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Autore: nightswimming    18/07/2011    6 recensioni
Brian è stato appena lasciato e la casa in cui si è trasferito gli sembra enorme. Stefan tenta di riempirla, come sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: Brian Molko e Stefan Olsdal non sono miei, non hanno fatto niente di quanto è scritto sotto (speriamo non lo facciano mai) e io a descrivere i loro drammi immaginari non ne ricavo altro che un gran divertimento :D
Dedicata a genderblender, che l’ha letta quando era solo un abbozzo e che, amandola, mi ha spinto a finirla <3 Grazie di tutto :*
 
 
 
 
 
 
 

That’s the end and that’s the start of it.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Brian alzò lo sguardo su Stefan, sentendosi osservato.
- Che c’è? – chiese, scontroso, sporgendosi in avanti per spegnere la sigaretta nel posacenere.
Stef sorrise e rimase in silenzio.
- Allora? – sbottò l’altro, lasciandosi andare contro il divano con un gesto seccato. Lo svedese sembrò riscuotersi e scosse la testa.
- Nulla. –
 
Alzò lo sguardo. Doveva essersi sentito osservato.
Notò che aveva gli occhi del verde più luminoso che avesse mai visto – talmente luminoso che gli era sembrato azzurro, in un primo momento.
- Che c’è? – disse sottovoce, inarcando un sopracciglio e chiudendo con uno scatto il libro che teneva sulle ginocchia. Tentò di leggerne il nome sul dorso; non ci riuscì.
- Che c’è? – ripeté lui, più lentamente, minacciosamente.
Stefan fece spallucce, scuotendo la testa.
- Ti è praticamente arrivata la palla addosso. – disse, in tono ovvio. – Cosa pensi che sia venuto a fare, se non riprenderla? –
Molko alzò una mano a schermarsi gli occhi con studiato languore. Stefan vide le sue labbra contrarsi un rapidissimo guizzo.
- Dì a quelle teste di cazzo dei tuoi amici che mi hanno mancato. E aggiungi anche che capisco perfettamente perché la nostra scuola non vince il campionato da anni, se la mira è questa. – sussurrò, quasi flemmatico.
Stefan incrociò le braccia sul petto.
- E’ meglio per te se non glielo dico. – rispose, calmo, facendogli segno di allungargli la palla che era finita ai piedi del muretto sul quale lui era seduto. Molko appoggiò il libro accanto a sé, sui mattoni scaldati dal sole, e si allungò a recuperare la palla con un movimento ozioso. Stefan ne approfittò per sbirciare: era “Un Tram Che Si Chiama Desiderio”.
- Tieni. – lo riscosse l’altro, buttandogli la palla contro il petto. Stefan la prese al volo prima che cadesse e rimase a farsela girare fra le mani. Voleva prendersi tempo per osservarlo. Non riusciva a inquadrarlo, e questo non gli piaceva.
Molko spalancò gli occhi in un’espressione fintamente stupita.
- E’ tonda, sì, incredibile davvero. E se la fai cadere a terra rimbalza. – Sventolò una delle sue mani tozze, smaltate di nero, a mezz’aria. – Ora che hai aperto gli occhi sul tuo sport da energumeni puoi anche andartene. –
Stefan sentì l’impulso incontrollabile di scagliargli la palla addosso con tutta la forza che aveva. Da quella distanza mancarlo sarebbe stato impossibile.
- Fammi indovinare, stai studiando per la recita di fine anno. – disse, solleticandosi il lobo di un orecchio con una mano.
- Corretto. – replicò Molko, in tono strascicato, non disturbandosi nemmeno ad alzare gli occhi dal libro che aveva ripreso a leggere.
- Almeno per una volta, hanno scelto un bel testo. – proseguì Stefan, facendo rimbalzare la palla a terra e bloccandola subito dopo, memore della frecciatina che Molko gli aveva rivolto poco prima.
Lui sollevò la testa, piano, e la inclinò con un movimento leggero, quasi impercettibile.
- Leggi Tennessee Williams. – disse, col tono di chi cerca di convincersi di una cosa assurda, come che due più due fa cinque. Stefan distese le labbra in un ghigno.
- So leggere, sì. Pazzesco, eh? –
Molko rimase in silenzio, portandosi nuovamente una mano sulla fronte e osservandolo con aria improvvisamente attenta. Stefan spostò il peso da un piede all’altro.
- Beh, grazie per avermi costretto a venir qua a riprendere la palla piuttosto che farmi la cortesia di lanciarmela. – disse, tentando di sorridere in modo convincente.
Con sua grande sorpresa, Molko rispose apertamente al sorriso. I suoi occhi brillavano di nuovo di quella strana luce a metà fra il blu e il verde.
- Di niente. -
 
