiamo a lavarci le mani, su! -.
Agguantò le figlie più piccole e si diresse verso il bagno, mentre quel sospetto assurdo si andava facendo sempre più credibile nella sua mente. Ma la parola "assurdo" aveva sempre fatto rima col cognome Elric, in qualche modo.
- Papà, acqua! - chiamò Cecelia, che non arrivava ancora al rubinetto.
Durante i minuti seguenti Al fu impegnato ad impedire che Alice si tuffasse di testa nel lavandino per rimuginare ancora, ma era ormai giunto ad una conclusione.
… probabilmente quella povera bestia non aveva avuto nessuna colpa.
 

Infatti, dopo aver osservato Trisha e Edwin per due giorni interi, capì senza dover fare domande. La tregua fra loro era fin troppo duratura per poter essere considerata casuale: avevano smesso di picchiarsi e farsi smorfie; persino il loro modo di guardarsi era qualcosa di completamente nuovo. Come se Trisha avesse capito il discorso che le aveva fatto qualche sera prima, quello sui fratelli che devono aiutarsi l'un l'altro.
E Al ringraziò che gli fossero tornati a casa tutti interi, senza gambe o braccia mancanti- o peggio-, solo un po' sporchi e malconci.
- Quel lenzuolo... - buttò lì casualmente la settimana dopo, quando Tiarnan si era ormai rassegnata a non sapere nulla di quella storia – … possiamo ricomprarlo, no? -.


“Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva
e sibila il vapore e sembra quasi cosa viva...”

(F. Guccini)




Avevate paura che succedesse qualcosa di orribile, vero? Beh, non sempre la storia si ripete. ^^
L'isolotto deserto a cui accenno all'inizio è quello in cui Ed e Al iniziano il loro addestramento da alchimisti, ve lo ricordate? Sfido chi non imparerebbe a collaborare, in una situazione del genere...


Rispondendo alle recensioni:
Li_: sono davvero contenta di sentirti anche qui! Felice che i nuovi fratelli Elric ti piacciano, ho intenzione di concentrarmi parecchio anche su di loro... come hai visto da questo capitolo, in cui i protagonisti sono Trisha e Edwin. Per il nome di quest'ultimo, in realtà ho semplicemente cercato qualcosa che assomigliasse al nome Edward; all'inizio pensavo di chiamarlo come lo zio, ma poi ho pensato che il tributo a Trisha fosse sufficiente. E comunque “Ed e Al” ci sono in ogni generazione!
Per quanto riguarda Cecelia, ti anticipo solo che il mistero si scioglierà nel quarto capitolo. ^^
Sono felice che ti sia piaciuta anche “Hausmärchen- Fiabe del focolare”: è vero, al momento è più seria ma chissà... forse le cose potrebbero ribaltarsi.
MusaTalia: felicissima di trovarti anche qui! Sai, Al mi ha sempre dato l'impressione di qualcuno che, invece che vivere nel passato, riesce a cogliere l'occasione per ricreare ciò che ha perduto. Magari diverso, ovviamente con altre persone che non possono essere quelle che non ci sono, ma fondamentalmente lo stesso. E se ne renderà conto anche lui più avanti, ho intenzione di inserire un dettaglio al riguardo.
Ci hai azzeccato sia su Trisha sia sulla quarta Elric, complimenti! ^^
Per quanto riguarda il massacro di Ishval, non è la prima volta che avvenimenti della seconda guerra mondiale e legati al nazismo ispirano opere giapponesi. Dev'essere un immaginario che, soprattutto per la lontananza geografica, si sentono liberi di reinterpretare, mentre qui è ancora “storia fresca”. In effetti non è la prima opera che scava, anche se con riferimenti non espliciti, nelle ombre e ambiguità del nazismo.
Oh, anch'io sono “incartata” in parecchi contest! E di alcuni mi dispiace, perché magari mi vengono delle idee che ritengo buone ma non sono ancora nel momento giusto per svilupparle... a volte bisogna davvero “costringersi” a scrivere!
   
 
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