Saleva tutti! eccomi qui, di nuovo nel modno del romanticismo più sfrenato, con il mio contributo al jisbon day... leggete (oppure, se siete i mighty judges del jisbon day, rileggete, dato ceh quà e là sono stati fatti dei piccoli cambiamenti) e fatemi sapere!
Seduta
alla sua
scrivania, Lisbon osservava con occhio interrogativo la curiosa scena
che le si
stava parando davanti, iniziando
a
provare una certa fitta di panico ed ansia: Jane, come aveva
già fatto per
tutta la mattinata, camminava avanti ed indietro davanti alla sua
porta, per
poi tornare al suo divano, sedervisi per alcuni momenti grattandosi il
capo
quasi fosse preda di chissà quale dilemma, per poi tornare
nuovamente a
tracciare quel solco sul pavimento.
Oddio,
cosa ha combinato stavolta? Chiuse
gli occhi e prese
un profondo sospiro quando lo vide fermarsi, per l’ennesima
volta, davanti alla
porta fissandosi i piedi, ormai certa che avesse effettivamente davvero
combinato
chissà cosa- o che lo stesse per fare, comunque. La donna
richiamò a sé tutta
la pazienza che aveva, o perlomeno quella che le era rimasta dopo anni
e anni
di costanti guai causati da suddetto consulente, supplicando qualsiasi
potenza
superiore fosse mai esistita e esistesse che non fosse così
grave. Ormai si era bruciata quasi tutti i favori in giro,
per
colpa di Jane, e Bertram e Hightower avevano dovuto stringere non poche
mani
per ottenere il miglior avvocato disponibile in California (un
Assistente
Procuratore di Los Angeles che ai tempi d’oro era stato un
difensore degno di assegni
con molti zeri) cosicché dalla morte di John Il Rosso il
consulente uscisse il
più pulito possibile.
Sì,
avevano anche mentito
per lui. E nessuno di loro era del tutto certo che se lo meritasse,
soprattutto
Lisbon, che aveva creduto che l’uomo a cui così
tanto, troppo, teneva, sarebbe
corso da lei sentiti gli spari, compreso che era ferita,
invece…
“Jane,
smettila di
passeggiare e viene dentro una buona volta…”
sibilò lei a voce non troppo alta,
ma nemmeno troppo bassa, chiudendo già gli occhi e
massaggiandosi un punto
della fronte tra gli essi, sentendo nervosismo, preoccupazione e
sì, anche
paura, montare in lei all’idea di cosa quell’uomo
poteva aver fatto- sempre che
lo avesse già fatto. C’era sempre la speranza che
lui volesse solo uscirsene
con qualche assurda idea, qualche folle piano che voleva mettere in
azione,
quasi non avesse capito cosa il giudice gli avesse detto quando lo
aveva
assolto dall’accusa di omicidio volontario e premeditato. Non capiva che era sotto
controllo,
monitorato costantemente, che alla minima avvisaglia sarebbe stato
buttato
fuori dal CBI e, di conseguenza, in galera? Il giudice Stevenson era
stato
chiaro: Jane aveva ucciso sì per difendersi da
quell’uomo, armato, ma era pur sempre
riscontrabile il reato di eccesso di legittima difesa- e aveva
tralasciato il
fatto che la pistola che aveva non era sua, bensì di Lisbon. La galera, anche se poca,
sarebbe stata il
minimo, soprattutto in virtù del comportamento irrispettoso
e un po’ troppo
allegro che il mentalista aveva tenuto durante il processo. Per loro
fortuna,
però, Stevenson era noto per essere magnanimo,
perciò si era accontentato di
lasciarlo fuori a patto che non facesse altre sciocchezze e continuasse
a
collaborare col CBI, a stipendio minimo, una sorta di lavoro
socialmente utile,
aveva detto….
Non
può essere peggio dell’omicidio…pensò
la donna,
osservandolo sedersi davanti a lei, guardandola con occhi da cucciolo e
con un
leggero…cos’era, nervosismo, e le sue guance erano
davvero arrossite? “cosa
hai combinato stavolta, Jane?”
“Penso
di aver commesso
un piccolissimo errore, che ha però generato un grosso
problema, e avrei
bisogno del tuo aiuto per porre rimedio a questa sfortunata
situazione.” Le
spiegò con quanta più falsa calma
tranquillità possibile. Lisbon non era certa di cosa
provare. Certo, che Jane
chiedesse aiuto era una cosa positiva, significava che finalmente aveva
capito
una volta per tutte cosa significasse fare parte di un gruppo e, nel
loro caso,
di una sorta di famiglia surrogata, ma se le chiedeva aiuto, e se lo
chiedeva a
lei in particolare invece che a Cho o Rigsby o Grace… allora
era davvero grave.
Del tipo, “la responsabile di Jane è a un punto
dal perdere il posto di lavoro
a causa del suo indisciplinato consulente”.
Le
cose si stavano
davvero mettendo male. Soprattutto
per
lei. Prese un profondo sospiro, trattenendo a stento il desiderio di
lasciare
cadere la testa sul legno della scrivania, chiedendosi se, nel mondo
esterno,
ci fosse lavoro per una ex poliziotta quarentenne che nella vita non
aveva
fatto altro se non sbattere dietro le sbarre criminali e sopportare
consulenti
tendenti all’idiozia e incapaci di seguire qualsivoglia tipo
di legge e regola
morale e/o etica.
Forse
Burger King o
McDonald’s non si limitavano ad assumere adolescenti
brufolosi come sembrava.
“Sentiamo…stavolta
a
chi dovrò supplicare clemenza?” Jane
a
malapena represse un sorrisino di soddisfazione nell’udire il
tono esasperato,
ma anche arrendevole, nella voce di Lisbon. C’erano volte in
cui l’uomo si
stupiva di quella donna, che seppure facesse scenate ogni qual volta
lui se ne
usciva con qualcosa, criticandolo fino quasi
all’esasperazione (di entrambi),
finiva sempre con arrendersi a quelle che lei stessa definiva
“folli
idee”. E
che il 98% delle volte finivano
per rendergli onore svelando come avesse avuto ragione fin dal
principio, a
dispetto di cosa lei credesse. “Jane?”
Lui
alzò gli occhi
verso di lei, svegliato da quella specie di stato di torpore in cui era
caduto
mentre rifletteva e
ricordava tante
occasioni passate, la voce di lei che gli provocò un piccolo
sussulto, un balzo
del cuore che più volte ultimamente era accaduto e a cui
Jane preferiva non
pensare troppo, terrorizzato da cosa potesse effettivamente
significare, per
loro ma, soprattutto, nello specifico, per lui…. John il
rosso poteva essere
morto e sepolto, ma non era certo di essere pronto, qualsiasi cosa
fosse che
gli provocava quel tuffo al cuore, e
forse non lo sarebbe mai stato... e comunque, c’era il non
certo piccolo
particolare che Lisbon non meritava una persona come lui, un ex
ciarlatano che
si era trastullato nel mentire e raggirare persone che credevano in lui
per
raggiungere i suoi biechi fini, dimenticandosi di tutto e tutti, anche
di
coloro che avrebbe dovuto mettere prima di ogni altro, se stesso
incluso… il
suo più grande errore, il suo più grande
rimpianto, ciò che ancora adesso lo
rendeva uomo solo a metà, un essere spezzato, che non viveva
da molto tempo per
accontentarsi solamente di sopravvivere, di vedere le vita altrui senza
essere
protagonista della propria… e Lisbon, che tante ne aveva
già passate nella sua
esistenza, si meritava di meglio di una cosa del genere.
“Allora,
il problema è
che… Kate sta arrivando in città” le
disse, sorriso sornione, tentando di sembrare
il più normale e tranquillo possibile. Cosa che, era quasi
certo, gli stava riuscendo
alla perfezione, anche se ultimamente Lisbon lo stava davvero mettendo
alla
prova. Era sempre riuscito a ingannare chiunque, perfino se stesso, e
lei…
quella donna… era incredibile come, nel corso dei sette anni
passati insieme,
l’uno al fianco dell’altra, in cui tanto avevano
condiviso, come semplici colleghi
prima e come amici, e forse anche qualcosa di più, poi, lei
avesse capito quali
fossero i suoi punti deboli, i buchi nella sua corazza. Sapeva che lei
era il
buco più grande, la più grande delle sue
debolezze?
