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Autore: Angorian    03/07/2011    5 recensioni
[Jace/Clary]
La rabbia si mescolò ad un’altra sensazione, e provò una fitta di nausea alla bocca dello stomaco mentre un’immagine prendeva forma davanti ai suoi occhi: le mani innaturalmente pallide di Sebastian stringere a sé Clary, possessive, mentre lei chiudeva gli occhi per lasciarsi catturare in un bacio.
- Ha questo vezzo, lo sai, no? Questo suo modo di trasalire quando la baci, come se fosse sorpresa -

Una notte per Jace, per i suoi pensieri su Clary, per i suoi silenzi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jace Lightwood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Eccomi nuovamente qui, a scrivere un'altra OS per Shadowhunters. Nonostante ogni tanto l’autrice lasci intravedere i pensieri di Jace, avevo un sassolino nella scarpa da togliermi, ovvero quella notte in Città di Vetro che Jace e Clary passano insieme. Senza riprendere quanto già narrato dall’autrice, ho diviso la shot in due parti: i pensieri di Jace prima di entrare nella stanza di Clary, e quando infine le scrive la lettera per dirle addio.  Insomma, scrivere di loro è il mio modo per sopperire alla mancanza del quarto libro, visto che purtroppo in questo fandom ci sono poche storie.
Insomma, non mi resta che augurarvi buona lettura.
 

A te, che sai ascoltare il mio silenzio, come se fossero frasi compiute.
 

Nel mio silenzio


 

“Ora so che ogni uomo
trova la sua dannazione,
un rettile può cambiar pelle
ma non cambiare il cuore”.
Varanasi Baby, Afterhours

 
 
 
Stravaccato sulla scalinata di marmo bianco, Jace osservava la notte dispiegare le proprie ali nere su Idris, penetrandola in ogni anfratto con la sapiente lentezza di un amante. Alicante si lasciava cingere in quell’abbraccio con l’unica, debole resistenza della stregaluce, una copia imperfetta di quel bagliore pallido e indifferente che trapuntava il cielo.
Socchiuse gli occhi, concentrato nel vano tentativo di cogliere qualche frase nel brusio indistinto all’interno della Sala del Consiglio, mentre il Conclave riunito tentava di trovare una soluzione alle minacce di Valentine.
Stanco e spazientito, Jace tornò a volgere la propria attenzione alle ombre che si rincorrevano nel bianco acciottolato della strada, quasi invogliandolo ad allontanarsi da quel luogo di arida oratoria, e a mescolarsi con esse nel ventre materno della Città di Vetro.
Senza quasi accorgersene, si alzò dalla scalinata, stiracchiandosi come un gatto.
Detestava restare immobile per troppo tempo, nel logorio dell’attesa.
Strofinò le dita sulla sua pietra di stregaluce, non tanto per il buio, quanto piuttosto per il piacevole calore che questa emanava tra le sue dita, un labile conforto in quella notte di solitudine.  Aveva creduto che mai avrebbe potuto sentirsi solo in quella che per moltissimo tempo aveva considerato casa, nelle veglie insonni a New York, desiderando di potervi tornare.
Ma così non era stato.
Aveva scoperto che casa non era un luogo di fantasmi sbiaditi e ricordi remoti di una felicità dal sapore agrodolce, ma un sorriso aperto e un viso istoriato di efelidi.
Casa erano le braccia sottili di Clary.
Imboccò una delle vie che si snodavano dalla piazza centrale senza curarsi della meta, ascoltando l’eco quasi inesistente dei suoi passi sulla strada, lasciandosi inghiottire dall’immobilità delle ore notturne. Stretto nel suo pugno chiuso, c’era il filo sottile che aveva sottratto al cappotto di Clary, una tenue speranza di riuscire a trovare Sebastian.
L’odioso bastardo che aveva osato alzare gli occhi fino a Clary, con l’arrogante pretesa di poterla avere.
Jace ficcò con rabbia malcelata quel filo imbrattato di sangue nella tasca della sua giacca bianca, mentre la voce di quell’assassino echeggiava beffarda nelle sue orecchie.
 
