Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Mimik04    17/07/2011    1 recensioni
La nave sta affondando; lentamente si inclina sempre di più su un lato. Non rimarrò ancora a lungo in questo mondo e la mia unica speranza, in questo momento di sconforto, è di andare incontro solo alla morte; ma temo che il mio destino sarà ben peggiore.
Breve racconto horror che molto deve a Lovecraft ed ai suoi miti.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L'idolo

 

La nave sta affondando; lentamente si inclina sempre di più su un lato. Non rimarrò ancora a lungo in questo mondo e la mia unica speranza, in questo momento di sconforto, è di andare incontro solo alla morte; ma temo che il mio destino sarà ben peggiore. Scrivo queste parole, i miei ultimi pensieri, con la speranza che un giorno il mare le restituirà alla civiltà. Voglio che tu sappia, tu che stai leggendo queste mie parole, che sono l'artefice della mia stessa rovina: io e soltanto io ho causato tutto quest'orrore e ho condannato a morte, ma forse ad un destino ben peggiore, me stesso e i miei compagni. Sono solo adesso ma posso ancora sentire quella cosa tutta attorno a me, posso sentirla mentre brama la mia carne e la mia anima.

Tutto è iniziato qualche settimana fa ad un tavolo da poker. Era il 2 luglio del 1823 e stavo vincendo con facilità anche quella mano ma all'epoca non potevo immaginare sarebbe stata la mia rovina. Ricordo che eravamo rimasti solo in due a quell'ultima mano e avevo un colore servito mentre il mio avversario, maledetta sia la sua anima nera, aveva lo sguardo di chi sa di avere la vittoria in pugno. Ho provato a forzare il gioco per farlo cedere mettendo nel piatto più soldi di quanti se ne potesse permettere e lui, invece di riflettere o comunque esitare anche solo per un istante, mise sul tavolo l'infame statuetta. Era alta poco più di trenta centimetri e di un materiale che mai avevo visto prima, blu scuro e caldo al tatto, e rappresentava una creatura vagamente femminea. La testa era leggermente più piccola del normale e i lineamenti del volto irriconoscibile a causa dell'usura ma notai benissimo che quelli che aveva in testa non potevano essere capelli: sembravano più un disgustoso ammasso di vermi che si contorcevano su un corpo che di umano poteva avere solo il seno. Dal petto, proprio in mezzo ai due prosperosi seni, spuntava un unico braccio contorto che abbracciava l'intero busto snodandosi in ben tre punti e culminando con una mano artigliata dotata di sole due dita. Dai fianchi poi spuntavano due gambe lisce che però si snodavano in viscidi tentacoli proprio all'altezza delle ginocchia. L'orrore che provai vedendola non po' essere descritto a parole e avrei davvero voluto rifiutarla ma gli altri giocatori decisero che come contropartita andava bene e che avrei dovuto giocare la mano fino in fondo. Come avevo previsto vinsi ma non riuscì a disfarmi della statua: sentivo l'irrefrenabile impulso di toccarla e di far scorrere le mie dita su quel volto consumato e sciupato. Per due giorni non chiusi occhio e passavo le nottate ad agitarmi in un sonno violentato da indicibili orrori che arrivarono persino a farmi aver paura di dormire. Finché non mi imbarcai.

Il viaggio doveva essere tranquillo e gioimmo tutti quando, ormai in mare aperto, vedemmo il caldo sole estivo brillare in un cielo senza nubi. Il capitano era ottimista e sperava in una navigazione tranquilla e parimenti facevano i miei compagni: nessuno sapeva che mi ero portato dietro l'infame idolo. Passavo ogni momento libero della mia giornata a fissarlo senza accorgermi che, con il passare dei giorni, ci stava portando sempre più vicini alla nostra fine. Il quarto giorno fummo avvolti da una nebbia innaturale che quasi ci impediva di vedere l'acqua marina battere sullo scafo della nave. Ma fu solo il sesto giorno che l'orrore ebbe inizio. Ero sceso nella stiva a prendere del cibo per la cena quando lo sentì: dapprima era un suono quasi impercettibile poi, con il passare dei secondi, divenne un rimbombo violento e potente che mi martellava il cranio. Inizialmente pensai che potesse essere qualcosa che sbatteva contro la nave ma poi non potei più cullarmi in quella beata bugia: due colpi e una pausa, due colpi e una pausa, tutto troppo ritmico e perfetto perché fosse semplicemente qualcosa che sbatteva. Riconoscevo quel ritmo, qualunque persona che ha poggiato l'orecchio sul petto della persona amata saprebbe riconoscerlo ma la mia mente rifiutava quello che le mie orecchie ascoltavano. Corsi dai miei compagni in preda ad un terrore freddo e strisciante e raccontai cosa avevo udito ma soltanto due di loro acconsentirono ad accompagnarmi di nuovo giù per esser testimoni di quell'evento.