Lisbon
rimase in silenzio
per alcuni interminabili secondi, il battito del suo cuore
così lento da sembrare
impercettibile, quasi fosse stato fermo, e tutto per un nome. Kate, aveva detto Jane, un nome di
donna, un nome di donna che lei non conosceva, che mai aveva sentito
prima di
allora. Qualcuno che lo rendeva nervoso, che lo
preoccupava…e non certo in modo
negativo. “Kate?” chiese, tentando di sembrare il
più naturale possibile,
terrorizzata all’idea che lui capisse, che sapesse cosa
immaginarlo con
un’altra donna le facesse, e lei non poteva certo
permetterlo. Mai sembrare
debole, mai farsi veder troppo umana, troppo… donna,
soprattutto da lui.
Avrebbe potuto sopportare ogni umiliazione, ma non l’amore
non corrisposto, non
se lui lo avesse saputo, sarebbe stato troppo, troppo umiliante, troppo
demoralizzante. Non sarebbe stata più in grado di lavorare
con lui, di averlo
al suo fianco, e se non poteva avere Jane nella sua vita come
amante… allora si
sarebbe accontentata di averlo come amico, ma rinunciare a lui del
tutto, correre
il rischio di vederlo sparire, allontanarsi da lei? Non se la sentiva
ancora di
correre un tale rischio, non era ancora pronta, anche se sapeva che
questo
stato di grazia, in cui, nonostante fosse libero dai fantasmi del
passato, Jane
era anche un uomo libero da legami sentimentali, non sarebbe durato per
sempre.
Un giorno lo avrebbe visto camminare verso il tramonto con
un’altra donna, e
allora, solo allora si sarebbe decisa a rinunciare, ad allontanarsi,
farsi da
parte. Ma non ora, non era pronta…Non era giusto che stesse
già accadendo.
“Non
ti ho mai detto di
Kate? Strano, avrei detto che…” la
squadrò, occhio interrogativo, chiedendosi
se Teresa gli stesse mentendo o meno, un piccolo sorriso, luminoso, che
gli
graziava il volto segnato dagli anni, dalla sofferenza e baciato dal
caldo sole
della California, un sorriso birichino, a cui la donna rispose
abbassando gli
occhi, le guance imperlate da una deliziosa colorazione rossa scura.
“Strano.
Ero certo che ci fosse almeno nel mio file. Oh, beh, niente di grave,
è un errore
a cui posso facilmente rimediare. Kate è mia
sorella.”
“Tu
non hai una
sorella…” ridacchiò
lei, con
un’espressione sorridente sul viso, certa più che
mai che Jane la stesse
prendendo in giro. Poteva essere che lei non fosse a conoscenza di un
fatto
così elementare, che lui avesse scordato di dirglielo, che
glielo avesse
deliberatamente nascosto?
Guardò
con espressione
leggermente torva l’uomo davanti a lei, e rammentò
che si trattava di Patrick
Jane. Certo che poteva aver fatto una cosa del genere. Era il tipo di
cose che
lui faceva ogni giorno, svelare i segreti altrui e nascondere i propri,
celandoli dietro (falsi) sorrisi e battute, giri di parole e
tergiversando così
a lungo da dimenticare l’argomento di partenza.
“Oh,
sì, ce l’ho
eccome, anche se per la legge Kate è la mia sorella illegittima. Paradossalmente,
però, abbiamo gli stessi genitori,
solo che lei è nata fuori dal matrimonio, mentre i miei
erano sposati quando
hanno avuto me, e non hanno mai sentito il bisogno di rettificare la
situazione, cosa che, lasciamelo dire, le è tornata
parecchio utile quando i nostri
vecchi hanno divorziato. Almeno lei è riuscita a sbarazzarsi
una volta per
tutte del nostro paparino….”
“Tu
hai una sorella maggiore…”
“Maggiore
e… eccessivamente autoritaria. Adoro Kata, ma…
lei ha certe idee su come dovrei
vivere la mia vita, idee su cui io non sono propriamente
d’accordo… e così ogni
sua visita finisce con me che mi rintano da qualche parte con la scusa
di un
caso fuori da Sacramento onde evitare futili scontri o in un futile
scontro che
escala in un colossale litigio con tanto di urla e, mi sembra, una
volta anche
dei piatti spaccati sul pavimento. Ma quello potrei anche averlo
sognato..”
“Le
da fastidio che tu
lavori con noi? Capisco che possa essere preoccupata, che lo possa
vedere come
un lavoro pericoloso, però… non è un
pochino esagerata? Non è che tu abbia una
pistola o io ti faccia andare in prima linea contro chissà
quale feccia… di
solito sei tu che ti cacci da solo in certe situazioni quando io ti ho
chiesto
esplicitamente di starne fuori.”
Lisbon
scrollò il capo, leggermente sconvolta e sì, lo
doveva ammettere, disturbata, poi
si voltò verso Jane, occhi spalancati, ricordando una frase
che tempo prima
Pete, l’amico circense di lui, le aveva detto.
“E’ perché lavori con noi,
perché siamo poliziotti e tu sei un Jane? E’
questo che la disturba, il fatto
che hai un minimo di parvenza di onestà adesso?”
L’affermazione
“minimo
di parvenza di onestà” non piacque troppo
all’uomo, che osservò la donna
davanti a lui a denti stretti, braccia incrociate, tentando di non
innervosirsi
e non fare battutine che avrebbero dato fastidio alla donna, nonostante
dovesse
ammettere di essere stato innervosito da quelle parole.
“è il fatto che io non
sia sposato a darle fastidio.”
“Oh.”
Disse solo lei,
arrossendo e distogliendo lo sguardo, non sapendo cos’altro
aggiungere.
“Sì,
Kate è parecchio
disturbata dal fatto che io mi ostini ancora a non frequentare nessuna
donna, e
perciò ha fatto sua missione presentarmi quante
più single di sua conoscenza
possibili, con mio sommo dispiacere. E questo ci riporta al punto di
partenza:
mi serve il tuo aiuto.”
“Senti
Jane, se vuoi
che menta per te, dica che hai un caso fuori città, ok, va
bene, non sono
d’accordo con i tuoi metodi, però posso farlo, se
significa davvero così tanto
per te. Ma se fossi nei tuoi panni…”
“No,
no, no, non si
tratta di questo… il fatto è che…
l’altro giorno mi ha telefonato, e ha iniziato
a raccontarmi per filo e per segno dell’amica di un amica di
un’amica che
vorrebbe presentarmi, e che sarei dovuto assolutamente andare a cena
con loro
una di queste volte…e… so che avrei dovuto dirle
solo di smetterla di impicciassi,
ma… Kate sa essere così tenera, e ha a cuore il
mio bene, per quanto possa
essere paradossale, e perciò… non mi venuto in
mente niente di meglio di….
dirle che avevo incontrato più o meno qualcuno e che siamo
follemente
innamorati e stiamo…. Progettando il nostro…
futuro insieme… matrimonio, figli,
questo… genere di cose.”
“Jane…”
disse lei,
esasperata, massaggiandosi le tempie. Se c’era una cosa che
sapeva, era che da
quel tipo di bugie non poteva uscire nulla di buono. Per non parlare
del fatto
che stava rabbrividendo. Aveva un brutto presentimento. Tutto quello
che Jane
aveva detto…
“Lo so, lo so,
credimi, solo che…. Ci ho messo
sette anni a chiuderle la bocca, ed è stato…
liberatorio! Solo che lei poi ha
preteso tutti i dettagli, e
così, io ho improvvisato,
e potrei… le ho detto che stiamo per sposarci. Noi due. Perciò,
fingeresti di essere la mia promessa
sposa per qualche giorno in nome di uno dei più duraturi
rapporti di amicizia
della tua vita e non dire che non è vero perché
so che è così?” le disse tutto
di un fiato, senza quasi respirare, occhi chiusi per evitare di vedere
la sua
espressione furiosa una volta che avesse capito la gravità
di cosa lui aveva
fatto.
Ma
seguì solo il
silenzio. Un lungo, interminabile, silenzio.
“Lisbon?” la chiamò, nella stessa
maniera in cui, poco prima, lei aveva chiamato lui. Jane
aprì gli occhi,
chiedendosi quale punizione Lisbon avrebbe decretato, ma non vide
rabbia sul
volto della donna. Solo… sembrava che fosse stata
trasportata in un altro
mondo, un mondo in cui le regole del suo non esistevano, un luogo dove
non
comprendeva poco o nulla.
