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Autore: emychan    18/07/2011    4 recensioni
Liberamente tratta da Rapunzel!!
Arthur viene rapito dalla strega Nimueh e cresciuto ignaro delle sue origini in una torre isolata da tutto e tutti, ma un giorno il giovane Merlin in fuga dalle guardie di Camelot, finisce col nascondersi proprio nella stessa torre.
Cosa accadrà adesso??
Ovviamente merthur!
Vincitrice del premio 'Miglior storia d'amore' al 'Fairytales Industries' contest su Efp!!
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fanfiction scritta per il contest The 'Fairytales Industries'  sul forum di Efpfanfic!
Classificata 6 nel contest, ma vincitrice del premio speciale Miglior storia d'amore!!!!^^
Grazie mille!!!xD



Ho scelto di scrivere su Rapunzel prendendo spunto un po' dalla favola cartacea e maggiormente dal cartone Disney! Non so perchè, ma appena l'ho visto al cinema mi sono venuti in mente questi due!Inizialmente Merlin doveva essere nella torre e Arthur il ladro, probabilmente sarebbe stato più facile mantenerli IC! Ma siccome mi piacciono le sfide, ho cambiato le cose! Spero di essere comunque riuscita a renderli 'veri'!
La storia è scritta in stile fiabesco, perciò non stupitevi di nulla!!xDD


Disclaimers: I personaggi sono della BBC e degli aventi diritto!


Questa è la decima storia che scrivo nel fandom Merlin!!!!*__*
Posso ormai dire che non ho mai trovato un fandom più bello ed accogliente di questo!^^
La dedico a chi ha commentato la mia ultima storia: elyxyz, Grinpow, Aleinad, elfin emrys, Chibi Rye_chan, Bixie e Cassandra!Lo sapete già, ma ve lo ripeto lo stesso...vi adoro!!!!xDDD



The lost prince


C'erano una volta, nel lontano regno di Camelot, un re e una regina.
I due si amavano molto e tutto il reame prosperava sotto il loro gentile dominio, ma purtroppo, la loro felicità non era completa.
Entrambi desideravano tanto un figlio. Un principe che ereditasse il trono e che riempisse di gioia le loro vite, ma ahimè, sembrava proprio che quello non fosse il loro destino.
La regina Ygraine pregava notte dopo notte di veder realizzato il suo sogno, rivolgendosi al cielo con speranza incrollabile finchè, una notte, una giovane maga chiese ospitalità a corte.
«In cambio esaudirò un vostro desiderio» promise ai sovrani e, sebbene il re fosse diffidente, la regina non attese un secondo «Potresti donarci un figlio?» chiese, convinta che fosse stato il destino a mandarla da loro.
In risposta, la giovane strega sorrise «Io posso tutto» pronunciò con sicurezza «Mi basteranno delle radici di raperonzolo e una goccia del vostro sangue».
Nonostante la bizzarra richiesta, i sovrani sentirono i loro cuori riempirsi di gioia a quelle parole.
Re Uther inviò subito dei servi a raccogliere quanto richiesto e ospitò Nimueh, così veniva chiamata la strega, nelle migliori stanze di palazzo.
Venuto il mattino, la fece chiamare nella sala del trono e le consegnò le radici.
Nimueh tagliò i raperonzoli e li usò per preparare un'insalata, la bagnò con la goccia di sangue dei sovrani e mescolò il tutto per poi ordinare a Ygraine di mangiarla.
La regina la consumò in pochi istanti e subito si sentì diversa, piena.
Il re nominò Nimueh maga di corte e tutti, nel regno, attesero col fiato sospeso di sapere se la magia era compiuta.
Pochi mesi dopo, il medico di corte, dichiarò che la regina attendeva un erede.
Le feste si susseguirono per giorni e giorni in tutti i villaggi di Camelot e l'estate successiva uno splendido bambino dagli occhi azzurro cielo e i capelli biondi come il grano trasse il suo primo respiro nel mondo.
Purtroppo alla sua nascita seguì subito un grave lutto.
La regina, già indebolita dalla gravidanza, non riuscì a sostenere la fatica del parto e poche settimane dopo, chiuse gli occhi per sempre.
Accecato dal dolore, il re diede la colpa a Nimueh e la fece arrestare.
«Come osi? Io ti ho dato ciò che volevi» si infuriò la donna scoperta la sua condanna, ma il re non volle neppure ascoltarla.
Furiosa, la strega distrusse con facilità le sue catene «Tu mi hai tradita Uther Pendragon» lo accusò «E per questo ti toglierò per sempre ciò che ti ho donato».
Con quelle parole, Nimueh rapì il principe dalla culla in cui riposava ignaro di tutto e sparì nel nulla portandolo con sè.
Cavalieri e mercenari furono inviati in ogni parte del regno, la magia venne bandita e trattata come il peggiore dei crimini.
Ogni mago, ogni strega trovata, finirono in prigione, ma mai nessuno vide o sentì parlare di Nimueh o del principe Arthur.
Eppure Uther non perse mai la speranza di ritrovare suo figlio, l'ultimo ricordo della sua defunta regina.
Ogni anno, nel giorno del compleanno del principe Arthur, ogni abitante di Camelot festeggiava  il lieto evento ed il cielo si riempiva di lanterne luminose.
Migliaia di luci che, forse, un giorno l'avrebbero ricondotto a casa...


