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Autore: Jinxed Ink    13/07/2011    4 recensioni
Quando, dopo la morte di suo padre, Stefano lascia e umilia il suo amante per il suo stesso bene, si aspetterebbe di tutto tranne che Davide non creda ad una parola e lo affronti. Si trova quindi a dover scegliere tra ciò che vuole e ciò che ritiene giusto per l'uomo che ama.
“Devi essere molto nervoso, non venivi qui da quando i tuoi ti ordinarono di prendere moglie”, disse una voce alle sue spalle.
“Davide”, commentò con voce neutra, senza girarsi, “Cosa ci fai qui?”
Il giovane si sedette al suo fianco. “Mi pare ovvio. Cercavo te.”
“Non vedo proprio perché dovresti.” Stefano si guardò le punte delle dita, che fendevano l’acqua limpida, con finto interesse. “Pensavo di essere stato chiaro. Non mi soddisfi più, mi troverò qualcun altro per scaldare il mio letto.”
“Certo, come no.” Davide inarcò un sopracciglio. “Potrei anche crederti, sai, se non ti conoscessi. Sei crudele, ma non sei il tipo che illude le persone per ottenere ciò che vuole.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Heavy is the head that wears the crown

 

 


I rintocchi delle campane si spargevano nell’aria immobile e fredda della sera. Il re era morto. Lunga vita al re. Poteva quasi sentire i sussurri spargersi nelle strade della città come le onde dell’oceano. Il re era morto. Lunga vita al re. Poteva quasi udire lunghe penne d’oca nere grattare la pergamena mentre mani fragili stendevano comunicati. Il re era morto. Lunga vita al re.
“Stefano.” Alzò il capo. Davide era scivolato nella stanza. Percorse la distanza che lo separava dal letto con passi lenti e misurati, agili e silenziosi come quelli di un gatto. Prese la candela dal comodino intarsiato, la accese, e la fiamma proiettò un cono di luce vacillante attorno a loro. La poggiò lentamente nella bugia decorata, radrizzandola appena col palmo della mano. Poi si accovacciò sul letto al fianco di Stefano e gli prese la mano, baciandola delicatamente.
Il ragazzo sorrise appena. Nella mezz’ora che era passata da quando suo padre aveva esalato l’ultimo respiro aveva udito molte parole di consolazione, molti incoraggiamenti a compiere il suo dovere, ora che la corona era passata a lui. Ma nessuno gli aveva dato ciò che desiderava più di ogni altra cosa. La dolcezza e il quieto conforto del silenzio. Alzò lo sguardo sul suo servo, sul suo amante, sul viso pallido illuminato appena dalla luce dorata della candela, sugli occhi verdi e luminosi, sulla seta dorata dei suoi capelli. Era bellissimo, e fragile. E lui stava per perderlo.
Davide gli strinse delicatamente le spalle e premette la bocca sulla sua. Aveva le labbra morbide e lisce, come i petali di un fiore. Sarebbe stato così semplice ricambiare il bacio, come aveva fatto tante volte in passato. Ogni fibra del suo corpo sembrava urlargli che era quella la cosa giusta da fare. Di seguire il suo cuore, e non il suo cervello. Che una soluzione l’avrebbe trovata. Di non privarsi del conforto più dolce proprio nel momento più buio. Ma non si trattava solo della sua felicità. Dare retta al suo cuore avrebbe finito col ferire anche Davide, soprattutto Davide. E lui non l’avrebbe sopportato.
“Stefano?” Chiese il servo esitante, “C’è qualcosa che non va?”
Stefano si concesse un’ultima occhiata al viso dell’altro, per memorizzarne i lineamenti. Anche se, in fondo, non ne aveva bisogno. Il suo viso era impresso nella sua memoria come se vi fosse stato marchiato a fuoco. “E’ finita. Sei licenziato. Vattene”
Davide spalancò gli occhi, e lasciò andare il giovane re. Gli tremavano le mani. “Come?” Sussurrò, “Perché?”
Stefano scosse il capo, evitando lo sguardo dell’altro. Sapeva che non avrebbe resistito, se avesse incontrato i suoi occhi. Sentire il dolore nella sua voce era già troppo per lui. “Sarebbe troppo lunga da spiegare.”
“Troppo lunga da spiegare?” La rabbia si era mescolata alla disperazione nel tono del servo. “Tre ore fa eravamo assieme e tu hai detto di amarmi, e ora mi stai lasciando. Ma io non sono la tua puttana, Stefano. Non puoi liquidarmi così, senza una parola di scuse, senza un perché. Non te lo permetterò. Quindi”, fece una pausa, afferrò il mento del re e lo costrinse ad incontrare i suoi occhi. Splendevano come fiamme, incastonati nel suo viso candido. Non era mai stato bello come in quel momento, con la furia nello sguardo e nel cuore. “Perché?”
Stefano si fece coraggio e gli sfiorò la guancia con le dita. “Invece eri proprio la mia puttana, Davide, nient’altro.”
Davide gli afferrò il polso e lo scostò seccamente. “Cosa?”
“Non ti amavo, eri solo un passatempo. Davvero credevi che mi sarei potuto innamorare di uno come te? Un plebeo? Un servo?”
Il ragazzo sbatté le palpebre. Stefano vide lo scintillio delle lacrime nei suoi occhi, e dovette mordersi il labbro per non rimangiarsi ogni parola. Era meglio così. Davide tirò su col naso, soffocando un singhiozzo nel palmo. Si rialzò e fece per uscire, ma si voltò, con la mano bianca poggiata alla maniglia. “Tu sei molte cose, Stefano, ma non sei un bugiardo. So che quando dicevi di amarmi eri sincero. Scoprirò perché stai facendo questo.” Gli diede le spalle e se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé con delicatezza, senza un suono. Stefano si alzò e premette le dita sullo stoppino, spegnendo la candela, poi scivolò nuovamente a letto. La stanza ripiombò nell’oscurità e nel silenzio.

