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Autore: Quintessence    13/07/2011    13 recensioni
Come il Destino fece uno scherzo malvagio. Come il pacco di Ami scatenò una reazione a catena. Come Minako e Makoto persero il treno. Come Michiru si arrabbiò con Haruka per colpa della Tokyo Verdy. Come Mamoru pranzò con Usagi troppo presto. Come Rei trovò un lavoro per Setsuna. Come alla una in un ufficio postale una ragazza fece una strage. E come tutto questo spinse Usagi a tornare a combattere. Shibuya FM, feel the rythm.
Questa Fanfiction ha ottenuto il primo posto al concorso di fanfiction indetto da ellephedre a tema "Originalità" su facebook
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Non so molto bene come introdurre questa storia; è nata da un'idea per un concorso come penso sia chiaro dall'introduzione, e così si è sviluppata. Ha trovato purtroppo qualche intoppo, e perciò zoppica sul finale, e anche un po' nel mezzo. Insomma, non è del tutto pulita. Chiunque voglia leggerla nella sua forma "perfetta" è pregato di tornare a settembre, quando avrò avuto il tempo di una accurata revisione. Questo non toglie che sia fruibilissima così, e che da sola senza aiuti abbia vinto un primo posto di cui andrò orgogliosa per un po', al Concorso di Fanfiction a tema Originalità indetto da ellephedre su facebook.

 


Ecco i suoi punteggi - troverete il breve commento ricevuto a fine racconto;

Originalità: 37,5/40
Trama: 13/15
Caratterizzazione: 14,5/15
Stile e forma: 28/30
TOTALE: 93



 

 

LE LANCETTE DEL DESTINO
Ovvero: come SailorMoon decise di tornare a combattere



Click.
Tuoni e fulmini sulla città! Allagamenti negli scantinati, saltano i tombini, e il fiume Tama si ingrossa a vista d’occhio. Sarà stata una mattinata decisamente dura per idraulici e pompieri. Forza, ragazzi, siamo con voi! A Shibuya-FM, la vostra radio preferita, è appena scoccata la una. Tokyo sta facendo lavorare un milione di mascelle. Grassi, fritti e zuccherose bollicine vi fanno sentire pesanti? Ci pensiamo noi a rimettervi in sesto… Provate a non ballare questo pezzo dei Train!
“Now that she’s back in the Atmosphere, with Drops of Jupiter in her hair, hey hey hey…”

Usagi aprì la portiera del Taxi di una fessura, e ci infilò l’ombrello. Lo aprì premendo il pulsante, e quello scattò in su rivelando i colori dell’arcobaleno. Scese con un tonfo in una piccola pozzanghera, lasciandosi alle spalle le note agrodolci della radio. Conosceva la canzone che avevano scelto per andare in onda. Le ricordava sempre Makoto per come cominciava, Minako per come continuava e Rei per come finiva. Aveva già teso al tassista prima, al caldo e all’asciutto, quello che gli doveva per la corsa, perciò sbatté la portiera senza esitazioni e si portò le quattro dita sulla fronte con un sorriso radioso, in segno di saluto.
« Arigatou! » -Disse mentre quello ripartiva dopo avere azzerato il tachimetro. Lo osservò allontanarsi con la piccola insegna TAXI accesa, e un velo d’acqua si sollevò dalle ruote dell’autovettura, cento metri più avanti, per colpa di una pozzanghera. Usagi scattò subito sul marciapiede per evitare che qualcun altro facesse lo stesso e l’inondasse. Lo stivale sinistro, decorato di un giallo sgargiante come il suo impermeabile fece un rumore di sciacquo mentre finiva in una pozzanghera ben più profonda della prima, e Usagi spostò subito il suo sguardo in basso –Accidenti, si era completamente inzuppato. Estrasse subito il piede dalla pozza: striato di fango lo stivale aveva perso quella brillantezza che dava un tocco di sole alla giornata grigia, perciò Usagi si chinò per cercare di ripulirlo, e una donna le urtò leggermente la spalla. Alzò lo sguardo e si rese conto che stava chiudendo l’ombrello. Con tutta probabilità, stavano andando proprio nello stesso posto. All’ufficio postale. Sollevò gli occhi azzurro cielo e li puntò in quelli viola di occhiaie della donna, aprendole la porta dopo aver chiuso a sua volta l’ombrello.
« Ops, mi scusi… Dopo di lei » -Quella non rispose che con un gesto, un assenso, e la superò con passo deciso dirigendosi verso le scale che portavano agli uffici. Usagi fece spallucce, niente poteva rovinarle l’umore in quel momento. Si mise in fila al primo sportello libero e si scrollò dal piede un pezzo di fango particolarmente grosso, mentre l’ombrello gocciolava per terra tenendo il ritmo della pioggia esterna. Tic-Toc. Tic-Toc. Tic-Toc... A labbra chiuse mugolò il motivetto di poco prima, Drops of Jupiter, che suonava gracchiante alla radio accesa a basso volume nell’ufficio, dondolandosi sui piedi. Sollevò la testa quando una parola poco gentile la strappò velocemente alla musica. Era un signore pelato e decisamente in carne che si lamentava di una qualche multa, e aveva cominciato a dare fastidio alla ragazza allo sportello, evidentemente imbarazzata. Usagi si sporse per vederla in viso, era carina e portava gli occhiali, due trecce color rosso fuoco le incorniciavano il viso. Le sembrò di averla già vista da qualche parte, ma non ricordava dove. Era tutta arrossata dalla lite. Forse stavano già bisticciando prima che arrivassi, si disse Usagi, ma i toni si erano appena fatti accesi; se fosse stato qualche anno prima, si sarebbe intromessa… Forse avrebbe potuto trasformarsi. Invece in quegli anni Mamoru era finalmente riuscito a insegnarle che qualche volta anche farsi gli affari propri è un segno di maturità e di comprensione della giustizia. Due poliziotti si avvicinarono all’uomo che stava polemizzando, difendendo la ragazza. Sailor Policemen! Pensò subito Usagi, con un sorriso interiore. Nel pomeriggio finalmente lei e Mamochan sarebbero stati insieme per bene e da soli, e avrebbero fatto… Un altro urlo, questa volta più deciso e con una mezza sfumatura di panico, le mandò in frantumi i pensieri d’amore. Usagi si voltò con una nota di sbigottimento nel sangue, mentre l’ombrello gocciolava. Tic-Toc. Veniva dalla porta, che si era appena spalancata accompagnata da un forte vento e gocce di temporale.
« Questa è una rapina! » -Usagi non fece in tempo a focalizzare il volto della persona, a malapena si rese conto che era coperto da un passamontagna, ma la voce era quella di una donna. L’ombrello le scivolò dalle mani e atterrò sul pavimento con un tonfo secco- « Tutti a terra! Subito » -Aveva una pistola. Come un serpente, il terrore si diffuse immediatamente in tutto l’ufficio. La fila si scompigliò, molti si gettarono sul pavimento. Qualcuno lanciò un grido, qualcun altro si coprì le orecchie con le mani e chiuse gli occhi. Forse non vedere e non sentire gli faceva sembrare che la cosa non fosse vera. Usagi ubbidì insieme agli altri. Da qualche parte c’era la sua spilla, ne era sicura. Forse avrebbe potuto…
« Papà… » -Sentì la voce di un bambino e fece correre la mano dentro la borsetta. Sentì la forma del cuore. Ecco, era lì dentro. Ma come poteva trasformarsi, di fronte a tutta quella gente? Il panico si impossessò
anche di lei, e cominciò a tremare. Non poteva fare assolutamente niente, doveva avere fiducia ancora una volta. Mamochan si sarebbe preoccupato, l’avrebbe sentita in pericolo. Ci avrebbe pensato lui. Deglutì. Ma ci sarebbe voluto del tempo, prima che se ne accorgesse, doveva trasformarsi e-
« Metti le mani sulla testa! » -La voce fu così repentina che le fece sfilare la mano dalla borsa in un gesto netto e stringerla a pugno insieme all’altra sulla nuca. Si rannicchiò aspettando un colpo che però non arrivò.
« Facciamo come dice, andrà tutto bene… » -Sentì dire a una voce di uomo. Il padre del bambino di prima, suppose.
« Oh, Dio… » -Una ragazza. Usagi poggiò la fronte sul pavimento, e l’odore di muffa le invase le narici. No, non poteva andare così. C’erano due poliziotti, ci avrebbero pensato loro. Sì, di sicuro sarebbe stato così. La donna con la pistola la puntò contro le trecce rosse della sportellista. Usagi si portò le mani sulla faccia per coprirsi gli occhi.