“giusto
per
ricapitolare… dato che non vuoi che tua sorella ti organizzi
appuntamenti al
buio… tu le hai detto che ti stai per sposare. Con
me.”
“Ehm,
sì?” Lisbon si
lasciò sprofondare sulla sua poltrona, espirando e
inspirando profondamente,
occhi chiusi, tuttavia, nel momento in cui Jane lasciò la
sedia per andare
vicino a lei, sedendosi sul bordo della scrivania, la donna fu
pienamente
consapevole della presenza dell’uomo. Sembrava potesse
sentirlo, il calore di quel
corpo maschile, gli ormoni che emanava, quel profumo… la
pelle del viso che
profumava di dopobarba marino, la fragranza di bucato appena fatto del
completo
grigio, la sensazione di freschezza e, in generale, di pulito che
proveniva
dalla sua persona. “non sarebbe chissà cosa,
dovresti solo fingere per qualche
giorno di essere innamorata di me. Non ti chiedo di essere sdolcinata o
di
trovarmi eccessivamente irresistibile…nonostante sappia che
sia difficile non
trovarmi irresistibile” la sua voce era bassa, una carezza
vellutata sospirata
a fior di pelle, e Lisbon si chiese se Jane non lo sapesse, che lei
davvero lo
trovava irresistibile, e che in un mondo perfetto, nel mondo delle
illusioni,
nei suoi sogni più segreti, talmente segreti che a lungo
erano stati celati a
lei stessa, lui le chiedeva di essere sua non per una recita, ma per
sempre,
per davvero.
Non
le sarebbe mai
capitata un’altra occasione del genere, e forse…
forse era quello di cui aveva
bisogno per scordare Jane, per poter andare avanti una volta per tutte
e avere
delle storie che potessero essere definite tali, e non scappatelle di
una notte
nella speranza che lui si svegliasse e si accorgesse della sua
esistenza,
decretando di non poter più vivere senza l’amore
di Teresa Lisbon.
“Non
ero tanto male
come attrice da ragazza…” ammise lei, un
sorrisetto falso mentre scrollava con
finta nonchalance le spalle, occhi negli occhi con Jane, che le
sorrideva
trionfante come quando risolvevano un caso grazie ad una brillante sua
intuizione.
Decisamente, quell’uomo non si smentiva mai.
“Dovremmo
fare molta
attenzione, però. Kate può essere peggio di me
quando si tratta di analizzare
le persone, non sarà facile ingannarla…. dovremo
essere molto convincenti, se
vogliamo passarla liscia.” Jane fece una pausa, come se
stesse riflettendo, e
si volse nuovamente verso di lei. Lei rimase a bocca aperta, il viso
paonazzo,
ben conscia di dove quel discorso stesse andando a parare, terrorizzata
ma al
contempo eccitata dalla situazione che si stava venendo a creare. Conosceva troppo bene
quell’uomo. “Lisbon, a
questo proposito, temo che dovrai trasferirti a casa mia per un
po’ di giorni,
e che dovrai abituarti a condividere con me la
camera…”
Sì,
era decisamente sia
terrorizzata che eccitata da quella prospettiva. Eccitata
perché sarebbe stata,
anche se solamente per finta, la compagna di Patrick Jane, e
terrorizzata
perché c’era la concreta possibilità
che lui scoprisse la verità su cosa lei
provasse davvero per lui…. E che lei lo perdesse.
***
Alcuni
giorni dopo,
Jane accolse Lisbon nella sua cosiddetta “umile
dimora”, in vista della farsa
che avrebbero messo in scena da lì a poche ore.
L’appartamento
di Patrick
Jane a Sacramento aveva poco o nulla della classica casa da scapolo.
Anzi, se
doveva essere sincera, Lisbon era quasi del tutto certa che quella casa
fosse
più adatta ad una famiglia che ad un uomo solo che non
sembrava avere in
programma di farsi una famiglia, non più, non di nuovo,
almeno: non si trattava
solo del fatto delle numerose stanze (4), del giardino, dove Lisbon
avrebbe
visto bene un piccolo parco-giochi casalingo, né
dell’ottimo e tranquillo
quartiere, vicino ad alcune delle più prestigiose e migliori
scuole della
città. Era una sorta di vibrazione che però la
donna percepiva, come se
dall’oscurità in cui quell’uomo era
sprofondato tanto, troppo a lungo, stesse
finalmente emergendo la luce della speranza… una speranza
che però Teresa non
era certa di volere e poter accogliere, conscia che, avesse mai deciso
di farsi
un futuro, Jane non avrebbe mai scelto lei come possibile candidata.
“Kate
arriverà domani,
fino ad allora, sentiti libera di esplorare e di fare quello che vuoi
di questo
posto. So che non c’è molto tempo, ma non sarebbe
un problema se tu volessi
dare il tuo tocco personale qua e là.” Le disse,
raggiante ma, allo stesso
tempo, titubante, mentre, una volta aperta la porta, la accompagnava in
cucina,
le valigie lasciate nell’ingresso e temporaneamente
dimenticate.
Lisbon
si fermò sulla soglia
della cucina, appoggiata allo stipite, e osservò
l’uomo che da tanto tempo
conosceva lavorare tra i fornelli con la classica maestria che mostrava
in
tutti i campi, quasi fosse stato davvero un mago. La vista della
naturalezza
con cui lui si destreggiava, il suo brio, le tolsero il fiato, lacrime invasero i suoi occhi e
a
malapena Teresa soffocò un grido di sofferenza, conscia
ancora una volta che
quella vista, unica e rara, non si sarebbe più ripetuta, e
se mai fosse
avvenuto, non sarebbe stato per lei.
“Cosa
hai detto a Kate
di noi due?” gli chiese dopo un attimo, occhi fissi sul
pavimento, Jane che
ancora le dava le spalle, quasi la sua preghiera di non essere scoperta
fosse
stata udita.
“Il
tuo nome, che ci
siamo conosciuti quando sono entrato a lavorare al CBI ma che ho
aspettato che
John fosse morto per poter fare la prima mossa, terrorizzato
all’idea di
perderti e certo di non essere abbastanza degno di te.” Le
rispose lui, a voce
bassa, un tono di voce strano, che Teresa non riuscì a
comprendere. Alla fine,
lui emise un risolino di soddisfazione, ma che sembrava voler celare
qualcosa.
“ho pensato che sarebbe
stato più facile
se mi fossi attenuto il più possibile alla
verità”
La
verità, pensò
lei. La verità era che loro due non erano una
coppia, e se Jane avesse mai avuto qualcosa da dire al riguardo, era
certa che
non lo sarebbero mai stati. Perché lui era Patrick Jane, e
lei… lei era solo
Teresa Lisbon, agente che lui aveva usato e ancora usava.
“Tutto qui?” gli chiese,
una smorfia di delusione che le metteva in evidenza il volto, e Jane
sorrise,
perché non aveva bisogno di vederla per immaginarla, per
sapere. “Se Tommy mi
dicesse che si sta per sapere, in qualità di sorella
maggiore impicciona gli
farei come minimo il terzo grado!”
“In
effetti mi ha chiesto
come sei” sorrise, il suo volto illuminato, e lei lo
raggiunse, intingendo un
dito nella salsa che lui stava cucinando e leccandolo poi, un brivido
percorse
il corpo di Jane, che si fissò a guardarla, battito
accelerato e pensieri
tutt’altro amichevoli che invadevano la sua mente,
concernenti per lo più quel
letto nuovo di zecca che poco o nulla aveva usato, e sempre da solo.
“le ho detto
che sei gentile e divertente, devota al tuo lavoro e adori la tua
famiglia.”
I
loro occhi si posarono
nello stesso istante sul tavolo, le loro dita si sfiorarono nel momento
in cui
entrambi tentarono di afferrare una posata, poi, con voce bassa, Jane
riprese a
parlare, le sue dita strette intorno a quelle di lei, che gli sorrideva
con il
volto velato di tristezza, conscia che quello non lo avrebbe mia avuto,
non per
davvero, almeno. “le ho detto che avrebbe capito
perché ho deciso di risposarmi
non appena ti avrebbe visto.” Le disse, poi, quasi si fosse
accorto
dell’intimità tra loro e ne fosse stato
spaventato, riprese la sua mano, e
iniziò a scherzare, ma non troppo. “Saremo
fortunati se Kate non insisterà per
farci sposare mentre lei è qui…”
“Già,
e noi non lo
vogliamo…” Teresa riuscì a rispondere
con un debole sorriso, mentre si sedeva a
tavola, davanti a lui, e iniziava a giocherellare col cibo senza alcun
interesse o voglia di mangiare davvero.
