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Autore: Toguro    10/07/2011    0 recensioni
In un futuro non eccessivamente lontano, due soldati si ritroveranno a vagare esiliati in un deserto, ricordando pian piano come ci sono arrivati. Nel pianeta Geha, dopo che i terrestri vennero costretti dalla natura che ormai aveva perso le forze ad abbandonare la terra, vi erano principalmente tre imperi: Dayto, Meyil e Yoku. Yoku era il più aggressivo fra i tre imperi e costrinse Meyil a rifugiarsi nelle montagne a sud ed invase Dayto. Ma gli RSSA (Rebel Survival Soldiers Aliance), ribelli di Dayto, iniziarono una guerra contro Yoku.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Racconto narrato dal punto di vista di Oliver.

 

SOLDIER 
Capitolo 1 - THE RED


Era da troppo tempo che vivevo fra fiamme e polvere alzata da carri armati, liberi per le strade. Nessun angelo avrebbe salvato queste povere vite che stavano per perire in un modo brutale, sotto i colpi di canna dei fucili che con una sola pressione al grilletto, ti avrebbero potuto uccidere. Ci servono un migliaio di morti, dopo entreremo nella storia. Mi rivoltavano quegli esseri viscidi che strisciavano sotto il potere di una volpe che comandava come marionette tutta Geha; con un unico filo poteva controllarci tutti, e noi soccombevamo a quella potenza che una scaltra volpe poteva mettere in gioco usando la testa. E di testa ne aveva troppa, William Taker.
Nessuno avrebbe mai pensato che un giorno, l'umanità sarebbe potuta arrivare a distruggere il secondo pianeta concessogli, ma siamo peggio delle bestie avide di cibo, vogliamo tutto e subito, senza capirne gli effetti. Ed ecco lo sbaglio di Yoku: hanno preso tutto quello che c'era da prendere sul secondo pianeta, ed adesso distruggono ciò che non vuole stare sotto il loro volere. Ma, ora della fine, è sempre stato così: dieci uomini comandano, gli altri devono essere comandati. Noi siamo gli altri.

« Capitano, che giorno è oggi? »
« Non lo so Lenn... Ormai dovrà essere passato qualche anno dall'ultima volta che abbiamo visto una città. »
Eravamo in due, Io, comandante dell'esercito ribelle RSSA, Oliver Trancy ed il soldato semplice Lenn Bakman. Quel giorno era particolarmente caldo, anzi, torrido. Come al solito la sabbia bruciava talmente che si sentiva il calore penetrare negli scarponi di gomma, con un carrarmato di cinque centimetri. Non dovevamo correre da nessuna parte, nessuna era la nostra meta, nessuno ci aspettava a casa. Eravamo solo due anime perdute nella sabbia, sotto il sole cocente di Geha, che si rivoltava sopra le nostre teste protette da bande ancora sporche dalla guerra che incombeva fino a qualche anno prima. Ce l'avevamo fatta, solo noi due, i due eroi di cui nessuno avrebbe saputo il nome, né l'esistenza, ma i quali cambiamenti erano visibili e il quale dono a tutta l'umanità era stato uno dei migliori mai avvenuti negli ultimi secoli di vita sul nuovo pianeta.
Misi le mani in avanti, affondandole in una duna di sabbia che copriva momentaneamente e minimamente il sole. Non ce la facevo più, ero sfinito, ma dovevo tener duro fino alla sera, quando avrebbe fatto più fresco. portai la mano avanti, seguito dal piede e così via, scalando quella duna alta qualche metro.
« Capitano ... »
« Ormai puoi chiamarmi Oliver. Comunque sia, dimmi. »
« Secondo lei torneremo a casa? »
« Perché, tu ne hai ancora una? »
Era un bravo ragazzo, giovane. Aveva sui dicciott'anni quando iniziò gli addestramenti con l'RSSA, di solito i ragazzi della sua età erano tutti in favore di Yoku, ma lui era diverso, lui voleva mettersi in gioco per la patria natia del suo padre, stato strappato da lui quando era solo un bambino, da proprio quell'impero che voleva combattere. Era alto sul metro e settantacinque, biondo, con occhi blu e profondi. Era abbastanza pallido, anche se il sole che batteva sul deserto lo dovrebbe già aver ustionato. Era esile, ma forte di cuore.
Mi persi a scrutarlo ancora una volta, volevo sentire com'era stare esiliato dalla propria famiglia così giovane.  Io non potevo provarlo, perché ormai una famiglia non l'avevo più da troppo tempo.

