Fireworks light the Time, tonight.
·
For Love only lasts till tomorrow
Erano insieme nella sua
camera ed egli fremeva di impazienza e di ansia. Ma più di ogni altra cosa,
egli strepitava d'ira. Da qualche parte, nascosto in qualche oscuro meandro
della sua persona, c'era anche l'amore. Povero, triste amore soffocato da quel
mostro di consistenza quasi gelatinosa, viscida, che lo stava lentamente fagocitando
e che lo avrebbe fatto sprofondare negli oblii dell'inesistenza senza che quel
misero sentimento di fuoco potesse in alcun modo difendersi dalla furia della
sua rabbia.
«Lo sai benissimo perché» erano state le parole giunte
alle sue orecchie, che in qualche secondo provocarono in lui un'ilarità finta.
«Ho cambiato idea, a
questo proposito» aveva dichiarato quasi solennemente, con la sua aria un po'
altezzosa. Le labbra schiuse in un'espressione beffarda e quell'amore che
sprofondava sempre più, sempre più. «Stavo appunto riflettendo su questo: io non ho alcuna voglia di fingere, solo
per essere reputato benevolmente da quelle persone così false che cambierebbero
opinione su di me dopo aver saputo cosa
sono veramente»
L'uomo che si trovava
ai piedi del suo letto era intento ad allacciare i lacci delle sue scarpe da
tennis; lo aveva guardato con molta serietà e i suoi occhi erano apparsi ancora
più scuri del solito.
«Non è così semplice»
aveva ribattuto.
«Certamente!» il ghigno
dell'inglese si fece più arcuato «Sappiamo quanta difficoltà si celi dietro le tue
misere scuse»
L'altro aveva finito di
lottare con le stringhe e si era alzato in fretta «Non ho voglia di continuare
questa discussione» aveva detto, indossando il cappotto nero e cercando di
ordinare i propri capelli con le mani.
«Oh, va pure. Il mio
dovere l'ho già fatto, giusto?»
«Jude ─»
«Cosa?» lo aveva
interrotto «È così che funziona no? Tu vieni qui, noi ─»
«Che cos'è che vuoi,
Jude?» era stata la domanda che aveva permesso all'amore di lasciarsi
inghiottire dall'ira, dal risentimento, da quei mostri tetri che albergavano
dentro l'uomo. Aveva cercato in fretta una risposta che non fosse patetica.
Sì, perché chiedergli
di non abbandonarlo, di non andarsene via, di non prendere quel fottuto aereo ─ chiedergli di mollare tutto e amarlo come lui lo
amava, era patetico, oltre che idiota, stupido e senza senso, in quella camera
intrisa del suo profumo.
Quindi era rimasto
immobile e aveva cacciato via tutto ciò che avrebbe potuto fargli del male,
lasciando che il gelo si impadronisse di lui e lo proteggesse dal dolore.
L'uomo che aveva
iniziato ad ossessionarlo dal primo istante in cui lo aveva incontrato, forse
non aveva mai capito cosa si celasse dietro i suoi occhi gelidi e i suoi
sorrisi stanchi, dietro i suoi cambi d'umore e i suoi sguardi che si facevano
distanti solo per paura che fosse possibile trovarvi qualcosa di troppo, qualcosa che avrebbe potuto far
capire qualcosa ─qualcosa di così sbagliato che non immaginava
neanche, perso nei suoi giochini che riuscivano solo a fargli del male. L'inglese
restava sempre in disparte e lo lasciava fare, lo lasciava giocare perché
quella finzione era l'unico modo che aveva per sentirlo vicino come avrebbe
voluto.
E chi lo avrebbe detto.
Quell'uomo,
quell'americano, quell'amante, quel ─
«Io ho bisogno di
quell'approvazione di cui blateri» la sua voce scura, scura come quella stanza
e come quella città, come quel pomeriggio di pioggia, aveva interrotto i suoi
pensieri «Io non sono come te, ci sono persone che non aspettano altro che un
mio passo falso per …»
Jude aveva chiuso gli
occhi, e non voleva nemmeno sentire ciò che sarebbe uscito dalla propria gola,
perché forse avrebbe fatto più male a sé stesso che all'altro «Certamente,
perché tu non sei più il Robert di una volta, no» aveva quasi cantilenato «Tu
hai la tua cazzo di vita perfetta, con la tua casa gigante e una moglie che ti
ama» non voleva sapere cosa stesse dicendo, aveva solo bisogno di farla finita.
Farla finita.
Farla finita.
Prima che fosse troppo
tardi «E anche tu la ami, e lo dici sempre anche a me, e lo dimostri a tutti ─però, guarda un po', nel frattempo ti scopi il tuo
collega non appena hai un cazzo di minuto libero»
E non sapeva nemmeno
come, ma aveva iniziato ad urlare e a odiarlo, e a odiare tutto quello che gli
causava, quelle sensazioni alla bocca dello stomaco e ora quel vuoto, quel
bisogno di sentirgli dire che non sarebbe andato via.
Patetico, patetico. Era solo patetico, e lo sapeva.
Ma l'altro non doveva saperlo.
Robert fissava la porta
chiusa «Io devo ─»
«Oh, ma pensa se lei
facesse la stessa cosa! Ci hai mai pensato?» aveva continuato «No, perché non
pensi mai a qualcuno che non sia te stesso o qualcuno che può servirti per
salvarti il culo» e via così, senza controllo. Sputava, vomitava tutto perché
ormai non riusciva più ad accettare le sue condizioni, voleva cambiare, e
sapeva che cambiare significava farla finita.