« Forza, tu, metti i soldi qui dentro e… » -Un colpo si librò nell’aria. La ragazza guardò verso i due poliziotti e vide che uno dei due teneva la pistola in mano, anche se era abbassata- « Chi ha sparato?! » -Puntò la sua pistola sul giovane. Usagi sollevò il capo, sbirciò attraverso le mani; non poteva avere più di venticinque anni.
« Non siamo stati noi, no… » -Uno dei due poliziotti fece un gesto verso l’altro, e Usagi lo vide rivolgergli parole che non capì. Comunque estrasse la pistola, ed evidentemente la ragazza ne ebbe paura. La stanza si riempì di grida mentre due colpi risuonavano per tutto il locale, schiantandosi sul petto del poliziotto. Un rombo di tuono sottolineò la lenta caduta del corpo, il tonfo, il secondo poliziotto che si abbassava sul suo amico, il suo grido che avrebbe sovrastato quello di chiunque in quel momento, « Assassina! »
Usagi stava cominciando a battere i denti dal terrore. Attraverso la fessura aperta fra medio e anulare aveva visto il sangue. Aveva freddo, e non solo perché l’acqua cominciava a entrarle nei vestiti. Un conato di nausea la scosse, quello era il momento giusto per trasformarsi forse; che importava delle persone, avrebbero visto, e allora? Per salvare delle vite, era il minimo. Sarebbero morte altre persone, se non avesse fatto nulla… Ma per la terza volta, il filo delle sue riflessioni venne tagliato di netto, quando un corpo di ragazza capitombolò per le scale, insieme con due di volumi di enciclopedia. Altre grida, un fulmine improvviso, e la rapinatrice sussultò per un secondo dirigendo la canna dell’arma verso il piano di sopra. Ma evidentemente non c’era nessun altro intenzionato a scendere, oltre al corpo e a quella curiosa cornice di libri.
« E questa, chi diavolo è? » -Sì, era una buona domanda. Quella caduta dalle scale era stata del tutto inaspettata, per tutti. La moltitudine, come una sola persona, tratteneva il fiato. Usagi si mosse sui gomiti verso la scala per vedere meglio, e una massa di capelli corvini si agitò mugolando di dolore, un rivolo di sangue sulla fronte. La ragazza con la pistola ne rivoltò il corpo con un piede per vederla in faccia, e Usagi sbiancò. Appena riuscì ad averne il fiato sufficiente, urlò.
« Reichan! »
*
Si arrivava così all’epilogo di una giornata piuttosto particolare, piovosa e poco luminosa, colorata di sfumature di grigio e bianco pallido, in cui il destino si era divertito a far convergere nell’Ufficio Postale del quartiere di Shibuya la conclusione di storie diverse e inconsuete.
Una giornata che per Usagi era cominciata presto e senza mezzi termini con il suono della sveglia delle sette; l’aveva trascinata via da un bellissimo sogno con violenza, talmente tanta che Usagi era sicura di aver fatto un sogno meraviglioso ma non ne ricordava nemmeno un dettaglio. Si alzò poco convinta mugolando di stanchezza, e stiracchiandosi. Unì le mani dietro la schiena, e tese i gomiti, poi guardò Luna con gli occhi colmi di sonno: anche quella sera era andata a dormire troppo tardi. Luna invece se ne stava acciambellata e con gli occhi chiusi ai piedi del letto, la schiena che si alzava e abbassava in un movimento regolare.
« Ti invidio » -Le sussurrò Usagi. La mamma bussò alla porta.
« Avanti » -Ikuko spinse la porta e infilò la testa nella stanza in penombra. Un rivolo di luce colò direttamente negli occhi di Usagi, che si protesse gli occhi istintivamente.
« Ho sentito la Sveglia. Ma tu sei sveglia? » -Ah-ah. Ancora non aveva abbastanza fiducia in lei da lasciarla svegliare da sola?
« Altrimenti sarei sonnambula » -Le rispose con una nota di sarcasmo nella voce mentre si infilava le pantofole con la faccia di coniglio. Uno sbadiglio le riempì la bocca subito dopo, mentre sua madre scompariva insieme allo spiraglio. L’idea della colazione le diede la forza di scendere le scale e dirigersi in cucina, dove sua madre entrò subito dopo, infreddolita e con le pantofole bagnate.
« Uh, buongiorno mamma » -L’apostrofò Usagi con una mezza risata.
« Buono per niente! » -Le rispose lei, mentre il temporale cominciava a far sentire le sue ragioni sul tetto- « Piove che dio la manda, c’è un pacco e a quanto pare il postino ha deciso di svicolare… e ha lasciato un biglietto »
Usagi aggrottò la fronte mentre rovesciava metà scatola dei cereali nella tazza grande; quella giornata sarebbe stata importantissima e doveva essere in piena forma. La mamma si era messa a sfogliare la posta, magra come tutti i sabato mattina, e in mezzo alle buste aveva evidentemente notato la forma arancione di una cartolina-avviso postale.
« Che c’è scritto sul biglietto? » -Chiese Usagi più per gentilezza che per mera curiosità.
« Che è arrivato un pacco »
« Sì, questo l’ho capito, per chi? » -Probabilmente era un pacco per papà, con i suoi francobolli da collezione.
« Ah, vediamo » -Disse Ikuko, e rivoltò la cartolina- « Questo è curioso. È per te » -Usagi poggiò il cartone del latte dopo aver finito di versarne una tazza intera senza vergogna di esagerare e sollevò lo sguardo. Espresse un verso di sorpresa, e si rivolse alla madre con una nota di curiosità, questa volta più che genuina.
« E da chi arriva? »
« Non lo so. C’è scritto solo da dove » -Usagi roteò gli occhi, contrariata. Prese un cucchiaio dal porta posate alla sinistra del lavandino e si sedette.
« Andiamo, mamma. Non mi tenere sulle spine » -Si infilò una cucchiaiata parecchio generosa di cereali in bocca, e quelli le riempirono il palato e la lingua di un delizioso aroma di miele e latte insieme. Usagi non si trattenne dall’emettere un mugolio di soddisfazione.
« Dall’America » -Per poco non le andò tutto di traverso. Scattò in piedi ingoiando tutto di un colpo, tossicchiando, e afferrò la cartolina arancione stringendola al petto come il miglior monile del mondo, cercando un nome che le confermasse la già palese provenienza del pacco.
« Amichan! » -Già, Amichan. Erano due anni che studiava in America. Usagi e le altre non avevano problemi a tenersi in contatto con lei via lettera, via mail, via telefono; tuttavia ogni volta sapere che arrivava qualcosa da parte sua era sempre un’emozione nuova, e l’arrivo di un pacco era decisamente una novità. Non ne erano mai arrivati prima, e Usagi immaginò che si trattasse di qualcosa di squisitamente dolce, in pieno stile Ami. A dire la verità non immaginava nemmeno cosa potesse essere… Un regalo? Impossibile, non c’era nessuna occasione. Forse qualcosa che doveva restituire? Improbabile anche quello, non le aveva prestato nulla, e comunque renderlo dopo due anni sarebbe stato sciocco. Fra le altre cose, in poco tempo sarebbe stato il compleanno di Amichan; quindi dovevano essere loro a comprarle un regalo e non viceversa. Per festeggiare i suoi vent’anni, avevano deciso di andare in America proprio la settimana successiva; Minako e Makoto erano le incaricate di comprare i biglietti all’agenzia di viaggi. Usagi lesse e rilesse la cartolina in cerca di un indizio. La curiosità la stava divorando quasi quanto lei stava facendo con i cereali.
« La tua amica Ami non ha tenuto conto che i postini di Tokyo sono dei cretini » -Uh? Sollevò la testa, con la bocca piena di cereali e uno sguardo interrogativo. Ma sua madre era partita per la tangente- « Oggi ti recapitano l’avviso che il pacco te lo devi andare a prendere tu! Così inquini di più, fai il doppio della fatica, si allarga il buco dell’ozono… Ah, ma ai miei tempi non era così! » -Usagi sollevò le sopracciglia in un secondo sguardo interrogativo.
« Ah sì? E com’era? Non lasciavano gli avvisi? » -Ikuko sferzò l’aria con il mattarello che aveva appena estratto, probabilmente per cominciare a spianare la pasta della pizza.