****

20 anni dopo


«Arthur caro, sono tornata!»
Scendendo dal davanzale della finestra, Nimueh sorrise ripulendosi il lungo mantello nero da polvere e ramoscelli, scalare quella torre diventava sempre più faticoso. Perfino con la magia.
Come ogni sera, entrare lì dentro le faceva dubitare di essere davvero riuscita nel suo piano.
Sconfiggere il fato. Incredibile quanto semplice le fosse risultato.
E tutto grazie alle sue sorelle. Quelle due stupide.
Come se una semplice profezia fosse sufficiente a spaventarla. Lei, la grande sacerdotessa della religione antica.
Era lei a forgiare il suo destino, non certo gli altri. Non certo una veggente da due soldi e la custode di un lago dimenticato da tutti.
Quella torre era il simbolo della sua vittoria e della sconfitta del cielo... e dei Pendragon ovviamente.
Negli ultimi vent'anni aveva cresciuto Arthur come un figlio, rinchiudendolo in una gabbia d'oro al centro del nulla.
Una torre talmente nascosta da essere impossibile trovarla.
I pochi curiosi tanto avventati da spingersi fino a lì, non avrebbero trovato modo di entrare.
Senza né porte né scale, nessuno poteva salire.
E anche se ci fossero riusciti, aveva terrorizzato così tanto il principe sul mondo là fuori, sulla sua crudeltà, che non si sarebbe mai fidato di nessuno.
Tranne lei ovviamente.
«Madre!» nel vederla, Arthur lasciò cadere l'improvvisata spada di legno con cui amava fingere di combattere nemici invisibili e le andò incontro sorridendo stranamente eccitato.
I capelli biondi, un po' troppo lunghi, avvolti in un codino dietro alla nuca «Finalmente siete arrivata!»
I suoi grandi occhi blu brillavano più del solito e la stanza circolare in cui viveva da sempre era nel caos più completo.
Libri gettati sul pavimento, il letto sfatto «Arthur, non ti ho detto di tenere più pulito questo posto?» lo rimproverò la strega, ripulendo il tutto con un paio d'incantesimi.
Arthur sbatté le palpebre guardandosi attorno quasi stupito, per poi scuotere le spalle «Lasciate perdere le pulizie» le disse quasi saltellando tanta era l'emozione «Vi ricordate che giorno è domani?»
Nimueh quasi sbuffò irritata, erano due settimane che ogni sera le ricordava la stessa cosa .
Non capiva cosa ci trovasse di così bello o emozionante nell'invecchiare.
«Il mio compleanno!» quasi le gridò nell'orecchio.
A volte era davvero difficile fingere di sorridere.
Il compito non era certo facile, soprattutto quando il principe era così carico di energie o voglia di blaterare a vuoto «Lo so Arthur, me lo ripeti ogni giorno».
«Si, ma non vi ho ancora detto cosa voglio quest'anno» le spiegò più lentamente, come se il tono di voce cambiasse ogni cosa.
«Ti prenderò quella stupida spada se la smetti di chiedermela» brontolò Nimueh mettendo al loro posto le nuove provviste che aveva acquistato per lui.
Quel Pendragon mangiava per sei persone.
Era incredibile come qualcuno che se ne stava tutto il giorno chiuso in pochi metri con un letto, uno scaffale di libri e una vecchia bambola di ceramica per compagnia, potesse avere tante energie da consumare ed un appetito quasi infinito da soddisfare.
«Si... la spada» mormorò Arthur, improvvisamente incerto.
La strega si fermò ad osservarlo curiosa. Era strana quella mancanza di esuberanza, credeva che la notizia l'avrebbe fatto esplodere in risa e altro chiacchiericcio incessante.
In fondo erano mesi che la torturava perchè ne voleva una.
Una spada da cavaliere, le aveva detto. Per combattere i draghi, le aveva spiegato con orgoglio.
Il pensiero la faceva quasi ridere ogni volta.
Gli unici draghi che avrebbe mai visto erano quelli disegnati nei libri, ma se significava farlo stare zitto, gli avrebbe comprato un'intera armatura. Un intero esercito.
Chiudendo la mente al vano pettegolezzo di Arthur, lasciò scivolare gli occhi sul letto e sulla bambola di ceramica seduta tra i cuscini.
Era una normalissima bambola dal viso pallido e paffuto. I lunghi boccoli neri composti intorno al viso e il vecchio vestito di seta verde scucito sul bordo.
I tondi occhi verdi erano stranamente brillanti, come se potessero vederla davvero.
Come se potessero giudicarla.
Nimueh sorrise, quasi sfidandola con lo sguardo.
