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Autore: d r e e m    18/07/2011    6 recensioni
Al suo fianco Elena aveva smesso di sussultare e intrecciava le sue sottili dita a quelle del vampiro.
“Vuoi vederla?” chiese, ma non esitò ad aspettare la risposta.

Damon,Elena&Rosemary ♥
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Voglio dedicare questa One shot a tutte le ragazze del Fanficiton Italia ♥ (http://fanfictionitalia.forumfree.it/). Ci metterei una vita ad elencare tutti i vostri nomi, ma sappiate che mi date sempre la carica per scrivere nuove storielle *-*
NOTE: è sicuramente una AU: Damon è un vampiro ma non viene spiegato né come né chi l’ha trasformato…voi fidatevi che è stato trasformato in vampiro u.u
Mi è venuta in mente ascoltando la canzone "You could be happy" degli Snow Patrol e mi si è sciolto il cuore a scriverla!!
La piccola Rosemary è mia, solo mia *-* *spupazza* e ringrazio sempre le girls per la scelta ardua del nome!
Spero che vi piaccia ♥

 

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Elena poggiò le dita affusolate sull’interruttore rivelando la figura seduta nel salotto di casa sua.

“Sapevo che saresti venuto”

Si strinse ancora di più nella vestaglia color glicine e scostò i capelli raccolti in una coda bassa. Sul viso l’accenno di un malinconico sorriso che lasciava tuttavia trasparire un’incontenibile gioia.

“Sbaglio o questa una volta era anche casa mia?” sorrise beffardo l’uomo indicando vagamente il salotto, ma alludendo all’intera abitazione.

Elena si concesse una risata e appoggiò la schiena allo stipite della porta tenendo gli occhi fissi su quello che, non importava cosa fosse diventato, era ancora suo marito.

“Questa è casa tua, Damon” affermò la giovane donna non potendo trattenere un triste sospiro che contagiò anche il vampiro.

Damon osservò le pareti e i mobili del salotto in cui un tempo aveva passato la maggior parte del suo tempo: i quadri erano ancora appesi alle pareti così come le fotografie, forse Elena ne aveva aggiunta una nuova qua e là, evidenti i segni di come era stata maldestra nell’attaccare i chiodi;  il tavolinetto era posto proprio al centro della sala, ma il divano nero non occupava più la stessa posizione, era stato allontanato di qualche metro.

Tutto sembrava così diverso sotto le luci soffuse del lampadario e Damon al centro della sala semivuota aveva un qualcosa di surreale.

Ma c’era un qualcosa di insolito in quel salotto e Damon se ne accorse all’istante: sul tavolo giaceva una pila di piatti di plastica sporchi con altrettante forchettine che sembravano contornare un piatto più grande contenente una fettina di torta al cioccolato e una candelina un po’ storta e consumata posta sopra; sotto il tavolo invece erano accumulati brandelli di carta regalo, nastrini, pacchetti, stelle colorate che sembravano essere state calpestate più volte, raccolte e lasciate lì in un angolo, quasi a testimoniare ciò che era accaduto in quella casa solo poche ore prima.

“Cos’è, è passato l’uragano Rosemary?” disse Damon con un sorriso sardonico girando su se stesso e notando il disordine che regnava in quella stanza, per poi posizionarsi sul divano in fondo alla sala.

“Ho dovuto chiudere le porte delle altre camere! Non credevo che i bambini di sei anni potessero essere così scalmanati” si lamentò Elena avanzando nelle sue ciabatte da notte e appollaiandosi accanto al marito.

Non sentiva Damon da più di sei anni, da quando era stato inevitabilmente strappato alla vita; non parlava con Damon da più di sei anni, da quando aveva dato alla luce la loro splendida bambina; non toccava Damon da più di sei anni eppure quella sua vicinanza non la fece vacillare: ne sarebbero anche potuti passare venti di anni, ma l’odore di Damon rimaneva sempre lo stesso, come quando l’aveva conosciuto la prima volta da ragazzo. Elena si inebriò di quel profumo che le invase le narici fino a farla sospirare di piacere. Piegò il collo e trovò il suo posto esattamente nell’incavo della clavicola di Damon: i loro corpi erano i pezzi di un puzzle, due calamite separate da un muro invalicabile.

“Mi sei mancata”.

