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Autore: kate95    12/07/2011    7 recensioni
Dolore.
Sento solo dolore dentro al petto.
Morte.
È quella che vedo riflessa nei tuoi occhi e che insieme a te si sta portando via il mio cuore.
Amore.
È tutto ciò che provo per te.
Lacrime.
Le sento scorrere sul mio volto, calde, salate, incontrollabili.
Paura.
Ne sono invaso. Ogni cellula del mio corpo ha paura. Paura di perderti.
Speranza.
È l’unica cosa che mi rimane. Spero di poter rivedere ancora il tuo sorriso.
Storia ambientata dopo il finale di stagione_Spoiler 3x24 e 4x01!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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 Capitolo 1

Corsa contro il tempo

Dolore.
Sento solo dolore dentro al petto.
Morte.
È quella che vedo riflessa nei tuoi occhi e che insieme a te si sta portando via il mio cuore.
Amore.
È tutto ciò che provo per te.
Lacrime.
Le sento scorrere sul mio volto, calde, salate, incontrollabili.
Paura.
Ne sono invaso. Ogni cellula del mio corpo ha paura. Paura di perderti.
Speranza.
È l’unica cosa che mi rimane. Spero di poter rivedere ancora il tuo sorriso.
 
Sono qui, proprio sopra di te.
Il tuo corpo giace sull’erba soffice del prato del cimitero.
Ti accarezzo il volto con una mano mentre l’altra è sotto la tua nuca, per sorreggerti.
Vedo la vita dentro di te spegnersi lentamente. Questi istanti che passano velocissimi agli occhi del mondo che ci circonda sono i più lunghi della mia vita.
Vivo quella manciata di secondi come una scena al rallentatore che non fa altro che prolungare la mia sofferenza.
Non puoi andartene. Non puoi abbandonarmi qui.
Voglio restare con te. Voglio avere più tempo per dimostrarti quanto tenga a te.
Ma il tempo mi manca, mi sfugge, come minuscoli granelli di sabbia tra le dita che non riesco a trattenere.
Cade dalla mia mano e scorre, scorre molto più veloce di quanto mi aspetto.
So che è una corsa contro il tempo che non posso vincere ma non voglio arrendermi senza combattere. Lotterò per te, lotterò per l’unica donna che è riuscita a farmi capire che cosa vuol dire amare davvero.
Sei l’unica che vorrei accanto per tutta la vita e l’unica che non potrò mai avere.
Sento che ti stai lasciando andare, che ti stai abbandonando alla morte.
Non voglio perderti.
Ti prego, trova ancora una ragione, un motivo valido per resistere all’oblio che si sta risucchiando, che ti richiama a gran voce, non ascoltare la stanchezza che ti impedisce di tenere gli occhi aperti.
Lotta, lotta per la tua vita. Trova tutta la voglia di vivere che è in te e non cedere.
Le tue palpebre si socchiudono e tento in tutti i modi di non farti addormentare.
“Guardami Kate. Parlami” ti imploro “non lasciarmi, ti prego. Resta qui, resta con me Kate, ti amo. Ti amo Kate”
I tuoi occhi, per un istante, brillano. Una piccola lacrima cade dai tuoi stupendi occhi che mi fissano spaventati e poi si chiudono per l’ultima volta.
“Riapri gli occhi Kate” sussurro, ma tu, forse, non mi senti neanche più.
 
Tira un soffio di vento che ti scompiglia un ciuffo di capelli ribelli scappato dalla tua coda di cavallo.
Il cappello della polizia che indossavi è caduto a qualche metro da te quando ti ho trascinato giù con me per tentare di salvarti.
Non sono abituato a vederti in divisa. È la prima volta che mi capita.
Ti osservo e mi ritrovo a pensare a quanto sei bella.
La mia musa. La mia Kate.
Mi ostino a chiamarti mia e non so perché. Non sei mai stata mia. Anche se l’ho sempre desiderato.
C’è tanto sangue intorno a te. Continua ad uscire dal tuo petto dove sei stata colpita, è tutto intorno a me, al tuo corpo, sul tuo guanto bianco e sulla mia mano che ti stava accarezzando. Quella che invece è rimasta dietro il tuo collo, ancora pulita, a poco a poco lascia la sua presa e torna sul tuo viso.