«... E quindi sarebbe fantastico poterle vedere da vicino almeno una volta. In fondo è solo per una notte» concluse senza fiato Arthur.
La strega si voltò a fissarne il viso arrossato «Come prego?» chiese confusa.
In risposta, il principe prese un profondo respiro, come facendosi coraggio «Voglio vedere le luci» pronunciò con aria seria e decisa.
«Le luci?» ribatté Nimueh senza capire.
«Si, le luci» annuì lui guardandola quasi implorante «Le luci che ogni anno illuminano il cielo» spiegò puntando il dito verso la finestra.
All'inizio la strega non capì. Si limitò a guardare nella direzione indicata come aspettandosi di vedere qualcosa di diverso dal solito cielo blu.
Fu solo quando vide le lontane torri bianche di Camelot che capì.
Le lanterne! La stupida festa che quel testardo di Uther continuava a celebrare ogni anno sperando di ritrovare suo figlio.
Non aveva mai pensato che Arthur potesse vederle od esserne curioso, almeno non abbastanza da superare la paura che credeva di avergli instillato in tutti quegli anni.
«Lo sai che è troppo pericoloso. Non puoi uscire di qui, hai idea di quanti stregoni e banditi vivono là fuori? Ho dovuto nasconderti tutto questo tempo per proteggerti, vuoi gettare all'aria tutto per un capriccio?» gli chiese mordendosi le labbra rosso sangue.
I suoi occhi lucidi e preoccupati, come se stesse per piangere.
Fino ad allora quel trucco non avevano mai fallito.
Arthur distolse lo sguardo colpevole «Sarebbe solo per un giorno» mormorò già meno convinto «Starò attento».
«No Arthur» ribatté lei con tono perentorio. Doveva mettere fine a quella discussione subito.
«Ma...»
«Ho detto di no!» sbottò spazientita facendolo ritrarre di un passo.
Raramente alzava la voce, ma in quell'occasione era necessario. Era troppo pericoloso.
Se Arthur cercava di scappare e riusciva ad arrivare a Camelot...
Nimueh non voleva neppure pensarci.
Tutti quegli anni di progetti, di idee e ambizioni. Tutti i suoi piani attentamente costruiti. Sarebbe crollato tutto. E c'era sempre la profezia a cui pensare.
Emrys, se esisteva davvero, poteva essere ovunque.
«Arthur, non capisci che lo faccio per te?» gli posò le mani sulle spalle, fingendo una dolcezza e un amore che non provava affatto. Quasi le veniva la nausea.
Sarebbe stato più facile usare un incantesimo per farsi ubbidire, ma la profezia non era chiara. Non poteva ucciderlo diceva, ma usare altri incantesimi? Piegarne la volontà? Era troppo rischioso, il prezzo dello sbaglio troppo alto.
 «Non sopporterei se ti accadesse qualcosa. Là fuori, è pericoloso per un ragazzo senza magia come te».
Dopo un attimo di esitazione Arthur incrociò i suoi occhi ed annuì «Mi dispiace» mormorò con voce roca e Nimueh gli sorrise abbracciandolo.
«Mi regalerete una spada vera, allora?» le chiese con un sorriso forzato.
Alla strega bastava quello. Non le importava che fosse davvero felice o che ricevesse ciò che desiderava per i suoi vent'anni.
Era sufficiente che restasse nella sua piccole torre.
«Certo» gli rispose «Adesso vieni a sederti accanto al fuoco con me, tienimi compagnia».
Per il resto della sera Arthur fece esattamente quello.
Lesse per lei storie di draghi e cavalieri, di principi e principesse mentre Nimueh fingeva di ascoltare la sua voce e l'emozione che sprigionava da essa.
Da buon Pendragon, Arthur aveva nel sangue la cavalleria. L'eroismo.
Il desiderio di combattere e partire per grandi avventure.
Non era stato facile crescerlo lì dentro e fingersi sua madre.
Inventare una triste storia su come era stato concepito con un uomo senza magia.
Su come i druidi avevano ucciso suo padre e minacciato di uccidere il bambino.
Su come Nimueh fosse scappata per proteggerlo e dovesse tenerlo nascosto per lo stesso motivo.
Una storia lacrimevole, ma abbastanza stupida perchè un Pendragon ci cascasse.
E presto, pensò Nimueh con soddisfazione, i suoi sforzi sarebbero stati ripagati.
Alla morte di Uther, lei avrebbe riportato a Camelot il legittimo erede.
Un re nelle sue mani. Disposto ad obbedire ad ogni suo desiderio.
Se non poteva ucciderlo, almeno poteva usarlo e la sua vendetta, così, sarebbe stata assai più dolce.

