Anime & Manga > Inuyasha
Segui la storia  |       
Autore: honeysuckle_s    05/07/2011    4 recensioni
Il mio Walt Disney preferito? "La Bella e la Bestia"! Ma in questa ff nel castello, al posto di Belle e il principe, ci trovate Rin e Sesshomaru!
*****"Prima che sfiorisse del tutto, Sesshomaru avrebbe dovuto imparare la compassione, la pietà e l’amore verso gli essere più deboli; se non ci fosse riuscito, sarebbe rimasto segregato in quel luogo e senza i suoi poteri per sempre."*****
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rin, Sesshoumaru
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Le sue folte ciglia si sollevarono lentamente.

Buongiorno, vita. Buongiorno, sole. Buongiorno, a me.
E dopo un attimo, anche la mente messa in stand-by durante la notte le diede prepotentemente il buongiorno.
E di certo non con un sorriso caldo e materno.
Ma con domande, dubbi ed interrogativi.


Come ogni singolo giorno, escludendo quei tre di cura della cicatrice inferta da una certa frusta, Rin si avviò pensierosa e con estrema lentezza al luogo dove le pulizie la attendavano. Adesso, teoricamente.
La notte precedente il regno delle pulizie ma soprattutto delle piccole grandi scoperte era diventato il regno del noir, un covo pericoloso di mostri che non aspettavano altro di fuoriuscire e

(afferrarla)

spaventarla.


Poi aveva incontrato il padrone. Il suo signore.



Cominciò a tormentarsi il mento con le unghie, senza però infliggersi ferite o graffi.

Salì l'ultima rampa di scale e si avviò verso quel corridoio che l'avrebbe condotta in biblioteca.
I suoi occhi guardavano solo superficialmente l'ambiente circostante. Il solito tappeto rosso, le statue raffiguranti creature infernali con le fauci spalancate, un enorme dipinto sul morbido divanetto scarlatto, il demone seduto sul divanetto, la porta in crema dalle maniglie in ottone.

Fece un solo passo. E poi si bloccò completamente, riprendendo il contatto con la realtà.

Il demone seduto sul divanetto?

Proprio così.

Il suo signore si era accomodato lì. Anzichè far aderire la schiena alla parte verticale del morbido mobilio, l'aveva fatta scendere verso la parte dove in teoria avrebbe dovuto esserci il sedere. Ad evitare una probabile caduta ci pensava una gamba messa a novanta gradi e la relativa forza sul ginocchio. L'altra era stesa, pigramente. Non era sicuramente la più comoda delle posizioni per sedersi, ma a lui non sembrava dare fastidio. La testa era appoggiata allo schienale del divanetto e i suoi occhi fissavano il soffitto, immobili. Le mani erano come unite in preghiera e poggiavano sulla pancia.

Rin lo fissò incredula. Ma che ci faceva da quelle parti?
Se avesse trovato uno dei suoi

(simili, aveva utilizzato questo termine)

conviventi si sarebbe semplicemente domandata cosa volesse e avrebbe tirato dritto.
Ora invece era ferma immobile e sentì il suo povero cuore battere con una certa violenza. Da quell'inverno, il suo cuore batteva spesso con una certa violenza.


I lunghi, femminili e sottili capelli del demone erano sparpagliati su quel trionfo di rosso e creavano addirittura una bel miscuglio di colori.


Rin scosse la testa. Non era il caso di mettersi a contemplare la gente (o i demoni?).
Visto che il suo signore non si scuoteva, né fisicamente, né verbalmente, si diresse verso il luogo delle mansioni.
L'intenzione era quella di tirare dritto, ma fieramente. L'istinto le suggeriva di camminare fieramente.
Nella pratica, però, le gambe le tremavano, il respiro non era regolare e si sentiva inibita e molto impacciata.


Le sue guance si erano colorate di un rosso acceso. Non che fosse una novità, quando si trovava dinanzi il padrone del castello e tra l'altro a pochi metri di distanza.

Cercò di proseguire verso la porta con il portamento più eretto che poté, ma è inutile dire che non ci riuscì quasi per niente. I buoni propositi suggeriti dal suo istinto andarono poi definitivamente in fumo, perché avvertì lo sguardo di padron Sesshomaru addosso, cosa che la imbarazzò da morire e l'avrebbe portata a sotterrarsi per la vergogna.

Quanto era stata sciocca la sera precedente!
Al mattino i raggi del sole sono in grado di illuminare la nostra mente troppo fantasiosa, dimostrandoci come non ci sia motivo di aver paura di oggetti ed angoli.


