Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: Hullabaloos    10/07/2011    5 recensioni
"Lo sapeva. Avrebbe dovuto declinare gentilmente l’invito di Feliciano, che aveva invitato praticamente ogni suo conoscente ad alloggiare in un’isola a sud dell’Italia, proprietà del suo facoltoso, ma soprattutto ricchissimo nonno. E sicuramente se la sarebbe scampata barricandosi in casa inscenando un’improvvisa partenza verso qualche arcipelago sperduto nell’oceano. Ma niente servì contro un certo uragano, a lui purtroppo ben noto, che si catapultò a casa sua appena saputa la notizia. Con i suoi novanta chili di grasso e pura idiozia americana, lo trascinò via, letteralmente, dal suo amato nido inglese, sempre con quel suo sorriso ebete stampato sulla faccia, mentre scoppiava per l’ennesima volta in quella sua insopportabile risata."
***
Un'estate, una prova da superare, paure d'affrontare, eventi inaspettati. [UsUk]
*Iscritta al concorso "One-shot dell'estate"*
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La storia inizia proprio qui, in un oscuro corridoio di una vecchia villa abbandonata. L’oscurità avvolgeva il tutto, dalle logore assi del pavimento calpestate dai ratti, al mobilio appoggiato al muro scrostato, su cui si era adagiato un considerevole strato di polvere. Il denso silenzio fu spezzato dallo scricchiolio del legno antico del parquet, accompagnato dal ritmo irregolare di un respiro affannato. Poi, il pesante velo del silenzio fu definitivamente squarciato da un tonfo secco, e una serie d’improperi poco delicati in un accento fortemente londinese.

“Bloody bastard! Bloody bastard, bloody bastaaaard…”

Il fiume di parole terminò con un gemito sommesso. Dal buio emerse la figura di un giovane sulla ventina, dalla capigliatura bionda e scarmigliata, che con espressione profondamente sofferente soffiava ripetutamente sul pollice leso del piede, entrato in collisione con lo spigolo di un vecchio canterano. L’inglese sfogò la propria frustrazione sul povero mobile, ricoprendolo di insulti in stretto dialetto anglosassone. Le seguenti vittime del proprio sclero furono un certo francese maniaco, una stupida prova di coraggio e tutti coloro che lo avevano strappato dalla tranquillità della propria casa nel centro di Londra per trascinarlo in una stupidissima vacanza di gruppo sulla riva di un’isola mediterranea.

 

Lo sapeva. Avrebbe dovuto declinare gentilmente l’invito di Feliciano, che aveva invitato praticamente ogni suo conoscente ad alloggiare in un’isola a sud dell’Italia, proprietà del suo facoltoso, ma soprattutto ricchissimo nonno. E sicuramente se la sarebbe scampata barricandosi in casa inscenando un’improvvisa partenza verso qualche arcipelago sperduto nell’oceano. Ma niente servì contro un certo uragano, a lui purtroppo ben noto, che si catapultò a casa sua appena saputa la notizia. Con i suoi novanta chili di grasso e pura idiozia americana, lo trascinò via, letteralmente, dal suo amato nido inglese, sempre con quel suo sorriso ebete stampato sulla faccia, mentre scoppiava per l’ennesima volta in quella sua insopportabile risata. Così, si ritrovò sbattuto su un sedile di un aereo di una compagnia low-cost, accanto a uno yankee obeso che alternava, in cinque ore di volo, momenti di logorrea a quelli di sonno comatoso, durante i quali, a causa del suo incessante russare, non riuscì a riprendersi dall’assalto del suddetto americano. Finalmente, alla fine di quel viaggio infernale, Arthur uscì dall’aereo di corsa, baciando commosso il suolo italiano. Alzando gli occhi, si ritrovò una decina di sguardi perplessi puntati addosso, sorpresi di vederlo in ginocchio a pomiciare con il pavimento di un lurido aeroporto. E dire che lui si riteneva il più sano tra quelle brancata di matti.