* * *

“Cosa significa tutto questo?” La voce era alta, melodiosa e irritata, e si fece strada nella sua mente annebbiata dal sonno come una lama di ghiaccio. Stefano si risvegliò con un sobbalzo. Sino a un attimo prima aveva sognato, un sogno pacifico e dolce, che avrebbe voluto ricordare, ma che gli sfuggiva, fluttuando come nebbia ai confini alla sua coscienza, appena al di fuori della sua portata. “Isabella”, mormorò, “è presto, torna a dormire.”
Prima spiegami perché diavolo hai lasciato Davide”, esitò, come se fosse in dubbio se proseguire o meno, “Il nostro patto è ancora valido, vero?”
Il re la guardò. Era bella, con i suoi capelli corvini e la pelle diafana, e gli occhi verdi e luminosi, come quelli di Davide. Ma non era per quello che le aveva chiesto di sposarlo. Era stata entusiasta all’idea di accettare entrambe le sue proposte, non soltanto quella di matrimonio, ma anche l’altra: tre figli maschi alla corona, dopodiché quanti amanti voleva. Non appena il primogenito fosse stato pronto a governare, l’abdicazione e poi il divorzio. Infine sarebbe stata libera di vivere la sua vita come voleva. Entrambi lo sarebbero stati. “Certo che è ancora valido.”