Accarezzo la tua pelle velluta con le dita seguendo il profilo del tuo naso e scendendo sempre più giù fino a raggiungere la tua bocca dove si soffermano per qualche istante.
Mi accorgo di come tremi la mia mano che ti sfiora per l’ultima volta.
Le tue labbra morbide. Quelle labbra che avrei voluto baciare dieci, cento, mille volte ma di cui ho sentito il sapore soltanto una.
Quel magnifico bacio sotto copertura. Non l’ho dimenticato anche se non ne abbiamo mai parlato.
Non potevo scordare una tale sensazione così bella, così piacevole. Vorrei poterti dire quanto mi è piaciuto, quanto sia stato importante per me ma è troppo tardi.
Sono arrivato troppo tardi ed ho perso la mia occasione.
Non ci sei più. Te ne sei andata insieme a quel leggero sospiro di vento che ti ha portato via, lontano da me.
Lontano da questa città, lontano da questa vita che ti ha fatto soffrire.
Voglio cercarti. Voglio sapere dove sei per poter venire da te ma so che, ovunque tu sia, non potrò più raggiungerti.
Fa male, molto. Non sai quanto.
Sei morta e io non riesco ancora a crederci.
Il suono di un’ambulanza mi raggiunge: è così lontano, così ovattato da tutto il dolore che mi scoppia dentro che quasi non riesco a sentirlo.
Non c’è più niente da fare. Tu non respiri più. Il tuo cuore si è fermato, il mio, che batteva in sincronia con il tuo, ancora lo sento rimbalzare in gola ma so che è morto, morto insieme a te.
Anche l’ambulanza, proprio come me, è arrivata troppo tardi.
 
 
Solo qualche minuto prima non avrei mai immaginato cosa sarebbe successo da lì a qualche istante.
Siamo tutti qui, in questo cimitero.
Di fronte a me la bara di Montgomery che è morto per salvarci la vita e tutto intorno gli amici, i parenti, i conoscenti.
Vedo la moglie di Roy e le sue figlie disperarsi, vedo mia madre, mia figlia, tuo padre Jim, Ryan e Jenny, Lanie ed Esposito. E poi vedo te.
Sei al mio fianco, non molto distante. Stai parlando, sei tu che tieni il discorso di addio a lui che per te è stato un capo, un padre, un amico.
Le parole escono dalle tue labbra e risuonano sicure nell’aria. Non sento né paura né dolore nella tua voce, non c’è indecisione né titubanza in essa.
Sembri l’unica a non provare dolore ma so che non è così.
Tu non lo dai a vedere, non mostri i tuoi sentimenti in pubblico, te li tieni per te, tutti dentro.
Ti conosco e so bene che in questi momenti stai soffrendo più di chiunque altro, so la difficoltà che hai nel trovare la forza di parlare di colui che è morto per salvarti e so anche che ti senti in colpa per quello che è successo.
Tutti intorno a te piangono. Ma tu no, non ti ho mai visto versare una lacrima davanti agli altri. Ti concedi le lacrime solo quando sei sola, quando sai che nessuno ti può sentire.
Il tuo discorso va avanti fino a quando esiti un istante e ti interrompi. Ti volti verso di me e mi guardi.
È come se mi chiedessi un aiuto silenzioso, sorreggo il tuo sguardo e cerco di darti tutta la tranquillità di cui sono capace.
Distogli l’attenzione da me e riprendi a parlare.
Un luccichio, d’improvviso, cattura il mio sguardo.
È come un riverbero della luce del sole su un pezzo di vetro tra le tombe.
Non riesco a vedere nient’altro. Ma non mi serve nulla di più per capire quello che sta succedendo.
Sei in pericolo. Un cecchino sta per spararti, sicuramente un uomo ingaggiato da Lockwood e dal suo capo per ucciderti.
Mi butto su di te senza pensarci ma non sono abbastanza veloce.
Il killer preme il grilletto e il proiettile taglia l’aria in un secondo, colpendoti in pieno petto.
A nulla serve il mio tentativo.
Ti trascino a terra con il mio peso ma quando ti guardo capisco che ho fallito.
Il sangue si allarga a vista d’occhio e la cosa che più mi rimane impressa sono i tuoi occhi, spalancati al cielo, terrorizzati mentre le tue labbra sono dischiuse e dalla tua bocca esce solo un piccolo lamento.
 
 
Sono qui davanti a tutte le persone che ti conoscevano e che ti volevano bene.