“No,
non lo vogliamo
assolutamente” la risposta di Jane era piatta, e non vi era
traccia di sorriso
o di scherzo alcuno, poi, senza dire nulla, si alzò dal
tavolo, lasciandola
sola a guardare nel vuoto, a chiedersi cosa stesse accadendo, cosa lei
potesse
aver fatto. Forse che era troppo per lui? Il ricordo di essere stato
marito era
per lui ora contaminato da quella farsa, dall’idea di
scambiare l’amata moglie
con lei, semplice e banale com’era, ben differente da Angela,
lei che nel loro
mondo era considerata alla strenua di alta nobiltà?
“Jane?”
chiese lei,
dopo un attimo, una piccola nota di panico nella sua voce. Sapeva che
non
avrebbe dovuto pensarlo, dovuto immaginare una cosa del genere, ma non
poteva
permettere che tutto finisse, non ancora. Voleva avere Jane per
sé, anche se
per poco, anche se per finta, e forse, chissà,
quell’esperienza le sarebbe
servita a farsi passare quel colossale innamoramento non corrisposto,
venendo a
contatto con il vero Jane…
“Dammi
la mano” si
voltò verso di lui, e lo vide entrare dalla porta della
cucina, andare verso di
lei e sedersi al suo fianco. Posando una scatolina rossa e oro sul
tavolo, una
scatola che Teresa capì subito cosa contenesse, e anche se
non lo avesse fatto,
lo avrebbe capito nell’attimo in cui lui prese la mano
sinistra della donna
nella sua.
“Non…
non ce n’era
bisogno…” balbettò lei mentre lui le
faceva scivolare lentamente l’anello al
dito, il viso macchiato di rosa.
“Kate
avrebbe mangiato
la foglia se non ti avessi dato un anello appropriato.” Lui
la guardò, ma lei
non se ne accorse. Era troppo presa dalla vista dell’anello
al suo dito, la
mano di Jane ancora intorno alla sua, calda e avvolgente e protettiva.
“Spero
non ti spiaccia se non ho preso i diamanti, ma so che non ti si
addicono. Sono
troppo freddi… e tu non sei…fredda. Ti
piace?” Teresa si morse un labbro mentre
guardava l’anello, lacrime che minacciavano di emergere
vittoriose, non sapeva
se per l’anello in sé, antico, con smeraldi e
perle, semplice e di classe, o se
per il tono della voce dell’uomo davanti a lei, ansioso quasi
la sua fosse
stata davvero una proposta di matrimonio.
“E’
bellissimo” disse
lei, e i loro occhi si incontrarono, il verde delle iridi di Teresa
identico
agli smeraldi dell’anello e altrettanto luminoso e brillante.
Jane ingioiò a
vuoto, incapace di distogliere gli occhi dalla visione che aveva
davanti, un
sogno che, in un certo senso, diveniva realtà, anche se solo
per finta, e la
tentazione di avvicinarsi ancora di più, poggiare le sue
labbra su quelle di
lei, assaggiarla ed assaporarla quasi l’ebbe vinta
sull’innata razionalità
dell’uomo. “lo adoro ed è…
perfetto.”
Se
questa fosse una vera proposta, lui mi bacerebbe ora, pensò
lei, azzardandosi ad alzare gli occhi e a guardarlo.
Jane
tremò quando lei
compì quella semplice seppur significativa azione, e
distolse lo sguardo,
alzandosi subito dal tavolo e incamminandosi verso la sua stanza,
terrorizzato
all’idea di come quasi aveva ceduto a quella tentazione, non
poteva farlo.
Teresa meritava di meglio, e poi… non sarebbe stato giusto
per nessuno dei due,
rendere le cose più imbarazzanti di com’erano.
Teresa era stata così gentile da
accettare di fargli quel favore, non poteva certo sedurla
così, rischiando che
lei credesse che fosse solo un gioco, un mezzo... né
tantomeno lui sarebbe
sopravvissuto se lei lo avesse usato come un intermezzo tra una storia
e
l’altra, mentre attendeva l’arrivo del grande
amore- un amore che di certo mai
e poi mai sarebbe stato lui. Né sarebbe sopravvissuto al
rigetto…o, se peggio
ancora, l’avesse persa per sempre.
“Sai,
pensavo che
dovremmo dormire insieme mentre tu e Kate siete qui… mia
sorella mi conosce e
sa che non sono esattamente all’antica, e non crederebbe mai
che tu ed io
viviamo insieme, alla vigilia delle nozze, ma che non condividiamo
nemmeno la
stessa stanza….” Jane si fermò e si
voltò verso di lei, guance rosse e pensieri
molto impuri che le riempivano la testa, e non per la prima volta la
donna
pregò che davvero lui non sapesse leggere la mente.
“intendo dire… dormire, nel
senso di dormire, per quanto entrambi possiamo dormire, con me che
soffro di
insonnia e tu che magari hai difficoltà a prendere sonno in
un letto nuovo.
Cioè… dividere una stanza. Platonicamente,
intendevo dire.”
E
cos’altro potrebbe volere lui da me? Si
chiese, delusa,
Teresa, sospirando, mentre lo seguiva nella camera da letto, i piatti
sistemati
velocemente in lavastoviglie, un peso sulle spalle che la faceva
sentire stanca
come non era da mesi a quella parte, quasi tentata di urlargli che
desiderava
che lui la facesse sua, la segnasse, marcasse, passasse ore e ore a
fare
l’amore con lei, fino a che non fossero stati entrambi
sfiniti e ebbri di
piacere e beatitudine.
“Se
vuoi, posso
prendere un cuscino e dormire sul pavimento…” le
disse, voce bassa, triste,
mentre prendeva dall’armadio uno dei pigiami che era solito
mettersi e lei
gettava sul letto la valigia, pronta a disfarla, rimpiangendo di non
aver messo
dentro nessun capo sexy-non che le sarebbe servito, considerato che lui
non era
interessato e che l’aveva vista più e
più volte con le varie casacche sportive
dono dei suoi fratelli con cui lei dormiva da anni.
“Oh,
non dire idiozie,
Jane! Se tua sorella ti assomiglia come dici, allora credo non si
farà problemi
e piombarti in camera senza bussare, anche solo per il gusto di vedere
se
davvero dormiamo insieme!” gli urlò dietro mentre
andava nel piccolo bagno
interno per cambiarsi, per riemergere nel giro di pochi istanti
cambiata di
tutto punto, gli occhi fissi su Jane, seduto sul bordo del letto a
disagio.
“Questo letto è enorme, e dubito fortemente che tu
tenterai di palparmi nel
sonno!” rise,
falsa, mentre lo guardava,
sdraiarsi sotto le coperte con indosso il pigiama azzurro con i
bottoni, il
lato del letto opposto a quello che di solito lei usava per dormire, in
una
maniera tipica di Jane, che tutto sapeva e tutto capiva-forse anche i
sentimenti
del suo capo, se il fato davvero la odiava.
“Buonanotte,
allora” le
disse lui mentre spegneva la luce, perplesso e a disagio, il letto che
scricchiolava mentre lei fingeva di mettersi comoda al suo fianco.
“Buonanotte
anche a te”
sospirò, chiudendo gli occhi, tentando di dimenticare che
l’uomo che amava era
a soli pochi centimetri da lei, sdraiato in un letto avvolto dalle
tenebre… lo
stesso letto in cui lei avrebbe tentato, quasi certamente inutilmente,
di
dormire.
***
Lisbon
non sapeva che
ora fosse quando si svegliò, sapeva solo che sia lei che
Jane si erano mossi
nel sonno, orbitando l’uno in direzione dell’altro.
Lei era distesa su un
fianco, la schiena contro il petto di lui, un braccio
dell’uomo intorno alla
sua vita, il respiro caldo e regolare di Jane sui lunghi capelli scuri,
una
sensazione che risvegliò desideri che a lungo aveva represso
e negato, desideri
e… bisogni.
Senza
sapere
esattamente il perché lo stesse facendo, lentamente, si
voltò nell’abbraccio
dell’uomo, e non seppe cosa provare quando si rese conto che
lui non si stava svegliando.
Gioia, perché sapeva che troppo a lungo l’uomo era
stato perseguitato
dall’insonnia e dagli incubi, e tristezza mista a delusione,
perché lui non
reagiva alla sua presenza in alcun modo, e non certo come lei reagiva a
lui.