«Sei ubriaco» si era
limitato a constatare l'altro. Non riusciva a guardarlo, voleva soltanto
immaginare che in quella stanza ci fosse qualcun altro ─non importava chi, bastava che non fosse il suo Jude.
L'inglese rideva,
rideva «Mai stato così lucido» aveva detto, e non mentiva: i vaghi effetti dei
bicchierini di vino a pranzo erano stati dissipati già da tempo, già da quando
l'altro lo aveva posseduto, già mentre non gli importava più dei gemiti, del
calore e delle gocce di sudore che scivolavano sulle tempie «Su, avanti» lo
aveva incitato «Tu penseresti davvero che lei ti ami nonostante si faccia il
primo che passa?»
«Basta» aveva cercato
di zittirlo, e forse in quel momento aveva anche capito il perché di quelle
parole, di quel bisogno di chiudere le loro vite in due bolle separate, di far
scendere il ghiaccio tra i loro respiri. Ma forse era solo cieco ─ accecato dalle
parole di quell'uomo che gli aveva dato tutto e a cui non poteva rendere nulla.
Teneva i pugni stretti e le braccia dritte lungo i fianchi, e la carne faceva
quasi male, mentre le unghia la conficcavano, esangui, imperterrite.
«No!» aveva urlato
Jude, le sue labbra così belle,
spalancate e straripanti di parole che come proiettili aspettavano solo di
essere lanciate, e di colpire, di far male «Tu crederesti a una puttana che
dice di amarti?» gli aveva urlato a pochi passi dal viso, e la sua gola
sembrava bruciare «Tu ameresti una
puttana?»
Poi sembrò che non
accadesse nulla.
Il silenzio aveva
riempito lo spazio tra i loro corpi.
Robert non aveva
neanche capito cosa fosse successo, aveva visto soltanto il viso perfettamente
levigato dell'inglese allontanarsi, come in una scena al rallentatore, e
contrarsi e piegarsi e voltarsi, mentre i suoi occhi non smettevano di
guardarlo, spalancati. E poi aveva visto Jude perdere l'equilibrio e scivolare
giù, raggomitolarsi.
E il suo braccio.
Steso davanti al
proprio viso.
Robert aveva capito che
quella mano tesa a mezz'aria era sua, gli apparteneva, e gli apparteneva anche
mentre si era mossa e lo aveva colpito. L'uomo realizzò che quel pugno chiuso
dinnanzi a sé era la sua mano, ed era
il suo braccio quello che vedeva tornare accanto al fianco, senza che se ne
rendesse conto, come spinto da una forza che non fosse sua, che prescindesse
dalla sua volontà.
Non sapeva cosa avesse fatto, non voleva saperlo,
non voleva stare al gioco, non voleva che finisse così ─O forse non voleva che finisse, e
basta.
Jude si era rialzato velocemente, senza guardarlo,
mentre l'americano non riusciva a spostare lo sguardo da quel graffio sullo
zigomo. Aveva balbettato qualcosa, avvicinandosi all'altro, ma Jude aveva
indietreggiato.
Lo aveva perso. Lo aveva perso. Lo aveva perso già
da prima, ogni mese che passava durante le riprese, era un granello di sabbia
in meno dal recipiente della clepsamia che segna il tempo ancora da vivere. Ma
in quel momento aveva perso anche tutti i ricordi che lo accompagnavano, aveva
perso la gioia che riempiva i loro giorni passati insieme.
Jude fissava il muro bianco «Vattene» aveva
sibilato.
Robert lo aveva guardato per quella che gli era
sembrata l'ultima volta, poi si era voltato ed era uscito dalla camera,
attraversando il corridoio e scendendo in strada, nel vuoto di una città a cui
non apparteneva.
Jude si era seduto sul pavimento, e non provava
nulla, o forse si convinceva di non provare nulla.
Era rimasto lì per minuti, o forse per ore ─il
tempo non contava nulla se non era scandito da lui.
*
Ed è lì che Sienna lo trova, seduto, con uno zigomo
rosso di sangue e un pallore quasi spaventoso.
Lo vede ai piedi del proprio letto disfatto e pensa,
pensa, pensa a lungo. Non dice nulla perché non vuole sapere, non le importa
conoscere la storia dietro quella pelle lacerata e quei vestiti indossati a
metà, di quel letto che forse è ancora caldo. Lo supera e si chiude in bagno,
ed egli non la degna di uno sguardo, la lascia passare ordinandole, col suo
silenzio, di non provare neanche a sembrare interessata; lei ubbidisce e mentre
getta l'acqua fresca sul viso giovane, continua a pensare. Ma non pensa a Jude,
non pensa a cosa cucinare né a cosa fare quella sera. Sienna esce dal bagno e
sa già qual è la propria decisione: non può più pensare, ha pensato per troppo tempo e ormai non ha
più nulla da perdere, e non c'è nulla che vale la pena di salvare. Cammina
ancora davanti al suo uomo ─che forse non le è mai
appartenuto davvero─ e si dirige in
salotto.
Ha deciso.