« Forse sei solo arrabbiato perché ho baciato tua sorella, perché lei mi desiderava »
 
Masticò imprecazioni a bassa voce, seguendo con gli occhi la propria ombra sulle pareti dei palazzi, privati di qualsiasi traccia di colore. Imboccò un altro vicolo, scegliendo a caso il proprio percorso, purchè potesse continuare a camminare, a calpestare il marmo bianco della strada quasi fosse il sorriso derisorio di Sebastian.
 
« Perché lei mi desiderava »
 
La rabbia si mescolò ad un’altra sensazione, e provò una fitta di nausea alla bocca dello stomaco mentre un’immagine prendeva forma davanti ai suoi occhi: le mani innaturalmente pallide di Sebastian stringere a sé Clary, possessive, mentre lei chiudeva gli occhi per lasciarsi catturare in un bacio.
 
« Ha questo vezzo, lo sai, no? Questo suo modo di trasalire quando la baci, come se fosse sorpresa »
 
La sgradevole sensazione si acuì, e provò l’intenso desiderio di scagliarsi contro qualcuno, per sfogare la propria frustrazione, nonostante la strada davanti a lui fosse completamente deserta.
Certo che lo sapeva.
Jace conosceva ogni modo di fare di Clary, ogni sua espressione, arrabbiata o buffa che fosse. Conosceva il sapore di un suo bacio, la consistenza delle sue curve contro il proprio corpo asciutto e sfigurato dalle rune, l’odore dei suoi capelli catturati in ciocche di raso rosso tra le proprie dita adoranti.
Aveva tollerato che solo il mondano la conoscesse bene quanto lui, e solo per una questione di tempo: lui aveva potuto trascorrere più tempo con Clary, senza avere il timore di perderla; la scuola, le uscire serali, le notti in discoteca al Pandemonium sarebbero state a Jace sempre oscure, e mai avrebbe potuto pensare di ritrovarsi ad invidiare la banale vita di un umano qualunque,  di desiderare il normale sfiorire di una vita vissuta nella più placida tranquillità.
Jace era nato per essere un Cacciatore, e sapendo di non poter essere altro, aveva afferrato Clary dalla sua esistenza mondana e l’aveva portata con sé, incapace di lasciare che quel breve raggio di sole potesse svanire nelle luci artificiali di New York.
Egoista.
Jace si passò una mano tra i capelli tormentati, desideroso di lasciar scivolare quel dolore come pioggia sulla pelle.
E l’immagine sgradita di un Sebastian che cingeva la sorella si trasformò in una più dolce fantasia: le sue mani sfiorare la pelle scoperta del collo di Clary, scivolando con delicatezza entro la scollatura della camicetta…
No.
La forza con cui si oppose a quel sogno ardente lo fece vacillare, lui, che non metteva mai un piede in fallo. Con orrore crescente sentì la propria eccitazione, e pensieri indegni invadergli la mente, avvelenandogli il sangue: sporcare il corpo innocente di Clary con le proprie carezze incestuose, trascinandola nel più torbido e aberrante tra i peccati conosciuti coi suoi baci corrotti, costringendola a diventare una reietta in ogni parte del mondo.
L’angoscia lo pervase.
La voleva.
Qualunque cosa gli avesse fatto suo padre, era certo che avrebbe desiderato Clary anche se non fosse stato un mostro: voleva il suo corpo e voleva lei , provando un’ingiustificata gelosia nei confronti di chiunque altro potesse guardarla.
E Simon, il maledetto mondano, aveva avuto ragione quando gli aveva ringhiato che se non  poteva averla lui, allora non poteva averla nessun altro.
Dalla gola di Jace sgorgò una risata amara, che spezzò il silenzio quasi tangibile intorno a lui.
Che grandiosa, straordinaria burla il Creatore gli aveva riservato!
Guarda, Jace Morgenstern, ma non toccare.
Si fermò davanti ad una costruzione in pietra, e si rese conto che, fino a quel momento, non aveva fatto altro che cercare lei.
Se fino ad allora non era riuscito a confessare le sue intenzioni, le sue stesse gambe l’avevano tradito, rivelando che l’unico luogo in cui avrebbe voluto essere, era accanto a lei.
La casa di Amatis era avvolta nel buio, e Jace non poteva di certo irrompere nella casa, senza altra spiegazione che il bisogno impellente di parlare con Clary.
Improvvisamente, un’ombra passò vicino alla finestra della camera di Clary, e Jase ne riconobbe il profilo: lei era sveglia.
Avrebbe dovuto andarsene nel momento stesso in cui i suoi occhi avevano cercato un appiglio per potersi issare fino alla sua finestra, ma qualcosa glielo impedì. Il giorno successivo sarebbe partito in cerca di Sebastian, e quella poteva essere l’ultima occasione che aveva per essere completamente sincero con Clary, l’ultimo momento in cui avrebbe potuto stringerla forte fingendo che non fosse sua sorella, ma una semplice ragazza con cui, in un’altra vita, sarebbe potuto stare.
Una notte, una notte soltanto.
Il mondo gliela doveva.
 