****

Il mattino dopo, Arthur si ritrovò solo... come sempre.
Sua madre non restava mai con lui, sempre troppo piena di impegni e luoghi da controllare.
Ripensando alla notte prima, il ragazzo sospirò insoddisfatto. Si era preparato così a lungo, aveva pensato e studiato il suo discorso un milione di volte. Aveva perfino sognato di poter uscire, in confronto perfino una spada vera non era nulla.
Il suo unico desiderio era vedere le luci fluttuanti, perché sua madre non riusciva a capirlo?
Imbronciandosi Arthur afferrò Morgana, la sua bambola di porcellana.
Non avrebbe mai ammesso con nessuno di essergli bizzarramente affezionato, era una cosa da femmine in fondo, ma in un posto dove non c’era nessun altro a cui parlare o con cui confidarsi, Morgana era sempre stata la sua unica consolazione.
«Non è che non capisca che vuole proteggermi» mormorò fissando il piccolo volto di porcellana come se potesse dare una risposta a tutti i suoi problemi «Però ci tenevo davvero tanto ad uscire di qui. A vedere… cosa c’è là fuori».
Sospirò passandosi una mano sul volto, gli occhi verdi di Morgana sembrarono luccicare comprensivi «Io voglio diventare un cavaliere. Voglio combattere eroiche battaglie. Voglio che il mio nome sia famoso in tutta Albion. Come faccio ad avverare i miei sogni se non posso neppure uscire di qui?».
La bambola continuò ad osservarlo silenziosa come sempre. Con un piccolo sforzo d’immaginazione, Arthur credette di vederla annuire.
«Non ho paura di maghi o banditi» esclamò saltando giù dal letto e afferrando la sua spada di legno puntandola in aria come se combattesse un nemico invisibile.
«Se solo me ne desse l’occasione le dimostrerei cosa sono in grado di fare» volteggiò al centro della stanza fingendo un fendente e un affondo.
«Ucciderei mostri e ladri» afferrò una vecchia padella col fondo bruciacchiato dal tavolo e la tenne davanti al corpo come fosse uno scudo «E nessuno riuscirebbe a sconfiggermi! Sarei un grande… che diavolo
Arthur si fermò con la bocca spalancata e gli occhi sgranati.
Un ragazzo.
Uno strano ragazzo dai corti capelli neri e le strane orecchie a sventola stava cercando di intrufolarsi nella sua torre!
E davanti ai suoi occhi per di più! Chi si credeva di essere?
Il sangue prese a ruggirgli nelle orecchie e il cuore a battergli all'impazzata nel petto.
Era paura questa?
Inghiottendo, Arthur strinse la spada di legno fin quasi a farsi male.
Non doveva temere. Un vero cavaliere non aveva paura di nulla.
Questa era la sua grande occasione. Poteva dimostrare a sua madre che era in grado di difendersi da solo.
Poteva sconfiggere questo bandito e dimostrarle il suo coraggio.
Così avrebbe ottenuto il permesso di uscire... forse.
Prendendo un respiro profondo, Arthur si avvicinò lentamente all'intruso che incespicava sul davanzale della finestra ignaro di tutto.
Finalmente parve riuscire ad issarsi con un gemito, ma subito perse l’equilibrio e cadde faccia a terra con un tonfo e un grido piuttosto stridulo.
L’enorme borsa di pelle che si portava dietro si rovesciò sul pavimento facendo rotolare migliaia di monete d’oro tutto intorno.
Un ladro pensò Arthur trionfante, un'idiota, ma pur sempre un ladro.
Non sarebbe potuta andargli meglio di così.
Con un gemito, il bandito alzò il viso.
Grandi occhi blu fissarono stupiti Arthur. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma prima che ci riuscisse, il principe lo colpì con la padella.
Dritto in faccia.
Il suono echeggiò tra le pareti della stanza in modo orribile e il misterioso ladro piombò a terra svenuto.
Arthur lo fissò trionfante chiedendosi cosa dovesse farne.
Forse doveva attendere sua madre per dimostrarle la sua forza e convincerla a farlo uscire.
O forse era meglio legarlo, interrogarlo magari. Scoprire perché era salito sulla sua torre.
Voleva rapirlo? Chiedere un riscatto a sua madre?
Chissà che tipo di crimini terribili aveva commesso… anche se a guardarlo non sembrava così malvagio.
Sembrava più che altro un’idiota. E una ragazza.
Con il volto tutto spigoloso e la pelle liscia come la porcellana di cui era fatta Morgana.
Se non fosse stato per i vecchi vestiti da contadino, l’avrebbe preso per una femmina.
Sentendosi stranamente attratto dal viso dell’altro, Arthur arrossì e scosse la testa, mettendosi a strappare delle strisce di lenzuola per legare il suo prigioniero.