Ha capito ─o
forse è più esatto dire che ha accettato
di aver capito ─ che lei vuole di più,
e non sa se lo merita o meno, se è giusto o no, non sa quanto farà male a lei e
agli altri, ma sa che così non si va da nessuna parte. Con quei sorrisi di
circostanza e quelle scene familiari che nulla hanno a che fare con la
famiglia, sarebbero rimasti per sempre due ombre vuote di quella casa vuota che
in quel week─end era privata persino dell'unica fonte
di unione di cui era provvista. Ma Sienna sa che i bambini non sono una
condizione, una colla, un rifugio di normalità. Eppure pensa che forse c'è
ancora una possibilità ─ed è questo che la
ferma, ogni volta. Si ritrova a domandarsi se il suo Amore debba coincidere con
l'offrire possibilità, ed è una domanda a cui non sa ─o
non vuole─ rispondere.
«Vado a quella festa, stasera» dice dalla cucina,
mentre un sensore del suo cervello avvia una ricerca del vestito da pescare dal
guardaroba.
Il suo
uomo, ancora fermo come lo ha trovato, non risponde, ed ella ha improvvisamente
voglia di piangere e urlare e vomitare. Ma non lo fa. Non muta espressione e
continua a passeggiare tra la cucina e il salotto «Potremmo andarci insieme»
azzarda, fissandosi le unghia finte. E sa già la risposta, ma deve chiederlo, perché lei ci crede
ancora e magari quella ferita è la fine di una storia e magari lui tornerà da
lei e magari capirà di amarla e ─
Lo sente sbuffare.
«Sai che non mi piacciono queste cose» sbotta.
No,
non sa niente di lui, e non vuole saperlo.
«E poi …» continua quello, bloccandosi subito dopo.
E
poi come spiego questa ferita? ─completa
lei la frase, nella sua mente.
Il suo uomo è tornato in silenzio ed ella adesso
sorride. Si deride da sola, perché si è sempre considerata una donna forte, e
forse non lo è affatto.
Un muro e un corridoio circondato da quadri scelti
da lei la separano dal suo uomo.
E si ritrova a chiedersi di chi sia veramente quest'uomo.
Suo
─di chi?
Di
chi?
«Okay» approva, e ha deciso che questa è l'ultima.
Ha deciso che non si va avanti.
Ha deciso.
Torna a scegliere mentalmente il vestito da indossare
alla festa, e nel frattempo tira fuori la valigia dal ripostiglio.
·
Love fostered in flame and fire
Robert guarda la fotografia che troneggia sul suo
comodino. Ha deciso che quella sarà l'ultimo oggetto che riporrà nelle sue
nere, tetre, tristi valigie. È seduto a gambe incrociate su un letto che non
gli appartiene, ma che ha fatto suo per lunghi mesi. Le coperte di raso sono
lucide e sfumate dei colori del tramonto, e rosso è il tendaggio che ricopre le
grandi vetrate con vista sulle vie del centro di Londra.
Rosso è anche il vestito della donna che gli sta
accanto nel ritratto, mentre è intento a sorridere verso la macchina
fotografica, sfoggiando un abito scuro e il suo sguardo penetrante che riesce a
trasparire anche da una fotografia. Prende il cartoncino ed è come toccare un
oggetto, nella prima mattina, e ricordare improvvisamente il sogno fatto
durante la notte: ricorda quella serata londinese, una delle tante sotto la
sapiente guida di Guy, circondato da tanta gente che non sentirà la sua
mancanza, e da Jude. Ricorda quella serata come un insieme di succhi d'arancia
e sorrisi, fruscii di abiti femminili e sguardi nascosti, rubati, illegali. E
profumo di Jude.
E gli sembra già così lontano.
Continua a guardare la fotografia con i due sposi in
primo piano e un bar sullo sfondo, e pensa soltanto a ciò che manca, e ciò che
manca è lui.
L'altro.
Gli piace immaginare che la figura luminosa di Jude
sia soltanto coperta da quel dito stampato per sbaglio nella fotografia, ma la
verità è che Jude non c'è, non c'era in quella foto e non ci sarà mai, alla sua
sinistra, a riempire il vuoto dove nuota il suo braccio in attesa dei fianchi
stretti dell'inglese.
Succede in quell'istante, avviene allora che il suo pensiero
assuma altre forme, e ogni forma ha una sola ombra costante che continua a
ripetersi, che continua a dirgli che non basta. Susan non basta.
Tutto gli pare un po' più chiaro e lentamente la sua
intera esistenza si riassume in quella fotografia, che in fondo non è altro che
un pezzo di carta rigida e lucida. Susan è lì con il suo amore rosso e il suo
sorriso libero di esprimere ciò che vuole, mentre Jude ─chissà
dov'era in quel momento─ è sostituito dal
vuoto, da un dito sfocato, da tutto ciò che non può nemmeno immaginare di
riempire la sua mancanza, con quell'impalpabilità che la rende quasi ridicola.
Quindi Robert sposta lo sguardo sul lusso che lo
circonda, sui vestiti ripiegati con cura dentro il suo bagaglio, sul mondo che
gli gira intorno ed è solo un intruso, un malandrino dito nell'obiettivo che
disturba l'autore della fotografia della sua esistenza, che la rende senza
senso.
Sospira, chiude gli occhi perché non può fare altro.