*
 
La serra dell’Istituto era rischiarata dai raggi sottili dell’aurora, infiammata di un rosso sanguigno. Jace seguì il sentiero costruito da Hodge a regola d’arte, un piccolo labirinto in quel luogo di fiaba, in cui le piante crescevano al riparo di quella enorme teca di vetro.
Fiori dai petali fragili si aprivano al richiamo del sole, mentre altri, notturni, si nascondevano come vampiri. 
Clary, seduta sulla panchina di pietra, lo osservava sorridendo, un sorriso denso di sottintesi che non le aveva mai visto sul viso.  Fu accanto a lei in un battito di ciglia, incapace di restare lontano dal suo sole privato, dai capelli rossi come l’alba fiammeggiante che prendeva vita alle loro spalle.
«Jace »
La voce di Clary fu un sussurro, un richiamo cui non sapeva resistere, e il suo sorriso divenne più largo, quando Jace le si sedette accanto.
Il suo viso era così vicino che il respiro tiepido di lei soffiava sulle sue guance, e prima che potesse sfuggirgli, Jase l’attirò a sé con un bacio.
Clary non si mostrò spaventata, ma accolse la sua lingua con la naturalezza che avevano sempre provato: cosa poteva esserci di così sbagliato, se per loro era necessario quanto respirare?
Poteva forse il mondo aspettarsi che il fuoco non bruciasse, solo perché scottava, e ciò era male?
Così quello stesso mondo non poteva aspettarsi che le mani del ragazzo non si aggrappassero a lei, come se fosse una bombola di ossigeno. L’irruenza con cui Jace la spinse contro di sé non sembrava dare fastidio alla ragazza, che a sua volta intrecciava le dita dietro la nuca di Jace,  invitandolo a continuare.
Le mani del ragazzo scostarono il lembo della maglia di Clary, cercando la sua pelle calda, e lei si lasciò sfuggire un respiro smorzato quando le dita di lui sfiorarono i bordi del reggiseno, quasi aspettandosi che lei lo fermasse, così come aveva fatto sulla collina dei Wayland.
Ma Clary non lo fece.
I suoi occhi verdi erano carichi di promesse,  e di un desiderio che si specchiava gemello in quelli di Jace.
Clary lasciò scivolare le mani delicate, da artista, sulla camicia bianca del ragazzo, sciogliendo bottone dopo bottone l’odiosa barriera che separava la loro pelle.
Con un gesto d’impazienza Jace finì di togliersi la camicia, lasciando che i raggi tiepidi della mattina accarezzassero la sua pelle rovinata da quei tatuaggi scuri, da quelle rune che avevano segnato tanto la sua vita quanto il suo corpo.
Ma Clary non sembrava provare repulsione per quella rete più chiara di segni, e con le dita sfiorava i bordi delle rune più scure, seguendone gli arabeschi intricati.
Laddove Clary posava le mani, una scia di fuoco  si faceva strada sulla sua pelle, e Jase desiderò di più. Baciò il collo di Clary, assaggiando il sapore della sua pelle, chiedendosi se avrebbe fatto resistenza se le avesse tolto la maglietta.
Gliela sfilò piano, con uno sguardo interrogativo negli occhi, mentre lei lo lasciava fare, come una bambina curiosa di sapere fin dove si sarebbe spinto.
Ma era proprio questo il problema: che Jace non sapeva se avrebbe avuto la forza di fermarsi se lei si fosse ritirata, e gli risultava impensabile l’idea di lasciarla andare di nuovo, adesso che era lì, tra le sue braccia.
« Johnatan, cosa stai facendo? »
La voce di Valentine fu un coltello gelido tra le sue costole, e sentì Clary trasalire.
Suo padre era davanti a loro, come se fosse stato lì da sempre, gli occhi scuri carichi di disprezzo e orrore.
« Padre, noi… »
Cercò Clary con lo sguardo, come se lei potesse tirarlo fuori da quella situazione, ma lo stesso disprezzo che aveva colto in Valentine adesso lo leggeva anche nei suoi occhi, mescolato al rancore.
« E’ così che ti prendi cura di tua sorella, Johnatan? Lei è più piccola di te, si fidava di te »
Valentine si avvicinò a Clary, e lei corse fra le sue braccia, in lacrime.
« Padre, non volevo. Mi ha ingannata »
Le dita dell’uomo accarezzarono la pelle nuda della figlia, mentre gli occhi saettavano ancora sul viso impietrito di Jace.
« Lo so, Clarissa, lo so. Mio piccolo angelo, mio tesoro »
I capelli di Clary sembravano fruste di sangue sul completo nero del padre, che la cingeva con un affetto che Jace non gli aveva mai visto.
« Andiamo via Clarissa, non dovrai più restare con questo demone »
E mentre Valentine posava sulle spalle di Clary la sua giacca nera, con un ultimo sguardo verso Jace si lasciò sfuggire un sorriso, come se sapesse perfettamente che allontanare Clary da lui  l’avrebbe fatto soffrire quanto veleno di demone iniettato direttamente nel cuore.
« No, aspettate! »
Ma la sua voce si perse nel fruscio furioso delle foglie degli alberi, come se improvvisamente la serra fosse stata scoperchiata,  e il vento cominciò a sferzare il suo volto, come gli artigli del maledetto corvo di suo padre…
 