Anzi,
stava reagendo in
un certo qual modo- si era infatti girato, ricadendo con un pesante
tonfo con
la schiena sul materasso, quasi avesse voluto inconsciamente
allontanarsi da
lei, sciogliere quell’abbraccio, un gemito soffuso che aveva
lasciato le sue
labbra, quasi stesse sognando.
Le
sue labbra. Teresa
non riusciva a fare a meno di osservarle nella penombra della stanza,
un
pensiero fisso che non voleva lasciarla, la attanagliava. Baciarlo. Una
volta,
una sola, per sapere cosa si provava. Doveva saperlo, anche se era
consapevole di
quanto fosse stupido e pericoloso.. .Si accoccolò contro di
lui, mani sul petto
caldo e labbra contro la gola dell’uomo, occhi chiusi per
godere appieno del momento,
dell’esperienza di respirare quell’essenza unica
che era Patrick Jane.
Le
sue labbra si
posarono sulla mascella di Jane, lasciando una scia di piccoli e
leggeri baci,
mentre le sue mani scivolavano sotto alla giacca del pigiama per
toccare i muscoli
ancora ben definiti dell’uomo. Sapeva che non era giusto, che
era pericoloso, che
avrebbe sofferto, ma non poteva farne a meno, era troppo tardi, ormai
aveva iniziato
a giocare col fuoco e non poteva tirarsi indietro, per quanto sapesse
di
correre il concreto rischio di bruciarsi, ma lui era…
troppo, era la sua droga
preferita, e lei ormai era dipendete dalle scosse che toccarlo le
provocava. Le
sue labbra scesero sulla gola, baci che divennero morsi di piacere e di
lussuria, le mani iniziarono a slacciare i bottoni della camicia,
sempre più
avide, e il respiro di Jane appariva soffocato,
spezzato…bloccato.
Aprì
gli occhi,
spalancati con terrore, per scoprire che sotto di lei, Jane era
sveglio, ma
invece di allontanarla, lui la strinse ancora di più a
sé, poi, la mani
sinistra si insinuò sotto a quella maglietta che a lungo lo
aveva perseguitato
nelle sue rare incursioni nel mondo dei sogni, esplorando la pelle e la
carne
calda e arrendevole di Teresa, facendola bruciare con un solo tocco,
mentre la
destra si impossessò del capo della donna, afferrando i
capelli scuri e
guidandola verso il proprio viso; si guardarono senza fiato per un
attimo, poi
le loro bocche si toccarono, sfiorandosi
ancora e ancora e ancora, le labbra di Jane calde e persuasive sulle
sue,
eccitazione che saliva sempre di più mentre si baciavano
avidi, quasi avessero
voluto recuperare il tempo perduto, quasi temessero di perdere altro
tempo e
non lo volessero assolutamente.
Teresa
trattenne il
fiato mentre lui le sfilava la maglietta, ma decise di non pensarci,
non ora.
lo avrebbe fatto poi, una volta che tutto fosse finto. Ora lo voleva, e
voleva
che lui la facesse sua. Voleva che divenissero una cosa sola, anche
solo una
volta. Così, lo spogliò, e quando lui
continuò a baciarla mentre la toccava e
la faceva sua, si perse nella sensazione, nel piacere inarrestabile che
quel
ritmo tranquillo ma regolare di Jane che si muoveva in lei presto le
avrebbe
portato…
Lui
soffocò il grido primordiale
che la scarica dell’orgasmo gli aveva provocato
mordicchiandole la pelle delle
spalle, affondando il viso tra i seni di lei, molto più
disposta a vocalizzare
quel piacere che troppo a
lungo aveva desiderato,
pregustato, sognato, e mentre gli effetti della passione non erano
ancora
scemati, Jane, nudo, si staccò da lei con uno scatto, e andò a
sedersi sul bordo del letto, lontano
da lei. Lei, che lo raggiunse comunque.
“Jane….”
Gli disse, toccandogli
a malapena la spalla, le sue dita che sfioravano la pelle calda a
sudata,
carica di feromoni, paura del disgusto, sofferenza per il rigetto e
felicità,
ma anche un leggero velo di vergogna, per cosa era appena avvenuto
presenti in
egual misura in lei. “Scusa. Io…. Mi
sono…. Fatta trasportare.”
“vale
per entrambi”
replicò lui, tentato di scrollare le spalle con falsa
nonchalance ma incapace
di farlo. “scusa, non
volevo che
accadesse, io… mi spiace. Non avrei dovuto.”
“Davvero
ti spiace?”
gli chiese, delusa, il sentimento chiaro nella sua voce, occhi fissi
sulla
pelle impregnata di sudore dell’uomo.
“No”
le rispose lui con
sincerità, le sue labbra graziate da un vero sorriso e uno
sguardo malandrino e
malizioso. “ma è stato molto
irresponsabile da parte mia.
Non mi sono nemmeno preoccupato di…”
imprecò a bassa voce. “potrei averti messa
incinta!”
“Beh,
almeno su questo
puoi stare tranquillo, prendo la pillola” gli rispose
sorridendo, appagata come
non lo era da molto tempo a quella parte, sollevata dal modo in cui lui
stava
reagendo a cosa era appena successo tra di loro, ma allo stesso tempo
dibattuta. Come poteva rinunciare a una sensazione del genere? Non
poteva, non ancora.
Tempo di andare all’attacco, prima che lui se uscisse con
qualcosa del tipo che
non sarebbe mai più accaduto. “Sai, non credo che
abbiamo fatto del male a
nessuno. E poi… siamo entrambi adulti, e non
c’è niente di male in quello che abbiamo
fatto… perciò, dato che dobbiamo dividere un
letto…” disse, mentre gli mordeva
il collo e lasciava che le sue mani esplorassero il corpo di Jane, i
suoi occhi
chiusi per godere appieno della sensazione delle mani di Teresa sulla
sua calda
pelle lievemente abbronzata. “direi che dovremmo
approfittarne… almeno finché
Kate è qui…”
“Sì…
e poi….non è
necessario che…. Siamo adulti e possiamo gestire la
cosa…in modo adulto
responsabile come i due adulti responsabili che siamo”
ansimò lui, conscio di
come la realtà fosse lontana da quello che aveva appena
affermato.
“Mi
spiace solo di averti
svegliato..” disse lei, falsamente, mentre le sue labbra
attaccavano il petto
del suo nuovo amante.
“Davvero?”
Jane
spalancò gli occhi, e con una mossa rapida e inattesa
invertì le loro
posizione, facendola finire sulla schiena e gettandosi sopra di lei, il
suo
intero corpo occupato ad attaccarla nelle previsione del dolce attimo
di
piacere che possederla nuovamente gli avrebbe procurato, avrebbe
procurato ad
entrambi.
“no”
ammise lei,
sorridendo con altrettanta malizia, mentre le sue labbra attaccavano di
nuovo
quelle di Jane.
***
Teresa
si svegliò molte,
molte ore dopo al suono della sveglia, sul comodino un biglietto di
Jane che le
diceva che era andato a prendere la sorella all’aeroporto,
nessun riferimento
alla notte bollente che avevano condiviso- un particolare che a
malapena lei
notò, andando nel panico appena constatato quanto tardi
fosse. La donna spalancò
gli occhi di colpo, pupille dilatate per il panico e non per il
desiderio stavolta,
e corse in bagno senza nemmeno rimettersi la maglietta, decisa a
mettere a
posto una volta sistemata lei stessa-ed il resto della casa, a cui
doveva dare
ancora un paio di tocchi qua e là, nella speranza che Kate
credesse che lei, in
quella casa, davvero ci viveva; sapeva che non avrebbe avuto dubbi sui sentimenti che nutriva
per Jane,
sentimenti che, rifletté mentre indossava la camicetta verde
smeraldo che
sapeva lui adorava, erano sbocciati molto tempo prima, per fiorire
lentamente,
nel corso degli anni, a mano a mano che il vero Patrick Jane si
mostrava a lei
nella sua interezza. Quello, ecco, quello le aveva sempre dato
speranza, il
fatto che con lei fosse sempre stato aperto e onesto, con lei e lei sola, con nessun
altro. Le aveva fatto
sperare che le cosse fossero diverse, che il mentalista nutrisse ben
altri
sentimenti per lei… ma prima di allora lui non aveva dato
prova alcuna di
amarla. L’aveva fatta sua la notte precedente, e aveva detto
di non aver
rimpianti al riguardo, ma non necessitava di essere chissà
quale genio per
sapere che differenza abissale ci fosse tra il sesso e
l’amore.