“Allora perché l’hai lasciato? Lo ami, no?”
Stefano sospirò. Non si era aspettato di dover rispondere anche a Isabella. Si strinse nelle spalle. “Non lo amavo, era solo un modo come un altro di passare il tempo. Mi sono stufato di lui, mi troverò un altro giocattolo.”
“Ti sei-”, Isabella si arrestò, scrutando il viso del fidanzato con improvviso sospetto. “Stai mentendo.”
Il re si passò una mano tra i capelli. Gli aveva visto attraverso con una facilità impressionante, come solo Davide era stato in gradi di fare prima d’allora. Le stava permettendo di avvicinarsi pericolosamente al suo cuore, di imparare a conoscerlo. Aveva sempre allontanato tutti da sé, con ogni mezzo a sua disposizione. Nel corso degli anni, solo Davide gli era rimasto vicino, nonostante gli insulti e le frecciatine, nonostante le parole crudeli gridate solo per ferire.
La famiglia di Davide serviva la sua da secoli, lui era nato per diventare il suo valletto, e Stefano aveva fatto di tutto per rendere la sua vita un inferno in terra.
Lo aveva creduto come tutti gli altri, l’ennesimo a stare al suo fianco soltanto perché costretto o per ottenere qualcosa. Non aveva avuto idea di quanto si sbagliasse. Davide non era come gli altri. Alle prese in giro ribatteva con urla e porte sbattute, agli spintoni con sberle e pugni. E quando, esitanti, si riappacificavano, non ritrattava mai le sue parole, perché non diceva mai nulla che non pensasse realmente. Era fin troppo sincero, Stefano glielo faceva presente di continuo. Ma era stata proprio la sua schiettezza a farlo innamorare. Nel suo mondo, dove ogni parola ne significava un’altra, la verità era una merce rara e preziosa, che solo Davide gli dispensava. E ora anche Isabella. Stefano la guardò sottecchi, con un mezzo sorriso. Era seduta accanto al letto, e stava giocando con la cera sciolta della candela. “Spiegami questo”, disse.
Il re aggrottò la fronte. “Che cosa?”
“Le candele. Che significato hanno per te e Davide?”
Il giovane ridacchiò. “E’ una lunga storia.”
“Abbiamo tempo.”
“In realtà no. Mio padre è appena morto, e io verrò incoronato Re tra tre giorni.”
La ragazza sorrise. “Hai licenziato Davide, nessuno verrà a svegliarti, e non ti cercheranno che tra una mezz’ora. Hai tutto il tempo di spiegarmi. Puoi prendertela comoda.”
“Davide è la persona più coraggiosa che conosca, per anni ho creduto che non temesse nulla”, cominciò Stefano.
“D’accordo, non intendevo così comoda!” Lo interruppe la giovane.
“Non sto cercando di guadagnare tempo, è importante ai fini della storia. Da ragazzino era anche un ladruncolo, e aveva sempre le tasche piene di piccoli tesori che aveva rubacchiato in giro per il palazzo”, fece un gesto impaziente con la mano quando Isabella sembrò sul punto di intervenire di nuovo, “Sì, anche questo importante. Stavo per compiere quindici anni, e mio padre aveva trascinato me e Davide nel caveau dei gioielli della corona. Dovevo scegliere quali avrei indossato per la mia festa. Ci lasciò soli, con delle guardie a sorvegliare l’ingresso. Ci fu un blackout e rimanemmo chiusi dentro”, Stefano fece una pausa e sorrise appena, in un misto tra il divertito e l’intenerito, “Fu così che scoprii che anche Davide aveva paura di qualcosa. Dei luoghi chiusi. Cadde in ginocchio, e prese a tremare e singhiozzare. Non sapendo che altro fare, mi accovacciai al suo fianco e lo strinsi tra le braccia. Lui si appoggiò al mio petto. ‘Ho preso una candela dalle cucine stamattina, voi avete il vostro accendino?’ Chiese in un sussurro roco. Aveva la voce rotta di pianto. Non l’avevo mai visto in quello stato, e devo ammettere che mi spaventò parecchio. Non lo rimproverai nemmeno per il suo furto, mi limitai a prendere la candela e accenderla con mani tremanti. La poggiai a terra accanto a noi, e abbracciai di nuovo Davide.
“Lo conosci, è sempre bellissimo, ma quello che non sai è quanto sia bello nella luce delle candele. I suoi capelli sembravano raggi di luna intrecciati, i suoi occhi, per quanto fossero gonfi e arrossati, erano pozze di smeraldo. La sua pelle pareva splendere nella luce dorata. Aveva l’aspetto che attribuiamo agli angeli, o agli dèi dei tempi antichi… Dio, era perfetto”, mormorò, passandosi una mano sul viso e fra i capelli, “Ma sto divagando. Torniamo a noi due abbracciati, prigionieri nel caveau. Avevamo sempre evitato il contatto fisico. Io ero il principe ereditario, lui il mio servitore. Niente di più, niente di meno. Ma allora, con quel semplice gesto, tutte le barriere che c’erano tra noi crollarono. Sentivo il peso del suo corpo, il suo calore, la mia camicia era bagnata delle sue lacrime. Avevo le narici colme del suo profumo, un misto di sapone, dopobarba da quattro soldi e shampoo alla menta, che non sarebbe mai dovuto essere buono, eppure lo era”, ridacchiò, lo sguardo perso in lontananza, “Mi trovai a baciarlo senza nemmeno sapere come mai. Da allora, le candele per noi sono diventate una costante.”
Isabella tacque, scrutando il fidanzato come se volesse vedere attraverso carne e sangue, e giungere alla sua anima. “Tu lo ami. Lo ami più della tua stessa vita. Lo credevo prima, e ne sono ancora più convinta ora. Allora perché lo hai lasciato?”
“Te l’ho detto, Isabella. Non lo amavo. Lui per me era solo un gioco.”, Stefano si alzò e si vestì, senza badare a cosa indossava, poi uscì sbattendo la porta.