*
 
Gli occhi sbarrati di Jace misero a fuoco il soffitto della camera di Clary, e il suo respiro affannoso si perse nel silenzio della stanza da letto.
Era quasi mattina: oltre le tende che la sera prima Clary gli aveva chiesto di sistemare, un’aura rosata s’intravedeva timida ad affacciarsi sulle strade di Alicante.
Clary, accanto a lui, dormiva placidamente, il viso disteso nel sonno.
Mormorava frasi incomprensibili, persa in chissà quale sogno, e Jace desiderò poter frugare nella mente della sorella, per sapere se davvero credeva di essere stata ingannata da lui.
Quel pensiero gli serrò la gola, e Jase provò il desiderio di piangere, anche se non ricordava più quale fosse stata l’ultima volta che delle lacrime fossero scivolate dalle sue ciglia.
Sfiorò il viso di Clary con la punta delle dita, ma non osò depositare un bacio sulle sue labbra dischiuse, per paura di poterla svegliare.
Perché sapeva quale compito lo attendeva, e se lei si fosse svegliata non avrebbe più avuto il coraggio di portarlo a termine, desideroso di poter prolungare ogni attimo passato in sua compagnia, incapace di rassegnarsi alla morte, o ad una vita senza di lei.
Egoista, e codardo.
Si alzò dal letto cercando di fare il minimo rumore possibile, e cercò a tentoni la sua giacca, i suoi stivali, pronto ad allontanarsi nel minor tempo possibile.
Eppure gli risultava intollerabile che lei, svegliandosi, potesse trovare il letto vuoto, come se lui fosse scappato da qualcosa di cui si vergognava.
Quella era stata probabilmente la più bella notte che avesse e avrebbe mai vissuto, e sentì l’impellente bisogno di spiegarle, di lasciarle qualcosa di suo.
Frugò la stanza nella ricerca di un pezzo di carta, e con un sospiro, si tolse la catena con l’anello dei Mongestern dal collo.
Le avrebbe lasciato un biglietto, l’anello, il suo cuore.
E con un ultimo sguardo all’angelico viso di Clary, coi capelli arruffati nel sonno, si mise a scrivere una lettera.
Non aveva mai scritto una lettera, prima.
 
Nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.
 
 
**
 
  NdA:
Le frasi di Sebastian, le avrete riconosciute, sono state riportate fedelmente da Città di Vetro.
Il titolo riprende i versi che chiudono la shot, “Veglia”, di Ungaretti.
   
   
 
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