« Erano loro che venivano avvisati » -Usagi ridacchiò. L’umore della madre non avrebbe guastato il suo in qualsiasi caso; l’idea di aprire il pacco appena arrivato dall’America la eccitava da morire. Sarebbe passata in posta subito dopo aver visto Mamoru, con cui aveva un appuntamento alle 10. Per fortuna, in ogni caso, si era svegliata prima del solito, perché anche la sua auto aveva risentito della pioggia scrosciante; il rumore sputacchiante non prometteva assolutamente nessun progresso, e nonostante le suppliche di Usagi non sembrava avere intenzione di muoversi di un millimetro. Il meccanico arrivò alle otto e venti, dicendo che avrebbe sostituito le candele. Nel frattempo, si disse Usagi, le avrebbe accese lei le candele, raccomandandosi a qualche santo per non fare tardi all’appuntamento. Per quella mattina, San Metrò.
*
Sono le otto e ventidue su Shibuya-FM, la vostra radio preferita! Mattino piovoso, autunnale, e per di più di sabato! Umore sotto i tacchi per chiunque, ci scommetto, e questo pezzo non vi riconcilierà di certo la giornata. Perché in effetti, i Muse non sono proprio il gruppo più solare che ci sia in giro, e New Bo-
Rei spense la radio a colpo sicuro, premendo il pulsante dell’accensione con un dito. Setsuna fissò la cassa da cui proveniva la voce per un secondo, gli occhi vuoti. Rei tornò a guardare la ragazza che aveva appena, più o meno, fatto irruzione nel suo tempio alle otto della mattina. Incrociò le mani e ci poggiò sopra il mento, chiudendo gli occhi in riflessione. Setsuna era seduta dall’altra parte del tavolo da tè, e Rei la vedeva a metà, separata da un vaso di orchidee.
Aveva appena finito di esporle il suo problema economico dovuto a una grossa perdita. Per la prima volta, Rei l’aveva vista vulnerabile, sotto la pioggia, con il volto rigato di lacrime. L’aveva fatta entrare senza esitazioni. Poi non aveva voluto indagare, ma sospettava che si fosse trattato di un errore di società. La sua
socia era fuggita, più o meno, e Setsuna si era trovata gambe -e debiti- all’aria. Non aveva abbastanza soldi per mantenere ancora gli studi di Hotaru, e su suo padre non si poteva contare, come al solito.
« Perché non hai chiesto ad Haruka e Michiru? » -Setsuna arrossì violentemente. Rei non volle insistere, la risposta era molto evidente. Si vergognava. Probabilmente loro avevano cercato di dissuaderla dal mettersi in società e lei aveva fatto di testa sua. Questo, Rei lo capiva meglio di chiunque altro- « Capisco »
« Un lavoretto, anche part-time, una cosa temporanea. Per Hotaru, fallo per lei… » -Rei scosse la testa.
« Setsuna, non posso permettermi di pagare altro personale al tempio » -E Yuichirou le dava abbastanza da pensare senza dover assumere un’altra a cui insegnare da capo il mestiere. Dette uno sguardo veloce all’orologio. Mancava un minuto alle otto e mezza. Per un secondo, guardando accanto all’orologio il calendario, si rese conto che il riquadro con un cuore e la scritta Ami’s Birthday si stava pericolosamente avvicinando; doveva pensare anche al regalo la mattina stessa e non aveva nemmeno una vaga idea di cosa scegliere. Dei biglietti per il viaggio si stavano occupando Minako e Makoto, o forse li avevano anche già presi. Quella mattinata non poteva permettersi di perderla dietro a Setsuna. Le porse un fazzoletto e lei si soffiò rumorosamente il naso. L’unico a cui poteva rivolgersi era Hayama.
« Senti, ho un amico all’ufficio del personale dell’ufficio postale » -Le disse rincuorante, prendendole una mano- « Oggi a mezzogiorno passo da lui, e questa sera ti faccio sapere. D’accordo? »
Setsuna tentò di annuire, e si vedeva che stava sorridendo anche se tratteneva di nuovo le lacrime negli occhi inondati di gratitudine e di speranza. Rei scavalcò la barriera di fiori che le divideva e l’abbracciò impetuosamente.
« Andrà tutto bene » -Un lampo squarciò il cielo, e subito dopo il suo tuono scosse tutto il tempio: Setsuna si aggrappò alla divisa di Rei, piangendo più forte.
Andarono via quando si fu calmata, insieme. Rei le prestò un ombrello nero sfilacciato; per fortuna Setsuna aveva la sua macchina, e almeno quella poteva venderla, si disse. Rei sapeva quanto le sarebbe costato farlo, ma non disse nulla, perché sapeva che lo stava facendo per Hotaru. Saltò anche lei in macchina, un mezzo catorcio acquistato con i soldi che il nonno le aveva dato per il duro lavoro, e mise in moto. Setsuna la superò due incroci dopo, e sparì.
*
Sempre immensi, i muse! Il fascino discreto della malinconia, i suoi vasti cieli esplorati dalla chitarra e dalla voce di Bellamy ci fanno sempre sognare. E adesso, un classico di quelli che danno la sveglia. Per voi, su Shibuya-FM, la vecchia pantera. Tina Turner, con We don’t need another hero! … “Out of the ruins, out from the wreckage, can’t make the same mistake this time, we are the children, the last generation… We are the ones they left behind, and I wonder when we are ever gonna change…”
« Ohi, Makochan! Nemmeno a farlo apposta, questa è proprio dedicata a noi » -Minako mescolò il cappuccino schiumoso per aiutare lo zucchero a sciogliersi, e guardò Makoto con un sorriso.
« Se Tina lo sentisse chiamarla vecchia… » -Aggiunse Makoto, e poi si prese un sorso di caffè. A differenza di Minako, lei beveva il caffè amaro e senza le sfumature del latte.
We don’t need another hero, we don’t need to know the way home, all we want is life beyond; thunderdome, looking for something we can rely on: there’s gotta be something better outta here!
« Hai fatto i bagagli? » -Chiese poi Makoto, mentre Minako assaggiava il cappuccino per controllare che non scottasse troppo e che fosse dolce il giusto. Ritrasse la lingua scottata una frazione di secondo dopo, e ricominciò a soffiarci sopra.
« Pesi inutili! » -Rispose sorridendo, e dopo altri due soffi decise che temperatura e dolcezza erano ok e prese un lungo sorso della sua colazione. Subito addentò anche la brioche con la marmellata che s’era fatta portare insieme al cappuccio. Makoto la guardò mentre si puliva con grazia i baffi di schiuma da sotto il naso. Ridacchiò.- « Che c’è? »
« Niente, niente »
« E dai, Makochan! » -Se avesse messo il broncio lo avrebbe chiesto mille volte in tutta la mattinata, e altro che comprare quattro biglietti per l’America, quell’oggi l’avrebbero passato a forza di dimmelo, dimmelo!
« Hai della schiuma sul naso » -Le disse indicandola. Minako arrossì, afferrò subito il tovagliolo e si affrettò a sfregarsi il naso. Makoto ridacchiò di nuovo.
« Cosa pensi che avrà comprato Rei? » -Domandò alla sua amica cambiando in fretta discorso e ripulendo il fondo della tazza con il cucchiaino dal deposito di zucchero. Makoto alzò le spalle
« Non lo so, probabilmente il libro che Amichan desiderava tanto » -Minako sgranò gli occhi come se le fosse appena stato detto che a Rei erano spuntate due antenne da alieno che le permettevano di sentire le comunicazioni interstellari.
« Ma dico, vi ha dato di volta il cervello?! Amichan merita di molto meglio per i suoi venti! » -Si infilò fra le labbra l’ultimo pezzo di brioche e con la bocca piena puntò il dito dritto in faccia all’amica- « Spero che Reichan abbia gusti migliori dei tuoi, Mako »
Makoto la guardò di nuovo, con la bocca piena di brioche e le briciole dappertutto, sulla faccia. Rise di gusto.
« Che c’è? »
« Niente, niente »
« E dai, Makochan! » -Sarebbe stata una lunga mattinata.
*
Questa roba è adrenalina pura, ragà! Mitica Tina, vecchia e sempre grande, nessuno canta come te! Ora che siete carichi, potete prendervi una pausa dalla vostra vita e sentire chi sta peggio, ascoltando le ultime notizie da Shibuya-FM, News. Ieri, una donna investita per le strade di Tokyo nel quartiere residenziale. Ha battuto la testa e adesso è in coma. I familiari reclamano la colpevolezza di un uomo che, a quanto pare, è fuggito con l’auto subito dopo il fatto. Sciopero dei pullman per oggi, ingorghi per le strade della città; il metrò funziona.
Grazie dell’informazione, si disse Rei abbassando di due tacche il volume della radio. Me ne sono accorta che le strade sono ingorgate. Diamine, non si muoveva come minimo da dieci minuti. Andava alla velocità di una lumaca moribonda quando si muoveva, e dopo pochi metri si fermava ancora. Colpì il volante con violenza, provocando un lungo colpo di clacson al quale si unirono a coro molti altri. La pioggia scrosciava senza dare pace al parabrezza, e i tergicristalli faticavano a tenerla a bada.