Sono tutti riuniti per darti l’ultimo saluto.
Perché sei morto, Roy?
Perché hai voluto a tutti i costi sacrificarti per me?
Non posso sopportare questo peso, questo senso di colpa che mi opprime lentamente.
Non è giusto. La vita è sempre così dura con me.
Devo farmi forza, lo so.
Ma sono stanca, stufa di soffrire. Perché tutte le persone che amo finiscono ammazzate?
Perché?
Sto tenendo io il discorso di addio e ho paura di non riuscire a finirlo, di non essere abbastanza forte.
Sto ripetendo quelle parole che tu stesso avevi detto a me solo qualche ora fa e non posso non pensare a quanto siano veritiere.
Mi era rimasto impresso soprattutto il discorso che mi hai fatto quando avevo deciso di escludere Castle dal caso, dalla mia vita.
Ero arrabbiata con lui per quello che mi aveva detto a casa mia e non lo volevo più tra i piedi o almeno era quello che pensavo in quei momenti.
Tu mi hai detto che se mi ero stufata di lui lo avresti fatto andare via subito.
Quella risposta mia ha spiazzata, e quando ti ho chiesto cosa avrebbe pensato il sindaco tu mi hai detto che non ti importava, che il distretto è casa tua e che potevi fare quello che volevi.
Avresti potuto cacciare via Richard in qualsiasi momento ma non lo avevi mai fatto perché credevi che averlo accanto fosse un bene per me.
Non ho mai voluto ammetterlo né a me stessa né tantomeno di fronte a lui ma so che è così.
Lui è l’unico che mi ha fatto tornare la voglia di ridere, di scherzare, di vivere la mia vita intensamente senza lasciarsi limitare dalla razionalità che mi ha sempre frenato.
So che non potrei più vivere senza di lui, lui che mi è stato accanto quando ne avevo più bisogno e che mi ha consolato quando pensavo di non farcela. Durante il caso di mia madre mi ha aiutato ad affrontare ogni difficoltà e mi ha salvato la vita in quel magazzino.
Ricordo tutto di quella sera come se fossero passati solo pochi insignificanti secondi.
Ricordo quello che è successo dentro a quel posto abbandonato, quello che è successo fuori, prima di entrare e quello che è successo dopo nell’ambulanza.
Quel bacio. Non lo scorderò mai. È stato come una boccata d’aria fresca in quell’insopportabile situazione, come uno squarcio di paradiso in quello che mi pareva un inferno senza fine.
In quei momenti quasi non ricordavo neanche dove fossi, cosa ero venuta a fare, sapevo solo che cosa desideravo ovvero rimanere lì con te per sempre, abbracciata a te in quel turbinio di sensazioni che mi inebriava i sensi, che annegava ogni triste pensiero.
Non so descrivere cosa ho provato nel momento in cui per la prima volta ho sentito le tue labbra sulle mie in quel bacio che doveva essere solo un diversivo.
Ti eri allontanato presto dal mio volto e mi guardavi per sapere come avrei reagito.
Se qualche minuto prima mi avessero detto che ti avrei ribaciato di nuovo mi sarei messa a ridere, invece l’ho fatto.
Ho riavvicinato i nostri volti, le nostre bocche desiderosa di approfondire quel contatto che avevo provato solo per pochi secondi.
Sentire il tuo respiro su di me non mi aiutava a pensare lucidamente anche se ero ancora consapevole del mio obbiettivo: distrarre la guardia e colpirla alle spalle.
Ma quando ho sentito le tue labbra premere sulle mie sempre più insistentemente non sono riuscita a pensare più a nulla.
Sentivo solo te, le tue carezze, le tue mani tra i miei capelli.
Mi hai costretto ad aprire la bocca per permettere alla tua lingua di incontrare finalmente la mia ma so che non hai incontrato resistenze. Non mi sono opposta a quella tua decisione.
Era quello che volevo. Quello che ho sempre desiderato dalla prima volta che ti ho visto ma che non ho mai avuto il coraggio né di fare né di pensare.
Quando mi sono resa conto che poteva continuare, che poteva andare avanti mi sono staccata da te e ho colpito la guardia, stendendola.
Mi mancava il fiato come non mi era mai successo prima, nessuno aveva mai avuto un tale effetto su di me. Soltanto tu.