C'era poi un'altra questione.

Rin non era di certo una persona permalosa o arrogante. La vita le aveva insegnato molto presto che una come lei avrebbe dovuto quasi sempre abbassare la cresta.
Appunto, quasi.


"Mi offro di darti una mano al riguardo. Se non vuoi, non sei costretta ad accettare."


Parole sue. Pronunciate. Dette. Non un parto della sua mente di ragazzina fantasiosa e distratta.
Parole però campate in aria e buttate al vento.
Proprio da una persona

(demone)

come lui.


L'unico che le aveva dimostato un minimo di empatia, escludendo naturalmente l'anziana e corpulenta sacerdotessa dal cuore così grande.

Mentre gli passava davanti, con passo molto molto incerto e non distogliendo lo sguardo dalla porta in crema, un singolo guizzo di risentimento le lampeggiò negli occhi.



Lord Sesshomaru aveva i sensi demoniaci notevolmente sviluppati.
Un comunissimo ningen avrebbe visto passargli davanti una ragazza che procedeva a passo malfermo. E basta.

A lui invece non solo non era sfuggita la forte soggezione della serva, nonostante l'avesse celata meglio delle altre volte, ma colse quel singolo lampo di irritazione? fastidio? risentimento? negli occhi della ningen che aveva dinanzi.


La sua reazione fu immediata.

Se c'era una cosa che aveva il forte potere di farlo arrabbiare ed irritare, era la mancanza di rispetto.

Immaginava il motivo di quel guizzo.
Certo. La promessa.
In effetti non si era comportato da Grande Demone, i pochi giorni seguenti a quella specie di patto. Ma poi si era comunque impegnato (secondo le sue modalità, ovviamente) per rispettarlo, no?

Allora che diamine voleva quella ningen, che si faceva cogliere da un attimo di risentimento nei suoi confronti?

E cosa che più lo irritava, e che stavolta riguardava interamente sé stesso, era il suo atteggiamento verso la ragazzina.

Il vecchio, collaudato, centenario Sesshomaru si fece subito sentire facendogli schizzare il sangue nelle vene.

Che diavolo! Aspettare una ningen solo per una sciocca frase dettata dall'impulso del momento!
Doveva proprio aver perso quasi tutte le rotelle.
Si odiò per questo. Un sibilo feroce al posto di un respiro normalmente appena percettibile fu la manifestazione della sua crescente irritazione.

In altri casi, sarebbe scattato per avventarsi sull'oggetto (o soggetto?) del suo disappunto e l'avrebbe squarciato riducendolo in poltiglia. In quel modo, avrebbe tolto dinanzi il nemico che osava mancargli di rispetto.

Quanto a quella ningen, poi, un pensiero gli balenò nella mente, velocemente e ferocemente.
Se l'avesse uccisa con i suoi fatali artigli avrebbe cancellato non solo quella ragazzina, ma anche l'immagine di sé stesso che lei gli proiettava, quello di un Sesshomaru incuriosito e stranito. Un Sesshomaru che prima di allora non era mai esistito. Un Sesshomaru che si era abbassato a tanto.

La fatale ammissione

(incuriosito e stranito)

del suo silenzioso monologo interiore non poté che mandarlo ulteriormente in bestia, ma non letteralmente. Nel castello non poteva assumere la sua vera forma demoniaca.

Si stava odiando, in quel momento.
E odiava anche lei. Per quello che gli stava facendo passare. Perché lei non aveva colto i notevoli sforzi (secondo i suoi standard, ovviamente) per andare incontro a una specie di promessa fatta ad un essere così inferiore.
In tutta la sua vita, non era mai andato a spiare altre creature, in attesa di una reazione. Mai.

E lei come reagiva?
Reagiva con un guizzo risentito.
Lei, che non riconosceva la fatica che aveva fatto per sbirciarla ed aspettarla quella mattina, lacerando parte del proprio ipertrofico orgoglio con i suoi stessi artigli.
Ed in più osava mancargli di rispetto.

Infatti... Non era pur sempre un Lord? Non era pur sempre il padrone del maniero? Qual era la regola di base quando si incontrava il signore del castello?
Poggiò una mano sulla morbida stoffa rossa del divanetto, accorgendosi appena che un sinistro liquido verdastro aveva iniziato a sciogliere un pezzo del tessuto.