 

 La vacanza, nonostante l’inizio non proprio promettente, proseguì quasi piacevolmente, se si escludevano gli assalti notturni di un certo mangia-rane, le continue molestie di un russo che chiedeva a ogni passante di diventare tutt’uno con lui, le urla isteriche alle cinque di mattina, vari lanci di pomodori, padelle e patate. Ah, e ovviamente la costante presenza di Alfred. Ma, insomma, riuscì a godersi quei piacevoli giorni estivi in riva al mare. Una sera, improvvisamente, il trio più idiota che la mente umana possa concepire (leggesi: Francis, Antonio e Gilbert), partorirono un’idea così malsana che avrebbe fatto rabbrividire anche la mente più deviata. Fu così che nella mezzanotte di un’afosa notte d’agosto, si svegliò con il viso del francese deformato da un ghigno ben poco rassicurante a pochi centimetri dal suo. Dopo che il faccino del suddetto maniaco fu colpito dal famoso gancio dell’inglese, a quest’ultimo venne proposta l’idea di cimentarsi insieme a tutto il gruppo di sviati, in una prova di coraggio. Più che una proposta, quello appariva più come un ordine. E quando fu afferrato da un paio di braccia muscolose, capì di essere in trappola.

 

Dopo essere stato trasportato di peso da un noto americano, la prima cosa che vide, quando gli fu permesso di poggiare i piedi al suolo, fu un enorme edificio fatiscente, apparentemente disabitato. Kiku, il giapponese otaku, informò immediatamente i presenti che, dopo ore di navigazione in siti di altri fanatici come lui, aveva scovato una notizia, secondo la quale il proprietario di quello stesso hotel fosse stato ucciso, e che il suo fantasma vagasse ancora tra i corridoi abbandonati, assalendo i malcapitati che avevano avuto la pessima idea d’intrufolarsi là dentro. Ovviamente, Feliciano proruppe in un urlo isterico saltando in braccio all’amato tedesco, mentre Ivan scoppiò in una sincera risata divertita, come se fosse stata appena raccontata una storia troppo divertente. Arthur sospettava da tempo che il russo possedesse una leggere vena sadica, teoria che fu confermata dall’interessato poco dopo.

“Nel mio paese, gli spiriti tormentati vagano alla ricerca di gente sperduta per sventrarli e scrivere con le loro interiora i nomi dei loro assassini”. Questa affermazione fu pronunciata con il sorriso più candido del mondo, che ebbe però il potere di far rabbrividire tutti i presenti. L’inglese, ancora avvolto dalla morsa stritolatrice dell’americano, sentì il proprio aguzzino tremare leggermente.

“Ma come, Alfred! Non dirmi che hai paura…”

L’americano dilatò gli occhi alla battuta pungente del proprio prigioniero. Si riscosse però ben presto d quel momento di smarrimento, emettendo una risatina stridula, cercando di ottenere un tono di voce che lo facesse mostrare sicuro di sé.

“C-con chi credi di parlare? Io sono un eroe!”

Arthur emise una risatina maliziosa, notando il tremore del dito puntato verso di lui.

 

Il sorriso, però, scomparì ben presto dalle sue labbra. Qualcosa non tornava. Per rendere la gara più “interessante”, testuali parole del trio malato, i concorrenti dovevano partecipare a coppie. Stranamente, Antonio aveva già pronti i biglietti su cui erano scritti tutti i nomi dei partecipanti. Se la cosa gli puzzava, la situazione divenne ancora più sospetta dopo che furono accoppiati Feliciano con Ludwig, Ivan con Yao e Kiku con Heracles, mentre poco dopo Antonio e Gilbert uscirono rispettivamente con Lovino ed Elizabeta, per la gioia dei primi e la disperazione di quest’ultimi. Insomma, non si stupì più di tanto quando si ritrovò Francis appolipato al braccio destro. La sua mente registrò distrattamente l’ultima coppia, ovvero i due fratelli americani, mentre sentiva la gamba del mangia-rane strusciarsi languidamente contro la sua.

