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Autore: Kuchiki Chan    16/07/2011    7 recensioni
Ichigo Kurosaki cammina sulla spiaggia, in una notte d'estate, ammirando il mare nero e riflettendo su tutto quello che ha perso, su quella vita che non è riuscito a salvare. Riuscirà mai ad uscire da quel baratro senza fondo in cui è precipitato dopo la morte dell'unica donna che ha mai amato?
[IchiRuki]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inoue Orihime, Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Ghost Of You

 

Introduzione:
Ho scritto questa storia in occasione del concorso "One-Shot dell'estate", sperando che la sezione Bleach raggiunga presto il numero minimo di partecipanti.
E' IchiRuki, ovviamente. Come lo è la maggior parte del ciarpame che scrivo xD
Però è diversa da qualunque altra storia partorita fino ad ora dalla mia mente malata. Prima di tutto perchè, anche se ho cercato di insierirla in un ambiente estivo, è deprimente. La prima FanFic a sfondo drammatico che scrivo.
Spero che questo esperimento vi piaccia ^^
Ah, è basata sulla canzone The Ghost Of You dei miei amati My Chemical Romance *-*

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At the end of the world
Or the last thing I see
You are never coming home
Never coming home
Could I? 
Should I?
And all the wounds that are ever gonna scar me
For all the ghosts that are never gonna catch me


[My Chemical Romance - The Gost Of You]
 
 

Quando arrivava la notte, quel mare azzurro e trasparente che nei giorni d’estate ospitava i corpi di molti turisti venuti a farsi il bagno, si trasformava in una distesa nera come il petrolio, profonda e insondabile. Diventava uno specchio distorto del cielo, con gli stessi colori e lo stesso cerchio luminoso che gli uomini chiamavano luna. La differenza tra il sopra e il sotto era così sottile che a stento Ichigo Kurosaki riusciva a mettere a fuoco la linea dell’orizzonte. Eppure, quello spettacolo gli era sempre piaciuto, amava passeggiare in solitudine su quella piccola spiaggia, per ammirare quel misterioso mare nero e mettere un po’ di ordine nei suoi pensieri. Già, quel panorama era sempre riuscito ad infondergli una strana calma, lo aveva sempre aiutato a sentirsi un po’ più in pace con sé stesso.

Perché allora, in quel momento quella passeggiata non lo aiutava a sentirsi meglio?

Forse, è perché ora  io e questo mare ci somigliamo anche troppo: in fondo, anche io non sono altro che un’immagine confusa, il riflesso distorto della persona che ero un tempo pensò con malinconia Ichigo, mentre camminava a piedi nudi sul bagnasciuga, lasciando dietro di sé una scia di impronte umide che l’acqua provvedeva con premura a cancellare di tanto in tanto.

Lo sguardo del ragazzo vagava senza meta, dal cielo alla sabbia, dal mare alla spiaggia gremita di ombrelloni chiusi. Durante le fresche notti d’estate, in quel luogo non rimanevano che le insignificanti tracce di ciò che succedeva di giorno: numerose buche ferivano il suolo, probabilmente scavate da bambini ridenti col corpo impiastricciato da sabbia umida, impronte e solchi di ogni dimensione ferivano la spiaggia, e ogni tanto qualche castello di sabbia sopravvissuto all’impeto delle onde si affacciava all’orizzonte. Ogni cosa, in quell’angolo di mondo, gli parlava di desolazione.

Come facevo un tempo a camminare su questa spiaggia accompagnato da sentimenti così diversi da quelli che provo ora? Come faceva questo spettacolo desolato ad aiutarmi a riflettere? si chiese il ragazzo dai capelli arancioni. Un onda più potente delle altre gli sommerse le caviglie bagnandogli l’orlo dei jeans scuri, ma Ichigo non sembrò farci caso.

Quando?
Quando Ichigo Kurosaki aveva smesso di prestare attenzione a ciò che avveniva intorno a lui?
Quando il mondo esterno aveva smesso di essere per lui oggetto di interesse?
Che cosa gli era capitato, per causare un cambiamento così radicale?

Era stato un attimo, nient’altro che un attimo.
Un attimo grondante di sangue.
 
*
 
- RUKIA! -

Ichigo urla disperato quel nome, con tanta forza da scorticarsi la gola. Non può sopportare lo spettacolo che sta avvenendo sotto i suoi occhi, ma non può muoversi, non ne ha le forze. Il sangue sta sgorgando dal suo fianco come un fiume in piena, e il ragazzo non può fare altro che premere una mano sulla ferita, nella speranza di fermarlo.