Brian alzò gli occhi al cielo, prendendo un lungo, spazientito respiro.
- Dio, Stef, ora non ho i nervi per reggere anche questa discussione da adolescenti. Dimmi che c’è e basta. – disse brusco, cercando nella tasca del cappotto il suo pacchetto di Gauloises.
Stefan gli si avvicinò per porgergli la fiamma dell’accendino, dopodiché si accese la propria sigaretta e mosse qualche passo lento davanti a lui.
- Ti ricordi la prima volta che ci siamo parlati? – chiese, gli occhi fissi a terra e una mano fra i capelli.
Sentì che tratteneva il respiro per la sorpresa.
 
- Io la credevo retta. –
Stefan si incurvò più che poté e scivolò in silenzio fra le file di persone sedute, tentando di non incespicare nel buio. Brian era in ginocchio, con le mani di Catherine Millet della III E fra le sue, e Stefan incrociò fuggevolmente il suo sguardo rischiarato dalla luce dei riflettori. Il suo viso era teso, serio, sofferente: ma era la parte che lo imponeva. Appariva radioso.
Riuscì a sedersi in terza fila, nel posto all’estrema destra. Catherine ora si era divincolata dalla sua stretta e si stava appoggiando con gesto languido una mano sulla fronte, dandogli le spalle per rivolgersi al pubblico.
Stefan sporse la testa. Brian guardava la sua compagna di scena, assorto, concentratissimo, la fronte lucida di sudore e le labbra socchiuse.
Stefan pensò improvvisamente che era nato per stare su un palco.
- Retta? Che vuol dire? Una linea può esserlo, o una via… Ma il cuore di un essere umano? –
Brian si rialzò dalla posizione genuflessa in cui era, si fece incontro a Catherine per abbracciarla e gli rivolse da sopra la sua spalla uno sguardo solenne.
 
- Sì. –
Stefan si girò. Brian sorrideva, incerto, rigirandosi la sigaretta fra le dita.
- Stavi giocando a basket, la palla è uscita dal campo e mi è caduta a piedi. E tu sei venuto a riprenderla. – sussurrò, leggero. Stefan gli venne incontro e si sedette di fianco a lui.
- E tu ovviamente mi hai trattato malissimo. – rispose, dandogli una lieve spallata.
Brian si finse offeso.
- Ovviamente…? –
- Sì, ovviamente. – confermò Stefan, tirando una boccata dalla sigaretta. Brian sbuffò.
- Stef, mi spiace. – Si accarezzò i capelli con una mano. – E’… ecco, non c’è bisogno di dirtelo. Lo so che non vuoi lasciarmi solo, ma io non sono in condizioni di trattare civilmente le persone. Non ne ho nessuna voglia. – disse piano, lisciandosi una piega dei pantaloni e alzando la testa per rivolgergli uno sguardo arreso. – Va’ via, è meglio. Non voglio comportarmi male con te. – Tirò a sua volta una boccata dalla sigaretta, appoggiando la nuca al divano. – Tu non c’entri nulla. – disse, più a sé stesso che all’altro.
 