Si alza dopo qualche secondo e continua ad
accartocciare i calzini e a lanciarli dentro la valigia, mentre passeggia lungo
la stanza vuota, udendo in lontananza lo scroscio dell'acqua della doccia.
È quasi felice di esser stato al gioco di Jude,
anche se ha fatto male, e anche se non è più sicuro che quello sia stato soltanto
un gioco e quelle parole non siano state nient'altro che la manifestazione dei
suoi veri pensieri. Ma va bene. Hanno reso tutto più cattivo, più sporco,
facendo del loro amore un pallido capriccio del destino, una volgare storia di
voglie e desideri nascosti, di verità sussurrate e menzogne in mondovisione.
Perché così doveva essere, sin dall'inizio.
Ma loro sono solo due uomini, e sono indifesi come
una spiaggia nuda in balia di un maremoto, di un'onda che travolge e distrugge
tutto ciò che trova e lascia solo la verità, a galleggiare tra i detriti.
Conta soltanto una cosa, adesso: sopravvivere.
E non importa se bisogna rifugiarsi nella rabbia, o
nell'indifferenza, o nei ricordi soffocati di una vita che ha iniziato a
scorrere quando ormai era troppo tardi.
Deve sopravvivere, a quell'addio, a quell'amore, a
quelle immagini vivide di lui e di tutto ciò che lo circondava. Pensa questo,
alla sua esistenza senza nucleo centrale delle proprie emozioni, quando
l'ennesimo paio di calzini arrotolato finisce tra i piedi della donna sulla
soglia della stanza.
«Non hai ancora finito?» gli chiede, volendo
mostrare fastidio ma ─come al solito─
evidenziando tanta dolcezza. Indossa soltanto un grande asciugamano azzurro
avvolto attorno al corpicino sottile, e i suoi capelli bagnati e ondulati le
scendono lungo le spalle incorniciando il viso fresco e privo di trucco.
Robert sembra risvegliarsi da un incubo, ed è anche
sudato, nonostante il freddo di Londra sia notevole in quei giorni invernali. Pensa se lei
facesse la stessa cosa! ─continua a pensare, e il suo cuore diventa un po'
meno caldo, quando lei si avvicina e lancia i calzini dentro la valigia.
L'uomo sa che se Susan facesse la stessa cosa, egli si
sentirebbe un fallimento ─anzi lo sarebbe davvero. Ma, allo stesso tempo,
pensa a Susan e a quanto sia tutto meno che un fallimento, e alla loro storia,
a loro due.
E allora perché non gli basta?
«Ma partiremo soltanto
domattina» protesta senza riuscire a trattenere un sorriso affettuoso,
attirando la donna a sé.
«Però tu sei veloce
quanto un bradipo» cantilena, e l'uomo non sa perché ogni volta che la sente
parlare, le sue orecchie percepiscono la sua voce come una musica.
Probabilmente, succede
solo perché gli piace ascoltarla.
Le cinge la vita con le
braccia forti, posandole un bacio sul naso.
(Pensa se lei facesse la stessa cosa)
(Pensa se lei facesse la stessa cosa)
Scuote la testa.
È qualcosa che potrebbe
farlo impazzire, non vuole pensarci, non più ─tanto ormai non ha più importanza.
«È la nostra ultima
sera a Londra» gli sussurra quella, ondeggiando tra le sue braccia in una danza
involontaria «Come vuoi passarla?»
Robert la guarda muto
per qualche istante «Restiamo qui» dice, stringendola più forte, affondando la
testa nell'incavo del suo collo, e Susan riesce solo a intuire quanto dolore
rimarrà sospeso nel fumo londinese quando di loro resteranno soltanto i
ricordi.
*
Sienna torna presto. Mancano venti minuti a
mezzanotte quando varca la soglia di casa e si spoglia delle scarpe scomode,
abbassandosi di dieci centimetri. Jude è ancora sveglio, non perché la stia
aspettando, ma solo perché non riesce a chiudere occhio. La vede entrare di
corsa nella stanza da letto, a piedi nudi, e inarca la schiena alzandosi per
metà dal materasso.
«Già di ritorno?» vorrebbe chiedere, ma la donna non
lo degna di uno sguardo mentre apre l'armadio e lo interrompe prima che possa pronunciare
la prima sillaba.
«Sono venuta a prendere le mie cose, dormo fuori»
annuncia, e per un attimo s'illude anche di provocare in lui un qualsivoglia
sentimento: curiosità, stupore, gelosia
magari.
Invece l'altro annuisce apatico «Va bene»
Sienna guarda l'armadio strapieno davanti a sé e si
convince che è la cosa giusta.
È la cosa giusta.
Nonostante tutto quello che comporterà.
«E non penso che tornerò più a dormire qui» dice
velocemente, rivolta al fondo dell'armadio. Il gelo delle sue parole è affilato
come un pugnale «Anzi, ne sono proprio sicura, stavolta»
Si volta.
L'uomo non muta espressione.
La guarda senza permettere a nessuna emozione di
trasparire dagli occhi cobalto «Mi dispiace» sussurra soltanto, dopo un po'.
Quella scuote la testa e si siede ai piedi del letto
«Non è vero» ribatte sorridendo tristemente.
Jude abbassa lo sguardo «Io …» inizia, ma in realtà
non sa cosa dire «… Ho provato a ─»
«Lo so» La donna lo guarda con tenerezza, ed egli si
rende conto per la prima volta del male
che le ha fatto.