Lei
aveva fatto l’amore
con Jane? Assolutamente sì. E lui? Non ne era certa, e
francamente, per quanto
le fosse sembrato giusto, per quanto una parte di lei lo pensasse
ancora,
doveva ammettere di temere le ripercussioni delle loro azioni. Cosa
sarebbe accaduto
da lì a una settimana, una volta che Kate se ne fosse andata?
Si
stava ancora
sistemando i capelli ribelli nello specchio dell’ingresso
quando sentì la
chiave scattare all’interno della serratura, e corse ad
attenerli, tentando di
apparire il più naturale possibile, conscia che se davvero
Kate era come il
fratello non le sarebbe sfuggito il particolare che avessero passato
ore e ore
sotto le lenzuola a darsi piacere reciproco. Arrossiva ancora al
riguardo.
Probabilmente aveva perfino quello sguardo, quello che nei romanzetti
rosa che
leggeva ma che negava di possedere le fanciulle avevano dopo una notte
d’amore,
quell’aria un po’ svampita, sognate, ma decisamente
sexy a detta dei
protagonisti maschili.
Non
appena la porta si
aprì, Teresa non ebbe nemmeno il tempo di dire una parola
che fu travolta da un
tornado biondo: Kate, la copia femminile del fratello, leggermente
più vecchia,
una somiglianza sconvolgente con la Samantha di Sex & the city,
le gettò le
braccia al collo, stringendola nell’abbraccio più
caloroso che avesse ricevuto
da molto tempo a quella parte, lacrime che scendevano copiose
macchiando la
blusa della poliziotta. “Oh, Teresa, sono così
felice di conoscerti, non sai
quanto sia felice che Rick abbia trovato qualcuno!”
piagnucolò, per poi metter
le mani sulle spalle di Teresa e allontanarla come per squadrarla,
prima di
voltarsi con aria interrogativa e un po’ indispettita verso
il fratellino.
“Rick, perché non mi avevi detto che è
così carina?” Sentendo
quell’affermazione,
un pezzetto del cuore di Teresa si frantumò. Lui non aveva
detto alla sorella
che eli fosse carina… perché? Perché
non la considerava carina? O semplicemente,
aveva detto il minimo indispensabile e quella era semplicemente
un’altra delle
affermazione che lui aveva tenuto per sé?
Jane
sorrise sornione.
“Lei non è carina. Carina non è un
aggettivo che le si addice” disse,
raggiungendo Teresa e baciandola, veloce ma deciso e con una certa
passione,
come per segnarla. Teresa non reagì bene, lo
guardò delusa, parecchio di brutto,
ormai certa di quali fossero stati i motivi di Jane per tenere nascosta
quell’informazione.
Certo, sapeva di non essere una gran bellezza, ed era conscia che la
moglie di Jane
era stata l’equivalente della principessa delle favole, ma
essere trattata
così, davanti a quella che sarebbe dovuta essere, seppure
per finzione, la sua
futura cognata, non era per nulla gratificante. A volte, detestava la
disarmante onestà di quell’uomo. “Lei
è la donna più bella su cui abbia messo
gli occhi, e non te l’ho detto perché volevo che
te ne rendessi conto da sola” sospirò,
occhi persi in quelli di Teresa, inconsciamente avvicinandosi al volto
della
donna per poggiare di nuovo le sue labbra su quelle di lei. Teresa
rabbrividì,
confusa, sconvolta da quanto onesto e sincero e vero fosse sembrato
Jane nel
dire quelle parole.
Kate
rise. “Tipico di
Rick. Dice una mezza cattiveria, poi rimedia dicendo una cosa
tremendamente
giusta, aggiudicandosi l’ultima parola e rendendosi
tremendamente adorabile…”
la donna rise di nuovo, e si guardò intorno, rapita e
sognante, gli occhi fermi
su una foto nell’ingresso, il fratello in smoking e Teresa in
abito da sera
scuro, un braccio di lui intorno alla vita di lei, occhi negli occhi e
sorridenti, quasi cospiratori, isolati dal resto del mondo, calici di
champagne
in mano quasi a brindare a quella magia tutta loro. La stessa Teresa
sobbalzò
alla vista di quella foto, lei stessa ne aveva una copia, non certo in
bella
mostra, ma tra le pagine del suo libro preferito, mentre
Jane… l’aveva
conservata per tutti quegli anni. E lei non ne era mai stata a
conoscenza. Tutto
questo… la confondeva. Iniziava a
credere che forse le sue speranza non erano così mal
riposte, forse davvero
erano fatti per stare assieme, forse l’amava come lei amava
lui… “Teresa,
grazie. Non hai idea dei progressi che hai fatto fare a mio fratello.
Finalmente
ha smesso di vivere spostandosi di motel in motel!”
Teresa
arrossì, occhi
bassi. “beh, ricordaglielo quando il mio disordine patologico
inizierà a farsi
sentire seriamente!”
“A
casa sua c’erano
ancora degli scatoloni imballati nel bel mezzo del salotto. Dopo 4 anni
che
viveva lì.” Scherzò lui, un braccio
introno alla vita di Teresa, rammentando la
volta in cui era stato da lei per salvarla, scoprire cosa fosse
accaduto
durante delle ore che la sua memoria aveva cancellato.
“Mi
fai fare un giro?”
le chiese quella che, in un mondo perfetto sarebbe dovuta essere sua
cognata, prendendola
sotto braccio e camminando in direzione delle scale. Teresa
ringraziò il giro
fatto precedentemente con Jane e rifatto da sola, ed il fatto che non
fosse un
maniero alla Mashburn; difatti, le ci volle solo un attimo per arrivare
davanti
alla stanza che era stata assegnata all’altra donna, dove
entrò assaporando
l’atmosfera, la biancheria fresca, le saponette profumate
alla lavanda, i
cioccolatini e il vino californiano che Teresa aveva messo
lì per lei. “ho la
netta impressione che questo tocco sia tuo. Grazie, ma non dovevi
viziarmi così
tanto. Per quanto io debba ammettere di adorare quando mi
viziano!”
Teresa
scrollò le spalle,
arrossendo lievemente. “ho viziato tre fratelli
più piccoli, viziare altre persone
di tanto in tanto mi piace, non è un peso, anzi.”
Kate
si sedette sul letto,
e iniziò a guardarsi alternativamente le mani e a volte
Teresa, gli occhi colmi
di lacrime che da anni attendevano di essere versate per questa
speciale
occasione. “Sai, era da tanto che non vedevo Rick
così felice… amava così tanto
Charlotte e Angela… ed è tutto merito tuo. Dopo
la loro morte…si è chiuso dietro
un muro, rifiutandosi di fare entrare chiunque, ma tu… tu
hai abbattuto quel
muro. Non lo vedevo così felice da anni, così
sereno, rilassato… ed è tutto merito
tuo. Ti ama così tanto…. Ti supplico, Teresa, non
spezzargli il cuore, lo
uccideresti.” Il
respiro le morì in
gola, colta dall’ironia della situazione, sconvolta quanto
poco Kate in realtà assomigliasse
al fratello- non aveva bisogno di chiedere a Jane se lui la amasse o
meno,
perché sapeva che la risposta era no. Quello che
c’era tra loro era solo una parentesi,
breve, destinata a finire spezzandole il cuore. Ma non poteva fare
altrimenti.
Jane era la sua droga, e non voleva morire senza aver saputo come fosse
essere
sua, appartenergli.
Anche
se solo per
finzione: nella settimana seguente, il giorno appartenne al lavoro, le
serate a
Kate e le notti a loro e loro soli, notti in cui, a dispetto della
situazione,
e della presunta mancanza di sentimenti, entrambi finivano per cedere
alle
lusinghe della carne e dei sentimenti, perdendosi nel buio
l’uno nell’altra
senza mai essere sazi abbastanza. Questo, tuttavia, non era il lato
peggiore,
non per Teresa. Una cosa era amare Jane per il fatto che fosse un
amante
notevole e disponibile, un altro amarlo perché era
semplicemente sé stesso,
perdersi nel vederlo fare le piccole cose, come guidare la sua
“vecchia
carretta” o mentre leggeva il giornale o parlava con Kate,
sentirsi il cuore
schiacciato dalle emozioni che la consumavano come fuoco. Un fuoco che
i
discorsi di Kate, gli stessi ogni giorno, altro non facevano che
alimentare, insieme
ai sogni e, sì, lo sapeva, alle illusioni.