- Bravo. –
Vide che sorrideva, autenticamente compiaciuto.
- Grazie. –
- Credevo ti facessero fare Blanche, però. –
Si morse la lingua. Perché gli aveva detto una cosa simile? Non la pensava! La parte che gli avevano dato era perfetta, e lui l’aveva interpretata davvero magnificamente, e allora perché…
- Eh, infatti, peccato. E’ il personaggio migliore di tutta l’opera. –
Stefan lo guardò stupefatto. I suoi occhi erano terribilmente seri.
 
- Sì. –
Brian si voltò a guardarlo, stupito.
- Sì cosa? –
Stefan spense la sigaretta nel posacenere.
- Sì, è vero che non c’entro nulla. Ma forse è proprio per questo che ti posso aiutare. – disse, con prudenza.
Brian sorrise magnanimamente e scosse la testa.
- Sai bene quanto me che non c’è niente da fare. – Deglutì, e quasi spaventato dalla propria reazione si accarezzò preoccupato il pomo d’Adamo. – Passerà. Le altre volte è passata, no? –
- E’ come le altre volte? – chiese Stefan, fissando il vetro trasparente del tavolo sotto al quale i disegni del tappeto apparivano confusi e mostruosamente ingranditi.
Brian si inumidì le labbra, pensoso. I suoi occhi si persero nel vuoto. Con una risatina forzata, fece segno che non lo sapeva.
- Non faccio la hit parade delle sofferenze d’amore. – rispose poi, accendendosi l’ennesima sigaretta con un sorrisino timido. Sorrideva così spesso, e così a vuoto, che a Stefan venne voglia di abbracciarlo. – Diciamo che è da tanto che non mi sento così… incompleto. Così sperduto. L’ultima volta… -
Stefan gli strinse un braccio.
- Me la ricordo. –
Brian emise un verso d’apprezzamento.
- Complimenti. Mi daresti ragguagli? Non ho la tua memoria. – disse, sinceramente interessato. Stefan fece schioccare la lingua.
- Bugiardo. –
- Vigliacco, diciamo. –
Si sorrisero.
 
Sospirò, la fronte appoggiata contro il vetro della finstra reso gelido dalla pioggia.
- Hai mai provato – disse, la voce rotta, le occhiaie che la luce opaca del temporale tingeva di azzurrino, - hai mai provato un dolore tale da scavarti la testa come un cancro? Una sofferenza che ti accompagna dal momento in cui ti alzi fino a quello in cui vai a dormire, che riposa mentre suoni e si risveglia quando il pubblico applaude… Un chiodo nel cervello che ti fa dolere gli occhi al punto che non riesci a guardare nulla, senza… senza ricordare… -
Stefan si prese la testa fra le mani e si schiacciò le tempie più forte che poté.
- L’hai mai provato, Stef…? – chiese nuovamente la sua vocina flebile, mentre lo sentiva accasciarsi sulla sedia di fronte al tavolo dove Steve aveva appoggiato quel che rimaneva della coca.
Stefan si alzò in piedi di scatto e, incapace di uscire da quella stanza, rimase a fissarlo abbassarsi sulla stagnola. Ascoltava impotente i propri respiri pesanti come piombo invadere il silenzio della stanza.
Voleva rispondergli. Lo voleva disperatamente.
 