Nonostante fissasse la porta e potesse vedere il suo signore solo parzialmente, Rin si accorse che qualcosa era

(pericolosamente)

mutato.
Percepì alla sua sinistra un sibilo minaccioso che non le piacque per niente.
Inoltre, avrebbe giurato che stesse rapidamente calando un'atmosfera pesante, in quel corridoio.

Ormai il suo cuore si stava abituando a quei salti improvvisi, ed anche stavolta reagì agli eventi facendo un volo e pompandole furiosamente sangue nel corpicino sottopeso.

Si bloccò completamente, sentendo il respiro irregolare e pesante.

Si voltò timidamente verso il demone.
In quell'attimo vide il suo volto oscuro e rabbioso.
In quell'attimo non sentì nemmeno il cuoricino battere.
Doveva essere sbiancata di colpo. Dilatò gli occhi per il terrore e abbassò di scatto la testa, chiudendo furiosamente le palpebre per non vedere nuovamente il viso demoniaco così

(spaventosamente)

arrabbiato.




La sua mano fatale bloccò di colpo la fuoriuscita dell'acido corrosivo.


Si era girata timorosa verso di lui e ne aveva avuto paura. Lo sentiva chiaramente. Percepiva perfettamente il suo terrore nei suoi confronti.
Era stato molto vicino a farle seriamente del male, poi si era fermato. Ed anche di colpo.
In effetti, con dei comuni ningen assolutamente indifesi non valeva la pena di dimostrare quanto potesse essere forte.

Fissò la ragazza che aveva davanti. Per via del gesto di sottomissione istintivo, la chioma bruna le era andata a coprire interamente

(gli occhi)

il viso.

Il viso. O meglio, visetto.
Un visetto terrorizzato.

Degli occhi terrorizzati.

Terrorizzati per lui.

Da quel che ricordava, era da un pò che non succedeva. O meglio, era la prima volta che succedeva.
Le prime volte aveva letto una forte soggezione in quegli occhi

(occhioni)

e un altrettanto forte senso di spaesamento. Poi ci aveva letto qualcos'altro, di non chiaramente definibile.
E infine si era manifestato il terrore puro in quelle iridi color della terra.
Per causa sua.



Quando era un demone libero di andare a caccia di potere e di forza, aveva generalmente manifestato un sorriso brevissimo e appena percettibile sul viso impassibile, in quell'istante di consapevolezza. Consapevolezza per il nemico di lasciare per sempre questa vita per mano degli artigli, di Tokijin o Bakusaiga, e consapevolezza per lui di essere (ancora una volta) l'unico

(Re)

vincitore su quella vasta

(scacchiera)

terra di battaglia e di scontri furiosi.

Sì, aveva spesso sorriso (o meglio, aveva abbozzato un sorriso) alla sua fatale potenza.


In condizioni di situazioni impari, quali quelle con creature molto più deboli ed indifese, non aveva bisogno di sorridere. Era sufficiente che i ningen che lo incontrassero gli dimostrassero la soggezione. Non si nasceva figli di Principi per passare inosservati.

Almeno, era questo che desiderava ardentemente una delle parti più nutrite di sé, ossia l'orgoglio.


Solo che stavolta aveva sentito confluire dallo stomaco verso il petto una sensazione nuova e spiazzante.
Gli balenarono quegli occhi femminili così spaventati, con il risultato di sentirsi ancora più irritato ed ancora più confuso di prima.
Avvertiva quasi un senso di dispiacere.

Dispiacere per averla terrorizzata con un'ira crescente.
La cosa che più lo metteva a disagio era che tal dispiacere aveva fatto effetto subito, dal momento che aveva bloccato seduta stante una mano che si stava trasformando in assassina. Sì, era stato lui, non la sua mano, a fermarsi. Da quando il corpo ha reazioni se non è la testa a desiderarlo (escludendo naturalmente quegli organi che lavorano ininterrottamente come cuore e polmoni)?

Gli ritornò in mente un interrogativo che lo aveva assillato qualche tempo prima.
Chi diavolo era quella ningen? Chi diavolo era quella ningen per fargli questo? Per violentargli (sì, violentargli) certi aspetti di un carattere che credeva immutabile?

Dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per non abbandonarsi a pensieri, visto che da quell'inverno stavano avendo il pericoloso potere di farlo star male e condurlo probabilmente alla perdita del lume della ragione.

Per farlo, doveva sprofondare in uno stato di quiete, anche se non era facile.
Si sentiva ancora profondamente irritato. Ed ammettere che era un'irritazione rivolta soprattutto a sé stesso era un qualcosa di troppo forte per Lord Sesshomaru.

