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Autore: reggina    15/07/2011    6 recensioni
Gino sedeva assieme al fedele compagno delle sue estati, tra scabbiose e lupinelle, tornando ai rumori tipici, ai sapori genuini, di quando era bambino.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gino Hernandez
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Il richiamo del cuculo”

Il ritmo dolce e quasi impercettibile dell’acqua che fluiva moderata nel canale era, da secoli, il suono tipico dei meriggi estivi, nella campagna lombarda.

Il grosso pastore maremmano sollevò con pigrizia un occhio, per tenere la situazione sotto controllo, quindi sbadigliò e si ricoricò sulla schiena lasciandosi solleticare da una mano amica.

Gino sedeva assieme al fedele compagno delle sue estati, tra scabbiose e lupinelle, tornando ai rumori tipici, ai sapori genuini, di quando era bambino.

Nonostante il portiere perfetto avesse avuto la conferma che, dal prossimo raduno, avrebbe ottenuto la promozione dalle file della “primavera” neroazzurra alla prima squadra, restava umile e deciso a spendere i pochi giorni di vacanza secondo la tradizione che lo accompagnava da una vita.

Si buttò in panciolle accanto al cane lasciandosi lusingare dallo sciabordare dei tessuti nell’acqua della roggia.

Sua nonna faceva ancora il bucato alla vecchia maniera: come la maggior parte dei suoi coetanei era restia alle novità e si ostinava a ripetere i gesti di un tempo a cui si volgeva con rimpianto.

Gino l’aveva accompagnata anche quel giorno a quello che, negli anni ormai sepolti, era stato il lavatoio del paese: un tempo era stato frequentato da giovani lavanderine che con il loro pezzo di lisciva s’inginocchiavano innanzi alla lastra di pietra e iniziavano a fregare i panni colorando l’aria di canzoni popolari e di sogni d’amore reconditi.

Il portiere della nazionale italiana, che viveva in un’epoca nuova e forse più solitaria ed egoista, ripensava con invidia alla vita che aveva conosciuto il piccolo paese di campagna prima che lui nascesse: una vita fatta di condivisione e di sentimenti semplici.

Ora lì, nel punto dove l’acqua della roggia scorreva più lenta, sotto la tettoia di legno non restava che una di quelle lavanderine, ormai invecchiata, con la silenziosa compagnia dei ricordi in cui il nipote faceva fatica a inserirsi.

Un brulichio sulle gambe nude costrinse Gino a risollevarsi per accertarsi che nessun insetto fosse responsabile del fastidio che gli aveva impedito di addormentarsi.

Sfregò la pelle con le dita, cercando di alleviare il prurito e si ritrovò a fissare la nonna: alcune ciocche di capelli grigi attorcigliati sulla nuca sfuggivano alle forcine e s’incollavano alla fronte, raggrinzita , oltre che dall’età, dalla concentrazione che la donna riponeva nel suo lavoro. I pensieri sembravano scorrere via con il flusso dell’acqua e un sorriso palesava la serenità di una vecchiaia vissuta ai ritmi del paese quasi desolato.

Accortosi che la donna stava riponendo i panni in una capiente cesta in vimini, Gino le si avvicinò sedendosi di fianco per immergere i piedi nell’acqua limpida della roggia: un modo per cercare refrigerio dalla canicola estiva e per scacciare la polvere delle stradine arroventate dove aveva scorrazzato scalzo.

La nonna lo guardava in silenzio e continuava a sorridere.

“ A me puoi dirla la verità: torni da me per ritornare bambino?”

Anche il cane rizzò le lunghe orecchie quasi fosse curioso della risposta.

“Sì!”

Rispose senza rifletterci oltre, convinto dell’affermazione benché fosse difficile spiegare le sensazioni che gli suscitava quel posto.

Tornava al paese e poteva illudersi di tornare bambino.

Non sarebbero tornato il carretto dei gelati accerchiato da bambini con i pantaloncini corti e bimbette dai freschi vestitini svolazzanti.

Non sarebbe tornato il nonno per tenerlo sulle ginocchia davanti alla TV e iniziarlo al calcio con le notti dei mondiali sullo schermo e i ghiaccioli tricolori ad appiccicarsi sulle mani.