 
- L’ultima volta - cominciò Stefan, la voce un po’ arrochita dal fumo, - avevi scritto “Taste In Men” -.
Brian emise un lungo fischio.
- Ah, cazzo, è vero. Julien. Porca puttana, questo non volevo ricordarmelo! – rise, strofinandosi gli occhi coi palmi delle mani. – Era stato un inferno. –
Stefan lo vide raccogliere i piedi sul divano e raggomitolarsi contro il cuscino, rabbrividendo nel pullover. Era pallido, perfettamente truccato, i capelli appena lavati lucidi sotto la grande lampada del salotto. Bellissimo, come allora. Innaturalmente perfetto.
- Non mangiavi. Non dormivi. Bevevi, tiravi una striscia dopo l’altra… -
- …E piagnucolavo sulla tua spalla. – completò Brian, lanciandogli uno sguardo pudico, quasi imbarazzato. – Nel tuo letto, anche. – sussurrò poi, tornando a fissare gli occhi sulle dita smaltate con cura.
Stefan fece un sorriso tremulo.
- Porca puttana, questo  non volevo ricordarmelo. – disse, cercando di usare un tono il più possibile leggero.
Brian lo guardò spalancando gli occhi; poi, le labbra livide per lo sforzo di trattenersi, scoppiò a ridere.
 
- Come back to me awhile, change your style again… -
Steve gli diede di gomito, ammicando con un sorriso in direzione del Brian in mutande che si versava canticchiando una tazza di caffè nella cucina del tourbus.
Il concerto di quella sera era stato un successo.
 
Stefan tornò dalla cucina con una bottiglia di vino in una mano e due bicchieri nell’altra, il vetro che tintinnava amichevole.
Brian sollevò un sopracciglio, divertito.
- Non eri tu quello che mi diceva che è inutile affogare i dispiaceri nell’alcool? –
Stefan sbuffò indulgente e gli porse un flute pieno fino a metà.
- Te lo dicevo quando bevevi due bottiglie di brandy al giorno. –
Brian bevve lentamente un sorso, mescolando con un lento movimento rotatorio il liquido nel bicchiere.
- Steve mi dava man forte. Sapevo di poter sempre contare su di lui, quando si trattava di bere. – disse sbrigativo, rituffando il naso oltre l’orlo.
Stefan sentì di dover cambiare argomento.
- Come ti trovi qui? – chiese premuroso, indicando le pareti del salotto con un largo gesto circolare della mano che reggeva il bicchiere. – Ti piace? –
Vide il suo mento scattare. Un movimento quasi impercettibile, minuscolo - di chi si trattiene appena in tempo.
- Sì. – rispose Brian, educato.
 
Perso fra le pareti bianche ancora spoglie dei mobili, gli sembrava più piccolo e magro del solito.
- Ti piace? – gli chiese in tono prudente.
Brian appoggiò una mano sull’intonaco bianco, ritirandola leggermente impolverata. Si guardò le dita rese d’improvviso pallide dalla vernice fresca e Stefan vide che tratteneva a stento un singhiozzo.
- A me sì. – disse, la voce tremante, le parole a malapena intellegibili. – A Helena sarebbe sembrata terribilmente fredda. –
 
- Non è il Plaza ma può andare, direi. – proseguì Stefan, incoraggiato dal suo assenso.
- Potrebbe essere anche Buckingham Palace e non me ne accorgerei, Stef. – ribatté Brian, finendo il bicchiere in un sorso e facendogli segno di passargli la bottiglia per riempirlo ancora. – Ogni posto va bene perché nessun posto in realtà va bene. Qui e altrove sono uguali, e non sono né belli né brutti. -
Stefan lo osservò inquieto riempire il bicchiere fino all’orlo e svuotarlo per tre quarti in tre rumorose sorsate.
- Tornerà. – disse, stupidamente. – Vedrai. Appena si accorgerà di… -
- …Di cosa? – lo interruppe Brian, lasciandosi sfuggire una risatina acida. – Di quanto si sta meglio in quella casa adesso che non ci sono più io? –
- Matt odia stare da solo. Non ci riesce. – rispose incerto Stefan, maledicendosi per essersi avventurato in quelle dannate sabbie mobili. Brian sorrise sprezzante.
- Per l’appunto. Chissà chi si sta scopando in questo momento. –
- Brian… -
Lo vide rivolgergli un gesto seccato, come di chi scaccia una mosca.
- Altra bottiglia. C’è un’altra bottiglia, vero? -
 