***

I giorni passarono in un turbinio di usanze da onorare e giuramenti da prestare, e giunse il mattino dell'incoronazione.
Stefano era accovacciato sulle rive di un laghetto nel giardino delle rose. Era una polla oblunga e frastagliata, circondata da bassi cespugli fioriti. Il giovane re sedeva sulla sponda erbosa, e si specchiava. Aveva il viso pallido e tirato, gli occhi stanchi e borse scure sotto di essi. Sbuffò, poi affondò le dita nell’acqua chiara e fresca. La superficie s’increspò, disturbando il suo riflesso.
“Devi essere molto nervoso, non venivi qui da quando i tuoi ti ordinarono di prendere moglie”, disse una voce alle sue spalle.
“Davide”, commentò con voce neutra, senza girarsi, “Cosa ci fai qui?”
Il giovane si sedette al suo fianco. “Mi pare ovvio. Cercavo te.”
“Non vedo proprio perché dovresti.” Stefano si guardò le punte delle dita, che fendevano l’acqua limpida, con finto interesse. “Pensavo di essere stato chiaro. Non mi soddisfi più, mi troverò qualcun altro per scaldare il mio letto.”
“Certo, come no.” Davide inarcò un sopracciglio. “Potrei anche crederti, sai, se non ti conoscessi. Sei crudele, ma non sei il tipo che illude le persone per ottenere ciò che vuole.” Sorrise. “Inoltre”, continuò, “Non avevi bisogno di raccontarmi delle belle bugie per portarmi a letto. Ci sarei stato lo stesso, e tu lo sapevi.”
“E quindi, a cosa ti porta il tuo brillante ragionamento?” Chiese Stefano con voce piatta.
“Tu ferisci tutti, per evitare di essere ferito a tua volta, ma ferisci le persone che ami soltanto se ti senti in colpa o se credi che sia meglio per loro. In questo caso, credo che si tratti di entrambe le cose.”
Il re si voltò a guardarlo. Non si sarebbe mai aspettato che lui lo capisse. “Se ti vuoi illudere e credere questo, fa pure. Ti ho detto e ti ripeto che tu non significavi nulla per me.”
Il ragazzo sbuffò. “Fammi un piacere”, fece una pausa, strappando un filo d’erba e rigirandoselo tra le dita, “La prossima volta che vuoi allontanarmi, usa una balla meno patetica.”
“Tu non eri nulla per me”, ripeté, testardo, sperando di riuscire a convincerlo.
“Non ti credo!” Davide rise. “Ti conosco da quando avevi otto anni. So che hai sempre desiderato avere una casa sull’albero, ma i tuoi non te l’hanno mai permesso. So che il tuo libro preferito è cime tempestose, ma non lo ammetteresti mai perché è da femmine. So che adori le gelatine, perché da bambino erano l’unica cosa che avevi il permesso di mangiare solo una volta l’anno. So che hai paura dei temporali, e so che mi ami.” Sorrise. “Ti conosco meglio di quanto conosca me stesso. Credi davvero di potermi mentire?”
Stefano tacque a lungo. “La nostra storia è stata un errore, Davide, lo è stata fin dall’inizio”, sussurrò infine, prendendosi la testa tra le mani. Sentiva il peso degli ultimi giorni precipitare sulle sue spalle. La lontananza di Davide, il lutto, i dubbi, la paura all’idea di guidare una nazione, il terrore di non essere all'altezza. La tensione che aveva accumulato, e che gli premeva sullo sterno come un macigno. Sentì gli occhi bagnarsi di lacrime. E pianse. Pianse per suo padre, pianse per Davide, pianse per la sua nazione, e, soprattutto, pianse per sé stesso.  
“Come puoi dire questo?” La voce di Davide era bassa e sottile, come il mormorio di un ruscello. Appoggiò la mano sulla schiena del giovane re e la accarezzo dolcemente.
“Come posso non dirlo?” Singhiozzò, “Ti ho tenuto legato a me, sapendo benissimo che tu non saresti mai potuto essere felice con me.”
 Il servo gli passò le mani attorno alla vita e appoggiò il capo tra le sue scapole. “Io ero felice. Tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.”