****

Merlin sbatté le palpebre confuso.
La faccia gli faceva un male cane e c'era uno strano ronzio nella sua testa.
Confuso provò a massaggiarsi le tempie, solo per scoprire di essere legato ad una sedia.
In che razza di posto era finito? Mentre fissava dubbioso le corde che erano lenzuola? lo tenevano prigioniero, qualcuno si schiarì la voce.
Era il ragazzo che lo aveva colpito con una padella.
E pensare che, solo poche ore, prima quella torre gli era sembrata un dono del cielo.
A pensarci bene doveva aspettarselo. La sua giornata, in fondo, aveva fatto decisamente schifo.
Merlin veniva da Ealdor, un villaggio così piccolo e al limite della mappa, che il re a malapena ne conosceva l'esistenza.
Ci abitavano solo poche famiglie di contadini che vivevano del raccolto e dei loro animali. Quell'anno, però, il già misero cibo era andato distrutto a causa della pioggia e, anche se nessuno voleva ammetterlo, c'erano poche speranze di sopravvivere all'inverno.
Merlin avrebbe forse potuto aiutare, ma sua madre glielo impediva continuando a ripetergli che tutto sarebbe andato a posto. Che ci avrebbero pensato gli adulti.
A diciasette anni, Merlin si reputava un adulto e non sopportava di sentire sua madre piangere tutta la notte senza fare nulla.
Hunit aveva sacrificato molto per lui. Lo aveva cresciuto da sola, quando suo padre era morto tanti anni prima, aveva nascosto il suo segreto e lo aveva aiutato a non sentirsi un mostro a causa dei suoi doni.
Merlin era un mago e dato che a Camelot la magia era punita con la morte, non poteva né usarla né studiarla.
Conosceva solo i pochi trucchetti che gli venivano naturali come spostare gli oggetti, rallentare il tempo e piccole altre cose, ma sentiva di poter fare molto di più.
Sapeva di poter aiutare il villaggio, se solo avesse saputo come.
Eppure sarebbe bastato così poco.
Giusto qualche moneta d'oro per comprare delle provviste e tutto sarebbe andato bene.
Solo che non aveva oro e non conosceva incantesimi per crearlo.
Per questo, l'idea di unirsi ad Alvarr e Mordred gli era sembrata tanto geniale.
Non li conosceva da molto, ma erano noti nei d'intorni.
Druidi in fuga, banditi ricercati da Uther che si ribellavano al suo dominio.
Non erano strettamente malvagi, vivevano rubando le tasse del re e il denaro dei nobili, si aggiravano per le foreste e, soprattutto, praticavano la magia.
In realtà le loro storie lo avevano sempre affascinato. Gli sembravano così coraggiosi, così forti.
A vederseli davanti aveva provato solo diffidenza e una brutta sensazione nel fondo dello stomaco a cui non sapeva ancora dare un nome.
Alvarr era già un uomo, dai lunghi capelli castani e la folta barba dello stesso colore, ma Mordred era ancora un bambino dagli occhi gelidi e il viso pallido come la neve.
Era stato lui a chiamarlo.
Emrys, gli aveva detto nella mente, noi  possiamo aiutarti.
E, in qualche modo, Merlin si era ritrovato accucciato in un cespuglio ad attendere che le guardie di Camelot passassero nel bosco per tendergli un'imboscata e rubare le tasse dei villaggi ad ovest.
Avrebbero diviso il ricavato in tre e lui avrebbe salvato il suo villaggio.
Sembrava un piano perfetto. Ovvio. Facile.
Se lo avesse scoperto, sua madre lo avrebbe ucciso.
Non era stato difficile far fermare i soldati.
Vedere un bambino dal volto ricoperto di lacrime in mezzo al sentiero avrebbe distratto chiunque.
E con le, seppur goffe, magie di Merlin e la destrezza di Alvarr coi suoi coltelli, anche prendere il denaro non era stato difficile.
La fuga invece era stata piuttosto complicata.
Purtroppo in seguito ai furti, Uther aveva aumentato le guardie e seminarle tutte si era rivelato piuttosto difficile.
Quasi impossibile.
I tre erano scappati a lungo tra gli alberi, finchè Merlin, nella sua eterna goffaggine, non era rotolato giù per un dirupo finendo lungo disteso sull'umido terriccio di una radura che non aveva mai visto prima.
Una radura deserta con un'altissima torre costruita al centro.
Perchè qualcuno avesse sentito il bisogno di costruire una torre di pietra, senza porte né finestre e circondata da spessi rampicanti in mezzo a un bosco, era un vero mistero.
Ma Merlin non poteva esser più felice che in quel momento.
Poteva nascondersi lì dentro e sperare che i soldati non lo trovassero.
Purtroppo era più facile a dirsi che a farsi, come si saliva su una torre senza entrata?
Usa i rampicanti, gli aveva allora consigliato una voce. Non preoccuparti, ti reggeranno.
Il mago si era guardato attorno, ma non c'era nessuno nella radura e la voce non era familiare.
Sembrava una donna. Sbrigati o i soldati ti troveranno.
Sebbene seguire strane voci nella mente non era una buona abitudine, vista la situazione in cui si trovava al momento, Merlin aveva deciso di fare un'eccezione e, afferrate le piante, le aveva usate per scalare l'infinita torre.
Non credeva davvero che ci fosse una fine a quella liscia parete, né un modo per entrare, finchè infine, non era arrivato ad una piccola finestra.
La sorpresa, però, era venuta dopo.
Quando prevedibilmente, era caduto per terra e alzando il viso, l'aveva visto.
Un ragazzo.
Un affascinante ragazzo dai capelli d'oro e gli occhi azzurro cielo.
Per un attimo, Merlin aveva pensato ad un angelo e si era convinto di essere finito in una delle favole di sua madre. Una di quelle dove c'era una principessa da baciare per vivere felici e contenti. Non gli sarebbe dispiaciuto baciare quel ragazzo.
Poi una padella lo aveva colpito dritto in faccia.
Ed eccolo lì.
Con la faccia dolorante. Legato ad una sedia.
Prigioniero in una torre sperduta con quello che, ovviamente, non era né un angelo né una bella principessa, ma uno psicopatico omicida.
Già... quella non era proprio la sua giornata...