Digrignò i denti e maledisse quella scarica di emozioni e sensazioni che gli mordevano la testa. In quel momento, odiava tutti. Odiava sé stesso. Se avesse avuto dinanzi uno specchio, l'avrebbe ridotto in polvere. Tutto, pur di non vedere i numerosi riflessi che il vetro gli avrebbe proiettato. Perché da qualche tempo la sua personalità integra si era sfaldata ed era iniziata la convivenza con più parti del Sé. Convivenza assolutamente contraddittoria, violenta e malsana.

L'unico sistema di combatterla era quella di recuperare la sua integrità. Si sentiva come una clessidra spaccata, e la sabbia fuoriuscita si era sparpagliata ovunque. Era giunto il momento di portare indietro le lancette di quella mattinata e ricomporsi in una clessidra compatta.

Non era nella sua natura farsi sopraffare da emozioni o perdere il controllo. Lui, figlio di un Principe ed aspirante Re. Per la rigida educazione ricevuta, per una personalità venuta fuori troppo presto, per un carattere congelato e consolidato. Non si vedeva proprio a vagare per il castello con un Male che gli trapanava la mente e gli faceva perdere il senno. Quello succedeva al bastardo del fratellastro quando si faceva sopraffare dal sangue di demone. Diventava un mostro senza ragione e senza anima esclusivamente in grado di squartare.

E lui non poteva e non voleva abbassarsi a tanto. Quando mai era stato messo in ginocchio da un nemico? Quando mai era stato messo, poi, in ginocchio dal suo stesso sangue? Non aveva certo intenzione di farsi mettere in ginocchio proprio adesso dal nemico più insidioso e subdolo mai incontrato, vale a dire stesso.

Non essendo ancora in grado, però, di sottomettere quel nemico così evanescente che aveva la sua stessa forma, la sua stessa mente e il suo stesso aspetto ricorse alla tecnica della sorpresa per stordirlo. Per poi ficcargli in bocca un bavaglio e farlo momentaneamente tacere. Farlo scomparire per un pò.

Non era facile, dato che la tecnica meditativa gli riusciva quando era già in uno stato di quiete. Ma doveva riappropriarsi di quello stato, altrimenti non sarebbe più stato Sesshomaru. Sarebbe stato uno stolto vittima delle emozioni.

Cercò di concentrarsi, chiudendo gli occhi e respirando.


Quanto tempo era passato? Non avrebbe saputo dirlo. Quel che sapeva era che la zona della nuca aveva iniziato a fare un concerto di vivaci proteste. Il collo iniziò a farle male, vuoi per lo scatto repentino, vuoi per la posizione forzata.

Non poteva resistere ancora a lungo, per cui fece una veloce inspirazione, soprattutto per farsi coraggio, e sollevò timidamente la testa. Il sollievo fisico fu immediato, ma non altrettanto poteva dirsi per il suo stato d'animo. Non voleva rivedere quel viso così arrabbiato. Ne aveva paura.

I suoi occhi si poggiarono timorosi dapprima sulle gambe del demone, nel frattempo messosi a sedere come si farebbe normalmente, poi sul busto proteso verso di lei, sulle mani poggiate sul tessuto del divanetto. Le sfuggì il brutto squarcio che il padrone aveva causato alla stoffa del divanetto.
I suoi occhi(oni) castani e tanto ansiosi si posarono sul viso del suo signore.

Restò interdetta.

Padron Sesshomaru teneva gli occhi chiusi. Il viso era leggermente basso e la frangetta fine e curata gli copriva parte delle palpebre serrate e leggermente truccate.

Realizzò che l'atmosfera intorno a sé si era alleggerita. Un grosso peso scomparve dal suo cuore. Non comprendeva bene il motivo di quel cambiamento e soprattutto quale ne fosse la causa scatenante, ma era sicura di una cosa. Non aveva sognato: padron Sesshomaru, poco prima, aveva un'espressione davvero arrabbiata.

Era stata forse lei la causa di quel moto d'ira? Non avrebbe saputo rispondere.
Di sicuro non voleva ritrovarsi più a fissare il

(bel)

viso del suo signore così terribilmente accigliato.


Rin non muoveva un muscolo. Fissava completamente spaesata il demone che sedeva ad occhi chiusi dinanzi a lei. Era perfettamente immobile, come una delle tante statue raffiguranti creature infernali sparse per il maniero.

Non si augurava di trovarsi nuovamente a fissare quella statua mobile e tanto arrabbiata.