 

Nonostante fosse nato e cresciuto nel mondo dell’occulto, Arthur non poteva fare a meno di rabbrividire di fronte all’intrigato labirinto di corridoi dell’edificio abbandonato. L’atmosfera era resa inquietante anche dall’assillante presenza di un certo maniaco, che aveva tentato più volte di palpare il favoloso sedere dell’inglese. Uno spiffero d’aria attraversò un vetro infranto, facendolo rabbrividire. Il francese non si lasciò sfuggire l’occasione.

“Ehi, Arthùr…”

Il diretto interessato si girò allarmato verso quella voce roca, per ritrovarsi il viso allupato del biondo a pochi centimetri dalle proprie labbra.

“Se vuoi posso scaldarti io…”

Le mani del francese strizzarono le fantastiche natiche sopraccitate. Di tutta risposta ritrovò il suo bellissimo naso sfrittellato sulle assi marce del parquet.

 

Arthur trattenne il respiro dietro l’angolo del corridoio, mentre un certo maniaco girovagava lì vicino con voce lamentosa.

“Arthùùùùùùùùùr! Ma colombeeeeelle! Mon cherììììì! Torna dal fratelloneeeee!”

L’inglese tirò un sospiro di sollievo, sentendo le urla del francese farsi sempre più flebili. Finalmente solo. Avrebbe terminato la missione, ovvero raggiungere il tetto dell’hotel, solo con le proprie forze, e ci sarebbe riuscito grazie al suo infallibile senso dell’orientamento.

 

Il biondo guardò perplesso il basso tavolino impolverato appoggiato alla parete. O il proprietario aveva gusti decisamente monotoni per il mobilio, o quella era la terza volta che rincontrava il piccolo scrittoio. Arthur si accasciò esausto lungo il muro. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quella situazione iniziava a spaventarlo: oltre a trovarsi da solo in un edificio  fatiscente con la minaccia di uno spirito sanguinario che avrebbe potuto strapparti le budella, il buio nelle stanze sembrava farsi sempre più fitto. In quel momento, sentì la mancanza di un certo paio di braccia americane… Quel pensiero lo riscosse bruscamente. Cosa diavolo andava a pensare! Lui non aveva bisogno di nessuno, tanto meno di quello stupido yankee! Si alzò deciso dalla parete, con la ferma intenzione di porre fine a quel gioco insensato.

 

Facile a dirsi, eh. Arthur aveva l’impressione di stare girovagando a vuoto da ore, senza avere la minima idea sulla propria posizione attuale. Quando fu sul punto di gettare la spugna, da una svolta ebbe l’impressione d’intravedere una luce. Con la speranza riaccesa, il ragazzo si catapultò verso quel bagliore, sperando di trovarsi di fronte alle facce dei compagni che lo sgridavano per il ritardo. Svoltato l’angolo, però, sentì il legno marcio cedere sotto i propri piedi. Poi, un senso di vuoto. Infine, il buio.

 

Quando l’inglese riprese i sensi, si ritrovò sdraiato con le gambe all’aria, e una fitta dolorosa dietro la nuca. A fatica si mise a sedere a gambe incrociate, massaggiandosi con una mano la parte lesa. Lo sguardo si alzò verso la fonte di quella luce che rischiarava l’oscurità, nonostante fosse caduto così in basso: il soffitto sopra di sé aveva ceduto e presentava un grande buco, da cui i raggi della luna illuminava i corridoi senza finestre. Arthur constatò che era stata quella luce a ingannarlo, scambiata per le torce dei compagni. Gli occhi vagarono lungo le pareti, cercando di fare il punto della situazione. A quanto pareva, aveva ruzzolato lungo una scala, sfracellando tutti i pioli con il suo leggiadro deretano, per poi atterrare in una stretta stanza sotterranea. L’inglese notò vari scatoloni ammuffiti da cui spuntavano vecchi fogli ingialliti e rosicchiati agli angoli. In terra, solo inutile ciarpame. Immaginò che fosse piombato in una sottospecie di scantinato. Ma il suo sguardo fu improvvisamente catturato da un piccolo, insignificante particolare fino ad ora ignorato: essendo caduto dalla considerevole altezza di qualche metro, rompendo l’unica scala che lo avrebbe condotto all’esterno, si poneva il problema di tornare al piano superiore. Il quesito, perciò, era il seguente: come riuscire a uscire da quel buco dalle pareti prive d’appigli, con una scala inutilizzabile, circondato da cianfrusaglie, in una villa abbandonata, lontana dalla civiltà, nel bel pieno della notte?

