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Autore: Rowena    16/07/2011    1 recensioni
Versailles. La corte più sfarzosa, più divertente e più spendacciona d’Europa. I giovani nobili che la frequentavano erano sempre alla ricerca di nuovi espedienti per non abbandonarsi alla noia. Era difficile divertirsi – almeno così pensavano loro – e anche con i loro soldi e la loro voglia di divertirsi spesso non c’era niente da fare se non adagiarsi sulle comode poltroncine di velluto a mangiare bonbon e ascoltare pettegolezzi. E se sei nobili annoiati decidessero di istruire una popolana perché si spacci per una contessa? Quali contorti inganni si metteranno in moto alla corte di Francia? [Crossover Host Club/Lady Oscar]
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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A Parigi, intanto, le cose non andavano per niente bene. Nonostante le speranze che tutti riponevano nel nuovo Re e nel corso innovativo che la sua ascesa al trono avrebbe dovuto inaugurare, sempre più persone erano ormai in una condizione di povertà estrema.
Le rivolte si susseguivano a Parigi, tanto che Luigi XVI aveva preferito farsi incoronare a Reims per evitare problemi, e il prezzo del pane saliva sempre di più.
Mancava il denaro per ogni cosa e se la carne per alcuni era un lusso, per molti di più era ormai un sogno, un ricordo di un’altra vita.
La gente attendeva un cambiamento, un monarca dalla diversa visione del mondo che smettesse di scialacquare per occuparsi del proprio popolo, e nel frattempo non si poteva fare altro se non aspettare e pregare per tempi migliori.
«Haruhi, dove sei?»
Una donna sulla trentina e con la voce troppo profonda si affacciò sulla porta della sua casa, alla ricerca della propria figlia sedicenne.
La ragazza era in cortile, stava spazzando l’uscio del misero appartamento che condivideva con il genitore, due stanze minuscole e mal aerate con una pigione troppo alta. Poco distante, il bucato asciugava al sole, steso nelle corde, mentre dall’interno proveniva un buon odore di porri.
«Eccoti qua, Haruhi! Dovresti essere in casa a studiare, con tutta la fatica che mi è costato convincere il rigattiere perché mi donasse quei volumi, lo sai?»
La giovane si voltò e scosse il capo, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli scuri. «È inutile, papà, avere un’istruzione completa, come dicono i tuoi filosofi, non mi aiuterà a essere assunta in qualche bottega».
Le spiaceva dirlo ad alta voce, perché sembrava così terribile, eppure era la verità: già a molti sembrava strano che una ragazza sapesse leggere e scrivere tanto speditamente, specie molti artigiani e negozianti. Avevano paura che pretendesse un salario più alto, forse, e Haruhi non trovava lavoro.
In realtà, le sarebbe piaciuto studiare fino a consumarsi gli occhi alla luce delle candele, leggere ogni libro pubblicato in Francia e diventare avvocato, ma era consapevole che fosse un sogno senza speranza. Era una donna ed era povera: anche se improvvisamente si fosse trovata piena di denaro, cosa comunque impossibile, non avrebbe potuto far nulla per l’altro suo impedimento.
«Fidati», proseguì, «è meglio se non rimango indietro con le faccende e se continuo a cercare un impiego».
Haruhi aveva sentito che la sarta presso la quale si rifornivano molte nobili e la stessa Regina Maria Antonietta, Madame Bertin, era sempre alla ricerca di nuove commesse o apprendiste per il suo negozio, e sperava che ci fosse anche per lei un posto.
Il padre raggiunse la ragazza facendo agitare le sue sottane. «Non ti ho tirato su così perché tu ti accontentassi di questa vita».
«Non mi sto accontentando, papà, ma voglio contribuire con un po’ di denaro. Il prezzo del pane è sempre più alto…»
«Non devi preoccupare di queste cose, hai il tuo papà che ci pensa. Non ti avrei cresciuto puntando sulla tua istruzione se avessi voluto una brava donnina di casa che pensa soltanto a sbarcare il lunario e a contrarre il miglior matrimonio possibile. Ora torna a studiare, ci sarà tempo per lavorare quando sarai più grande».
Intenerita, Haruhi annuì e rientrò mentre il padre si allontanava per andare in teatro. Rioji, in arte Ranka, era un attore e posava anche per ritratti in abiti femminili, sfruttando i suoi lineamenti fini e i modi eleganti che aveva di natura. Nel quartiere si vociferava che facesse anche altro per guadagnare qualcosa in più, ma la giovane era troppo ingenua per cogliere simili allusioni e attribuirvi il giusto significato.
In ogni caso, sapeva che suo padre era un brav’uomo che non aveva nulla di cui vergognarsi, per cui non dava peso alle malelingue. Sapeva che alcune vicine erano gelose della bellezza di Ranka, neanche fossero in competizione, e lo trovava molto stupido: chissà, forse inacidirsi su simili sciocchezze permetteva alle altre donne del quartiere di dimenticarsi quanto fosse grigia la loro situazione.
Stava rimescolando la minestra, quando qualcuno bussò alla porta. «Haruhi, disturbo? Posso chiederti in prestito un poco di carbone?»
