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Autore: Fabichan    23/03/2006    7 recensioni
Lacrime, tante lacrime, versate da una ragazza distrutta nell'anima, distrutta per un amore finito proprio quando era appena iniziato. La storia di quest'amore, che durerà per sempre... V. 3.0
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota legale: i seguenti personaggi appartengono esclusivamente alla divina Rumiko Takahashi ed io li sto usando senza permesso

Nota legale: i seguenti personaggi appartengono esclusivamente alla divina Rumiko Takahashi ed io li sto usando senza permesso solo per divertimento.

 

Nota dell’autrice: alla fic ho apportato molte modifiche, quindi, per chi l’ha già letta, avverto che è in molti sensi diversa dalla versione che postai su ff.it....e ora anche da quella su Manganet, eh già, questa potrebbe essere definita”la fic in eterna fase di restaurazione”, comunque sempre meglio così che contribuire ad arricchire il web con fic schifose.

Per chi non l’ha mai letta invece avverto che la seguente ff è MOLTO triste quindi decidete voi cosa fare.

Grazie per l’attenzione e buona lettura(se è possibile).

Ps. Sono graditi commenti di ogni genere....

Buona lettura

 

Il cuscino era bagnato.

Lacrime. Erano state tante lacrime a ridurlo a quel modo.

Lacrime cariche di dolore, versate dalla stessa ragazza che ora stava soffocando i suoi singhiozzi con quello.

Erano settimane che piangeva.

La sua vita...

Il suo mondo...

Tutto distrutto ...

Le era crollato addosso proprio quando sembrava che i suoi problemi fossero finalmente finiti, quando sembrava che avesse finalmente raggiunto la felicità e ora, quella cosa che aveva nel petto che si chiamava battito, era ormai per lei inutile e se non ci fosse stato più sarebbe stato per lei lo stesso.

In fondo era morta in qual preciso istante...

La dolce voce di sua sorella maggiore, la chiamò dal piano inferiore, per annunciarle il pranzo, ma lei, cercando di parlare fra un singhiozzo e l’altro rifiutò l’invito, come ormai era sua abitudine in quel periodo. Erano giorni che non mangiava.

Si girò di lato.

I bellissimi occhi marroni, in cui non c’era più voglia di vivere, persi nel vuoto. Le lacrime che continuavano a bagnarle le gote.

L’unico momento in cui sembrò reagire, fu quando una ventata mosse la leggera tenda della finestra aperta, facendola sventolare un po’….come accadde quella notte, quando lui entrò di soppiatto nella sua camera.

Quella tenda fu testimone di tante cose.

…delle sue lacrime…quando le disse che sarebbe partito…

…della sua rabbia…quando rifiutò la sua compagnia nel viaggio che stava per intraprendere

…della felicità che seguì…quando le rivelò in un soffio di vento che si disperse nell’aria e di cui solo loro furono testimoni, il suo amore per lei.

…della loro felicità…quando…quando fecero l’amore per la loro prima e unica volta.

Come un burattino, mossa da qualche forza misteriosa, si alzò dal letto. Una sua mano, bianca come la tenda, sfiorò la stoffa leggera ricamata finemente, all’inizio leggermente, come per accarezzarla, poi iniziò a stringerla forte...sempre più forte…ancora più forte…fino a che non si strappò, staccandosi e rimanendo nella mano penzolante di lei che aveva nuovamente lo sguardo fisso nel vuoto e pieno di lacrime.

La mano si aprì, mollando la presa e lasciando cadere la stoffa a terra, e si ributtò sul letto scossa da nuovi singhiozzi che le mozzavano il fiato.

Eppure, si disse, quella sera lontana sarebbe dovuta essere la più bella della sua vita, anziché la più brutta. Però quelle promesse….quelle promesse che si erano scambiati nel silenzio della notte…il ricordo di quelle promesse che non sarebbero mai state mantenute…la riempivano di rabbia…e di tanta tristezza.

Loro non avrebbero mai vissuto felici assieme, non si sarebbero più amati, non avrebbero più lottato, né vinto assieme, non avrebbero più avuto la loro vita, ed il loro sogno assieme non si sarebbe mai potuto avverare.

A stroncare le loro speranze fu qualcosa di incredibilmente matematico, almeno così le sembrò quando i medici gli dissero la causa della sua morte.

Un virus.

Una cosa così fredda…così…così maledettamente subdola e prima di ogni sentimento. Una cosa che arriva e ti prende, indifferentemente da chi sei o da quali sogni hai, da tutto. Una cosa che non ti guarda in faccia.

Il momento più brutto fu quando lo rivide.

Evidentemente qualcuno aveva voluto che accadesse a quel modo tanto per farla sentire ancora più male.