****

«Ecco fatto, così non potrà scappare» Arthur si allontanò di un passo per osservare soddisfatto la sua opera.
Aveva usato un intero lenzuolo per legare l’intruso ad una sedia al centro della stanza. Nemmeno un mago sarebbe mai riuscito ad uscire da quei nodi.
Passandosi un braccio sulla fronte per asciugarsi il sudore, gli occhi gli caddero sulla borsa d’oro ancora a terra.
Chissà dove aveva rubato tutte quelle monete… doveva essere un vero bandito anche, se a guardarlo, non sembrava proprio.
Per suo disgusto, non appena si soffermò sui lineamenti dell'altro, sentì di nuovo le guance andargli a fuoco, che gli prendeva?
Scuotendo la testa, decise di nascondere il bottino, almeno avrebbe avuto un modo per ricattarlo e tenerlo a bada.
«Tu che dici Morgana? Ti sembra un malvagio criminale?» Chiese alla bambola che osservava le procedure dal suo cuscino di seta. Il suo sguardo sembrò luccicare divertito.
«Già, neppure a me» brontolò il ragazzo spingendo la borsa tra il materasso e i cuscini sotto a Morgana «Fagli la guardia, mi raccomando» le sussurrò.
Certo non era un nascondiglio brillante, ma lì dentro non aveva molta scelta in fondo.
Nel frattempo il suo prigioniero parve sul punto di risvegliarsi.
Arthur impugnò la spada di legno ed attese in silenzio che si accorgesse di lui.
«Dove?» mormorò l’altro guardandosi attorno prima di focalizzare lo sguardo su di lui.
Arthur gli puntò la spada alla gola fissandolo minaccioso «Chi sei e perché sei in casa mia?» sibilò col suo miglior tono velenoso.
In tutta risposta, il ragazzo lo fissò come se fosse pazzo «Casa tua?» gli chiese stranito guardandosi attorno «Questa?» il tono che usò non gli piacque affatto.
Come se fosse finito in una stalla o roba simile. Che razza di maleducato.
«Problemi?»
«Ah no… solo… è un po’…» inghiottì il ladro, sentendosi premere la punta della spada sulla tenera carne della gola «Fuori mano» brontolò infine, senza guardarlo negli occhi.
«E’ per evitare i banditi» se ne uscì Arthur, guardandolo storto.
Chiaramente non era così minaccioso come credeva, invece di fissarlo inorridito o pieno di paura, il ladro sorrise.
E nemmeno un sorriso tremante o falso. No. Un vero sorriso.
Che il suo cuore sembrò trovare motivo sufficiente per saltargli in gola «Allora?» si schiarì la voce improvvisamente roca.
«E’ una storia molto divertente in effetti».
«Non voglio una storia, voglio la verità. Chi.sei?» Pronunciò lentamente, neanche fosse un bambino.
E stavolta, forse, lo convinse a parlare visto il modo in cui tese il collo all’indietro per sfuggirgli «Merlin, mi chiamo Merlin» disse in fretta.
Che nome ridicolo, pensò Arthur. Come tutto il resto.
«Bene Merlin, cosa ti fa credere di poter venire qui ad uccidermi impunemente?» gli chiese allora, ignorando quella parte di sè che continuava a ripetergli che non c’era niente da temere in questo ragazzo.
Che non era lì per fargli del male.
Che poteva fidarsi.
Ma Nimueh lo aveva avvertito, non doveva fidarsi di nessuno.
«Eh?» squittì l’altro impallidendo visibilmente «Ucciderti?» pronunciò come se nemmeno conoscesse il significato di quella parola «Se non sapevo neppure che ci fosse qualcuno qui!»
«Certo» brontolò incredulo Arthur «Sei salito su una torre in mezzo al nulla per fare un pisolino».
«Stavo scappando. Sono caduto in un dirupo e, dopo quasi essermi rotto la schiena, sono finito qui sotto e sono salito. Per nascondermi. Tutto qui. Ora, se hai finito di giocare a guardie e ladri, posso anche andarmene» gli spiegò in tono fortemente sdegnato Merlin.
Arthur lo studiò in silenzio. Sembrava sincero.
A ben pensarci non sembrava neppure in grado di mentire. Troppo stupido per essere convincente. O per inventare qualcosa di decente.
Ma poteva davvero fidarsi e lasciarlo libero?
In fondo non era armato e anche se avesse tentato di fare qualcosa, poteva sempre colpirlo di nuovo. Dubitava che potesse davvero difendersi o ferirlo.
Però, se era riuscito a salire fin lì, poteva essere uno stregone e sua madre lo aveva avvertito mille volte su druidi e maghi.
Indeciso, Arthur si voltò verso la sua unica confidente, Morgana fissava il tutto con un lieve sorriso dipinto sul viso. Sembrava serena.