E per quanto cercassi di negarlo, di non parlarne più, mi è piaciuto, piaciuto da morire.
Mi interrompo ad un certo punto del discorso e cerco te, il tuo sguardo, il tuo sostegno, il tuo appoggio. So che ci sei, ci sarai sempre, me l’hai giurato.
Always.
Ricordi?
Eccoti lì. Al mio fianco, non distante da me.
Incrocio i tuoi occhi, il tuo sguardo, il tuo sorriso.
Mi infondi tranquillità, forza per andare avanti.
Proseguo nel mio discorso ignara di quello che sta per succedere.
Non mi accorgo di nulla: non noto niente di strano intorno a me, non mi accorgo del tuo volto improvvisamente preoccupato, della tua espressione dubbiosa e pensierosa.
Poi me ne accorgo. Sento qualcosa sibilare nell’aria, molto debolmente.
La mia voce si interrompe, si incrina, si spezza.
Mi manca il fiato, l’aria, dalla mia gola non esce alcun suono se non un debole lamento.
Proprio in quell’attimo sento le tue braccia protettive buttarmi giù verso terra. Cado sotto il tuo peso.
Hai cercato di salvarmi la vita un’altra volta.
Ma so di essere stata colpita, non puoi più proteggermi.
L’unico pensiero in quel momento va a te: spero che il cecchino abbia sparato un unico colpo indirizzato a me, spero che non sia stato colpito anche tu.
Non lo sopporterei.
Già non riesco a scacciarmi d dosso il peso della morte di mia madre, poi di quella di Royce e infine quella di Montgomery, ma se dovessi morire tu soffrirei più di quanto abbia fatto fino ad ora.
Tu sei l’unica persona, tra quelle che amo, che non è ancora morta.
Non potrei mai perdonarmelo.
Tu sei quella persona a cui sono più legata, quella che amo più di tutti.
Sì questa è la verità: ti amo.
Vedo il tuo volto preoccupato che mi osserva e capisco che stai bene, non sei ferito.
Sento la tua mano sotto la mia nuca sorreggermi, sento le tue dita accarezzarmi.
Sento freddo, un freddo agghiacciante.
Ho bisogno di parlare con te.
“Ho tanto freddo, Rick” è l’unica cosa che esce dalla mia bocca.
Mi stringi di più a te come se volessi farmi stare al caldo tra le tue braccia.
Sento i l tuo corpo sfiorare il mio in una sensazione così bella.
È piacevole sentire il tuo corpo caldo sul mio, è così rassicurante, così vicino da poter sentire il tuo profumo.
Cerco di respirare a fondo per sentire quel profumo, voglio poterlo sentire ancora dovunque andrò. Come se quello fosse il mio ultimo ricordo di te.
Ho gli occhi aperti verso il cielo azzurro ma non voglio guardare le nuvole bianche prima di morire. Voglio vedere il tuo volto, memorizzare ogni caratteristica del tuo viso per non scordarlo mai.
Dentro i tuoi occhi vedo riflessa la paura, il terrore, l’ansia.
Ti sento parlare, implorarmi: “Guardami Kate. Parlami. Non lasciarmi, ti prego. Resta qui, resta con me Kate, ti amo. Ti amo Kate”
Le tue parole mi arrivano ovattate come se percorressero un enorme distanza ma le sento, le sento arrivare alle mie orecchie e riempirmi il cuore.
Vorrei poterti rispondere, vorrei poterti dire che anch’io provo le stesse sensazioni, le stesse emozioni ma non ne ho la forza.
Dalla mia bocca esce solo un flebile sospiro incomprensibile.
Una lacrima scorre sulle mie guance, incontrollata.
Sento le palpebre farsi pesanti tanto da non riuscire più a tenerle aperte, sento il mio corpo abbandonarsi a quel tepore che mi sta risucchiando lentamente.
Non riesco più a combattere, non ne ho la forza anche se tu mi implori di non lasciarti.
Mi piacerebbe restare per passare la mia vita con te, ma non posso.
Le tue labbra sono socchiuse ma sul tuo volto non c’è nemmeno l’ombra di un sorriso.
Quel sorriso che mi ha fatto innamorare di te, che riesce a darmi pace anche quando dentro di me sento che c’è in atto una grande battaglia.
È l’ultima cosa che desidero prima di andarmene.
Voglio vedere il tuo sorriso per l’ultima volta.