«Io ti ho amato davvero, Jude» dice, con tanto
dolore negli occhi e un'espressione rassegnata stampata sul viso camuffato da
colori che non sono suoi.
Jude la immagina pallida, sotto gli strati di
trucco, e non la guarda.
Pensa soltanto di non essere sicuro di poter reggere
due addii in un solo giorno.
«Mi dispiace» le risponde, ancora, perché non sa
cos'altro dire, che non sia una menzogna ─e
le ha già mentito abbastanza, in quegli anni.
La donna piega la schiena e lo bacia lentamente, leggermente,
quasi timidamente sulla guancia destra. È forse il gesto più romantico che
abbia mai compiuto.
«Addio, Jude» mormora, e poi si allontana
continuando a guardarlo con quegli occhi vuoti di speranza.
*
È notte e il buio è impenetrabile in quella stanza
dai tendaggi rossi appena percettibili nel vago riverbero lunare. In
lontananza, si sentono soltanto i rumori della Londra notturna ─automobili
che sfrecciano, vociare confuso. Qualcuno è ancora in piena attività, nel
palazzo risuonano i rumori dei passi e delle sedie trascinate sul pavimento.
Susan dorme già da mezz'ora, il suo viso pulito e i suoi capelli spettinati la
rendono bellissima nel suo pallore disordinato. Si è addormentata guardando
l'uomo al suo fianco, come sempre. Robert, accanto a lei, è ancora sveglio e ha
il vago sentore che durante quella notte non dormirà nemmeno un po'.
Ha ragione, ma non per i motivi che immagina.
Continua a pensare a Jude, e continua a rimuginare
sul viaggio e sulla cena che gli è rimasta sullo stomaco; ma c'è un motivo ben
più palese, e si manifesta a lui con una vibrazione.
Sente il lamentoso trr─trr del
cellulare che vibra sbattendo contro la superficie del comodino e non ci pensa
neanche per un secondo: si getta sull'aggeggio, preme un tasto e mentre urla un
«Pronto?» affannato, si accorge di quanto il suo cuore stia scalpitandogli nel
petto.
Passano alcuni secondi, e all'orecchio gli giunge
soltanto il silenzio.
«Pronto?» riprova, e sente che ha bisogno di sentire la sua voce.
Rispondi.
Rispondi.
Rispondi.
«Chi è?» biascica Susan, rigirandosi sul letto.
In quel momento, dall'altro capo risponde una voce
sussurrata piena di terrore, «R─Rob» balbetta, e l'uomo
ha dimenticato tutto e non gli importa più di quello che è successo, di quello
che sta facendo, di quella donna che si è svegliata e lo guarda con aria
interrogativa.
«Ciao, Jude» mormora soltanto, guardandola. Ella gli
sorride un po' a disagio.
«È Jude? Salutalo da parte mia»
«È andata via» sussurra l'inglese, e Robert ha
paura, anche se non sa bene di cosa.
Vorrebbe dire qualcosa, ma non è sicuro di aver
intuito bene, e ci sta ancora pensando mentre dall'altra parte giunge un
sospiro che somiglia più a un singhiozzo «Per sempre!» urla Jude, mentre
l'americano guarda il vuoto e non sa cosa dire.
Sente di
nuovo un singhiozzo strozzato, lontano, soffocato «Jude, non ─»
cerca di fermarlo, perché sa che se continuasse, potrebbe dire qualunque cosa,
lì in quella stanza.
«Non ce la faccio» lo interrompe l'altro, in un
soffio, e Robert ha già preso una decisione.
Annuisce al vuoto «Sto arrivando» annuncia,
chiudendo la chiamata e impedendogli di replicare.
Susan ha l'aria preoccupata «Che cosa succede?»
chiede «È qualcosa di grave?» aggiunge poi, vedendo il marito che si veste in
fretta e furia.
«Sì» le risponde velocemente, prendendo le chiavi
della macchina e quelle di casa «Torno subito» promette, e la bacia velocemente
prima di volare via.
·
And if death and severing come tomorrow …
Arriva dopo meno di dieci minuti e spinge col dito
sul campanello fino a che la porta non si apre timidamente, rivelando il viso
di Jude, salato di lacrime, sporco di una cicatrice rossa, pallido di terrore e
ricoperto di pelle quasi trasparente, da cui emergono le piccole vene delle
tempie. Robert lo guarda per alcuni secondi e pensa che non lo ha mai visto
così bello, ma non c'è tempo per contemplarlo, non c'è tempo di parlare né di
restare fermi ad aspettare, e il terrore che si fa sempre più vivo sul viso
dell'inglese ne è la prova.
Così Robert non pensa, ha smesso di pensare, ha
messo da parte il futuro e chiuso il passato in una valigia, perché mentre la
sua macchina correva e le sue dita tremavano al volante, la verità gli era
giunta come una folgorazione: la verità è che non conta nulla di tutto ciò, che
il passato e il futuro e le indecisioni e i piani elaborati e la paura e il
dolore sono soltanto illusioni, macchie sbiadite di una foto, ricordo di un
dito nell'obiettivo che non esisterebbe se qualcuno non glielo avesse messo
dentro erroneamente.
Ciò che conta è lui.
Sono loro.
Fa un passo avanti e l'altro non si sposta.