« Dannazione! » -Per la seconda volta suonò, consapevole del fatto che non le sarebbe servito assolutamente a nulla. Andare in centro in quelle condizioni sarebbe stato un suicidio. Abbassò la leva che comandava la freccia e si infilò nel parcheggio a pagamento vicino a casa di Usagi; era l’unica soluzione per sopravvivere al livello di stress della giornata, che stava superando la soglia del 90% del suo essere. Era vero, era una persona nervosa, ma che poteva farci? Infilò con precisione la macchina fra un furgone e una BMW in retromarcia. Le manovre erano sempre state il suo forte. Prese l’ombrello, si gettò sulla strada e si voltò solo per chiudere l’auto. Corse freneticamente fino ad arrivare alle scale della metrò, le scese saltando le ultime quattro e, finalmente al sicuro dall’acqua scrosciante, chiuse l’ombrello e sorrise. Era anche in tempo per il treno delle 9 e 10.
*
…E adesso veniamo allo sport. Incredibile colpo di scena ieri nella partita dei Tokyo Verdy, che hanno battuto di stretta misura i loro avversari delle isole. Dopo un match teso e abbastanza equilibrato, la nostra squadra l’ha spuntata con un goal di Asaoka, a pochi minuti dal termine. Tuttavia al minuto quaranta un’azione illegale ha scatenato lo scontento sul campo, visto che un tifoso dal pubblico ha deviato una palla che pareva sarebbe andata in rete. Il salvataggio in extremis ha provocato una divertita ovazione da parte della curva del Verdy, e una furia incontrastata dei tifosi avversari. Due feriti nella successiva rissa.
Usagi si aggrappò alla maniglia mentre la metro frenava. Quella era la prima fermata dopo casa sua. Guardò l’orologio, era in ritardo. Cavolo, per una volta che si alzava in anticipo la macchina l’abbandonava e la fortuna non l’assisteva. Il freno sfrigolò come ogni fermata, e Usagi sbuffò. Doveva muoversi, quello stupido tramviere. Improvvisamente, fra la folla, con il metrò ancora in leggero movimento, scorse un volto noto.
Si appiccicò al finestrino con entusiasmo, bussandoci sopra eccitata.
« Reichan! Ne, Reichan! » -Ma lei non la sentì e salì alla porta successiva. Beh, almeno avrebbe fatto il viaggio in compagnia. Si fece strada fra la massa di gente che la stritolava da ogni lato, verso la direzione in cui Rei era salita…
« Permesso, scusate… Permesso… » -L’odore di quella metro era veramente insopportabile! Come si faceva a lavorarci, era davvero- una ragazza con le trecce rosse la fermò.
« Ha perso qualcosa? » -Usagi sollevò lo sguardo, e lei avvampò subito.
« Una persona, ma… » -Era arrivata al limitare del vagone e Rei non c’era. Spiò dalla finestra che dava sul vagone successivo e la scorse sedersi ed estrarre il suo libro sulle preghiere per il tempio e rilassarsi cominciando a sfogliarlo. Tirò un sospiro deluso- « …È salita di là. Grazie »
« Prego »
Il treno sfrecciò verso il centro di Tokyo; una tempesta di passi si abbatterono sulle scale. Makoto saltò gli ultimi sei scalini e si girò a sinistra con un balzo, pronta a fermare le porte di un treno che non c’era. Si voltò verso Minako, che la seguiva a pochi passi.
« …Perso! » -L’orologio scattò sulle 9 e 11, e Minako si appoggiò sulle ginocchia con le mani, riprendendo fiato.
« Pazienza, Makochan. Ne arriva un’altro in quindici minuti. A saperlo, non avrei corso »
*
Continua la mattinata sulle frequenze di Shibuya-FM. Sono le undici meno venti, e dopo la pagina di gossip in collaborazione con la rivista “Pink Way” è arrivato il momento dell’oroscopo con il nostro astrologo Sylvester. Buongiorno, maestro! - Buongiorno a te, Shin, e a tutte le antenne collegate all’etere. - Allora, che ci raccontano oggi le stelle?
Michiru strappò la cuffia dall’orecchio di Haruka con forza. Lei la guardò contrariata, rimettendosela subito con foga. Michiru gliela tolse di nuovo, sfidandola con lo sguardo. Gliel’agitò sotto il naso con violenza.
« Se ti vedo con questa cosa dentro il planetario, è la volta buona che ti schiaffeggio » -Haruka spalancò la bocca fino a slogarsi la mascella, e la sua faccia si deformò nella peggiore delle smorfie di sorpresa e seccatura insieme. Si riprese la cuffia in un gesto netto.
« Non ho sentito se la Tokyo Verdy ha vinto! » -Sentenziò come se si trattasse di una questione di vita o di morte.
« E lo sentirai stasera, al TG! » -Come faceva Michiru a non capire che una cosa tanto importante bisogna saperla il prima possibile? Eppure sembrava una persona più intelligente della media.
« Andiamo, Michiru! » -Come faceva Haruka ad essere così superficiale? Insomma, cosa cambiava saperlo qualche ora dopo? Eppure sembrava una persona più intelligente della media.
« No » -Haruka si arrese. Sbuffò roteando gli occhi e infilò la cuffietta in tasca, borbottando un sommesso contenta ora? Che Michiru sentì di striscio, mentre la signorina in divisa le invitava ad entrare e prendere posto. Haruka si riprese i biglietti strappati e poi, presa per mano Michiru si diresse con decisione verso le file migliori, subito imitata dalla compagna. La conferenza iniziò una decina di minuti dopo, con una musichetta che Haruka trovò quasi da sonno e il buio che calava sul planetario.
« Quella che si è appena accesa si chiama Alpha Centauri » -Recitò la voce con monotonia- « secondo la nomenclatura di Bayer; conosciuta anche come Rigel Kentaurus o Rigil Kent o, più raramente, come Toliman, è un sistema stellare triplo situato nella costellazione australe del Centauro. È la stella più luminosa della costellazione, nonché terza stella più brillante del cielo notturno ad occhio nudo, dopo Sirio e Canopo… » -Si accesero altre due stelle in sequenza. Dove era finita? Cos’era quello strazio cantilenante? Andiamo, non c’era proprio niente di meglio? Non si poteva accendere la radio solo per qualche minuto e… Sommessamente, cercando di fare meno rumore possibile, fece scivolare la mano nella tasca della giacca. Il filo della cuffia era annodato, ma con un veloce scatto di dita Haruka lo sciolse. Sorrise.
« Meraviglioso, no? » -Le disse Michiru improvvisamente. Lei sussultò, e poi cercò di mugolare un assenso convincente- « Una di queste domeniche ce ne andiamo in montagna a vederle davvero, le stelle. In città non si riesce mai a… Harukasan? »
Michiru si voltò verso la compagna, e si rese conto del fatto che si era appena rimessa la cuffia. Si dichiarò automaticamente sconfitta in quella battaglia, ma la guerra era decisamente aperta. Aveva promesso di schiaffeggiarla e nessuno l’avrebbe salvata da quello. Nell’attesa di quel momento, in ogni caso, gliene avrebbe fatte passare delle belle.
« Il sistema di α Centauri è costituito da una coppia di stelle di sequenza principale di simile luminosità, una nana gialla e una nana arancione molto vicine fra loro, al punto che ad occhio nudo o con un piccolo binocolo sembrano essere un'unica stella. In aggiunta a queste se ne trova una terza, una nana rossa molto più distante e meno luminosa, chiamata Proxima Centauri… » -Michiru scosse la testa sentendo il ronzio della radio nell’orecchio della compagna. Se si metteva in testa una cosa non la smuoveva davvero nessuno. Sorrise, un po’ divertita e un po’ seccata. Se voleva perdersi la conferenza, erano affaracci suoi.
*
“…Baby, and you might still have me!” –E questa era Taylor Swift con should’ve said no su Shibuya-FM, un successo su scala mondiale. La prima ad aver venduto così tanti dischi in una volta sola, è l’artista pop più in voga del momento. Il suo ultimo singolo Mine debutta in posizione #3 nella Billboard Hot 100, e in 5 ore ha raggiunto la prima posizione delle classifiche iTunes… Che dire, una bionda bomba! Continua la vostra mattinata di pioggia, ma hey, Shibuya-FM porta il sole. Stay tuned!
« Che lo portasse per davvero, ‘sto sole » -Disse la donna mentre muoveva il mouse e batteva sulla tastiera a una velocità dieci volte superiore a quella consentita a qualsiasi essere umano.