“Shit…”

 

Ecco, stava ufficialmente entrando nel panico. Arthur si rannicchiò in una angolo, portandosi le mani tra i biondi capelli scarmigliati. Avrebbe dovuto accettare l’idea di vivere in quel buco cibandosi di ratti e insetti. Scosse violentemente la testa, gemendo sconsolato. Le aveva provate di tutte, dall’impilare gli scatoloni del magazzino in una traballante pila su cui salire (con consequenziale atterraggio doloroso sul duro pavimento e con un forte dolore al posteriore), al tentativo di correre lungo le pareti con una breve rincorsa (con gli stessi effetti sopraccitati). E tutto questo era successo a causa di quello stupido americano che lo aveva coinvolto in quella missione suicida.

“Fuckin’ yankee, fuckin’ American, and fuckin’ Alfred!!!”

Ok, urlare insulti contro quello stupido lo aveva calmato, sfogando la rabbia e la frustrazione represse, ma di certo non lo avrebbe aiutato a uscire da quella situazione.

“Arthur?”

O forse no?

“Alfred?”, sussurrò stupito l’inglese, riconoscendo quella voce come quella dell’americano. Che la paura lo avesse spinto addirittura ad avere allucinazioni uditive?

“Artie!”

No, impossibile sbagliarsi. Solo il vero Alfred avrebbe potuto pronunciare quel nomignolo odioso in maniera tanto irritante.

“Alfred, sono qui!”, urlò il biondo, alzandosi di scatto dalla propria posizione fetale. Dal ritaglio di luce spuntò una nota testolina occhialuta, mentre il ciuffo sulla sua sommità danzava nella luce lunare. Questa visione apparve ad Arthur come un miracolo, così da far scomparire quel fastidioso peso sullo stomaco. Finalmente qualcuno lo avrebbe fatto uscire fuori di lì.

“Cosa diavolo ci fai laggiù?”

Stupido yankee e le sue stupide domande.

“Oh, niente di particolare, volevo capire cosa si provasse a trascorrere ore e ore sommerso da luridi scatoloni in un lurido buco di un lurido hotel.”, sputò velenoso l’inglese.

L’americano lo fissò per alcuni minuti.

“Lo sapevo che eri strano, Artie, ma non fino a questo punto…”

“Idiot! È ovvio che non sono qui di mia spontanea volontà!”

“Ma se hai detto il contrario poco fa!”

“Mai sentito parlare di sarcasmo?”

“Se parli sempre strano, come faccio a capirti?”

“Chiunque potrebbe capirmi, solo che il tuo cervello non arriva a cogliere certe sottigliezze!”

“Good grief, Artie, sei così acido! Avresti bisogno di una vacanza!”

L’inglese chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie, cogliendo i primi segni di una forte emicrania. Va bene, tanto valeva essere chiari con quel decerebrato.

“Senti, sono caduto qua dentro, ho rotto l’unica scala che conduceva all’esterno e ora sono bloccato qua sotto!”

L’americano rimase in silenzio, per poi proruppero in una nuova risata bambinesca.

“Don’t worry, Artie! Ci pensa l’eroe a salvarti!”

Finalmente quell’obeso avrebbe mostrato qualche utilità. Arthur pensò questo prima di vedersi arrivare addosso novanta chili di idiozia d’oltreoceano.

“Banzaiiiiiiiiiii!!!”

 Per la seconda volta, il biondo fu avvolto dal buio più completo.