L'americano si sente rallentato, o forse è solo il suo cuore che corre più
veloce della Terra che lo circonda. Afferra il viso distrutto di Jude tra le
mani e gli sfiora la ferita, mentre l'altro chiude gli occhi.
Quell'attimo dura un'eternità, prima che Robert si
avvicini alle labbra troppo rosse dell'altro e gli getti addosso il proprio
respiro «Perdonami» lo supplica, solamente.
Jude apre gli occhi e affonda i propri oceani nei
pozzi scuri dell'altro «Anche tu» dice, e le sue guance si riempiono ancora di
lacrime.
Robert lo bacia come non succedeva da tempo, con
quell'aria timorosa, con quel terrore di sottofondo, che si sprigiona nelle
piccole vibrazioni delle sue labbra. Jude lo percepisce e per un attimo torna
all'istante in cui si erano sfiorati per la prima volta, una vita fa, e
sorride. Cinge l'americano in un abbraccio e spinge sulla sua bocca, tanto da
sentire male alle labbra. Ed è un dolore piacevole, un bruciore che lo
riscalda, che lo riempie, ed egli ha un disperato bisogno di essere completato.
Dura una vita anche quel bacio a labbra strette, o
forse è solo il tempo che rallenta il suo corso per allontanare l'istante in
cui tutto finirà.
Il tempo si distorce, si allunga, si è sformato in
un'ellissi che li ricopre e li avvolge, proteggendoli dal mondo che li aspetta,
appena fuori da quel cancello bianco.
Passa un'altra eternità e loro sono già dentro la
grande casa, la porta chiusa alle loro spalle e Robert seduto sul letto. Guarda
l'altro e lo ascolta, anche se non sta dicendo nulla. Ascolta i suoi silenzi,
lo aspetta, lo osserva, mentre gli sta accanto e i suoi occhi, ora asciutti,
sono distanti e le labbra meravigliose torturate tra i denti.
Non sa nemmeno come sono giunti fin lì ─abitudine,
gli verrebbe da pensare; ma gli piace immaginare che qualcosa di più alto li
stia guidando. Il tempo, o l'Amore stesso ─non
vuole saperlo, gli basta sapere che è lì e li estrania dal resto della realtà.
«Vuoi parlarne?» gli chiede, e Jude scuote la testa.
In effetti, non c'è niente da dire, e mentirebbe se ammettesse di non
aspettarsi un gesto simile da Sienna.
«Non sa niente» si limita a rassicurarlo, e
l'americano annuisce con un'espressione un po' svagata.
Jude si fissa le mani bollenti «Ho creduto per tutta
la vita di avere un problema, una specie di malattia» inizia dopo qualche
secondo, con un sorriso stanco che fa capolino nel suo viso illuminato dalla
pallida luce artificiale «Guardavo la gente innamorata, per strada, tra i miei
amici, vedevo te e lei. E poi vedevo me. Ed è assurdo, perché non mi sono mai
immaginato come il resto degli uomini, non ho mai provato niente verso
qualcuno» non si accorge nemmeno che sta sussurrando quelle frasi con voce così
tenue che persino Robert, che gli sta accanto e lo stringe con un braccio, fa
fatica a sentirlo «Invece ho sempre sbagliato tutto e cercato la gente
sbagliata, mi sono sforzato di─»
Robert ride giusto un po', per quanto ne è capace,
in quella notte, e Jude nota di parlare da dieci minuti di qualcosa, senza aver
specificato l'argomento, e che l'altro probabilmente non può neanche intuire
dove stia andando a parare.
L'inglese abbassa lo sguardo «Sono un idiota»
dichiara.
«Non è vero» ribatte l'altro, mentre egli tira su le
gambe sul letto e gli si pone di fronte, e lo può veder sorridere dolcemente.
«Sì, invece, perché tutto questo dovrebbe soltanto
introdurre qualcosa, e non so─» annaspa, e Robert
pensa solo a quanto sia bello e a quanto gli mancheranno i suoi discorsi persi
e i suoi sguardi lontani.
«Cosa?» chiede, e non ha nemmeno il coraggio di sperare in una certa risposta.
Jude sta zitto e poi lo bacia a lungo. Probabilmente
lo sta soltanto assaporando per l'ultima volta prima che cambi tutto.
«Che sono patetico» dice infine, sulle sue labbra.
Robert lo guarda senza capire, in parte perché quando lo bacia, perde ogni
pensiero coerente.
«Perché?» gli domanda senza allontanarsi, sfiorando
la pelle del suo viso con le dita lunghe, e sfumando le sue lacrime. L'inglese
lo guarda a lungo.
«Perché non voglio che te ne vada» ammette, mentre i
suoi occhi sembrano pieni di fuoco. Posa ancora le proprie labbra su quelle del
moro in un bacio disperato, e l'altro non riesce nemmeno a muoversi.
Jude lo libera e lo scruta, riuscendo quasi a
specchiarsi nelle iridi dell'altro «Perché ho bisogno di te» continua, ancora
avvinghiato a lui e tremante dalla testa ai piedi. Lo bacia ancora, e ancora,
in piccoli stampi quasi timidi ─e l'altro lo lascia
fare, ricambia, suda, vorrebbe dire qualcosa ma non ha il tempo di pensare, ché
già l'altro ha aperto la bocca e sta per dire qualcosa, aspettando soltanto il
momento giusto.