Il silenzio della stiva mi sembrò forse peggiore del rumore che avevo udito e, quando i miei compagni mi lasciarono solo “in preda delle mie allucinazioni”, udì per la prima volta quella terribile risata. Una voce femminile rauca e innaturale che mi penetrò nelle ossa facendomi tremare violentemente. La sentivo ovunque intorno a me ma presto mi resi conto che veniva da un punto non meglio precisato sopra la mia testa, dove c'era la mia branda e il mio baule con dentro la mia statua.

Quella stessa notte i due miei compagni che mi avevano seguito sparirono, sul ponte trovammo solo una strana sostanza biancastra dall'odore nauseabondo. Non so cosa mi prese ma decisi di scendere di nuovo nella stiva, forse speravo che la cosa se ne fosse andata, ma invece la trovai ancora là e, mi resi conto con grande orrore, adesso potevo udire altri due suoni oltre a quello che già avevo sentito. Se il primo battito era forte quelli che sentivo adesso di sottofondo erano deboli, quasi sul punto di spegnersi, e avevano un ritmo leggermente più veloce che li portava a sovrapporsi a quello dell'infame creatura che, ne ero sempre più convinto, aveva scelto la chiglia della nave come sua casa.

Nei giorni seguenti sparirono altri miei compagni e la strana sostanza si presentava sempre puntuale sul posto delle sparizioni, contemporaneamente ad ogni sparizione aumentavano anche i battiti nella stiva. La notte che venne preso il capitano qualcosa cambiò di colpo: non più silenziose sparizioni ma una violenta lotta per la sopravvivenza che riecheggiò per tutta la nave. Eravamo rimasti solo in cinque a dormire nelle nostre brande e fummo svegliati improvvisamente da un violento rumore di legno spezzato. Sentimmo poi uno sparo e corremmo nella cabina del capitano, che si trovava sul ponte sopra alle nostre teste, ma trovammo la porta chiusa. Ci mettemmo qualche minuto per aprirla e, durante tutto quel tempo, neanche per un solo istante gli inquietanti rumori cessarono di scuotere le nostre anime. Udimmo chiaramente la voce del nostro capitano invocare Dio e poi, a seguito di indescrivibili gorgoglii, la sentimmo gridare dal dolore. Quel grido ci fece raggelare il sangue e per un istante esitammo. Quando, pochi istanti dopo entrammo nella stanza, il capitano non c'era più. Una parete era stata quasi completamente divelta e nella cabina non c'era più niente che fosse a posto: ovunque c'era quella nauseabonda sostanza biancastra. Poi l'udì di nuovo: quella maledetta risata rauca e maligna rimbombo nella mia testa. I miei compagni sembravano non sentirla e cercava solo di ritrovare il capitano tra i resti della sua cabina. Io uscì e cercai la fonte di quella malefica voce che mi stava torturando il cervello provocandomi dolori lancinanti alla testa.

Con mio grande orrore giunsi alla mia branda e al mio baule, davanti al quale, stremato dal dolore e dalla paura, caddi in ginocchio. La risata ancora echeggiava nelle mie orecchie e non so dove trovai il coraggio di aprire il mio baule. Quando feci scattare il lucchetto tornò il silenzio intorno a me e, quando sollevai il coperchio, infine la vidi. In quei giorni mi ero quasi dimenticato dell'infame idolo che tanto avevo ammirato giorni addietro e, mentre lo osservavo colmo di orrore, desiderai per la prima volta di non esserne mai entrato in possesso. Il mio baule era quasi completamente ricolmo della sostanza biancastra e, i mezzo a tutto quel marciume, svettava l'orrenda statuetta: il suo colore era però diverso, adesso tendeva al rosso acceso, e il suo volto era diventato visibile. Non aveva occhi o orecchie, solo un'orrenda bocca che si apriva verticalmente per tutta la lunghezza del viso mostrando file e file di denti acuminati. Rimasi spiazzato dalla precisione dell'intaglio ma la paura tornò presto ad impossessarsi di me: corsi sul ponte e lanciai quell'orrore il più lontano possibile dalla nave. Passarono diversi minuti, in cui fissai la nebbia che mi circondava, prima che mi rendessi conto del silenzio che era sceso intorno a me. Cercai per tutta la nave, gridando e piangendo, i miei compagni rimasti e quando caddi esausto in ginocchio sul ponte la vidi: l'essere che la statua oscenamente rappresentava. Durò pochi istanti e la nebbia non mi permise di vedere per bene la figura che si agitava accanto all'albero maestro, ma riconobbi immediatamente l'orrendo volto che l'idolo aveva generosamente raffigurato. Le file di denti acuminati erano incorniciati da orribili capelli vermiformi che si agitavano in un'orripilante danza informe. Poi, senza che io avessi il coraggio di muovermi, vidi la cosa sollevare il suo orrendo braccio marcescente verso di me e, nuovamente, sentì quella risata. Questa volta non ebbi dubbi sull'origine di quell'orribile suono: vedevo due lunghe lingue biforcute attorcigliarsi in mezzo ai denti luridi della cosa e vidi il suo corpo contorcersi ritmicamente nell'inquietudine dalla risata. Poi sparì; improvvisamente semplicemente cessò di essere davanti a me.