« Mh-mh, infatti! » -Fece subito Makoto dietro di lei, annuendo. Cominciò a scorrere con lo sguardo tutti i depliant alle spalle dell’addetta dell’agenzia di viaggi mentre lei continuava a digitare chissà che di misterioso sulla tastiera del pc. Mauritius, California, Europa, Italia, Germania. Il mondo era davvero grande. Davvero tanto.
« Quante siete? » -Makoto era ancora persa a guardare una foto di una spiaggia a Caracas, e così Minako rispose al posto suo.
« Siamo in quattro… » -Riprese a digitare. Minako si chiese se la risposta “quattro” richiedesse l’inserimento di così tanti dati nella scatola del computer o se fosse solo un generico battere sui tasti per fingere di fare qualcosa semplicemente in attesa di qualche risultato. Non vedeva al di là dello schermo.
« Il volo più adatto parte settimana prossima, domenica, alle cinque del mattino » -Makoto si riscosse velocemente dalla sua osservazione appena sentì le parole cinque e mattino usate nella stessa frase.
« Dove atterra? » -Chiese.
« A New York. Però fa scalo a Philadelphia » -Minako si portò una mano sul cuore e scattò in piedi.
« Quante ore di volo sono? Io soffro l’aereo »
« Diciannove più tre di scalo » -Ancora ventimila digitazioni sicuramente inutili, e poi le guardò con le labbra carnose e perfettamente colorate di rosso con un mezzo sorriso- « Arriva il prezzo » -Minako ritenne più opportuno sedersi, allora- « Dunque, sono centoventimila Yen, più tredicimila di tasse aeroportuali, più lo sconto… » -Digitazioni infinite- « centotrentamila Yen totali » -Makoto stava per svenire, aveva la faccia bianca come un lenzuolo. Minako azzardo un « In… tutto…? »
« A testa, ovviamente »
Minako e Makoto si guardarono per un secondo. E per un secondo venne loro voglia di mollare tutto, dire ad Ami che non ce l’avrebbero fatta, spedirle il regalo con la solita lettera scritta in collettivo fatta a mano e firmata con tutti i colori, e poi aspettarla in Giappone anche se erano già state invitate alla sua festa di compleanno.
Ma qualcosa negli occhi verdi di Makoto si specchiò in quelli blu di Minako. Non potevano arrendersi a un passo dalla meta; era vero, avevano risparmiato molto e sapevano che con quella spesa potevano permettersi di comprare ben poco, sul posto. E tuttavia era di Amichan che si stava parlando. Dei suoi vent’anni. La risposta era univoca.
« Prenota » -Disse Makoto, e Minako annuì- « Paghiamo con la carta »
*
Qui è Shin, su novantaduepuntozero a Shibuya-FM. Mancano dieci minuti a mezzogiorno, e la vostra mattinata lavorativa sta finendo. Sicuramente avete i crampi allo stomaco, sarà un mezzogiorno di fuoco come nel famoso film con una meravigliosa Grace Kelly? Direi che su Tokyo è più un mezzogiorno d’acqua… Anzi, è più tutta una giornata d’acqua in effetti. Secondo le previsioni, la perturbazione ci farà compagnia fino a tarda sera, perciò armatevi di pazienza e di un buon ombrello, ragazzi! Noi non possiamo che allietarvi con un pezzo del sessantanove, dal mitico Abbey Road… un messaggio di speranza per il sole che torna e soprattutto perché questa giornata, anche per quelli di voi per cui è cominciata male… Possa finire in modo luminoso!
“Here comes the sun, turuturu, here comes the sun, and I say: It’s all right…”

In verità, la giornata di Usagi era cominciata decisamente bene. Era stata piuttosto al contrario come giornata. Cominciava bene e continuava bene nonostante la pioggia, e la sua meteoropatia non si era fatta sentire nemmeno una volta. Canticchiò le note insieme ai Beatles mentre aspettava Mamoru nell’atrio del ristorante. Alla fine anche lui aveva subito il problema del traffico, e così avevano trasformato l’appuntamento delle dieci in un pranzo insieme al ristorante cinese dell’angolo. Loro lo chiamavano dell’angolo, in realtà si chiamava “Tesoro”; ma da quando avevano cominciato ad andarci si erano accorti che il posto aveva due entrate, una che dava sulla via principale e una invece nella via Yamazaki che faceva angolo. Da allora, era il ristorante dell’angolo.
Quando vide Mamoru attraverso il vetro arrivare con il suo ombrello blu, non resistette e si lanciò fuori fra le sue braccia, bagnandosi completamente. Mamoru da principio perse quasi l’equilibrio, poi lei gli serrò i piedi dietro la schiena e lo baciò con trasporto. Dimentico di tutto, mollò l’ombrello per reggerla e ricambiare quell’attenzione tanto inaspettata quanto gradita. Quando l’acqua cominciò ad entrargli anche nell’impermeabile, si staccò poggiandola a terra, e la sgridò. Ma a lei non importava un fico secco. Poteva tranquillamente sbollire con il pranzo, se era arrabbiato… Ma sapeva che non lo era.
« Usa-ko, senti, devi essere più discreta, qualche volta io… » -Era inutile. Non l’ascoltava nemmeno con un orecchio. Era già corsa di nuovo dentro, dal cameriere, aveva detto che erano in due e quello gli stava assegnando il tavolo. Mamoru si rassegnò, avrebbe cercato di dirglielo più tardi. Di una cosa era del tutto certo. Se qualcun’altra avesse preso il posto della sua ragazza se ne sarebbe accorto in meno di un nanosecondo. Sospirò e si avviò al loro seguito. Si tolse l’impermeabile fradicio e guardò Usagi fare lo stesso; gli odango si erano afflosciati con l’acqua e avevano assunto più la forma delle uova che non delle polpette.
« Dovrò cominciare a chiamarti testa di uova, adesso » -Usagi lo guardò interrogativa.
« Non sembrano delle uova » -Lo rimproverò, ma Mamoru sorrise. Era davvero divertente quando aveva quelle reazioni spiazzate alla sua ironia. La vide portarsi le mani alla testa, e strizzarsi i codini. Non riuscì a trattenere una piccola risata alla scena delle sue mani che si inzuppavano di acqua mentre i capelli sfuggivano agli odango per finire un po’ dappertutto.
« Eh sì, da oggi sarai proprio testa di uova » -L’espressione da interrogativa divenne quasi rabbiosa.
« Uffa, Mamochan! » -Lo rimbrottò mentre si sedeva. L’arrivo del cameriere salvò Mamoru da una imminente Usagi offesa, visto che l’ordinazione del cibo sembrò distoglierla dall’idea. Mamoru la osservò tutta bagnata prendere le ordinazioni, in modo serio e compito, per entrambi. Ravioli, Pollo e maiale… E ce li aveva i tagliolini? Allora anche una porzione di quelli. Mamoru pensò che non l’aveva mai amata tanto come in quei momenti, in cui faceva cose che le altre sembravano trovare scontate, e che Usagi faceva sembrare incredibilmente luminose.
« Mamochan, mi ascolti? » -Forse si era distratto troppo.
« Mh? » -Ecco, quello era stato un errore, e lo sapeva.
« Uffa, pensi ancora a chissà quale formula matematica! » -Non era così, poteva garantirlo, ma decise che era meglio non aggiungere niente- « Ti ho detto che oggi ho avuto un pacco dall’America, è di Amichan. Vorresti venire a ritirarlo con me? » -Mamoru fece una rapida riflessione e scosse la testa.
« Non posso, purtroppo ho da fare con Motoki. Gli ho promesso una mano con la ristrutturazione del locale nel pomeriggio » -Lesse la delusione negli occhi di Usagi, e si rese conto di aver commesso il secondo errore. Ma lo aveva programmato da molto insieme a Motoki e non poteva assolutamente ritrattare. Usagi unì gli indici in profonda disapprovazione. Mamoru preferiva sempre gli amici a lei! Beh, quel sempre era un’esagerazione forse, visto che erano insieme praticamente sempre quando lui era libero, e solo poche volte le aveva dato buca per qualcun altro… E lei molte volte, invece, per le ragazze. Decise che era il caso di essere indulgenti, anche perché stavano arrivando i ravioli, che per la seconda volta salvarono il suo fidanzato da morte certa.
Se ne servì nove su nove, anche se avrebbero dovuto dividerli a metà. Mamoru non protestò. Non finché Usagi non alzò la testa, la bocca piena di polpa di gamberi e indicò con i bastoncini il suo piatto vuoto, negli occhi il terrore per quello che aveva appena involontariamente fatto.
« Opooos, gne vhgolevi ugnho? » -Lui non si trattenne più, e scoppiò a ridere.