Il nonno non aveva fatto in tempo a vederlo diventare un vero calciatore.

La corda per saltare sarebbe rimasta abbandonata in soffitta anche quell’estate, assieme ai gessetti con cui tracciare le strade asfaltate per giocare a “Campana”. La voce sarebbe rimasta in gola senza gridare “Tana libera tutti”, le gambe si sarebbero riposate per la prossima stagione agonistica, senza impegnarsi a nessuna corsa a “mosca cieca”.

Si chiese se un giorno avrebbe insegnato anche lui ai suoi figli a saltar la corda e a divertirsi con poco, come era accaduto a lui nelle felici estati trascorse dai nonni.

Lontano le montagne si tingevano d’azzurro, trasparenti come un sospiro: quando era piccolo Gino credeva che dietro le loro linee frastagliate si nascondessero le Americhe.

Gli venne da ridere a quel ricordo e alla consapevolezza, così giovane, di aver già girato in mezzo mondo.

Dal bosco, diventato più fitto e scuro, provenivano altri rumori tipici dell’estate campagnola: il ronzio noioso dei moscerini e i battiti d’ali delle farfalle.

“Sttt!”

La nonna si porto il dito sul naso richiedendo silenzio e il fedele cagnolone si mise in posizione d’agguato, fiutando la presenza di un pericolo.

Gino aspettava impaziente e curioso di scoprire la meraviglia che la donna avrebbe rivelato.

Stettero in silenzio qualche minuto, senza osare muoversi, finché sentirono un richiamo greve e penetrante.

“Cucù, cucù!”

Il cuculo, dalle morbide penne color ruggine, nascosto nella fitta vegetazione squarciò l’aria assonnata con il suo canto inconfondibile.

Il portiere perfetto tese l’orecchio sperando di risentirlo: i suoni metropolitani di Milano erano così estranei in quel momento.

“Non canterà più! Io lo sento due volte all’anno: quando annuncia la primavera e quando ti richiama a casa!”

Disse la vecchia donna dall’alto della sua saggezza e delle sue superstizioni.

Gino si rese conto di quanto amore ci fosse nel loro rapporto, nonostante due generazioni si frapponessero tra di loro.

Pensò ai cuculi che depongono le uova nei nidi altrui, ingannando gli altri uccelli fino a costringerli a prendersi cura dei loro piccoli.

Lui non era mai dovuto ricorrere a raggiri per ottenere le attenzioni dei suoi antenati: era sempre stato vezzeggiato e coccolato senza che lo chiedesse.

“Il richiamo del cuculo!”

Elaborò piano piano, poi scambiò con la nonna uno sguardo carico di significati e scoppiarono a ridere complici.

Gino si alzò ed aiutò la vecchia lavanderina a rimettersi in piedi, poi si offrì di portare la cesta con i panni bagnati.

“Andiamo a mettere il bucato ad asciugare!”

“Ho proprio bisogno di aiuto! Sai sono vecchia come un cuculo io!”

Protestò l’anziana.

“Cucù, cucù!”

Rivenne l’eco dal bosco, come se il pennuto fosse contrario alle dicerie che volevano le sue carni coriacee e stoppose.

“Anche lui ha paura di invecchiare! Saetta andiamo a casa!”

Il pastore maremmano scattò sull’attenti e sorpassò nonna e nipote per far loro strada.

Gino era diverso dal cuculo: non era ospite indesiderato in un nido altrui ma figlio esule in attesa di tornare a casa per pochi giorni.

Sapeva che per quell’anno non avrebbe più cantato per lui, gli aveva già dato il bentornato. In quel momento fu felice di aver ignorato le tendenze di gran parte dei suoi compagni di squadra e di non aver prenotato un biglietto aereo per le bianche spiagge caraibiche.

A lui piacevano le estati dai sapori retrò.

***

Questa storia partecipa al concorso “One shot dell’estate”…ringrazio quanti avranno la pazienza di leggerla, dedicandovi cinque minuti del loro tempo.

   
 
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