L’ultimo favore che ti chiedo.
Con grande sforzo raccolgo quel po’ di forza che ancora mi è rimasta e cerco di parlare.
Ogni sillaba che pronuncio è come una coltellata, un dolore immenso e insopportabile, ma voglio farcela, so che ne vale la pena.
“Sorridi Rick, per favore” chiedo con la voce ansimante mentre alzo una mano e sfioro delicatamente le tue labbra.
Sembra che ti stia imponendo di sorridere, come se fosse un ordine di una detective di polizia. In realtà non sai che è solo l’ultimo desiderio di una donna innamorata, innamorata pazza di te.
Eccolo. Lo vedo, sul tuo viso.
Un sorriso piccolo, è molto tirato, forzato, me ne rendo conto, ma per questo non meno bello.
È così che voglio andarmene.
Se proprio devo morire voglio farlo così, tra le tue braccia con in mente l’immagine del tuo sorriso.
Chiudo le palpebre e il buio mi inghiotte. Sono così stanca. Voglio soltanto dormire.
“Addio Rick” tento di dire ma non ci riesco.
“Riapri gli occhi Kate” sono le tue ultime parole che sento prima di cadere nell’oblio.
 
 
Si dice che quando si è sul punto di morire si rivive velocemente la propria vita: ti scorre davanti agli occhi obbligandoti a vedere le cose brutte che ti sono successe e poi quelle belle che ti hanno dato la forza di continuare il tuo cammino.
Ma per me non è stato così.
Dopo essermi abbandonata al destino, alla morte stessa mi è sembrato di sognare.
Non so dove mi trovavo.
Tutto intorno a me risplendeva una forte e accecante luce bianca.
A poco a poco i miei occhi si sono abituati a quella luce e mi sono guardata intorno: non c’era nulla se non un infinito paesaggio bianco senza contorni, senza distinzioni.
Mi guardo. Indosso una lunga veste bianca mentre i miei capelli mi ricadono sulle mie spalle.
Mi sento così leggera come se fluttuassi nell’aria.
Tocco il mio corpo e mi accorgo che non c’è nessuna ferita, non esce neanche più sangue dal petto.
Non come ci sia finita in un posto del genere.
Non esiste sulla terra un luogo simile.
Sono morta?
Credo proprio di sì.
Ma non mi fa paura, sono abbastanza serena anche se so di essermene andata.
Poi a poco a poco davanti a me a qualche metro di distanza si delinea una figura, il profilo di una donna con capelli lunghi che si muovono come se ci fosse vento.
Avanza sempre più con eleganza e lentezza.
Ad ogni passo assume un’aria famigliare, molto famigliare.
Ora la vedo in tutta la sua bellezza e mi rendo conto di quanto mi assomigli.
O meglio, di quanto io somigli a lei.
Sono anni che desidero poterla riabbracciare, incontrare e passare il mio tempo insieme a lei. Ora lo posso finalmente fare.
Le vado incontro correndo, richiamando la sua attenzione: “Mamma!”
Sì è proprio lei.
Mi sorride come una mamma fa con la propria figlia.
Il suo sguardo felice trasmette un affetto incommensurabile e un amore senza paragoni.
“Katy! La mia piccola Katy!” mi risponde.
La abbraccio ma non sento nulla, è come se lei non ci fosse, come se stessi abbracciando l’aria, eppure lei è lì, proprio di fronte a me, tra le mie braccia.
La chiamo e le chiedo spiegazioni.
Non riesco a toccarla, è come se fosse un fantasma: la vedo ma è come se non avesse un corpo.
“Mi sei mancata così tanto” le dico.
“Anche tu, Kate” mi risponde “ma non è ancora tempo per noi di rincontrarci”
Il suo sorriso è un po’ triste ma rassicurante.
Non capisco.
“Perché?”
“Ci sono persone che ti vogliono ancora bene, laggiù” mi risponde indicando un punto indistinto alle mie spalle.
Mi volto e mi accorgo di qualcosa che prima non c’era.
A poco distanza vedo me. È strano vedere sé stessi davanti agli occhi quando sei consapevole di trovarti da qualche altra parte.
Sono distesa su un prato, indosso la mia divisa nera della polizia ma non sono sola.
Vicino a me c’è Castle che mi chiede di non andarmene, di rimanere lì con lui.