Non che potesse avere altre espressioni, ma sicuramente l'amica avrebbe fatto qualcosa per salvarlo se fosse stato davvero in pericolo, no?
Forse doveva tenerlo legato fino al ritorno di sua madre, mostrarle com'era riuscito a catturarlo.
Sicuramente gli avrebbe dato il permesso di vedere le luci adesso... ma se invece non fosse stato sufficiente?
Se l'avesse semplicemente liberato? Arthur si sentì un po’ invidioso del fatto che Merlin sarebbe stato libero di andare dove voleva.
Forse sarebbe perfino andato a vedere le luci.
Quel pensiero gli fece venire un'idea.
Una pessima idea.
Sua madre sarebbe stata a dir poco furiosa, ma in cambio… avrebbe visto le luci.
Il principe scosse la testa.
No, non poteva. Era pericoloso. Assurdo. Fidarsi di qualcuno che aveva appena conosciuto e che era un ladro, probabilmente anche un mago… però, non era forse la sua unica chance? Quante probabilità c'erano che qualcun altro scalasse la torre?
Forse era questo che nei libri chiamavano destino.
«Ho deciso» pronunciò infine.
Merlin quasi sobbalzò sulla sedia «Tu mi accompagnerai a vedere le luci fluttuanti» gli puntò un dito contro come sfidandolo a rifiutarsi.
Merlin fissò in silenzio il dito puntato contro la sua faccia «Luci?» aggrottò la fronte confuso «Di che luci parli?»
«Non fingere di non saperlo» spalancò le braccia «Ogni anno il cielo si riempie di strane luci, laggiù» indicò la finestra «Ed io voglio vederle da vicino, sapere cosa sono, perché volano» gli spiegò con voce eccitata.
Merlin, finalmente, parve capire «Parli delle lanterne per il principe perduto?»
Arthur annuì vigorosamente, non sapeva si chiamassero così né cosa fosse questo principe perduto, ma l’altro sembrava sicuro, era più che sufficiente.
«Voglio che mi accompagni a vederle e poi che mi riporti qui, semplice no?»
«Perché dovrei trascinarmi un’arrogante asino come te fino a Camelot?» esclamò l’altro con tono inorridito, come se il solo pensiero di dover restare solo con lui, fosse troppo da sopportare.
Arthur si sentì stranamente ferito da quel rifiuto.
Lui era un’ottima compagnia, come osava  pensare che non fosse così quel ladro da due soldi?
«Primo, perché sei in mio potere. Secondo, perché se non lo fai, non riavrai mai la tua bella borsa» sorrise trionfante.
«La mia borsa?» ripeté Merlin guardandosi attorno preoccupato.
Non si era neppure reso conto di averla persa, che razza di idiota.
«Mi serve, è importante» cominciò a lamentarsi.
Arthur gli piazzò una mano davanti alla faccia per zittirlo «E la riavrai… dopo che avrò visto le luci».
Merlin parve pronto ad obiettare, lo vide tastare le corde improvvisate un paio di volte e guardarsi furiosamente attorno alla ricerca di un modo per fuggire.
Il principe non era preoccupato, non poteva andare da nessuna parte.
Lui lo sapeva bene.
«E va bene» sospirò infine sconfitto «Farò come dici, basta che mi liberi, non sento più le braccia» si lamentò.
Arthur quasi gridò di gioia, ma non poteva certo apparire come un moccioso davanti a questo strano ladro.
Doveva fargli capire chi comandava.
Con aria diffidente sciolse le lenzuola e lo lasciò libero, la spada fedelmente legata al suo fianco.
Quando Merlin non sembrò sul punto di colpirlo o buttarsi giù dalla torre, andò a inginocchiarsi davanti al letto «Tornerò presto Morgana» bisbigliò alla sua bambola silenziosa fingendo di prendere qualcosa.
Quando si voltò, Merlin lo fissava con un sorriso ancora più ebete stampato sulla faccia.
Ovviamente l'aveva sentito «Che vuoi?» gli sibilò sentendosi  il viso andare a fuoco.
«Niente… è tenero».
«Io non sono tenero» gridò punto nel vivo.
Con chi credeva di parlare quello? Lui era un cavaliere! Un guerriero! I guerrieri non erano teneri.
«Va bene, va bene» alzò le mani per placarlo «Piuttosto, come ti chiami? Se dobbiamo viaggiare insieme avrò bisogno di saperlo, a meno che tu non preferisca babbeo… o asino».
«Arthur andrà benissimo» brontolò ancora irritato dal commento di poco prima.
«Bene Arthur, sei pronto a scalare la tua piccola torre allora?» sorrise l'altro e Arthur si rifiutò di chiedersi perchè lo stomaco gli si stringeva ogni volta che lo faceva.