Elena espirò piano, quasi come per intrappolare quelle parole in una gabbia immaginaria della sua mente, per intersecarle nella rete di ricordi che affliggevano il suo animo: le notti insonni, intervallate dai vagiti della neonata, dove il letto era sempre o troppo freddo o troppo vuoto; le lunghe ore davanti alla finestra con la piccola Rosemary in braccio che picchiettava le manine paffute sul vetro gelido, aspettando chissà che cosa; gli interminabili sospiri davanti a quegli occhi innocentemente azzurri un po’ assonnati che reclamavano il loro meritato riposo.

Sentii il magone aumentare e le nubi addensarsi davanti ai suoi occhi. Era gioia liquida, palpabile, vivibile eppure sentiva quasi come se il cuore le si contorcesse tra le costole, come se quelle lacrime fossero andate perdute da un momento all’altro.

Il corpo di Elena era scosso da singulti, perfettamente udibili nel silente salotto eppure lei si mordeva il labbro, così da fermare i tremiti che la scuotevano come una foglia in pieno autunno.

Il corpo di Damon invece era come un blocco di ghiaccio. Muto, fermo se ne stava lì a bearsi dell’aroma di carta e polvere che aleggiava per la stanza.

Aveva perso la sua casa, la sua famiglia, la sua vita.

Troppo forte era stata la tentazione di entrare dalla finestra al suono dolce delle ninna nanne di Elena per far addormentare la loro piccola creatura; non aveva potuto evitare di spiare la loro bambina in giardino mentre giocava a rincorrere una farfalla nel suo vestitino azzurro; era stato troppo vigliacco per bussare più di una volta a quella porta, tremando nel rincontrare gli occhi color nocciola di Elena.

Sentì gli argini dei suoi occhi cedere e una lacrima gli rigò il viso facendo sciogliere le scaglie di ghiaccio depositate in fondo al cuore.

Al suo fianco Elena aveva smesso di sussultare e intrecciava le sue sottili dita a quelle del vampiro.

“Vuoi vederla?” chiese, ma non esitò ad aspettare la risposta.

Damon si lasciò condurre docilmente su per le scale fino a scontrare gli occhi su una porta semiaperta.

Un’occhiata di Elena gli diede l’implicito permesso ad avanzare, eppure i suoi piedi sembravano ancorati al suolo, un intricato groviglio di radici si estendeva al posto delle gambe.

Damon allungò la mano fino ad incontrare la superficie liscia della porta e la semioscurità fu divelta dalla luce.

Sentiva le spalle ricurve, oppresse da troppi pesi, troppi pensieri.

La stanza era piccola ma accogliente, tappezzata qua e là da disegni colorati che raffiguravano una bambina, con due puntini azzurri come occhi, che dava la mano ad una figura più alta di lei con i capelli lunghi di un intenso marrone.

La finestra era aperta e sotto di essa vi era una cassapanca da cui straboccavano numerosi pupazzi sorridenti, bambole con le treccine e orsacchiotti soffici e morbidi. Damon arcuò le labbra in un insolito sorriso, così diverso da quelli dall’aria da sbruffone.

Spostò lo sguardo e l’inconfondibile forma del letto gli si presentò davanti ai suoi occhi.

Il vuoto nel suo cuore sembro rimbombare così da fare tremare le costole che lo imprigionavano.

Una figura minuta, lambita solo da un sottile lenzuolo, stava adagiata su quel letto. Il volto, addolcito da due guance paffutelle, era poggiato sul cuscino morbido e una mano era portata a contatto con le labbra.

Damon si avvicinò silenziosamente a lei, eppure ogni passo che faceva sembrava che potesse svegliarla e rompere quel sottile filo su cui avanzava.

Era la creatura più deliziosa che avesse mai visto: i finissimi capelli castano scuro, quasi neri, inondavano il cuscino, ricadendone alcuni sul faccino rotondo e roseo i cui occhi erano serrati e adornati da lunghissime ciglia; se solo avesse potuto vederli quel giorno alla festa, i suoi occhi: sarebbero stati grandi e vispi nel giocare con i compagni, si sarebbero inondati di stupore e gioia ad ogni regalo scartato dalle sue manine, si sarebbero velati di tristezza e sonnolenza ad ogni bambino che la salutava con la manina, scortato dai propri genitori.

E ora quegli occhi rimanevano chiusi, così da non potersi tuffare in quelli identici ai suoi, due frammenti di oceano rubati al mondo e racchiusi lì dentro.

Damon avrebbe voluto dire tante, troppe cose e forse per questo la lingua si era inceppata e non aveva alcuna voglia di collaborare. Non sarebbe riuscito a fare il padre così come non era riuscito nell’impresa il suo di padre, Giuseppe Salvatore.