Un’improvvisa fitta al cuore mi sorprende. Ricordo ogni cosa, ogni emozione provata, il dolore che mi ha ucciso lentamente, e mi ritornano alla mente le parole di Rick.
Soprattutto le ultime: “Ti amo Kate”
Mi sento improvvisamente così indecisa: voglio poter abbracciare mia madre e recuperare il tempo perso ma ogni passo che faccio verso di lei è un dolore immenso.
Ogni centimetro che percorro verso Johanna mi allontana da lui mentre vedo il mio corpo disteso farsi più debole e la vita abbandonarlo.
Non so più che cosa voglio. Mi piacerebbe poter passare la mia vita con Rick ma ora è troppo tardi.
Come se mia madre leggesse i miei pensieri parlò: “Non è ancora troppo tardi, Kate. Devi scegliere: o rimani qui con me o ritorni giù da lui”
La sento avvicinarsi a me. Ora è al mio fianco e mi guarda negli occhi.
“Chi è lui?” mi chiede.
“E’ Richard Castle, lo scrittore che mi segue da tre anni e che si è ispirato a me per i suoi libri…” sussurro ma non riesco a finire la frase.
“So chi è Kate. Chiedevo chi è lui per te, qui dentro” mi interrompe portando la sua mano sul mio cuore.
Lo sento battere.
Dovrei essere morta, perché continua a battere?
Mia madre mi osserva in attesa di una risposta.
So perfettamente chi è lui.
“Lui è l’uomo che amo” rispondo con sincerità “come non ho mai amato nessun altro”
Johanna sorride: è felice e sollevata.
“Vedi, avevo ragione. Non è ancora ora per te di morire. Ci rincontreremo, un giorno. Ora va” e detto questo mi dà un bacio sulla fronte.
Poi si allontana da me e raggiunge le altre persone che sono arrivate lì ma di cui non avevo notato la presenza.
Li conosco: in prima linea c’è Montgomery e poi Royce.
Mi sorridono.
“Grazie” dico rivolto a tutti e tre.
Grazie a te mamma, che sai sempre consigliarmi cosa fare.
Grazie a te Royce, per avermi aiutato nei momenti più bui della mia vita.
Grazie a te Roy, per avermi dato l’opportunità di vivere la mia vita con lui.
Poco prima di andare mia madre mi richiama: “Quando torni giù fammi un favore. Abbraccia tuo padre e ricordagli che lo amerò per sempre”
Annuisco mentre sul viso di mia madre scende una lacrima.
Mi volto e cammino verso il mio corpo, verso Castle.
Poco prima di sparire da quel luogo così strano sussurro: “Non ti lascerò, Rick. Sono qui, sto tornando solo per te”
 
 
Non so che cosa mi stia succedendo, sento solo alcuni rumori indistinti intorno a me che mi giungono da lontano come se distassero km.
A poco a poco riprendo un po’ di sensibilità e padronanza del mio corpo.
Sento una presa stringermi la mano mentre il mio corpo viene spostato probabilmente su una barella e poi caricato sull’ambulanza.
Quella stretta che sento è l’unico vero contatto con il mondo che mi circonda e mi infonde sicurezza, voglia di continuare a lottare.
Voglio capire chi è accanto a me in quel momento.
Tento di aprire gli occhi ma le mie palpebre sono molto più pesanti di quanto immaginassi e riesco solo a socchiuderle un poco.
Vedo tutto sfocato intorno a me per qualche secondo: noto medici del pronto soccorso che mi fanno salire in ambulanza, sono tutti molto indaffarati e cercano di fare il prima possibile.
Ogni mia azione è faticosissima, anche solo il respirare mi risulta difficile.
Mi accorgo di indossare una di quelle maschere per l’ossigeno e per un attimo intravedo la condensa che il mio respiro mozzo provoca sulla mascherina.
Sono ancora viva, respiro.
Ma mi fa male tutto, soprattutto il petto, poco sotto il cuore.
Non sento più freddo come prima, solo un caldo tepore che mi invita a dormire, a farmi cullare dall’oblio.
Devo resistere.
Cerco di mettere a fuoco quello che mi circonda e provo a muovere la mano.
La osservo e mi accorgo che le mie dita sono intrecciate a quelle di un uomo che cammina al mio fianco verso l’ambulanza.
Vedo quella mano e mi rendo conto di sapere perfettamente a chi appartiene.