 

“Fammi capire, quando mi hai visto in difficoltà, hai ben pensato di lanciarti anche tu qui dentro per venire a salvarmi.”

“Yup, of course!”

“E MI SPIEGHI ORA COME DIAVOLO FACCIAMO A USCIRE DA QUI???”

Il ragazzo occhialuto rimase interdetto per un momento, per poi scoppiare  in una grassa risata.

“Ahahahah, non ci ho pensato!”

Mentre si massaggiava il secondo bernoccolo sulla nuca, Arthur si chiese cosa ci trovasse di così divertente in quella situazione. Sospirò rassegnato all’idea di passare la notte con quel cretino.

“Ehi, ma…”

“Mh?”

“Che fine ha fatto Matthew?”

Alfred emise una risatina imbarazzata.

“Eheheh, you know… Stavamo passeggiando lungo un corridoio, quando abbiamo sentito un rumore sospetto… Allora, Matt ha iniziato ad agitarsi, io ho cercato di calmarlo, ma è corso via…”

Traduzione Alfred – lingua corrente: lo stupido yankee se l’era fatta sotto sentendo qualche strano suono, ha cominciato a urlare istericamente e se l’era data a gambe. Arthur si era sempre chiesto cosa aveva dovuto subire quel Matthew, povero ragazzo!

“Ma tranquillo, Artie, non ti agitare.”, sorrise Alfred, mentre con un bastoncino disegnava un ipotetico se stesso nelle pseudo vesti di Superman.

“Perché mai dovrei agitarmi? Siamo intrappolati in un buco puzzolente, dimenticati da tutti, in un luogo sperduto in mezzo al nulla! Rischiamo di morire d’inedia, di stanchezza, di-”

Era decisamente sull’orlo di una crisi nevrotica.

“Insomma! Non c’è bisogno di preoccuparsi!”

“E illuminami: per quale oscuro motivo?”

“In queste situazioni, arriva sempre l’eroe a salvare tutti!”

E dopo aver pronunciato questa frase di profonda saggezza con il solito sorriso ebete sulla faccia, Alfred tornò a occuparsi dei suoi ghirigori. Nel silenzio della stanza, si sentì chiaramente il rumore di vene scoppiare.

“YOU GIT! WHAT THE HELL…! TUTTE QUELLE FRATTAGLIE DI MUCCA TI HANNO INTASATO IL CERVELLO??? NON SIAMO IN UN FOTTUTO FILM DA QUATTRO SOLDI!!”

“Artie, calm-”

“NO, IO NON MI CALMO! E SMETTILA DI CHIAMARMI ARTIE, BLOODY WANKER! TU, STUPIDO YANKEE OBESO, CON LA TUA STUPIDA FACCIA E IL TUO STUPIDO SORRISO IDIOTA!!!”

“Arthur, ora stai esagerand-”

“YOU DICKHEAD! SIAMO NELLA MERDA, NELLA FOTTUTA MERDA, CAPISCI? MA COSA NE PUOI CAPIRE TU, SEI IMPEGNATO A DISEGNARE SGORB-”

All’improvviso, Arthur si sentì strattonare per il colletto della maglietta, e per una frazione di secondo vide gli occhi di Alfred vicini, troppo vicini, per poi accorgersi che le proprie labbra stavano toccando le sue.

L’americano si ritirò indietro, sorridendo all’espressione pietrificata del ragazzo. Gli girò le spalle, tornando a disegnare sul pavimento.

“Sai, mi piaci di più quando non parli.”

L’inglese rimase immobile per qualche istante, mentre la sua mente cercava di assimilare gli ultimi eventi. Alfred. Bacio. Alfred, bacio. Alfred E bacio. Alfred ha dato un bacio. Alfred ha dato un bacio A ME. Dopo che la spina fu riattaccata, gli ingranaggi  nel suo cervello rincominciarono a lavorare a velocità raddoppiata. Alfred vide il viso del ragazzo passare da una tonalità cadaverica, a una blu notte, per poi stanziarsi su un bel rosso sgargiante. Il più giovane scoppiò di nuovo a ridere, di fronte al boccheggiare del vicino. Pessima idea. La cosa che Arthur non sopportava proprio era essere deriso. Così l’americano dovette affrontare sessanta chili di furia anglosassone, che si erano catapultati sul suo stomaco.