Era giunta notte sul deserto di Geha, quell'immensa distesa di sabbia. Ci esiliarono in questo mondo parallelo, completamente disabitato, quasi cinque anni fa per mano di Taker. Da allora siamo costretti a vagare in cerca di una porta nella quale poter ritrovare il nostro mondo, quello da cui provenivamo, ma ogni qualvolta ne aprivamo una, trovavamo solo una stanza vuota, nessun biglietto di ritorno per casa. Ci accampammo al freddo della notte, piazzammo due dischetti, da cui si aprirono una tenda ciascuno, pronta per ospitare i sogni di noi soldati, che ormai non esistevano più, non mi ricordavo neppure com'era sognare.
Accesi una lanterna e la posizionai fra le due tende, per far luce ad entrambi.
« Ancora cibo in scatola, eh? » domandò Lenn sorridendo.
Annuii, tenendo lo sguardo basso sulle fiamme ardenti, senza esprimere emozioni.
Presi la prima cucchiaiata dalla scatola e la misi in bocca. Era apparentemente disgustosa; beh, lo era anche di sapore, però dopo anni ci si fa l'abitudine.
« Umh... Oliver, ti va di raccontarmi un po' del tuo passato? »
« Ok. Allora, incomincio... »

Mi chiamo Oliver Trancy, vengo dall'impero di Dayto, precisamente dalla cittadina di Bilgar, una piccola comunità in campagna, dove la vita è semplice e si fruttano soldi principalmente tramite aggricoltura ed allevamento.

« Piccolo teppistello, torna qui! »
« Prova a prendermi, vecchia! »

Ho sempre avuto un carattere allegro e vivace, in città mi chiamavano volpe perché ho sempre avuto i capelli rossi, proprio come il manto di una volpe ed ero furbo e veloce a scappare dalle mie malefatte da teppistello. Ma principalmente lo facevo per un solo motivo: non avevo nessuno, né padre, né madre. Ero da solo, a vivere in un pollaio abbandonato, a dovermi occupare della mia fame, della mia sete, delle mie ferite. Non avevo nessuno, ero vuoto.

« Edward, se fosse ancora viva tua madre non sarebbe fiera del tuo comportamento. » disse zia Annabell, rimproverandomi senza urlarmi dietro come facevano le vecchie a cui rubavo il pollame o le torte. Tenevo lo sguardo basso, quando due strisce di lacrime mi scesero dagli occhietti e bagnarono il pavimento. Mi asciugai con la manica della maglia, tirando su col naso e singhiozzando.
« Fai il bravo e gli angeli dei tuoi genitori ti proteggeranno » Mi accarezzò i capelli rossi vividi, dandomi un bacio in fronte.
Alzai lo sguardo ed arrossii, mentre lei sorrideva con il suo sguardo dolce, come una bambola di porcellana. Ero innamorato di mia zia, l'unica che mi poteva tenere a bada, ingenuo di quello che stava accadendo. Si alzò in piedi e mi prese le mani.
« Edward, quando diventerai grande, dovrai proteggere le persone e fare del bene per loro. Questo vorrebbero i tuoi genitori. »
Annuii e sorrisi, facendo scoccare una scintilla nel mio animo. lasciai le mani di zia Annabell e mi portai il pugno al petto.
« Io... Io lo prometto zia, sulla mia vita! »
Ma quella scintilla di volontà che scoccò ardente nel mio giovane cuore si spense presto. Era un pomeriggio d'estate e dovevo recarmi alla villa di zia Annabell per la prima volta. Ero stato addottato da lei stessa, così da non dover più vivere nella campagna da solo: la zia era nobile, come tutta la mia casata, ma io ero come la pecora nera. Per i miei capelli di un colore strano, dicevano, che portassero la malvagità. Eravamo regrediti ai costumi del 1800, ma alla tecnologia avvanzata degli ultimi tempi. Il cocchiere mi fece scendere dalla carrozza.
« Signorino, l'accompagno? » chiese gentilmente l'uomo baffuto, vestito in smocking con monocolo e cilindro.
« No, grazie, vorrei fare una sorpresa alla zia! »
Poco prima dell'arrivo della scorta raccolsi dei fiori rossi, bellissimi, rose e papaveri. Alla zia piaceva tanto quel colore, anche se io l'odiavo.  Volevo portarglieli e farle una sorpresa ma, quando aprii le porte della villa, vidi una scena raccapricciante: era appesa al muro con delle corde, come un burattino. Mi avvicinai lentamente, senza sapere cos'era successo.
« Z... Zia? » balbettai; lei non rispondeva.
Una macchia cadde dal corpo della donna vestita di bianco, sporco del colore che le piaceva tanto: il mio colore, quello che mi marchiava sin dalla nascita, quello che mi avrebbe sempre accompagnato, per tutta la vita. Feci cadere il mazzo di fiori, tinti dello stesso colore del sangue, che tingeva anche lei, la donna che amavo anche se un amore ingenuo, di un bambino ancora immaturo per capire cosa volesse dire, ma abbastanza forte da segnare la sua vita. Da quel giorno mi resi conto, avevo solo dieci anni e la vita non mi sorrideva. I primi ad andarsene per colpa della guerra erano i nobili, come mia zia. Scappavo, scappavo a più non posso dalle armate nemiche che mi volevano morto. Cambiai nome, per fuggire, e così diventai Oliver Trancy, quello che sono ora; ma una cosa non cambiò: quel colore che mi resterà impresso per sempre, il rosso, il colore del sangue e della guerra, quella per cui sono nato.



CHARACTER FILE:
nome:
Oliver Trancy
età: 24 anni (inizio della guerra), 29 anni (in esilio)
altezza: 183 cm
peso: 72 kg
capelli: rossi
occhi: verdi
città natale: Bilgar (Dayto)
Parenti:
 - Nicole Trancy (madre)
 - Leonard Trancy (padre)
 - Annabell Sawyer (zia)
  
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