*
Segnale orario: sono le dodici e trenta. Vi conviene correre se dovete fare compere, perché i negozi chiudono fra pochissimo… Chi deve passare in banca? Forza, affrettatevi. Chi ha da fare una commissione? Muovete le gambe, su su. È un modo come un altro per smaltire i grassi e le bollicine mielate. Datevi da fare…!
Rei era uscita dal negozio facendo tintinnare il campanello che aveva trillato anche quando era entrata. Aveva comprato il regalo per Ami, e alla fine era soddisfatta. Aveva avuto diversi problemi nella scelta, visto che aveva rinunciato al libro che le era stato chiesto di comprare a favore di un regalo più grosso e originale. In fondo, i vent’anni di un’amica sono un’occasione speciale. Dalla busta spuntava una coloratissima carta blu e argento, e un voluminoso e soffice fiocco bianco che la commessa aveva impiegato poco meno di un minuto a fare… E che Rei, ci avrebbe scommesso, non sarebbe riuscita a ottenere nemmeno in sei ore di lavoro. L’ultima tappa della mattinata l’aveva raggiunta a piedi, aveva spinto la porta ed era entrata nell’ufficio postale.
« Buongiorno. Scusate, » -aveva domandato cortesemente a uno dei due agenti di sicurezza presenti- « cerco una persona, lavora qui e… »
« Non siamo l’ufficio informazioni » -Aveva risposto quello prima ancora di sentire il resto della domanda. Rei si era infiammata immediatamente e si era avvicinata minacciosamente.
« Il che non vi esonera dalle buone maniere! » -I due poliziotti si erano guardati in tralice, uno dei due aveva sgranato gli occhi, e alla fine avevano acconsentito a non farla arrabbiare. Non gli conveniva davvero.
« D’accordo, sì, scusi... noi… Turni massacranti e… »
« NON AVETE RISPETTO! TRE ORE DI FILA! MATTINATA BUTTATA PER PAGARE LE VOSTRE MULTE! » -Rei voltò la testa verso la fonte del grido. Evidentemente il signore doveva essere alterato. Rei aveva roteato gli occhi ed era tornata a concentrarsi sui poliziotti, per lasciarli andare a fare il loro lavoro.
« Dov’è l’ufficio di Soichiro Hayama? » -Aveva chiesto ancora, questa volta con tono molto meno cortese. L’avevano indirizzata su per le scale. Quando era entrata nell’ufficio del ragazzo, la radio era accesa su Shibuya-FM e le finestre erano serrate, con alla base due paraspifferi a forma di bruco che si andavano lentamente inzuppando.. Lui se ne stava tranquillamente comunque seduto alla sua scrivania. La pioggia batteva sui vetri a rumore di tamburi, e Rei immaginò che non l’avesse nemmeno sentita bussare.
« Salve, Hayama » -Salutò cortesemente. Lui alzò la testa bionda e spettinata con un’espressione leggermente sorpresa. Appena incrociò lo sguardo della ragazza, però, si aprì in un sorriso.
« Devi imparare a chiamarmi Soichiro, Hino… » -Rei si irrigidì e si piegò ad appoggiare l’ombrello pieghevole sul pavimento, mentre il ragazzo l’invitava ad accomodarsi con un gesto della mano- « Qual buon vento, Rei? » -L’uso del nome la rilassò un po’, e anche il gesto che Hayama aveva fatto era eloquente e molto cortese. Si sedette di fronte a lui sulla scrivania, e si incrociò le dita in grembo.
« In verità, vento contrario. Stavi andando a mangiare? » -Domandò velocemente.
« Un minuto per te c’è sempre » -Rei si sporse in avanti poggiandosi con i gomiti sul tavolo. Non avrebbe voluto approfittare di lui, ma la sua disponibilità la faceva spesso sentire giovane, come ai tempi del liceo, come in una complicità buffa e perduta negli anni. Con Hayama la recuperava ogni volta che parlavano. La faceva sentire quasi piacevolmente a casa.
« Come sta Madoka? »
« Alla grande… A proposito, Rei, quei portafortuna che ci hai regalato le piacciono da impazzire… E uno lo ha preso mia figlia per gli esami. Grazie davvero per quel favore. Non so come faranno quando dovranno separarsene » -Rei sorrise, un po’ in imbarazzo e un po’ lusingata. Era stato il minimo.
« Ah, sì, funzionano molto bene e li vendiamo come il pane »
« Ma immagino tu non sia qui per parlare di portafortuna, eh? »
« Ho un problema con un’amica, ti racconto » -Un po’ gesticolando, Rei gli spiegò la situazione. Di Setsuna, della bancarotta e del fatto che probabilmente aveva avuto compagnie sbagliate. Enfatizzò le frasi con cerchi nell’aria, aggiunse particolari leggermente pittoreschi e narrò di Hotaru e dell’università. Hayama ascoltò in silenzio, annuendo ogni tanto, con le mani davanti alla bocca. Quando arrivò alla parte del bisogno di un lavoro, però, le tolse e fissò Rei intensamente.
« Mi chiedi una cosa impegnativa »
« Lo faccio solo perché è un’amica » -Si riparò subito lei.
« Scrivi qui i dati, per l’amministrazione » -Le disse passandole un foglio bianco. Rei non lo prese. Al contrario cercò nella borsa.
« Ho un curriculum » -Hayama ridacchiò e si distese sulla sedia a ruote, che si allontanò dal tavolo di una manciata di centimetri.
« Sapevi che ti avrei detto di sì? » -Rei lo guardò e sorrise furbetta. Tirò fuori due centimetri di lingua, e Hayama si portò una mano alla fronte- « A te è impossibile dire di no, vero? »
« Sei un amico, Hayama »
« Sì, sì, me l’hai detto anche alle medie quando volevo mettermi con te. Amico UN CORNO! » -Rei rise, sinceramente- « Spero che almeno questa tua amica ogni tanto metta la minigonna. »
*
Dodici e quaranta amici miei, dodici e quaranta. Dodici e quaaaaaaaaaaaaaraaaaaaaaaanta. - Shin, la vuoi finire? - Eddai Miki, lasciami cantaaaaareeeeeee…
« Cosa facciamo, adesso? » -Michiru non si fece ripetere la domanda due volte. Mescolò velocemente il succo che stava bevendo, lo scolò in un sorso solo e poi piantò gli occhi in quelli della sua compagna.
« Devo andare in posta, è orario di chiusura e c’è poca gente. Ho da pagare le tue bollette » -Sentenziò con decisione. Haruka aggrottò le sopracciglia. Non capiva. Che c’entrava la posta, in quel momento? Era una così bella giornata, insieme… Perché doveva rovinarla in quel modo? E poi il tono con cui aveva detto tue non le era piaciuto. Sospettava che ci fosse una qualche questione irrisolta con Michiru. Di solito si comportava così quando non voleva dire con chiarezza cosa la infastidiva. Ma Haruka era decisa a non darle nemmeno un po’ di corda. Sollevò le sopracciglia.
« Intendi le nostre bollette » -La corresse.
« No, intendo proprio le tue » -Ipotesi confermata. Sicuramente c’era qualcosa che le dava fastidio. Sospirò e cominciò a riflettere sulle sue azioni dell’ultima settimana. La camicia stirata non poteva essere, il fatto dell’uovo bruciato nemmeno… Forse era perché aveva salutato la vicina? O forse per… Oh, no, non poteva essere davvero per…
« Non sarai mica ancora arrabbiata per prima »
« Per niente. Solo che la luce la usi solo tu, a casa. Pc, televisore, luci per leggere di notte, radio… » -Porca miseria. Era ancora arrabbiata per la questione della radio. Trattenne l’istinto che la stava spingendo a gettarsi ai suoi piedi a chiedere perdono e di non andare in posta. Cercò le parole giuste ma non le trovò. Allora provò con quelle sbagliate.
« Michiru, dovevo sapere il risultato di quella partita. Dai, andiamo in qualche caffè a mangiare. Il tempo è uno schifo e... » -Ma doveva saperlo da prima, Michiru non l’avrebbe lasciata finire.
« …E io devo pagare quelle bollette o scadono. » -Oh, sì, si disse Michiru. Vendetta.
*
Rei uscì dall’ufficio ridacchiando e chiudendosi la porta alle spalle con un ultimo saluto. Si sentiva serena e finalmente tranquilla. Aveva finito di sbrigare tutto. Sollevò la testa con un sorriso e si avviò verso le scale. Diede un’occhiata al suo orologio da polso. Le… otto e venticinque? Sbuffò seccata; si era fermato, forse per via dell’umidità. Ogni volta che ce n’era un po’ di più del solito quella vecchia carcassa arrancava. Rei era troppo pigra per andare dall’orologiaio, e non aveva voglia di sostituire il cimelio di famiglia che era quel piccolo orologio d’oro. Quindi, una volta al mese, aveva quel piccolo problema. E quando era inverno, l’ora era perennemente sbagliata.