Dannata Rukia.
Perché si è gettata contro Aizen, pur sapendo di non avere possibilità di sconfiggerlo?
Perché sta mettendo così a rischio la sua vita?
Non capisce il dolore e la preoccupazione che gli sta procurando?

Eppure, lei sta combattendo. Scambia un paio di colpi con Aizen, con quella sua spada bianca da cui Ichigo era stato sempre ammaliato. Non era abituato a vederla combattere, non voleva che combattesse. Voleva essere capace di proteggerla, di proteggerla totalmente in modo che lei potesse riporre la spada ed evitare di sporcarsi le mani di sangue. Le sue dite erano troppo candide ed innocenti per essere violate in quel modo.

Ma non c’era mai riuscito. In un modo o nell’altro, Rukia aveva sempre combattuto, per proteggere sé stessa e gli altri. Non era per niente il tipo di persona che riesce a stare in disparte a guardare i propri compagni che si sacrificano per lei.

Aizen impegna Sode No Shirayuki, la stuzzica, gioca con lei come il gatto fa col topo. Ichigo vorrebbe gridare, vorrebbe essere capace di muoversi, vorrebbe con tutte le sue forze fare qualcosa per evitare la tragedia imminente. Ma non ci riesce. La sua gola è ostruita dal sangue, e le sue gambe sono pesanti come macigni. Eppure, anche se la realtà gli sussurra senza pietà che Rukia è condannata, in fondo al cuore rimane la flebile speranza che succeda un miracolo, che qualcuno intervenga, che Aizen faccia un passo falso, che lei decida di fuggire. Dopotutto, Ichigo Kurosaki è un semplice umano, anche se il suo DNA è mischiato a quello degli Shinigami e degli Hollow. Non riesce ad abbandonare la speranza, nemmeno quando la fine è scontata.

Aizen, stanco di giocare con la sua preda, fa volare via con un solo colpo Sode No Shirayuki dalle mani di Rukia. Ichigo riesce finalmente ad urlare, e aiutato dalla forza della disperazione si lancia in cielo, verso di loro. Le sue membra provate protestano, ma il ragazzo fa finta di non sentirle. La fretta gli ha fatto dimenticare Zangetsu più in basso, ma non gli importa di essere disarmato.
Gli basta solo frapporsi tra la spada di Aizen e il fragile corpo di Rukia, gli basta solo riuscire a spingerla via.

Ma non ci riesce.
Ormai, è troppo tardi.

Aizen trafigge Rukia con estrema facilità, esattamente al centro del petto. Ichigo vede chiaramente gli occhi della ragazza farsi grandi dal dolore, il sangue colare dalla ferita e dalle labbra semichiuse. Urla, con tutto il fiato che ha in corpo, tendendo sempre di più la mano, cercando di accelerare il suo scatto.
Ma è impotente.
Solo un debole umano, un debole Shinigami, un debole Hollow, incapace di proteggere le persone che ama.

Incapace di tenere fede al suo nome.

L’ex capitano della Quinta Brigata osserva la sua vittima senza interesse, come se fosse solo uno scarafaggio che ha accidentalmente schiacciato sotto il piede. Libera la sua spada dal corpo inerte di Rukia, lasciandola precipitare verso il suolo in un bagno di sangue.
Solo in quel momento Ichigo riesce a raggiungerla, prendendola tra le braccia. Urla il suo nome, le grida di resistere, di non morire, di non lasciarlo solo.

Ma le palpebre chiuse della ragazza non accennano ad aprirsi né le sue dita fredde a muoversi, dalle labbra semiaperte non proviene neanche l’ombra di un respiro.

Rukia è morta.

Non è stato in grado di proteggerla.
Ha permesso alla persona più importante della sua vita di morire.

Di nuovo.

Un’ immagine nella sua mente.
Il corpo di sua madre grondante di sangue, la ferita orribile infertale dall’Hollow.
Per colpa sua.

Ichigo urla, singhiozza, bagna di lacrime il volto senza vita di Rukia. Ma lei non si sveglierà, non aprirà più quei suoi magnifici occhi blu che aveva tanto amato, non lo contraddirà più in tutto ciò che dice chiamandolo “stolto”. La sua rassicurante presenza non lo aiuterà più nelle battaglie della sua vita.
Ha perso, di nuovo.

Come quella volta in riva al fiume, dieci anni prima.
 
*
 
Era passato un anno, da quel giorno. Ma Ichigo non sarebbe mai riuscito a dimenticare, a liberarsi dal peso della sua colpa e del suo fallimento. Le battaglie erano finite, erano riusciti a sconfiggere Aizen e a tornare in pace. Ma il ragazzo proprio non riusciva ad apprezzare quella tranquillità, perché aveva provato sulla propria pelle il prezzo che era stato pagato per ottenerla.
La pace non valeva la vita di Rukia, non meritava i suoi sforzi o il suo sangue.