****

Neanche mezz’ora dopo, i suoi piedi toccarono per la prima volta l’erba fresca.
Il suo viso venne accarezzato dal vento.
Il suo naso sentì l’odore di fiori, alberi e libertà.
Era una sensazione incredibile, incontrollabile, insaziabile.
Era libero. Per la prima volta era fuori. Nel mondo.
Una bizzarra ondata di paura quasi lo fece svenire.
L’aveva fatto davvero. Aveva disobbedito. Aveva infranto la prima regola.
Sua madre lo avrebbe ucciso!
Però era libero. Poteva correre e saltare ed entrare in quella grande pozza d’acqua tanto fredda da farlo rabbrividire.
Arrampicarsi su quel ramo d’albero laggiù e toccare i petali bianchi dei suoi fiori.
Poteva correre tutto intorno alla radura e lasciarsi cadere sul prato per fissare le nuvole bianche.
Era a dir poco… fantastico!
Il sole era così caldo sul suo viso, sul suo corpo. Come poteva essere così caldo là fuori?
«Si può sapere che ti prende? Mi hai fatto prendere un colpo» Merlin si fermò al suo fianco, il fiato corto e una mano premuta contro il petto «Correre in mezzo alla foresta come un matto».
Arthur sorrise guardandolo riprendere fiato «Non sei molto atletico, vero
«E tu non sei molto sveglio, vero?» lo rimbeccò subito l’altro.
«Hey, come ti permetti?» saltò su indignato.
«Stai andando dalla parte sbagliata» gli rispose in tono mezzo divertito e mezzo irritato «Se vuoi vedere le lanterne dobbiamo andare di là» indicò la direzione opposta.
 «Babbeo» brontolò per concludere, ma nel modo in cui lo disse non c’era veleno, solo... non sapeva dire cosa, sapeva solo che gli piaceva sentirlo nella voce dell'altro.  
«Potevi dirlo subito» brontolò.
«L’avrei fatto se non fossi scappato a  rincorrere le farfalle come un moccioso».
«Non sono un moccioso… è che… è bello» mormorò sfiorando l’erba con le dita.
Adesso che aveva conosciuto una cosa simile non era certo di voler tornare indietro. Nemmeno dopo aver visto le luci fluttuanti.
«Avanti» sospirò l’altro guardandolo divertito «Muoviamoci o non faremo in tempo».
Senza farselo ripetere, Arthur saltò in piedi e si avviò nella direzione indicata, continuando a girarsi di qua e di là attratto da ogni novità, da ogni animale e ruscello.
Tutto gli sembrava incantevole.
Perfino il sorriso di Merlin, che sembrava incapace di svanire, col passare delle ore si fece stranamente meno irritante e la sua voce quasi confortante.
In quella foresta il mondo sembrava infinito e privo di punti di riferimento. Gli immensi alberi e i sentieri tutti uguali gli sembravano spaventosi.
Anche se non lo avrebbe mai ammesso, Arthur era felice di non essere solo.

****

Alla torre le cose non erano altrettanto tranquille.
Invece di tornare alla sera, come era solita fare, Nimueh aveva deciso di tornare prima.
Da quando era andata via, poco prima dell'alba, aveva una strana sensazione, un brutto presentimento.
Era successo qualcosa e la sua magia vibrava inquieta, avvertendola del pericolo.
Fu col cuore stretto in una morsa di panico che la strega chiamò a gran voce Arthur, dai piedi della torre, senza ricevere risposta.
Fu con terrore che entrò dalla finestra solo per scoprire che il suo prigioniero non c’era più.
La misera stanza circolare dove lo aveva condotto quando era ancora un neonato, la fissava immobile e silenziosa quasi prendendosi gioco di lei.
Com’era possibile?
Arthur non aveva magia, non poteva essere fuggito da solo. E nessuno poteva trovare e scalare quella torre. Era impossibile.
A meno che… Emrys.
La profezia.
Ma come poteva averlo trovato lì?
Col viso contorto in un’espressione di puro odio, Nimueh si avvicinò al letto afferrando la piccola bambola di ceramica «Sei stata tu, non è vero?» la scosse con forza «Che cosa hai fatto?» gridò, ma la bambola rimase chiusa nel suo ostinato silenzio.
A Nimueh parve di vederla sorridere in scherno.
Accecata dalla rabbia, la strega gridò furiosa lanciandola contro la parete.
Nell’impatto il viso della povera bambola si incrinò, il lato sinistro si spezzò in mille frammenti che caddero a terra con un orribile suono di morte.
«Avrei dovuto distruggerti quando ho scoperto che razza di dannata strega eri» sibilò Nimueh ansimando.
Cosa avrebbe fatto adesso? Tanti anni di attenta pianificazione per questo? Il fato avrebbe comunque seguito il suo corso?
No, non poteva permetterlo.
Doveva trovare Arthur. Doveva riportarlo lì.
Ma come? Dove lo avrebbe cercato?
Qualcosa attrasse la sua attenzione sul letto. C’era qualcosa nascosto tra i cuscini, il corpo di Morgana lo aveva nascosto fino ad allora.
Sorridendo, Nimueh afferrò la vecchia sacca marrone ricolma d'oro.
Non appena la toccarono, le sue dita presero a formicolare in modo familiare.
Magia pensò trionfante, potente magia.
Arthur era con un mago. E non un mago qualunque ovviamente.
«Emrys, eh?» disse all’indirizzo della bambola ormai rotta «Lo vedremo sorella» pronunciò minacciosa.
Avrebbe fermato qualsiasi destino. A qualunque costo.
Le sue labbra rosse si divisero in un ghigno spaventoso, rimessosi il cappuccio rosso del mantello, Nimueh uscì.

****
TBC

La seconda e ultima parte dovrebbe arrivare stasera o domani!
Spero vi sia piaciuta, lasciatemelo sapere please!!!xDDD
   
 
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