Era là, bello come non mai, mentre, con il sorriso negli occhi camminava verso casa “loro”, e più che altro camminava veloce verso di lei.

Ma ad un tratto il bel sogno si fermò, trasformandosi in un incubo.

Il mondo si fermò mentre lui, improvvisamente, sbiancò e cadde a terra. Il leggero suono che fece il corpo di lui quando raggiunse il suolo lo sentì intensificato mille volte ,mentre, ammutolita, si fermò guardandolo poco prima di iniziare a correre con le lacrime agli occhi e buttarsi affianco a lui

«No, non è vero, è solo un brutto sogno. Uno scherzo. Su andiamo alzati  e smetti di fare lo stupido! Ti prego! Alzati! Alzati!»pensò mentre le prime, delle tante lacrime che verserà in seguito, scendevano copiose, mentre teneva tre le braccia il suo fidanzato…morto.

Morto.

Un aggettivo tanto assurdo, tanto incredibilmente e maledettamente assurdo per un ragazzo di quell’età.

Ma era vero.

E in quel giorno non si spense una sola vita, ma due. Le vite di due innamorati. Ormai separati dalla cosa che accomuna tutti gli esseri umani: la morte.

Autopsia…test…macchinai…dottori…

Freddezza automatica e matematica che non aveva nulla da spartire con loro.

Era arrivata anche al punto in cui, quando i dottori le annunciarono l’ennesimo test da fare su quel corpo troppe volte toccato da strumenti medici, era scoppiata, cercando di colpire quell’ uomo con gli occhiali e i radi capelli bianchi che aveva davanti , e se non fosse stato per suo padre e le sue sorelle che la fermarono lo avrebbe fatto, eccome se lo avrebbe fatto.

Ma il peggio doveva ancora venire.

Finalmente quello era l’ultimo, prima di venire a conoscenza di quello che era realmente accaduto: un virus molto raro e difficile da contrarre…e proprio a lui doveva accadere? Si ritrovò a pensare mentre si era buttata a terra scossa dall’ennesima crisi di pianto.

Poi i funerali.

Quel giorno, a far eco alla sua tristezza, c’era la pioggia. Quel giorno fu una vera tortura che non finiva mai….e che ancora non era finita. Continuava, lenta e atroce, la stava divorando.

Mille volte aveva cercato di finirla, di smettere di soffrire, cercando di tagliarsi le vene o ingerendo tutti i medicinali della casa, ma era sempre stata fermata da qualcuno.

Perché non capivano?

Perché non capivano che aveva cercato di andare avanti nel mesi dopo la sua morte ma non ci riusciva?

Perché non capivano che lei non era la persona forte che credevano?

Perché non riuscivano a capire che se moriva o restava in via era la stessa cosa? Anzi, se fosse morta sarebbe stata meglio. Sarebbe stata al suo fianco almeno…

Guardò la lametta da barba nascosta fra le pieghe del lenzuolo. Non aveva paura ad utilizzarla. Sapeva che dolore provocava sui suoi polsi, dove ancora dovevano rimarginarsi gli ultimi tagli, ed alcune cicatrici  piccole cicatrici le ricordavano i precedenti tentativi.

La guardò ancora, rigirandola tra le mani, mentre nella sua mente si faceva sempre più concreta la sua idea.

 

Ormai era calata la sera, e sentiva il rumore della pioggia che batteva sulle finestre…proprio come quel giorno.

La voce di sua sorella maggiore la chiamò. Nascose l’oggetto di ferro e legno per andare a dare il suo silenzioso e triste addio a quelli che le avevano sempre voluto bene e che le erano stati sempre vicini in quel periodo.

Il silenzio attorno al tavolo era allucinante. Quasi surreale, e gli unici rumori che si sentivano erano quelli delle bacchette e delle ciotole quando venivano posate.

Dopo aver finito di cenare, se così vogliamo dire, si alzò, e sotto lo sguardo triste delle persone ancora a sedere al tavolino tornò in camera, e aspettò che andassero tutti a letto…non voleva essere fermata quella volta.

Evidentemente, per sua fortuna, quella sera avevano deciso di andare a letto presto, e quando fu certa che tutti dormissero, silenziosamente, sgattaiolò fuori dalla casa.

Non aveva ombrello, né golf con se…quelli erano oggetti inutili.

Piano piano giunse alla sua meta.

Passò tranquillamente fra le lapidi e i fiori, e finalmente raggiunse il suo obbiettivo. Fissò la lapide, leggendo attentamente gli ideogrammi incisi sopra di essa. Quel nome, inciso su quel freddo pezzo di pietra sembrava in qualche modo diverso, anche se aveva sempre la forza di colpirla al cuore.