Non so per quanto tempo rimasi a fissare il vuoto, minuti forse ore, ma non riuscivo a muovermi. Ero consapevole che tutto era successo per causa mia e sapevo che non poteva essere finita. Non tutte le anime di quella nave erano state prese e la sola consapevolezza di ciò era sufficiente a farmi grondare la fronte di sudore. Poi sentì qualcosa sfiorarmi leggermente la testa, qualcosa di viscido e dall'odore terribilmente marcio, e subito dopo sentì delle leggere punture ad entrambe le tempie. Riuscì distintamente ad immaginare la bocca di quell'orrendo essere cingermi la testa pronto a divorarmi il cervello o peggio; la paura indescrivibile che provai mi fece riprendere dal mio torpore e mi gettai subito a terra allontanandomi dalla terribile morsa che mi stava attanagliando. Quando mi voltai vidi solo nebbia e nient'altro ma, nell'aria come portata dal vento, echeggiava ancora quell'infame risata. Non so cosa mi prese a quel punto ma corsi giù nella stiva, in mezzo a tutti quei battiti che adesso riecheggiavano scompostamente tra le pareti, e aprì una delle casse che stavamo trasportando. Al suo interno trovai numerosi attrezzi da scavo e subito mi misi alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, che potesse aiutarmi a cacciare quella cosa dalla chiglia. Mentre spostavo l'ennesima pala e mentre il costante battito della creatura continuava a martellarmi il cervello mi ritrovai a pensare che tutto era successo per qualche motivo, che forse era una specie di punizione per i miei peccati, forse era proprio il Signore che ci aveva castigati. Ma poi ripensai alla cosa che avevo visto sul ponte, ripensai all'orripilante risata che aveva riecheggiato nella nebbia e strinsi con maggior forza l'attrezzo che avevo disperatamente cercato.

Sollevai il piccone sopra alla mia testa e colpì con tutta la forza che avevo il punto da dove sentivo partire il battito più forte. Ci vollero tre colpi, soltanto tre, perché riuscissi a sfondare lo scafo proprio accanto alla chiglia e, quando sentì la punta spaccare il legno, sentì una specie di latrato disperato venire da sotto di me. Dal foro appena aperto iniziò a sgorgare una sostanza nerastra dall'odore marcio e dalla consistenza vischiosa. Rincuorato da quel risultato colpì ancora con violenza più e più volte e ad ogni nuovo colpo sentivo che il latrato cambiava diventando sempre più simile ad un grido umano. Colpì finché non mi accorsi che quello che sgorgava dai buchi era sangue misto ad acqua salmastra e che le grida che sentivo non erano più di una singola creatura innominabile: erano quelle dei miei compagni. Scioccato e disorientato corsi sul ponte e mi gettai nella cabina degli ospiti, che si trovava accanto a quella del capitano, ed iniziai a scrivere questa storia.

 

Ora so di essere spacciato. Sento ancora quella risata e da sotto la porta sta iniziando a filtrare dell'acqua. È questione di minuti ormai e temo davvero per la salvezza della mia anima immortale. Da qualche minuto odo uno strano raspare alla porta e rabbrividisco ripensando a quel braccio marcio che mi indica. Accanto a me ho una pistola con un colpo ma non ho la forza necessaria ad un simile gesto. Scrivo queste righe, e presto le affiderò al mare, nella speranza che qualcuno possa un giorno leggerle e forse trovare la forza di capire e perdonare la folle ignoranza di questa povera anima dannata.

 

Addio

 

Oliver Thompson 24/11/1801 - ?/?/1823

 

PS: Non riesco a non pensarla. È una frase che mio padre mi lesse quando ero bambino; è tratta da un libro che stava studiando prima di sparire:

 

non è morto ciò che in eterno può attendere

e in strani eoni anche la morte può morire

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Mimik04