“COSA DIAVOLO TI È SALTATO IN MENTE, YOU PERVERT!”

Alfred rise allegramente sotto di lui, mentre cercava di parare alla meno peggio i micidiali ganci dell’inglese.

“Ahahah! Cosa vuoi che sia un bacino!”

“COSA DIAVOLO RIDI, IDIOT! IDIOT, IDIOT, IDIOT!”

“Mmmmh… Per me sei arrabbiato perché non ho continuato…”

“CHIUDI QUELLA BOCCA, DAMN-”

Per la seconda volta, le labbra dell’americano sotto di lui catturarono le sue. L’inglese posò le mani sul suo petto cercando di fare leva. Come aveva però già appurato in passato, non era un’impresa facile liberarsi dalla morsa ferrea dello yankee. Così il biondo si accasciò completamente sul ragazzo sottostante, che iniziò ad accarezzargli lentamente la schiena, sentendo le vertebre scorrere sulle dita sotto la stoffa della maglietta.

“Mmmmh… Sei dimagrito per caso?”

“Gghh… Shut up, idiot…”

Alfred ridacchiò, accarezzando le labbra del ragazzo con le proprie, mentre questo intrecciava le dita con i suoi ciuffi castani, tirandoli impercettibilmente. L’americano passò una mano tra i biondi capelli dell’inglese, avvicinando il suo volto maggiormente, gesto che fu approvato con un mugugno. Quando si staccarono, Alfred osservò la dolce sfumatura delle guance del ragazzo, il cui respiro affannato accarezzava le sue labbra. Con dolcezza, portò una mano sulla guancia dell’altro, mentre questo socchiudeva languidamente le ciglia bionde sugli occhi brillanti.

“Uao…”

L’inglese sbuffò.

“Uao! È tutto quello che sai dire?”

Ecco tornato il vecchio Arthur.

“Dovresti usare più spesso la tua bocca per attività piacevoli come questa…”

Il viso del biondo s’imporporò nuovamente.

“You… You… YOU IDIOT!”

Questa volta Alfred non riuscì a evitare il micidiale pugno che probabilmente sfondò il suo stomaco, ma non poté non notare il sorriso che fiorì sul volto del ragazzo.

“Ma colombelle?”

Un certo gracidare ruppe la dolce atmosfera creatasi.

I ragazzi alzarono in contemporanea le teste, appena in tempo per incrociare il viso sconvolto del francese. Arthur constatò di essere ancora sdraiato su quello stupido yankee. Si affrettò quindi ad alzarsi, tossendo imbarazzato e cercando di darsi un contegno.

“MA COLOMBEEEEEEEEEELLE!!!”, gridò angosciato Francis, vedendo il suo amato tra le braccia di un altro.

“Ragazzi, siete lì?”

Un coro di voci seguì l’urlo straziante del francese, e dieci teste sbucarono dal cerchio di luce.

“Niente paura, ora cerchiamo una corda per tirarvi fuori!”

“MA COLOMBEEEEEEEEEELLE!!!”

Una lacrima di gioia scese lungo la guancia di Arthur, felice per l’imminente libertà. Finalmente quella notte da incubo stava per terminare. Ma quando sentì il braccio di Alfred sulla sua spalla, ebbe un sussulto.

“Thank you, idiot…”

“Mh? E per cosa?”

“Dopotutto, l’estate italiana non è poi così male…”

 

FINE

 

 

Ed ecco qua la one-shot per il concorso! Spero che vi siate divertiti e che recensirete in tanti!

Ah, per colore che seguono le mie altre storie, don’t worry! Aggiornerò presto!!!

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Hullabaloos