Rosalie, la figlia della sua vicina preferita, Nicole Lamorliére. «Certamente, vieni pure», rispose con gentilezza.
«Sei sempre così buona… Ti ringrazio, la mamma si sente di nuovo male e deve stare al caldo».
«Per lei questo e altro, lo sai», si giustificò Haruhi sentendosi in imbarazzo.
Come avrebbe potuto comportarsi altrimenti con la donna che si era presa cura di lei dopo la morte di sua madre, quando Ranka stava ancora troppo male per il lutto per occuparsi della sua bambina?
Sconvolta dalla schiettezza della giovane padrona di casa, Rosalie arrossì. «No, la tua bontà è davvero commovente. Grazie ancora, io devo tornare al lavoro e non ho il tempo per andare a comprare il carbone», spiegò raccogliendo dal vano sotto il focolare diversi pezzi scuri e mettendoli nel grembiule senza paura di sporcarsi le mani.
O forse non avevano i soldi, pensò Haruhi assaggiando un poco della zuppa. Le tre Lamorliére erano perfino più povere dei Fujioka, era risaputo.
«Non preoccuparti, davvero. Piuttosto, perché non hai mandato Jeanne? Dovrebbe aiutarti di più».
Rosalie arrossì di nuovo, ma questa volta per l’imbarazzo. «Oh… Sai com’è fatta, è sempre in giro a fantasticare su come sarebbe la nostra vita se nostro padre non fosse caduto in disgrazia. Sogna la vita di corte: non riesce proprio ad accettare la nostra condizione e così si rovina l’esistenza».
Prevedibile. Haruhi schioccò la lingua, infastidita.
«Non la capisco proprio: che può trovare d’interessante nel vivere in attesa di uno sguardo o di un cenno di approvazione da parte del Re? E poi i balli, e tutte le altre sciocchezze di cui scrivono sui giornali!»
No, lei non avrebbe resistito nemmeno un minuto in quel mondo.
«Neanche a me piacerebbe, abituata come sono a questa vita. Mi sembrerebbe strano non lavorare e permettere che un altro mi lavi le vesti o mi prepari il cibo, a te no?» domandò Rosalie con un mezzo sorriso.
Haruhi annuì: «A proposito: nel caso ci fosse bisogno di una persona in più nel posto in cui lavori, fammelo sapere. Non voglio essere di peso un altro giorno».
«Contaci», le assicurò la ragazza, «anche se non ho capito perché ti abbiano licenziato».
Tasto dolente. «Non mi stava bene il modo che il padrone aveva di allungare le mani, ma non dirlo a mio padre o farà una scenata per niente».
La giovane Lamorliére promise che non avrebbe detto nulla: Ranka era uno strano personaggio, ma sua madre lo aveva in simpatia e le aveva insegnato a non giudicare i suoi modi un po’ particolari, così non si esprimeva a riguardo.
Dopo essersi assicurata che il suo segreto rimanesse tale, Haruhi salutò l’amica, spense il fuoco e uscì. Decise di andare dal fornaio e usare gli ultimi spiccioli per comprare un po’ di pane e qualche libbra di farina da tenere da parte per tempi ancora più bui, come Nicole le aveva insegnato; in più, gli acquisti le avrebbero permesso di chiedere con maggiore disinvoltura se nella bottega stessero cercando aiuti.
Armata delle migliori intenzioni, la ragazza prese la via maestra: camminava rasente ai muri, schivando i mendicanti e i venditori ambulanti, così da tenersi lontana dal centro della strada, dove passavano le carrozze. Bastava un attimo per finire sotto le ruote e morire, e spesso i responsabili degli incidenti non si fermavano nemmeno per capire cosa fosse successo, temendo uno scandalo.
Che schifo di mondo, pensò facendo attenzione a un rigagnolo di un colore imprecisato che fendeva la strada.
«E quella?»
«No, che brutta! Neanche gli abiti di Madame Bertin potrebbero renderla affascinante. Guarda quella che sta lavando le scale, invece».
Forse fu il nome della celebre stilista a interessare Haruhi, che improvvisamente si mise ad ascoltare.
«No, con quel neo peloso sulla guancia? Che schifo!»
Ma che cafone! La giovane tirò su il capo per capire chi stesse facendo quel discorso così idiota e si accorse che una carrozza di nobili, riconoscibile per gli stemmi e i fregi dorati, stava procedendo lentamente per la strada e che due ragazzi identici nell’aspetto erano seduti a cassetta, una posizione perfetta per osservare tutta la strada e fare quei commenti ridicoli.
Infastidita, Haruhi tentò di allontanarsi di corsa, quando la coppia la notò: «Ehi, guarda là!»
«È un po’ rozza, ma ci si può lavorare. Mori, prendila prima che scappi».
Fu un attimo: anche se la ragazza avesse voluto fare qualcosa, in un istante due forti braccia la afferrarono e la tirarono all’interno della carrozza. I gemelli ripartirono a tutta velocità non appena gli sportelli si richiusero.
Nessuno si accorse di nulla, avvenne tutto troppo in fretta. Solo alcune ore dopo, rientrando a casa, Ranka avrebbe gridato al rapimento della sua amata figliola, quando della povera Haruhi non era ormai rimasta traccia a Parigi.
 
   
 
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