«Perché mi sono innamorato di te» lo dice, e basta.
È appena un sussurro, ma Robert lo ha sentito bene e
resta fermo a guardarlo, immobile tra le sue braccia, in attesa di qualunque cosa.
Robert vorrebbe urlare, stritolarlo, prenderlo e
infilarlo in valigia, e invece fa soltanto una cosa: lo bacia. Ed è un bacio
vero, è infinito e appartiene soltanto a loro.
L'altro chiude gli occhi e lascia che lo conduca in
quel bacio che non ha niente a che fare con la passione, con i preliminari, con
i loro corpi ─è l'unione delle loro anime, ed è l'amore
e nessuno può impedirgli di farlo, perché è l'Amore stesso che li guida.
«Ti amo» replica l'americano, non gli importa più di
mostrarsi forte e distaccato, ormai niente ha più importanza, sono loro e basta così.
Basta
così.
«Abbiamo rovinato tutto» sussurra l'altro,
sorridendo per metà.
«Jude, io ugualmente non ─»
«Lo so» l'inglese sorride, dolce, senza riuscire a
staccarsi dalle sue labbra.
Lascia che le mani dell'altro scivolino lungo il suo
collo e corrano a liberarlo dalla camicia «Promettimi che non è un addio»
soffia Jude, mentre l'altro sta respirando a pochi millimetri dal suo collo.
«Non lo è» gli assicura, e bacia la sua pelle «Ci
saranno le interviste al Letterman» sussurra, scivolando verso il torace «… Gli
Oscar»
«Ci hanno nominato?» gli chiede Jude, piegando la
schiena fino a giacere disteso sul materasso.
«No, li presenteremo»
«Ah, mi pareva strano»
Robert ridacchia e gli molla un morso sulla pancia
«E poi, le premiere …» continua, sganciandogli la cintura «I … Golden Globes?»
Gli sfila i pantaloni in silenzio, lo spoglia con
lentezza ─ l'eternità è lì per loro, quella notte.
Il tempo scorre come nei sogni, sono trascinati
negli istanti come in un uragano che li converge verso il centro, l'inizio, la
fine di tutto. Non sanno come, non gli importa, non è rilevante ─ma
sono lì, e adesso l'uno è il luogo dell'altro, e naufragare è come trovare la
fine del mondo e gettarsi giù dal precipizio, nel nulla. Sono insieme e sono
l'uno nell'altro, le loro pelli sono un caleidoscopio e lo spazio che li
contiene ha la loro stessa forma.
Sono due luci che vibrano nell'oscurità, due
supernove che esplodono nel nero, e poco importa se i gemiti fanno quasi paura,
ché li avvicinano alla fine, e se nessuno pensa più che sia qualcosa di
sbagliato ~perché non può essere sbagliato, perché chi può dire cosa è
sbagliato?
Poco importa se l'estasi è dolore e l'amore è nei
corpi e nelle anime, e non potrà mai essere nelle loro vite.
Non importa nulla, non importa perché loro sono lì, e domani non lo saranno più.
Nulla può cambiare questo, e niente potrà mai impedirgli di essere, in qualche modo ─di
esistere, uniti, ancora, fino alla fine e al giro di boa, fino a che non
tornerà tutto all'inizio.
… I have our kisses, swet
heart, today ~
Sono entrambi distesi su un fianco, l'uno di fronte
all'altro, e nessuno dei due ha il coraggio di parlare.
Robert lo sta sfiorando con le dita della mano
destra, contemplando quella bellezza esterna che non riesce a proteggere la
fragilità dell'uomo al suo interno. La sua mano scivola lungo il petto, il
torace, il ventre, i fianchi, le cosce ─e
Jude lo vede osservare ogni lembo della propria pelle, guarda i suoi occhi e li
percepisce persi in un mondo di Bellezza, e quel mondo è lui.
«Ti appartiene» mormora «Tutto»
Robert alza lo sguardo, che è un po' malinconico, un
po' lontano, un po' innamorato, un po' perverso, e un po' di tutto «Mio»
conferma, e l'altro annuisce sapendo già che nulla del genere uscirà mai dalla
bocca dell'americano.
Ma non gli interessa, sa che l'amore di Robert è in
parte anche suo, e gli basta. Non oserebbe chiedere di più.
Jude chiude gli occhi e si crea un solco nel cuscino,
dove poggiare la testa «Resta qui, stanotte» lo implora, ma Robert sta già
evitando il suo sguardo.
Guarda distrattamente l'orologio sul comodino, è
fermo e segna le undici e dieci.
«Non posso»
«Resta comunque»
«Ti amo»
«Non andare» riapre gli occhi, e Robert si è già
voltato, ha raccolto i suoi vestiti e li sta tenendo in mano mentre gira
intorno al letto cercando qualcosa.
Non
può stare lì finché non se ne va, non può restare a guardare mentre varca la
soglia di quella stanza e sparisce nella nebbia.
«Resti finché non mi addormento?» si sente dire
quelle parole e sembra quasi pazzo. Non riesce a credere di aver detto qualcosa
di tanto stupido.
Robert si costringe a sorridere e torna sul letto,
alle sue spalle stavolta ─così può nascondersi e
nasconderlo alla propria vista e immaginare ancora che vada tutto bene.
Lo abbraccia da dietro «Sì» gli sussurra sulle
spalle.