Stefano lo spinse via. “No!” Gridò, “Sono la peggiore, invece. Non ti saresti mai dovuto innamorare di me. Dovevi innamorarti di qualcuno che potesse trattarti come meriti, che ti potesse baciare alla luce del sole, che potesse gridare al mondo il suo amore per te. Io non posso darti questo. Non finché non avrò un figlio abbastanza grande da sostituirmi sul trono.”
“Sarebbe stato più semplice, se mi fossi innamorato di un altro”, ammise Davide gentilmente, avvicinandosi nuovamente a lui. “Ma mi sono innamorato di te. E’ solo te che voglio, nessun altro.”
Il re scosse la testa. “Ora dici così, ma tra un paio d’anni…”
“Tra un paio d’anni non cambierà nulla”, sibilò Davide, “Non potrò imparare ad amare nessun altro, sapendo che tu ricambi il mio amore.” 
Stefano sospirò, stringendolo tra le braccia. “Soffrirai.”
L’altro lo baciò delicatamente sulle labbra. “Non m’importa.”
“Sei un idiota testardo”, sussurrò il re, ricambiando il bacio. “Niente candele stavolta?” Chiese sulla sua bocca.
“Ne ho una dietro, e anche l’accendino, ma temo che potremmo finire col dare fuoco a questo posto, e il vecchio Steve avrebbe la nostra testa”, il giovane si stese sulla schiena, attirando l’altro su di sé. Il sovrano affondò il viso nell’incavo del suo collo, premendo rapidi baci sulla sua gola. Infilò una mano sotto la camicia di Davide, mentre con l’altra stinse una natica soda. Tornò a cercare le sue labbra, baciandolo con passione, quasi con violenza.
“Stefano”, ansimò il giovane, “forse non è il momento più adatto. Stai per essere incoronato re, dovresti prepararti.”
“Ne ho di tempo a disposizione.” Stefano sorrise, sbottonandogli rapidamente la camicia e prendendo a baciare la pelle candida del petto. “Basta che collabori e saremo fuori di qui in men che non si dica.”
Davide gemette, e cominciò ad armeggiare con la sua cintura con dita tremanti. “Passerai alla storia come il re che è arrivato tardi alla sua stessa incoronazione, me lo sento”, mormorò, prima di stringersi a lui e baciarlo dolcemente sulle labbra.
Fecero l'amore con gesti languidi, abbandonati sull'erba. Si amarono in silenzio, concedendosi solo qualche sospiro e gemito sommesso, timorosi di venire scoperti. Dopo, Davide posò il capo sul petto dell'altro e lo avvolse con le braccia, stringendolo a sé. "Ti amo", sussurrò. Giacquero assieme per lungo tempo, sereni e incuranti il peso che gravava sulle loro spalle, del tempo che scorreva inesorabile.
Del destino che li attendeva al varco sotto forma di una corona intarsiata.


Note dell’autore: Immagino che dovrei cominciare spiegando il titolo, “heavy ist the head that wears the crown”. E’ una frase tratta dall’Enrico IV di Shakespeare, e letteralmente vuol dire “pesante è la testa che porta la corona”. Significa, tra le altre cose, che i re, o in generale persone che hanno una grande responsabilità, sono spesso costretti a prendere decisioni difficili.
Dovrei stare lavorando sul primo capitolo della mia prima long (che è finito ed è in fase di revisione), ma sono finita a scrivere questo. Comunque avete la mia parola di ragazza scout (che non sono mai stata, ma vabbé), che vincerò la pigrizia e lo posterò in settimana.
Personaggi e situazioni di questa storia mi appartengono, e il racconto partecipa alla challenge dal nome alla storia (only slash) indetto da Nonnapapera!. Il nome che dovevo inserire era Stefano, che vuol dire incoronato.  
Vi invito infine a recensire, perché per scrivere ci vogliono giorni e molta fatica, a recensire bastano pochi minuti, ed è molto apprezzato. 

  
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