Tuttavia la sua mano si mosse sola, guidata dai desideri del suo subconscio e si posizionò sulla sottile stoffa del pigiama color verde mela: il calore del suo corpicino si propagava sotto la fredda mano del vampiro.

Il sangue che le scorreva in petto era quello suo, suo e di Elena. Riusciva a sentirlo, il piccolo e martellante cuore che rimbalzava placido contro il suo petto.

E fu allora che Damon ne ebbe la certezza: lì risiedeva la sua umanità, nel cuore di sua figlia che per metà era anche il suo.

Sentì una mano posarsi leggera sulla spalla ed Elena fu al suo fianco.

“Hai visto quello?” chiese piano facendo un cenno al disegno posto sopra la testolina di Rosemary.

Damon ancora teneva lo sguardo fisso sulla bambina il cui respiro regolare non dava segni di alcun imminente risveglio.

Alzò gli occhi e fu incuriosito da uno strano disegno: era Rosemary, ma non riusciva a comprendere chi fosse l’uomo accanto a lei così simile a lui.

“Mi tradisci e non mi dici niente?” sbottò Damon intuendo comunque che non fosse quella la conclusione adeguata.

Elena lo spintonò col gomito per poi stringersi ancora di più la corda della vestaglia attorno alla sua sottile vita.

“Quello sei tu” disse leggermente infastidita dal fatto che suo marito avesse potuto pensare a una cosa del genere.

Damon trattenne un sorriso divertito per la reazione della moglie e tornò a esaminare il dipinto: era proprio lui la figura sorridente, con i capelli e i vestiti neri che dava la mano alla bambina, anch’ella munita di un sorriso a mezzaluna.

“Lei ti immagina così. Questo disegno lo ha fatto oggi: sperava che venissi al suo compleanno”.

Damon si rizzò in piedi allontanandosi di qualche passo dalla bimba e inducendo Elena a lasciare la stanza non prima di averle rimboccato le coperte.

“Se la caverà, starà bene, starete bene”.

“Crescendo senza un padre” sospirò Elena arrestando il piede sull’ultimo gradino della scalinata.

Damon si fermò e curvò le spalle ritornate nuovamente pesanti: era il momento dell’addio, ciò per cui odiava ritornare in quella casa, ciò per cui odiava se stesso per quello che avrebbe fatto.

Damon si voltò, gli occhi plumbei e grandi gonfi di lacrime represse.

Elena deglutì rumorosamente ed emise un sospiro, anche lei conscia di cosa le stava per dire.

“Non è giusto avere un marito immortale. Avrai sempre i tuoi ventidue anni, mentre io diventerò vecchia” disse Elena tentando di sdrammatizzare la situazione ma due lacrime sfuggirono al suo controllo.

“Ventisette anni e già un capello bianco: stai diventando proprio vecchia!” sorrise ambiguamente il vampiro stando al gioco della moglie che adesso sembrava non volesse più scherzare.

“Sarete felici” continuò poi portando le mani di Elena sulle sue e scontrando la sua fronte con quella di lei che aveva ceduto al pianto.

“Quanto è lontana questa felicità?”.

Elena sentiva il magone crescere e aumentare a dismisura: non sarebbero bastate le lacrime a spazzarlo via, né infinite notti insonne. Non poteva esistere per lei felicità alcuna se non stare con Damon, né poteva stare con Damon senza essere felice.

Per lei felicità e Damon erano due atomi inscindibili.

“La distanza tra voi e me”.

Damon aprì gli occhi e la baciò in fronte così come aveva fatto anche le altre volte. Non poteva permettersi di baciarla sulle labbra, sarebbe stato doppiamente atroce abbandonarla poi.

Prese il suo viso tra le mani e incrociò i suoi occhi.

Anche per quella volta non ci sarebbe riuscito.

Richiamò dentro di se le immagini di quella notte, i ricordi più belli vissuti con Elena e i pochi istanti con la sua Rosemary.

Brancolava nel buio più assoluto, annegava nel nero della sua scelta masochista.

Poi lo trovò, l’interruttore per spegnere tutto e per dargli la forza di compiere quel gesto.

“Anche per questa volta non ricorderai che io sono stato qui, ma sappi che ti amo”.

Le pupille si dilatarono e nella stanza non vi fu più alcuna traccia di Damon.

 

   
 
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