« Mi scusi, sa che ore sono? » -Domandò a un ragazzo che aveva l’aria di essere un impiegato. Quello aveva appena sollevato di un colpo una pila di volumi di enciclopedia.
« Sì, certo, io… » -Si piegò a sinistra per cercare di leggere l’ora.
« Attento! » -Rei si gettò su di lui per fermare la caduta dei libri, ma non fece in tempo. I volumi rovinarono sui primi scalini con grande imbarazzo del ragazzo che la fissò con sguardo supplichevole.
« E’ l’una » -Un colpo. Rei dilatò gli occhi e le orecchie, Questa è una rapina! Il ragazzo si dileguò alla velocità della luce, senza che lei avesse nemmeno il tempo di accorgersene, in un ufficio dando l’allarme con grida di svariato tipo e non tutte gentili. Rei si infilò di netto la mano in tasca ed estrasse la penna trasformante. Era un secolo che non la usava, forse di più. La teneva sempre in tasca, e anche se con il tempo si era convinta di essersene addirittura dimenticata, quel momento preciso le ricordò che non aveva
mai smesso di essere una Senshi. Sapeva molto bene come comportarsi, e non avrebbe esitato un secondo. Ovviamente non avrebbe fatto del male al ladro, voleva solo spaventarlo con il fuoco e metterlo in fuga prima che qualcuno si ferisse. Si lanciò sulle scale.
« Mars Star Power! Make… AH! » -Il secondo colpo di pistola l’aveva distratta, facendole mettere inevitabilmente un piede sul volume M-O dell’enciclopedia. La penna le sfuggì di mano, e sentì il suo corpo rovinare sulle scale.
*
« Reichan! Come stai? » -Quando Rei aprì gli occhi il viso di Usagi le stava davanti con gli occhi pieni di lacrime e completamente inzaccherato di fango, acqua e almeno quattro altre cose che Rei non riuscì a distinguere.
« STALLE LONTANA! »
« Ti prego, è mia amica, è ferita… » -La ragazza fece un cenno di assenso ma le ordinò di lasciare la borsa se voleva aiutarla. Usagi ubbidì gettando via la borsa, mentre la cassiera continuava a infilare le banconote a mazzette nel sacco. Rei chiuse gli occhi per rilassarli per un secondo. Abbandonò la testa sul petto di Usagi, e poi con uno sforzo incredibile rialzò le palpebre.
« Ah… Adesso che ti vedo… sto da schifo… » -Usagi soffocò una risata nel singhiozzo e gettò le braccia al collo dell’amica.
« Reichan! Mi hai fatta preoccupare! » -Rei sorrise nella massa bionda e ovattata mentre con la mano e con gli occhi cercava la sua penna. L’odore acre di muffa e umido proveniente dalla testa dell’amica le fece salire un leggero conato, che trattenne prontamente. Niente da fare, probabilmente la penna le era caduta ed era rimasta in cima alle scale. Tutto il corpo le faceva male nei punti in cui aveva sbattuto, e si manifestava con scosse violente. Respirò con calma e deglutì.
« Usagi, devi trasformarti » -Le disse.
« Non posso, io… La spilla è nella borsa, e per farmi venire in tuo aiuto me l’ha fatta lasciare lì… » -Usagi guardò Rei con sguardo abbattuto e colpevole. Rei fece una smorfia di disappunto. Usagi aveva preferito come sempre venire in aiuto di un’amica anziché cercare di risolvere l’intera situazione. Non riuscì a non tirare un sorriso e a darle un buffetto mentre vedeva che gli occhi le si riempivano di nuovo di lacrime.
« Andrà bene, vedrai » -Usagi annuì. Poi un colpo. E due grida. Un uomo a terra e il suo bambino su di lui, che chiedeva perché l’hai fatto? Un attimo e qualcuno diceva che serviva un ambulanza.
« Decido io cosa serve » -Sentenziò la rapinatrice, e sparò a chi aveva detto che servivano soccorsi. Usagi aveva contato i colpi, involontariamente. E sapeva che non ne rimanevano più di tre in canna. Fece per alzarsi
« Usagi, no, sta arrivando la polizia di sicuro »
« Ma, Reichan… » -La donna puntò la pistola sul bambino. Usagi si scagliò sul suo braccio e il terzultimo colpo partì per il soffitto. La radio gracchiò frasi divertite e risate e poi annunciò il titolo della canzone, che Usagi non sentì perché assordata dallo sparo. Ne sentì subito dopo le prime parole, mentre tornava il silenzio.
Step one, you say “we need to talk”, he walks, you say “sit down, It’s just a talk”…
« Ferma! »
« Perché? »
…some sort of a window to your right, as he goes left and you stay right…
« Ma insomma, è un bambino! Noi donne li proteggiamo, i bambini. Ci battiamo per loro con forza, danno un senso improvviso alla nostra vita. Per loro, moriremmo. Non puoi non capire » -La voce le tremava forte. Il Silenzio l’assordava più dello sparo di prima, immaginò di essere diventata sorda… Ma non poteva essere, sentiva la sua stessa voce. Sentiva la radio.
…between the line of fear and blame you begin to wonder why you came; where did I go wrong?...
« Sarai tu la prossima a morire » -Tirò il grilletto. Usagi si mise le mani davanti alla faccia in un invisibile scudo. Si preparò a morire al posto del bambino. Meglio lei che… Una seconda voce si levò dal fondo della posta, la fila per il pagamento di bollette o altro. Una voce che conosceva bene.
« Immagino che il tuo problema parta da lontano » -Harukasan!- « Hai un atteggiamento molto maschile, ti muovi come me… I tuoi volevano un maschio, non è vero? »
…could have stayed up with you all night, had I known how to save a life…
La canna della pistola fece una netta deviazione dalla testa di Usagi al petto di Haruka. Usagi si voltò lentamente per vedere. Haruka era in piedi, si era alzata. E anche Michiru si stava alzando in quel momento esatto, per proteggere la compagna. Usagi allungò le mani verso la ragazza anche se non l’afferrò. Se avesse sparato, l’avrebbe sicuramente colpita. Era un bersaglio unico e abbastanza vicino.
« E il modo in cui spari mi fa supporre che tu abbia fatto un addestramento militare. Polizia? » -La ragazza tornò a rivolgersi a Usagi.
« …Come sanno queste cose? » -Usagi deglutì. Vide un lampo di paura nei suoi occhi.
…let him know that you know best, ‘cause after all you do know best…
« Ero nei marines. Quinta divisione. In Serbia come infermiera » -L’accento le aveva fatto intuire che non fosse una giapponese- « Mio padre era mezzo Americano e mezzo Giapponese »
« Un bastardo » -Fece Haruka, e stirò un mezzo sorriso.
« In ogni senso »
« In quella guerra fu impiegata poca fanteria, però… Fu una guerra veloce »
« Non abbastanza per non vedere lo schifo. Gli stupri e la pulizia etnica e… » -Rei si alzò e la guardò.
…Lay down a list of what is wrong, things you tell him all along…
« E tu, qui, che pulizia vuoi fare? Hai sparato a chiunque ti trovavi di fronte! Gente innocente! Erano solo colpevoli di aver incrociato la tua strada! » -Usagi la placò con un gesto.
« Rei ha ragione. Rifletti. Chi erano? Cosa facevano? Cosa pensavano? Che cosa custodivano nel cuore? Forse avevano ferite profonde quanto le tue » -La pistola si abbassò lentamente. Usagi rivide gli occhi di Galaxia negli occhi che aveva puntati addosso. Ma questa volta, non era sola. Le tese la mano per prenderle la pistola- « Su, smetti di distruggere e salvaci… E soprattutto, salvati… »
…And pray to God he hears you!
*
« Venus Star power, make up! »
« Jupiter Star power, make up! »
Sia Minako che Makoto avevano sentito gli spari e si erano piazzate davanti all’ufficio postale. Appena avevano avuto l’occasione, si erano trasformate in un vicolo secondario.
« Entriamo? » -Chiese Jupiter. Venus fece un cenno, e spazzò con la mano un po’ di appannaggio dalla porta a vetri. Vide Usagi in piedi. La pistola che si avvicinava alla sua mano. Sussultò e gettò la spalla contro la porta.
« Usagi! »
Jupiter non si fece ripetere l’antifona e si scagliò dietro di lei. Usagi, Haruka, Michiru, Rei e altre cinquanta persone si voltarono verso le due Senshi.