La verità era solo una: Ichigo aveva perso la voglia di vivere. Ormai si lasciava trasportare da qualunque corrente, si comportava sempre in modo assente e passivo.
Sembrava quasi che Rukia avesse portato via una parte di lui, che ormai fosse un uomo a metà.

Con i suoi amici e familiari, continuava a comportarsi normalmente. O almeno, credeva di essere normale, perché chiunque lo conoscesse almeno un po’ era in grado di notare che i suoi occhi avevano perso luce, che la sua voce era diventata incolore quasi come quella di Ulquiorra, che parlava di meno e non usciva quasi più. Inoue, Chad, Ishida, Tatsuki e i suoi amici cercavano continuamente di fare qualcosa per lui, di riuscire a farlo divertire, di renderlo partecipe per fargli ritornare la vitalità. Ma erano sforzi inutili, perché Ichigo era perfettamente in grado di risollevarsi, se avesse voluto. La verità, è che in fondo preferiva continuare a vivere in quel limbo in cui si era confinato. Non riusciva più a godersi la vita, semplicemente perché non voleva divertirsi. Gli sembrava quasi di fare un torto a Rukia. Lei non avrebbe mai più potuto fare tutte quelle cose, per colpa della sua debolezza.

Sapeva benissimo che se lei fosse stata lì probabilmente lo avrebbe picchiato, gli avrebbe dato dello stolto e gli avrebbe spiegato chiaro e tondo che stava facendo soffrire tutte le persone che gli volevano bene con questo suo comportamento. Ma lei non era lì, non avrebbe più potuto tirarlo su come aveva fatto due anni prima, quando Ichigo era ossessionato dal suo Hollow interiore.

Il ragazzo si sedette d’impulso sulla sabbia, rapito da una strana stanchezza. L’acqua scura del mare gli bagnava le punte dei piedi, e il rumore delle onde era l’unico suono che Ichigo riusciva a sopportare. Era arrivato su quella spiaggia per sfuggire ad una delle feste estive di Karakura, alla quale l’avevano trascinato i suoi amici. Non riusciva a sopportare quelle luci, quella musica, tutta quella gente che ballava, rideva e scherzava, le coppiette che si baciavano agli angoli delle strade. Quelle persone potevano divertirsi in quel modo solo grazie al sacrificio di Rukia, una Shinigami di cui non sospettavano nemmeno l’esistenza. Ichigo sapeva di essere ingiusto nel giudicarli così male, ma non poteva permettersi si essere imparziale, non quando quella ferita che portava nell’anima era ancora lontana dalla guarigione.

Era tutto così diverso dalla morte di sua madre. Soprattutto, era lui ad essere diverso. In quel caso, dopo un po’ di tempo era riuscito a farsi forza, animato dalla consapevolezza che la sua famiglia avesse bisogno di lui. Ma la morte di Rukia l’aveva gettato in un baratro oscuro da cui è impossibile risalire, e non bastava sapere che erano rimaste persone che gli volevano bene e che soffrivano per quella sua condizione.

No, Ichigo era stanco.
Stanco di lottare, stanco di fingersi migliore di quello che era.
Stanco di adottare un’apparenza in perenne contraddizione con quello che sentiva dentro.

Un’onda più violenta delle precedenti costrinse Ichigo ad indietreggiare, per non essere bagnato dalla testa ai piedi. Il ragazzo si distese totalmente sulla sabbia a pancia in su, con le mani dietro la testa. Lontano dalle luci della città, era possibile vedere le stelle. Ricordava perfettamente quando aveva portato Rukia in quel posto, quando si erano sdraiati entrambi per guardare il cielo, parlando del più e del meno. Ricordava come quel suo piccolo ritrovo solitario si era riempito di luce solo grazie alla sua presenza.

“ Davvero vieni spesso qui, Ichigo? Non pensavo fossi il tipo di ragazzo a cui piace rimanere in silenzio a guardare le stelle!” aveva detto lei, prendendolo in giro come faceva di solito.

Il tipo di ragazzo che si rilassa guardando le stelle? Sono davvero stato una persona simile, un tempo? pensò, passandosi le dita tra i capelli arancioni. In quel momento, il firmamento lo lasciava completamente indifferente, non lo aiutava a lenire il dolore che portava dentro. Semmai, evocava nella sua testa solo strazianti ricordi, legati a quella nanetta dagli occhi blu che era riuscita a dare un senso alla sua vita, per poi lasciarlo senza appigli, in balia della corrente.
Di nuovo.