Stefan sentì tutto il sangue defluire dalla testa.
- Brian! – urlò, precipitandosi sulla sagoma riversa dell’amico che giaceva a lato del letto, buttata a terra come uno straccio. – Brian – ripeté, scuotendolo, riempiendolo di schiaffi sulle guance, - Brian, Cristo, rispondi, svegliati! Brian! –
Gli obbedì: aprì gli occhi. Stefan osservò le palpebre schiudersi lentamente, il cuore in gola, e quando riuscì a incrociare lo sguardo di Brian gli sembrò che le sue iridi fossero incolori, come due pezzi di vetro.
- C’é… C’è un’altra bottiglia, vero? – sentì che gli sussurrava stancamente sulla spalla, mentre lo trascinava in bagno.
 
Di bottiglie ce n’erano eccome.
Stefan accolse con un leggero tremito la testa che Brian gli appoggiò in grembo, scostandogli i capelli che gli si erano appiccicati al viso con un gesto meccanico. Era pallido e sudato.
- Stef… - sussurrò, muovendosi lentamente, come un bambino che sta per addormentarsi, - Stef, è sempre la stessa storia… Tu… Sei sempre qui, io sono sempre qui… Cambia solo il colore delle pareti della casa in cui ho appena traslocato. – disse, forzandosi una risatina che voleva suonare piena di gratitudine. Stef sorrise appena – non ci riusciva.
- E’ solo perché questi momenti ti sembrano lunghissimi. – rispose, confortante. – E’ solo perché stai soffrendo. –
Brian rise ancora, ubriaco, e si ritirò su a sedere goffamente. Stef avvertì il peso sbilenco del braccio che gli aveva appoggiato sulla spalla.
- No no no. – biascicò, agitandogli un dito davanti al viso. – No no no. Se tu ci sei sempre, tu, e non Julien, non Helena, non Matt, un motivo ci sarà. –
Stef avvertì un brivido gelido corrergli lungo la schiena.
- Sono tuo amico. – disse, lo stomaco contratto in una morsa. – Ci sarò sempre, per te. –
Brian chiuse gli occhi, gli passò alla cieca un braccio attorno alle spalle e gli diede un bacio umido, lento, succhiandogli piano le labbra.
- Ti amo, Stef. – gli sussurrò sulla bocca, con l’intenzione di non interrompere il contatto nemmeno per un secondo.
Stef ricambò quel tanto che ci voleva per calmarlo, ma dovette fare uno sforzo tremendo per allontanare le sue mani da sé. Voleva abbracciarlo. Voleva fargli qualunque cosa avesse mai sognato di fargli in tutti quegli anni. Voleva ripetere tutto ciò che erano riusciti a condividere quando Brian era ancora un ragazzino ingenuo e viziato che amava sé stesso più delle altre persone – quando c’era ancora spazio per lui nel suo cuore, un spazio libero, ampio, vergine, dove nessuno si era mai avventurato.
Voleva infrangere quei muri che Julien, Helena, Matt e chiunque altro avesse contato qualcosa per lui avevano costruito rottura dopo rottura, costringendo lui a strisciare nelle fessure.
Ma soprattutto voleva fare tutto questo in un momento in cui Brian avesse potuto ricordarsene.
 
Quando lo riportò a letto tremava come un bambino, il corpo ancora squassato dai conati di vomito.
- Stef… - lo chiamò, e lui si inginocchiò ai lati del letto stringendogli una mano con aria compassionevole.
- Dimmi. –
- Grazie, io… Io credevo che non sarei riuscito ad alzarmi, questa volta. – disse, gli occhi lucidi di lacrime di fatica e dolore. Dal lenzuolo bianco che lo avvolgeva come un sudario spuntava solo la testa.
Stef strinse più forte la sua mano.
- Non ringraziarmi. – disse, brusco. – Non ce n’è bisogno. – aggiunse subito dopo, addolcendo il tono.
Brian rise piano.
- Sei… Un uomo fantastico, Stef. –
Rimase accanto a lui mentre si addormentava, seduto sui propri talloni. Si disse che non c’era niente di peggio del valore riconosciuto, ma messo da parte a vantaggio di qualcosa di più imperfetto e seducente.
 