“Non
capisco perché non
fare progetti, parchè non potete decidere una
data?” sbottava spesso lei mentre
cucinavano tutti assieme alla sera.
“Perché
non c’è fretta…
ormai il matrimonio non è più un passo obbligato
per poter vivere insieme o
farsi una famiglia.”
“Sì,
ma normalmente,
organizzare un matrimonio richiede tempo. E la tua
famiglia e quella di Teresa avranno bisogno di prendere
delle
ferie per poter venire…”
“Veramente,
i miei
fratelli non sanno ancora di questa… evoluzione nei miei
rapporti con Patrick”
rispose Teresa, arricciando un po’ il naso, conscia di dover
inventarsi
qualcosa, perché forse Kate non aveva le doti deduttive di
“Rick”, ma sapeva
ficcare il naso dove non le competeva molto bene. “volevo
dirglielo di persona.
Soprattutto a Tommy, lui è così protettivo verso
di me, nemmeno fossi stata
davvero la mamma…”
“Ok,
va bene, ma tu sei
un’adulta, e se Rick non si da una mossa, potresti cambiare
idea, e io non voglio! Davvero
volete che le cose restino così,
davvero volete rischiare di lasciarvi?”
“Sorellina,
quale parte
di stiamo bene così non hai capito?” la prese in
giro lui, dandole una gomitata
leggera nel fianco mentre sbucciavano verdure. “davvero,
smettila Kate. Diventi
insopportabile quando inizi a manovrare le esistenze altrui.”
“Andiamo,
Rick, non
vuoi rischiare di perderla, vero?”
“No”
ammise lui, voce
bassa, voltandosi verso Lisbon. “non voglio”
Gli
occhi di Teresa si riempirono
di lacrime, e si voltò verso Jane, abbracciandolo da dietro,
dolci baci sul
collo ricoperto di morbidi e profumati ricci biondi. “e io
non vado da nessuna
parte. Amo questo posto, e, incredibile ma vero, amo anche
te.” Lo
strinse, piangendo di nascosto, o
perlomeno provandoci. Sperò che Kate potesse credere che
quelle fossero lacrime
di gioia, quando invece, piangeva solo perché sapeva che
nulla di quello che
aveva detto era vero.
In
tutta risposta, Jane
si voltò verso di lei, e lasciò ancora una vota
che le sue labbra ricadessero
su quelle di Lisbon, in un dolce e lento movimento che era ormai
divenuto
rutine per loro. Kate batté le mani una volta, lacrime di
gioia, quasi squittendo
per la commozione. “a questo
punto non
posso che esser certa che voi due siate davvero pazzi l’uno
per
l’altra…insomma, vi deciderete una buona volta a
decidere quando sarà il matrimonio?”
“Presto”
mormorò lui, a
fior di labbra, senza mai staccare gli occhi da quelli di Teresa,
terrorizzato
dall’idea di cosa avrebbe fatto una volta finita la
messinscena, una volta che
lei non fosse più stata sua anima e corpo, senza sapere che
nella mente di lei scorrevano
gli stessi identici pensieri.
***
Kate
andò via, come il
turbine che era stato, lasciando una scia di devastazione e disordine
alle sue
spalle, in pieno stile Jane, spezzando ancora di più il
cuore di Teresa, che
sapeva sarebbe stata “lasciata” da lì a
momenti da Jane, una volta esaurito il
suo compito di attrice provetta; l’unica raccomandazione che
la bionda fece
prima di mollare gli ormeggi fu quella di fissare una data e non
permettere a
Jane di lasciarsi sfuggire quel tesoro di donna che lei era. Come fosse
stato
possibile.
Teresa
si fermò ancora
un giorno, più per prendere le sue cose e raccattarle
dall’appartamento di lui
che per altri motivi, motivi che di certo Jane non avrebbe mai e poi
mai
condiviso a detta di lei, ma anche perché
l’immacolato mentalista aveva a cuore
l’ordine di casa, se non altro, e lei voleva rimettere le
cose come le aveva
trovate. Colossale
errore.
Stava
mettendo a posto
il comodino di Jane quando notò delle monetine sparse, e non
sapendo dove
metterle, decise di aprire il cassetto per ritirarle lì;
l’interno era
immacolato come l’esterno, immacolato e spoglio, se non per
una cosa… una
cornice capovolta, una cornice che Teresa sapeva cosa potesse contenere
senza
neppure voltarla.
Tuttavia,
lo fece, e
scoprì di aver avuto ragione: Jane, accanto al letto, teneva
una foto della defunta
moglie, la bella, angelica, femminile ed aggraziata Angela, nulla a che
spartire
con lei… si sentì morire all’idea di
come lui amasse dopo tanti anni ancora
quella donna, di come fosse stato certamente sconvolto e turbato
dall’idea di dover
dividere il suo letto con un'altra-probabilmente per questo aveva
nascosto e
capovolto la foto, quasi sua moglie potesse essere ferita da un simile
gesto,
un simile oltraggio, quasi lui la stesse tradendo.
Mordendosi
le labbra
per soffocare i gemiti del pianto, Teresa ripose la cornice dove
l’aveva
trovata, non prima di aver però notato un altro oggetto,
piccolo, comune, che
lei aveva imparato a conoscere molto bene nel corso degli
anni… la fede nuziale
di Jane; prese in mano il piccolo manufatto, terrorizzata, quasi
potesse
esserne scottata, e notò per la prima volta
un’incisione sull’interno, Con
amore, per sempre tuo.
Gettò
cornice e fede
nel cassetto, richiudendolo sbattendolo con forza, incapace di
proseguire oltre
nella menzogna, di soffocare le lacrime. Avrebbe dovuto affrontare
prima la
realtà, e ora la realtà aveva deciso di
affrontare lei, sbattendole i sentimenti
inesistenti di Jane in faccia…
Jane non
l’avrebbe mai amata come ancora amava Angela, non avrebbe mai
amato nessuna come
lei, e lo doveva accettare, una volta per tutte, vederlo come un dato
di fatto.
Anche perché, lo sapeva, Jane manteneva sempre le sue
promesse, specie quelle
fatte a quella bellissima donna. Le aveva giurato di uccidere John il
Rosso e
lo aveva fatto. Ora… ora avrebbe mantenuto la promessa di
non lasciarla mai, di
esser per sempre suo, di amarla per sempre.
Schiacciata
dal dolore
di quella consapevolezza, che mai e poi mai lui l’avrebbe
amata, Teresa tolse
di casa ogni cosa che fosse sua, cancellando ogni traccia del suo
passaggio, in
modo che potessero tornare anche solo a una porzione delle loro
precedente
normalità, decisa a tentare di andare avanti, di
dimenticarlo, farsi una vita
con qualcuno che non fosse lui, e fece i bagagli prima che lui potesse
tornare,
desiderosa come mai prima di allora di evitarlo, almeno per un
po’. Sarebbero
stati bene, si ripeté lei, avevano solo bisogno di tempo,
soprattutto lei, ma
prima o poi le ferite sarebbero passate.
Per
la prima volta
superò tuti i limiti di velocità per un qualcosa
che non fosse un caso, occhi bruciati
dalle lacrime, rossi, inconsapevole del dolore che lui avrebbe provato
una
volta tornato a casa.
***
Teresa
era accasciata
sul suo divano a mangiare gelato quella sera, masochistamente avvolta
in una
comoda maglietta, la stessa che aveva indossato la prima notte in cui
lei e
Jane erano finti a letto insieme in un groviglio di arti e labbra e
gemiti di
piacere e coperte, occupata a piangersi addosso, conscia che, per
quanto avesse
pianto fino ad allora, mai e poi mai le sue lacrime sarebbero finite.
Stava
tropo male, era stata troppo stupida, troppo ingenua, troppo cocciuta.
“Teresa,
apri, lo so che
sei qui!” sentì la voce di Jane urlare dietro alla
porta, i pungi decisi contro
il legno, entrambi rumori molesti che la sua vicina avrebbe denunciato
con
enorme piacere. Sentiva le lacrime, il dolore, la rabbia nella voce di
lui.
Possibile che…. “Teresa, ti prego!”
Lo
fece, Teresa non
sapeva perché, ma lo fece, gli aprì la porta, e
lo vide, lì, davanti a lei, distrutto.