Rukia e la morte erano sempre stati concetti troppo vicini per essere mescolabili. Dopotutto era una Shinigami, aveva sempre convissuto con essa. Eppure, persino gli Dei della Morte potevano morire. Provavano gli stessi sentimenti e necessità degli esseri umani, nascevano e morivano allo stesso modo.
In fondo, non erano mai stati così diversi.

- Kurosaki-kun! -

Ichigo si voltò stancamente, riconoscendo subito quella voce. Orihime Inoue correva verso di lui sulla sabbia, tenendosi l’orlo della gonna con una mano per agevolare il movimento delle gambe.
Il ragazzo dai capelli arancioni si alzò lentamente, cercando di mettere su un’espressione abbastanza naturale.

- Inoue! Cosa ci fai, qui? - le chiese, mentre la ragazza cercava di riprendere fiato.

- Come cosa ci faccio qui? Ti stavo cercando, ovviamente! Sei sparito durante la festa e io…insomma…Sado-kun, Ishida-kun e Tatsuki-chan, noi credevamo che…non mi sarei mai aspettata che saresti venuto qui! - balbettò Orihime, impappinandosi più volte per evitare di ferire i sentimenti del ragazzo con le sue parole.

Ma Ichigo sapeva troppo bene che i suoi amici erano preoccupati della sua salute mentale, non c’era bisogno che cercassero di nasconderlo. Da come esageravano la questione, sembrava quasi che avessero tenuto in considerazione l’idea del suicidio.

Sono un codardo. Non ho abbastanza coraggio nemmeno per fare una cosa del genere pensò, cercando di nascondere all’amica le riflessioni che si agitavano nella sua mente.
Non voleva che si preoccupasse per lui.

- Si, scusami tanto. E’ che proprio non sopporto tutta quella confusione, non è adatta a me - si scusò Ichigo, con noncuranza.
In fondo, gli facevano piacere tutte quelle attenzioni da parte dei suoi amici, anche se sentiva di non meritarle.

- Se non vuoi tornare alla festa non preoccuparti, Kurosaki-kun! Avverto gli altri e andiamo da qualche altra parte! Ti va? - chiese speranzosa la ragazza, con il suo solito tono perennemente entusiasta.

No, non gli andava per niente.
L’unica cosa che voleva era rimanere sdraiato su quella spiaggia che un tempo aveva mostrato a Rukia, e ammirare le stelle che aveva guardato con lei. Forse, in quel modo, la ferita che portava nell’anima avrebbe bruciato un po’ di meno.

Ma Inoue e gli altri si stavano dando così da fare per cercare di aiutarlo che non avrebbe avuto il coraggio di rifiutare il suo invito. Per il bene dei suoi amici, doveva cacciare quel dolore in fondo alla sua anima, tenerlo in serbo per i momenti di solitudine.
Almeno, in quel modo avrebbe fatto del male solo a sé stesso.

- Grazie mille, Inoue. Non preoccuparti per me, possiamo andare dove vuoi, anche tornare alla festa, se ti va! - disse Ichigo, cercando di infondere nella propria voce almeno un pizzico di entusiasmo.

- Su, torniamo dagli altri, Kurosaki-kun. Poi decideremo cosa fare! - rispose la ragazza, mentre il suo volto si ripiegava in un sorriso tranquillo. A quanto pare, la risposta dell’amico l’aveva tranquillizzata.

Ichigo seguì Orihime lungo il tragitto per tornare sulla strada.
Il suo attimo di intimità era finito.
Da quel momento in poi avrebbe dovuto indossare nuovamente la sua maschera di calma apparente, avrebbe dovuto cercare di celare il dolore che continuava a portare dentro.
Forse, sarebbe stato così per il resto della sua vita.
Forse, non sarebbe mai riuscito a tornare quello di un tempo.


Era un bella sera d’estate a Karakura, una di quelle in cui la brezza marina impedisce al caldo di dare fastidio.
La città era piena di luci, di musica, di giovani che si divertivano.
Tra di loro, camminava uno strano ragazzo.
Alto, attraente, con una strana zazzera di capelli arancioni in testa.
Rideva, scherzava, chiacchierava con tutti; insomma, sembrava stare bene.

Ma il suo cuore avrebbe per sempre continuato a rimpiangere un paio di occhi blu cupo, così acuti e profondi da essere capaci di leggergli l’anima.
Avrebbe per sempre continuato a rimpiangere Rukia Kuchiki, la ragazza che aveva profondamente segnato quella fase della sua vita.

L’unica donna, a parte sua madre, che avesse mai avuto il coraggio di amare.
 
 
 

 
 
  
 
 
 
 
  
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