Jude percepisce soltanto il suo respiro che lo
tocca, il suo profumo che gli riempie la testa, e i suoi vestiti freddi contro
la pelle nuda.
Fino a che tutto non diventa fumo.
*
Quando Jude si risveglierà, alle dieci e trenta del
mattino, Sienna avrà già chiamato i suoi e li avrà avvertiti del proprio
ritorno a casa, Londra si sarà già stupita del sole tetro che farà capolino
dalle nubi, un paio di messaggi sarà già stato registrato nella segreteria, le
coperte saranno già arrotolate disordinatamente ai bordi del letto, e Robert
sarà già in volo sull'Oceano da più di un'ora.
L'uomo si rigirerà sulle lenzuola ad occhi chiusi, e
odorerà il profumo di Robert a lungo. Alzerà la schiena dopo qualche minuto, e
lentamente il mondo intorno a lui prenderà forma, e i pensieri
s'impossesseranno della sua mente.
Ma non sarà abbastanza, perché l'odore di Robert
sarà così intenso da convincerlo che l'altro sia ancora lì, in quella casa, in
cucina a fare il caffè.
L'illusione durerà per qualche istante, e sarà
meravigliosa, tanto che forse una parte di lui vorrebbe non risvegliarsi mai e
continuare a immaginare. Però, il mondo sarà lì a circondarlo e la realtà sarà
tanto dura quanto vera, e se ne renderà conto quando il suo sguardo si sposterà
lungo l'altra metà del letto. Così vuoto, bianco, così perfetto nella propria
mancanza, e così improprio nel bisogno di essere riempito e di elevarsi a una
realtà in cui il bagnato delle proprie lenzuola non trovi mai il vuoto ad
attenderlo, al mattino.
Jude non avrà tempo di concentrarsi e riflettere, e
ricordare, e pensare, e forse piangere.
La sua attenzione è sempre stata flebile, e in quel
mattino poco luminoso, sarà totalmente attratta dalla macchia scura vicino al
cuscino. La vedrà da lontano e la identificherà come una chiave.
Gli torneranno in mente quei momenti dentro il
proprio appartamento, quando gli aveva consegnato la chiave senza sapere bene
perché, forse perché sapeva già che quella casa sarebbe dovuta essere riempita
soltanto da loro, in un'altra vita.
Durerà un attimo, prima che gli occhi appannati di
Jude non notino che quella non è la sua chiave, ma una chiave qualsiasi, che potrebbe aprire qualunque cosa meno che
la porta di quella casa.
Si deciderà finalmente a prenderla, chiedendosi cosa
potrebbe mai significare una chiave ─e
forse anche cosa potrebbe mai aprire.
Troverà la risposta in un foglietto bianco finito
sotto il cuscino, attaccato con una corda alla chiave, che tirerà fuori
attirando l'oggetto a sé.
Il foglio sarà ripiegato in due, e Jude scoprirà il
tremore delle proprie mani mentre lo scartano come un regalo, vedendolo come
potrebbe vedere l'ultimo respiro di un moribondo, l'ultimo sguardo di un
viaggiatore prima che il treno sparisca all'orizzonte.
Riconoscerà la calligrafia regolare e un po' grande
dell'americano, mentre rigirerà un lembo del foglio, con tanta lentezza, perché
non vorrà che quell'ultimo respiro prima della fine duri troppo poco.
Jude guarderà il foglio per molto tempo, leggerà le
lettere una alla volta, osservando ogni piccola curva dell'inchiostro sulla
pagina, scrutando il leggero tremolio di alcuni tratti. Su quel foglio
troneggerà un'unica parola:
"Scoprilo"
***
Note:
Prima le cose serie e poi passo alle cavolate,
promesso.
·
*Le frasi che vedete sparse qua e là in rosso, sono
tratte da alcune poesie di Oscar Wilde, e in particolare: la prima fa parte di "Ye Shall be Gods",
così come la seconda, tratta dalla στροφη Β, mentre le ultime due sono
versi di Love Song.
·
*Il finale è aperto perché sono sadica perché
be', mi piaceva l'idea di lasciare questo stralcio di vita in sospeso.
·
*Probabilmente ci saranno degli errori riguardanti ad
alcuni particolari della vita di entrambi, a dire il vero sono un po' impazzita
per trovare date e cose del genere, ma in tal caso mi scuso D:
Inoltre, devo puntualizzare, per chi se lo fosse
chiesto, che né Robert né Jude né Sienna né Susan mi appartengono, ebbene è
così ._.
E sono perfettamente a conoscenza del fatto che questa
cosa è successa solo nella mente di giovani fangirl fantasiose, già.
Poi, volevo solo dire che sento di aver sbagliato
tutto, e che probabilmente non è niente di che, e che magari è un'idea già
utilizzata (oddio, in questo caso linciatemi pure ._.), ma provo a postarla, e
sono pronta a ogni tipo di consiglio/critica/quellochevipare.
Voglio ringraziare una persona che non fa parte di
questo fandom, per averla letta e per non avermi preso per pazza. E voglio anche ringraziare Vane, che mi ha
dato alcune informazioni importanti ed è stata gentilissima con me (♥)
Spero che abbia fatto sognare o abbia reso la giornata
un po' meno noiosa a qualcuno, come è successo a me quando l'ho scritta x'D
Grazie a chiunque sprecherà il suo tempo a leggerla.