Stef si chiese se non fosse il caso di portarlo in bagno, prima di metterlo a dormire; ma non sembrava stare male. Sembrava solo stanchissimo e dimentico del resto del mondo – esattamente la condizione ideale per riuscire a non pensare più a nulla.
Accarezzò la guancia bollente che gli aveva appoggiato sulla spalla. Si odiava: per anni aveva aspettato in trepidazione che arrivasse un momento come quello e ora che lo stava vivendo non riusciva a fare a meno di disilludersi. Non era stato l’alcool a sciogliergli la lingua, era stato il dolore; e un uomo quando soffre è capace di dire qualunque cosa, per convincersi di star soffrendo un po’ meno.
Sì, è vero, sì odiava: ma finalmente riusciva ad odiare anche lui.
- Tu ami il suono della tua voce che dice ti amo. – sussurrò, lo sguardo fisso di fronte a sé, il suono del respiro regolare di Brian addormentato sulla sua spalla che gli faceva battere forte il cuore. – Non c’è niente che ami di più. –
Lo sentì emettere un debole mugolìo nel sonno.
 
Stefan ricambiò quello sguardo solenne con un’espressione che si augurò essere altrettanto adatta al momento speciale che sentiva di star vivendo. Una fitta al cuore lo aveva paralizzato: era come se un filo invisibile lo avesse legato d’un colpo a quella figurina che si agitava sotto i riflettori, gli occhi truccati che cambiavano luce di continuo.
Sperò che quell’istante durasse il più possibile. Sperò che si ripetesse – sperò di poterlo vedere ancora una volta rivolgergli quello sguardo meravigliosamente consapevole, sopra un altro palco, in un altro luogo, in un futuro dove si sarebbero trovati insieme.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
You’re the truth
Not I.
 
“Twenty Years”, Placebo
 
 
 
 
 
 
 
Note: la mia prima Molsdal, one-sided, per giunta.
Scrivere di Stefan mi fa sempre venire voglia di abbracciarlo, qualunque cosa lui faccia, e in queste circostanze l’impulso è ancora più forte ç_ç
Ero partita con il descrivere il rapporto fra Stef e Brian durante gli anni, ma poi tutto mi è sfuggito di mano – e non mi dispiace neanche più di tanto, stavolta. Mi sembra abbastanza lucida, senza troppo melodramma nell’aria. E sono contenta di essere riuscita a scrivere qualcosa di un po’ diverso dal solito.
“Twenty Years”, non so perché, mi è sempre saputa di canzone rivolta a Stefan.
 Quel “sei tu la verità, non io” mi sembrava una dedica malinconica a una persona che ti ha visto vivere, sbagliare e crescere negli anni e che ti conosce più di quanto ti conosci tu stesso. Essendo Brian che canta e scrive i testi, quella persona nella mia mente non poteva essere altro che Stefan – e da lì è nato lo sproloquio di cui sopra :D
Il titolo è sempre un verso di “Twenty Years”, cui sono particolarmente attaccata perché è la prima canzone dei Placebo che io abbia mai ascoltato in assoluto.
(Ovviamente non potevo negarmi almeno un accenno di Mollamy XD Povero Matt, non fa altro che scaricare Brian e rimanere ignaro di tutto ciò che succede dopo XDDD)
P.S. Blanche Du Bois è la protagonista di “Un Tram Che Si Chiama Desiderio”, uno dei miei film e libri preferiti <3

 
Baci :**** 

   
 
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