Rare volte lo aveva visto così. “hai portato via
le ,tue cose…” le disse, non un’accusa,
la voce spezzata dalle lacrime, dal dolore, singhiozzi che gli si
bloccavano
nella gola.
“credevo
che sarebbe
stato più facile.. e poi…” strinse i
denti, occhi chiusi, anche lei vittima di lacrime
traditrici. “avevamo detto che saremmo stati insieme fino a
che Kate fosse
stata qui. Ora possiamo…puoi dirle che il matrimonio
è saltato, che mi sono
tirata indietro. Sono certa che capirà.” Le
lacrime le scendevano copiose, silenti.
Mai e poi mai avrebbe potuto celarle, nemmeno se la pioggia fosse
scesa,
unendosi a loro.
Il
dolore, il rimpianto
erano chiari, e non era necessario essere un mentalista
perché lui lo vedesse.
Lui lo sapeva. Forse, rifletté, perché lui stesso
provava quelle emozioni… fu
quasi paradossale, ma leggere ciò che vedeva in Teresa, quel
dolore, la
consapevolezza di non essere amata da lui, gli diede un certo senso di
gioia, di
conforto, di speranza… perché se soffriva a causa
sua, allora, allora forse….
Forse lo amava come lui amava lei, forse si era sbagliato, aveva
ingannato sé
stesso per tanti, troppi anni, celandosi dietro alla maschera del
dolore, della
vendetta.
“Sarà
difficile dire a
Kate che non ci sarà nessun matrimonio. Non mi
perdonerà mai, sai? Però,
chissà…” gettò lui, sullo
scherzo, mani in tasca, appoggiato allo stipite,
occhi incollati al pavimento. “so che è stato poco
più di una settimana, ma siamo
andati d’accordo, e…. sarei felice
se
tu volessi tornare. Cosa ne pensi?”
Lo
guardò, confusa, non
certa di aver capito. “io… cosa… non
capisco, dove vuoi arrivare?”
“Sto…parlando
di una moglie,
Lisbon” si grattò il capo, e sollevò
gli occhi, trovando quelli di lei, che da
incredula era divenuta sgomenta. “so che non è un
granché come proposta, ma ti
sto chiedendo di sposarmi. In questo modo risolverei anche i miei
problemi con
Kate, e non avrei da dirle nulla… se non lo avessi capito,
sono leggermente terrorizzato
da mia sorella….”
“Oh,
beh, certo, sposarsi
per far contenta tua sorella, ottima ragione!”
sbottò, quasi tentata di
sbattergli la porta in faccia. Cosa che avrebbe fatto, se lui non
avesse messo
il piedi in mezzo, fermandola, ed evitando di essere chiuso fuori,
forse per sempre,
non solo dalla casa ma dalla vita di quella donna che lo aveva salvato
senza
nemmeno rendersene conto. “E cosa mi dici di Angela, eh? Cosa
credi che
penserebbe, sapendo che non ti vuoi sposare per amore, ma per
convenienza?”
Teresa non poteva nemmeno più celare i singhiozzi anche se
ora a quelli di dolore
si erano uniti quelli di rabbia, rabbia perché Jane la
voleva, ma non amore,
giusto un contentino, e nemmeno per lei, lei, che tanto glia aveva dato
in
tanti anni…
“Ok,
punto primo”
iniziò a puntualizzare lui, occhi negli occhi con Teresa, a
pochi millimetri
dal suo viso, uno scatto felino così rapido
nell’avvicinarla che lei a malapena
se ne era resa conto. “Angela vorrebbe il meglio per me, mi
vorrebbe felice.
Secondo, ci sono ragioni peggiori del conforto e della sicurezza per
sposarsi”
lui dietreggiò bell’attimo in cui vide passare un
lampo di rabbia negli occhi
di Teresa, e lei si fece avanti, minacciosa, una mano ina ria pronta a
colpirlo
a palmo aperto. La donna davanti a lui era furiosa, furibonda oltre
ogni ragionevole
limite. Non credeva alle sue orecchie…. Lui non voleva
nemmeno fingere di
amarla, e forse se lo avesse fatto, lei non gli avrebbe nemmeno
creduto, coscia
che il suo cuore non avrebbe mai stato suo, ma per sempre della sua
prima
moglie.
Poi...
poi si fermò, la
mano a mezz’aria, lacrime agli occhi, piangeva disperata.
“Non sai quanto
vorrei dirti di sì, ma non posso….
Non… non voglio sposarmi senza amore, anche
se… anche se si trattasse di te. Avrei bisogno di sapere di
essere amata…”perché
ti amo “ non è giusto. Mi merito
di meglio. Merito di essere amata” si tolse
l’anello, che aveva chissà come scordato
all’anulare, quasi quello fosse stato il suo posto legittimo,
quasi fosse stato
fatto per lei, e lo mise nel palmo di Jane, chiudendovi le dita
intorno,
stringendo la mano nella sua. Entrambi io loro occhi si persero in quel
gesto,
in quell’istante.
“E se io ti
amassi?” Jane alzò il viso,
sperando di vedere, non ne era certo. Sperava di avvertire speranza,
speranza
che potessero avere un futuro, e che lo avessero insieme.
“sono stato stupido,
Teresa. Io speravo… non lo so, forse speravo che vivendo con
te
questa…infatuazione mi sarebbe passata, ma non è
stato così. E’ stato peggio.
Credevo di fare il tuo bene, perché meriti di meglio di me,
un vecchietto
introverso a col cuore spezzato, che non crede a niente, ma…
sono troppo
egoista, non ce la faccio. Non riesco a rinunciare a te.”
Fece una pausa, e la guardò,
dritta negli occhi, di nuovo a un passo da lei. “ti amo,
Teresa, e non posso stare
senza di te. Voglio svegliarmi la mattina con te al mio fianco. Voglio
tornare
a casa e trovarti ad aspettarmi…. Voglio andare avanti,
Teresa, e c’è una sola
persona con cui possa o voglia farlo: tu”
“E…
e Angela?” gli chiese
di nuovo, pugni serrati intorno alla morbida stoffa del gilet grigio.
“L’ho
amata, ma… ma ora
non sono più diviso, spezzato, ed è tutto merito
tuo…. Non credevo che mi sarei
mai innamorato di nuovo, non pensavo di meritarlo, anzi, sono certo di
non
meritarti, ma…. Tu sei tu, ciò che voglio,
ciò di cui ho bisogno, e ti amo per
quella che sei.” La guardò, serio, un soffio di
labbra da Teresa, al voce bassa
e cupa. “perciò… se te lo chiedessi di
nuovo… dopo averti detto la verità….
Mi
daresti una risposata diversa?” lei annuì
solamente, e lui, col sorriso ricolmo
di lacrime di gioia, prese l’anello dal palmo della mano e lo
ripose nuovamente
nel suo legittimo luogo, l’anulare sinistro della donna che
da molto tempo, più
di quanto volesse ammettere, lui amava. “Mi vuoi
sposare?”
Scoppiò
a ridere, Teresa,
mentre gridava “sì” e gli gettava le
braccia al collo, con Patrick che l’attirò
a sé, baciandola con tale trasporto e passione che
credettero di svenire per la
mancanza di ossigeno.
“Devo
dedurre che tua sorella
inizierà a stressarmi per conoscere tutti i dettagli del
nostro matrimonio?” sospirò,
il capo appoggiato sulla spalla di Jane, sguardo sognate e per nulla
triste o rammaricato.
“Nah,
credo piuttosto che
inizierà a tormentarci per aver un nipote il più
presto possibile!”
“Sai,
non mi dispiacerebbe
vedere cosa si può fare al riguardo…”
gli disse, voce bassa e maliziosa sulle
sue labbra, mentre, afferrandolo per il colletto, lo tirava in casa
quasi fosse
stato un cagnolino fedele. Alle sue spalle, sornione e soddisfatto, lui
faceva
il verso del lupo, pregustando cosa stava per accadere e curioso di
scoprire se
sarebbero stati in grado di aspettare tanto a lungo da arrivare alla
camera da
letto, ora che sapevano entrambi che quello che li legava, quello che
avrebbero
fatto, sarebbe stato amore.
“Qualsiasi
cosa per
zittire mia sorella, eh?”
“Oh,
sì!” ammise lei,
gettandolo sul letto in risposta alla silente domanda che lui si era
fatto
prima, ricadendo poi al suo fianco, il luogo dove aveva ogni intenzione
di restare.
E stavolta, non solo il più a lungo possibile, ma se lui
glielo avesse
permesso, per sempre.