Ricambio quella presa come posso: voglio che capisca che sono sveglia, che sono viva.
Cerco il suo volto, i suoi occhi azzurri: voglio incontrarli ancora una volta.
E li trovo.
Trovo quello sguardo che trasmette paura e preoccupazione ma lui non si accorge che lo sto fissando.
Poi d’improvviso sente le mie dita stringere le sue e si volta verso di me.
“Rick …” lo chiamo.
La mia voce è così debole che non sono sicura che mi abbia sentito.
Invece mi sbagliavo: lui mi ha sentito e mi ha guardato pronunciando il mio nome.
“Kate?!” la sua voce risuona nell’aria, armoniosa mentre sento la stanchezza invadermi di nuovo.
Non riesco più a restare sveglia e ricado in quel sonno profondo da cui spero di risvegliarmi presto.
Non sento più nulla intorno a me, nessun rumore, nessuna voce, nulla, tranne una cosa: le sue dita incrociate alle mie.
 
 
Corro il più velocemente possibile e tengo il passo dei medici che scortano la tua barella lungo il corridoio del pronto soccorso, fin quando sparisci dentro la sala operatoria dove non posso seguirti.
Mi fermo in quel corridoio e mi siedo in attesa su una di quelle scomode sedie.
Riprendo fiato a poco a poco mentre i ricordi mi assalgono, dolorosi come non mai.
Mentre ti caricavano sulla barella mi hai dato qualche segno di vita invece durante il viaggio in ambulanza non ti sei più risvegliata.
Ti ho tenuto la mano per tutto il tragitto ma la tua presa era debolissima, quasi inesistente.
Non smettere di combattere, ti prego. Non posso sopportare l’idea di perderti.
Sapevo che con il tuo lavoro corri questo rischio ogni minuto ma ora che sto vivendo questo incubo mi rendo conto che è molto più duro di quanto mi aspettassi.
Mi sento in colpa per non essere stato abbastanza veloce, per non essere riuscito a proteggerti come avrei voluto.
Chiudo gli occhi e appoggio la testa contro il muro tentando di calmare il mio respiro irregolare. Non so cosa farei senza di te.
Non voglio neanche pensarci.
Svegliati Kate, per favore. Fallo per me.
 
 
Sto sognando, credo.
Non so esattamente cosa vedo, non me lo ricordo. Ogni pensiero, ogni ricordo, ogni sogno non mi rimane impresso nella mente, tutto scivola via da me senza controllo.
A tratti ho qualche percezione del mondo esterno, principalmente sento la tua mano nella mia e qualche rumore indistinto che non so riconoscere.
Se mi sforzo di capire da dove provengono o se tento di aprire gli occhi la stanchezza mi assale e ricado dentro quell’insopportabile dormiveglia.
Così cerco di rimanere il più calma possibile e mi concentro solo sulla tua mano, sul quel dolce e rassicurante calore che mi trasmetti.
È così bello poter sentire il contatto con la tua pelle, così morbida e vellutata, così piacevolmente calda.
Alcuni pensieri a poco a poco mi riempiono la testa e alcuni ricordi riaffiorano alla mente d’improvviso.
L’immagine del tuo volto, le tue parole sussurrate poco prima che svenissi, le tue carezze sul viso, le tue implorazioni.
Mi ricordo cosa mi hai detto: “Resta con me, Kate. Non lasciarmi…”
Ma so che hai detto qualcosa di più importante dopo, mi sforzo, voglio ricordarmela ma non ci riesco, mi sfugge, mi scivola come acqua tra le dita.
Cosa mi hai detto, Rick?
Il mio corpo grida pietà: sento una fitta lancinante al petto, mi fa male, tanto male da spezzarmi il respiro per diversi istanti.
Sento la tua voce arrivarmi in un sussurro come una dolce carezza alle mie orecchie: “Resisti, Kate. Andrà tutto bene”
Poi d’improvviso una luce bianca mi abbaglia.
Capisco di essere in sala operatoria con quelle forti luci che mi accecano.
Ho paura, Rick.
La tua presa se ne è andata, tu non ci sei più.
Non lasciarmi, resta con me.
La tua voce, la sento, ma non è qui con me, è solo dentro la mia testa: “Ti amo. Ti amo, Kate”
Un pizzico, un’iniezione, poi più nulla.
   
 
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