Distolse lo sguardo dal suo padrone, e fissò la porta della biblioteca non sapendo cosa fare.
Alzò lentamente un braccio e si massaggiò nervosamente e distrattamente la nuca.

Doveva inchinarsi? Doveva ringraziarlo (o provare a "chiedergli" il perché) della visita inaspettata della sera precedente? Doveva lasciarlo lì a riposare? pensare? e togliere il disturbo?

Non passò molto tempo che avvertì degli occhi puntati su di lei. Non potevano essere i teschi di qualche ora prima. La luce del sole dimostra come di giorno gli scheletri non esistano, a meno che non si abbia occultato un cadavere da diverso tempo o non si lavori in un cimitero.

Posto che Rin non scavava la terra per adibirla a fosse per i morti e posto che era pieno giorno, gli occhi che sentiva addosso potevano appartenere esclusivamente al suo signore.

Strinse con forza una ciocca di capelli, non volendo guardare il viso del demone. E se avesse nuovamente incrociato la rabbia e l'ira in quelle iridi color del miele? Attorno a sé, però, non percepiva più quell'atmosfera sinistra di poco prima. Si fece coraggio e andò a posare con molta timidezza ed inibizione i suoi occhi castani su quelli

(da gatto)

demoniaci.


Padron Sesshomaru aveva recuperato il controllo di sé e aveva lentamente riaperto le palpebre vagamente truccate. La sua mente, il suo spirito, il suo istinto assassino e i suoi pensieri erano stati praticamente congelati. All'interno di quel corpo antropomorfo tutto taceva. Solo gli organi vitali non smettevano di pulsare. Per il resto, era come se tutto il suo essere fosse stato seppellito sotto strati di neve e di ghiaccio.

La sua respirazione era tornata flebile, il suo cuore batteva lentamente, il suo corpo poggiava su un baricentro fermo.

Appena aprì i suoi occhi felini, lo sguardo si posò su quella ragazza che aveva di fronte, simbolo di un patto che era tempo di rispettare.

Ancora in trance, constatò il danno che aveva fatto al divanetto grazie alle terminazioni nervose e sviluppate della lunga mano. Non gliene importava assolutamente niente. Non si sarebbe mai arrovellato il cervello per questioni di danni ad arredamenti o ad alberi, come faceva prima che una fata malefica gli mettesse un collare e lo relegasse al chiuso di una cuccia.


Lo fissava spaurita e disorientata.
A questo punto non era il caso di pretendere inchini o cerimonie. Si era spaventata a dovere ed era sicuro che non gli avrebbe mai più dimostrato atteggiamenti ostili o risentiti. Quella ragazzina aveva capito chi fosse a comandare e chi fosse al primo posto nella gerarchia.
Bene.

Scostò in maniera assente una ciocca di capelli lisci e si alzò lentamente in piedi.
Ruotò con calma il busto alla sua sinistra e senza dire una parola si diresse a passo lento verso la porta della biblioteca.
Afferrò con grazia una maniglia e spinse con eleganza la porta.


Rin non poté non cogliere ancora una volta la maestosità di quel demone e l'eleganza innata dei suoi movimenti. Probabilmente nella vita precedente, se davvero esiste la reincarnazione, doveva essere stato una geisha o una ballerina o qualche misteriosa artista.
Difficilmente un uomo avrebbe potuto essere così aggraziato nel muoversi. Poteva anche darsi, però, che questo dipendesse dalla sua natura demoniaca. D'altronde, era il primo demone con cui aveva a che fare e forse l'eleganza era radicata nei demoni maschi.

Osservò l'ampia manica del kimono che si sollevava per afferrare la maniglia in ottone e Rin constatò che il padrone aveva cambiato il vestiario. Certo. Aveva strappato un lembo del kimono per darlo a lei. Naturale che ora ne indossasse uno nuovo ed integro. Non era molto diverso dal precedente. Era sempre bianco e aveva le stesse fantasie esagonali. Solo che queste erano rosse e non color violetto.

Beh, gli stavano sempre bene, c'era poco da dire.
Non appena formulò il pensiero, le sue guance si tinsero delle stesso colore di quelle fantasie esagonali.

Vedendo che il padrone entrava in biblioteca, non poté che seguirlo. Si augurava fortemente che non fosse venuto a fare un'ispezione in biblioteca, perché un rimprovero se lo sarebbe beccato sicuramente, visto che la polvere era slittata al secondo posto rispetto alla curiosità.





Image and video hosting by TinyPic

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: honeysuckle_s