« NO! » -La rapinatrice ritrasse il braccio con uno scatto repentino, e puntò la pistola. Mirò con cura. Sparò ancora. Verso Makoto.
« NO! » -Anche Usagi si era gettata verso di lei, ma non aveva fatto in tempo a deviare lo sparo per la seconda volta. Il proiettile si schiantò sulla fuku di Makoto. Lei si guardò la pancia ed emise un curioso sbuffo, come di fastidio. Il proiettile atterrò sul pavimento accanto al suo stivaletto. Probabilmente, come le proteggevano dall’energia, le fuku le rendevano anche più forti agli attacchi di oggetti reali come i proiettili. La rapinatrice assunse un’espressione di amara sorpresa. Usagi si aspettava che sparasse di nuovo, l’ultimo proiettile. Ma non lo fece. Si chiuse su se stessa, e guardò Usagi negli occhi.
« Mi dispiace… »
…As he begins to raise his voice you lower yours, grant him one last choice…
Usagi capì cosa stava per succedere una frazione di secondo prima che accadesse. Si era puntata la pistola al cuore. Ma dov’era chi doveva intervenire… Dove…? Otto mani si avventarono sulla pistola. Il colpo partì nettissimo, un punto imprecisato poco sopra il seno. Usagi la fissò, il terrore che le si allargava sul volto. Vacillò per un attimo. Cercò di gemere. Soffiò al vento un nome, e poi si abbatté sul pavimento. Il Silenzio si allargò insieme al sangue sul pavimento, mentre cinquanta persone trattenevano il fiato all’unisono.
…Or he’ll say he’s just not the same, and you’ll begin to wonder why you came; Where did I go wrong? I lost a friend somewhere along in the bitterness and I could have stayed up with you all night, had I known how to save a life…
Arrivò la polizia, e l’ambulanza. Tutto il seguito si svolse molto velocemente. L’agente morì. La rapinatrice aveva sparato anche a sua madre nella mattinata, trovarono il corpo poco dopo. Morì l’uomo che aveva chiesto un’ambulanza. E il padre del ragazzo. Morì una donna anziana d’infarto. La ragazza che aveva voluto tentare quella rapina si chiamava Hinata. Usagi non volle guardare mentre portavano via i corpi, in una strage che sarebbe rimasta a lungo nella sua e nella memoria di molti. Il fato aveva voluto giocare scherzi meschini riunendoli in quell’ufficio postale proprio alla una. Aveva voluto mandare Rei da Hayama, e le aveva rotto l’orologio di proposito per farla cadere dalle scale. Aveva fatto perdere la metro a Minako e Makoto per farle irrompere pochi secondi prima della soluzione finale, per uccidere ancora. Aveva voluto che Michiru si arrabbiasse con Haruka, posticipando il verdetto alla radio della Tokyo Verdy. E aveva fatto arrivare il pacco di Ami a Usagi proprio quel giorno, con un postino impertinente, per farla correre in posta… Alla una, ovviamente, facendo saltare il suo appuntamento con Mamoru. Una uccisione di massa per ricordare che la vita è fragile, nelle mani della morte? Usagi non lo sapeva. Era solo riuscita a rallentare la furia di una rapinatrice, solo per incidere leggermente gli eventi. Solo per salvare un bambino. Se anche fosse riuscita a trasformarsi, non le sarebbe servito il potere che aveva. In certe situazioni, non basta, serve solo il cuore.
Non si era mai chiesta come sarebbe stato mettere i suoi poteri al servizio di una giustizia diversa, una che servisse alla comunità per scacciare i criminali. Una giustizia ancora più grande di quella che le aveva
permesso di salvare il mondo. Una giustizia che le avrebbe consentito di salvare delle vite. Fino a quel giorno, in un anno e più di normalità come Usagi Tsukino… Quante persone erano morte? Quante erano morte perché lei non le aveva salvate? Aveva sempre creduto che la fuku rappresentasse un ideale alto. Invece, si rese conto, l’aveva usata sempre in modo sbagliato. Ma le cose sarebbero cambiate. Tutte avrebbero approvato, sarebbero diventate come V era un tempo.
Lei lo avrebbe fatto. Accarezzò la spilla nella borsa, forse anche quello era semplicemente un segno che il destino le mandava… Torna, Sailor moon. Tornare per tutti?
Usagi si rese conto che fino a quel momento, non aveva mai davvero considerato l’idea di mettere i suoi poteri al servizio della giustizia del paese; era dovuto capitare a lei per farle fare quella riflessione e farla decidere che voleva che la percentuale di crimini a Tokyo diminuisse.
La ragazza della rapina alla fine le aveva sussurrato « Parleranno di… me? Non si dimenticheranno di me, vero? » -E le aveva stretto il polso. Usagi suppose che così la notizia della sua morte sarebbe arrivata al padre; una storia triste. Di miseria, violenza sociale. Si parlò della strage per qualche giorno, e poi la questione fu scalzata da nuovi fatti di cronaca. La giornata, partita con l’eccitazione per una faccenda personale, l’aveva lasciata solo con il cuore inaridito.
Ritirò il pacco e lo portò a casa a piedi, nonostante fosse pesante, con dolore alle braccia. Intanto, il meccanico le aveva riparato la macchina a tempo di record.
Gettò il pacco sul letto senza aprirlo e saltò sull’auto al volo, radio a tutto volume e lacrime negli occhi, l’intenzione di correre più lontano possibile.
*
Shibuya-FM, batte il vostro tempo. Shin e Miki, in studio con voi. Ultime dall’ospedale, la strage ha voluto salvare dal destino la rapinatrice della strage della una all’ufficio postale… A quanto pare, entrata in coma alla una e mezza ne è uscita dieci minuti fa. Meritata o meno, il destino le ha dato una seconda occasione. E alle quattro in punto di questo umido pomeriggio… -Un momento! Gente, guardate che roba! Alzate il naso, si apre uno squarcio nelle nubi! Finalmente, dopo tante ore rintanati come topi! E per noi, il cielo ha dipinto anche l’arcobaleno… Allora, Miki,, ci andiamo a prendere un po’ di sole? - Non ho sotto il costume, scusa Shin! - Mi ricordo che da ragazzino, quando pioveva riuscivo a studiare meglio. - Ah, ecco perché odi la pioggia, Shin! - Ah ah ah! - A me invece mette allegria! - Scherzi, Miki?! - Vuoi mettere quella bella paranoia del non fare nulla? Pantofole ai piedi, termosifone acceso, televisione sul telefilm preferito, pop-corn caldi e cioccolata a fiumi! - Ma non me lo dire. A me, le ore, sembrano non passare mai. L’orologio va a tempo con le gocce sulla finestra, tic-toc, tic-toc…
*
…Si dimenticheranno di me?
Usagi ringhiò di rabbia, strillò ferocemente. La voce metallica nella radio si spense con un tonfo.




Ho lasciato i commenti nel fondo perché potevano sembrarmi leggermente spoiler; poi credo che non cambia molto leggerli prima o dopo, ma non si sa mai. Che dire d'altro? Non c'è moltissimo se non un grazie ai giudici, soprattutto per aver indetto questo concorso e avermi fatto partorire questa cosa. Spero che almeno un po' vi abbia divertito, lasciato una riflessione e che presto io possa tornare a pieno regime dopo questi esami universitari che uccidono. AU REVOIR!

Commenti ai punteggi;


Originalità: Sailor impegnate a vivere vite normali che vengono coinvolte in una rapina in banca; la frase da sola comunica l'originalità della storia. L'originalità forse è mancata all'interno della storia, nel finale.
Trama: inizio in media-res, curiosità sul destino di un personaggio in pericolo, elemento della radio che commenta la vita cittadina, costruzione di tante piccole scene quotidiane per le Senshi. Tutte cose che hanno dato corpo alla trama di questa storia. Tornando alla considerazione di sopra sul finale, la scena finale è stata d'impatto, ma le considerazioni che hanno portato Usagi a riflettere sulla sua funzione di guerriera sono sembrate un po' rapide e impostate. Ad un giudice è sembrato che l'elemento della radio, per quanto originale, tendesse a spezzare un poco il ritmo del racconto.
Caratterizzazione: il carattere dei personaggi si desume dal tono dei pensieri, dai dialoghi e dalle piccole cose. Per via del gran numero di personaggi per alcuni è mancato un poco di approfondimento.
Stile e forma: stile ricco, bello. Personalmente sono rimasta un po' confusa dall'uso continuo di trattini dopo i dialoghi, seguiti da maiuscole che potevano essere minuscole, ma questa è un'inezia.
   
 
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