*Ranma Saotome*

S’inginocchiò davanti ad essa, appoggiando la fronte alla lunga striscia di pietra, apparentemente uguale alle altre presenti nel cimitero, tenendo una mano tremante sopra di essa.

Un sorriso amaro e carico di tristezza le si formò sulle labbra, mentre formulava chissà quali pensieri.

Baciò poi la pietra levigata e si staccò un . Le ginocchia le affondavano sempre di più nella fanghiglia che si stava formando e i capelli fradici le si attaccavano al volto, mentre le lacrime, che avevano nuovamente iniziato a uscirle dagli occhi, si mescolavano alla pioggia

Tirò fuori dalla gonna la lametta, sguainandola. La pioggia che bagnava la lama. La fissò tristemente. Guardò ancora un po’ la lapide

«Ranma…eccomi»

Mormorò, dopo di che appoggiò la lama al polso, ma quando stava per farla scorrere sul polso una mano…

Non era umana…quelle umane non sono trasparenti. Si girò e…no, non era possibile. Lui era morto come…come poteva essere là?! Ma si certo! Quella era solo un’allucinazione, sì, un’allucinazione causata della febbre che molto probabilmente le stava salendo.

«Akane»

Ma la sua voce era vera.

«Non farlo»

La pregò.

Lo guardò allibita. Ancora non riusciva a credere ai suoi occhi, era impossibile ma…

«Perché»

«Hai ancora molto da vivere. Non permettere che la tua vita finisca così presto…come la mia»

Continuò a fissarlo. Scosse poi la testa.

«No»

riportò poi l’attenzione sulla mano in cui aveva la lama.

«La mia vita è già finita quando sei morto io…non ce la faccio ad andare avanti senza di te »

Tornò a guardarlo.

«questo è quello che credi, ma guardati…hai tutta la vita davanti e…»

«no»

Disse decisa facendolo tacere. Dopo quella parola scomparve, lasciandola lì inginocchiata a terra, con lo sguardo ancora puntato nel punto in cui era sparito…lui aveva sorriso…le era sembrato…no, era solo un’allucinazione, era impossibile che lui fosse lì.

Riappoggiò poi la lama sul polso.

 

La pioggia continuava a scendere copiosa mentre il guardiano, con il suo ombrello nero in mano, stava iniziando a fare il suo giro di controllo. In quel momento lampi e tuoni si susseguirono, stroncando il cielo e illuminandolo a giorno, e fu proprio quando nell’aria rimbombava l’ultimo, la lama scorse sulla pelle, tagliandola.

Akane rimase un po’ a guardare il sangue vermiglio che usciva e cadeva a terra, mischiandosi con il fango, dopo di che cadde a terra anche lei, senza sensi, immersa in un miscuglio di sangue e fango.

 

 

 

« Akane…Akane…»

Questa voce…

Aprì gli occhi trovandosi distesa a terra. D’avanti a lei il suo viso…sbatté più volte le palpebre credendo che quello fosse solo un sogno, o ancora meglio, un’allucinazione, come la notte scorsa al cimitero, certo, probabilmente anche quella volta aveva fallito, e ora, probabilmente, era febbricitante distesa sul letto che delirava, sognando ad occhi aperti di ritrovarsi assieme al suo Ranma, di poter rivedere quei suoi stupendi occhi blu, di sentire la sua voce calda, di sentire il suo tocco...

ma si rese conto che non lo era.

Si mise a sedere guardandosi attorno…dove era? Che era quell’ infinito spazio buio in cui si trovava?

Guardò interrogativamente il ragazzo davanti a lei cercando di avere una risposta.

«Ce l’hai fatta, hai visto?!»

Nella sua voce c’era un tono di rimprovero. Sembrava dire *hai visto?ora che sei riuscita nel tuo intento che speri di fare?* ma poteva anche sentirci una nota di tristezza.

Abbassò lo sguardo.

«ora?»

Chiese timidamente, sempre con il volto basso.

«ora dovrei aspettare»

Questa volta lo disse tristemente.

«aspettare che?»

«Che tu muoia. Non te lo ricordi più? Hai perso molto sangue. Il guardiano del cimitero ti ha vista appena sei svenuta e ha chiamato subito l’ospedale, purtroppo però non credo che abbia fatto in tempo. I medici in questo momento stanno tentando tutto per salvarti ma…»

«Meglio così…»

Rispose.

«Come fai a dire meglio così Akane?come puoi essere contenta di morire?!»

Chiese Ranma arrabbiato.

«Perché era quello che volevo. La mia vita…la mia vita ormai era diventata impossibile dopo la tua morte, e questo era l’unico modo per far cessare quell’inferno».

Il silenzio calò fra loro.

«Baka»

Sussurrò Ranma alzandosi e girandosi.

La situazione s’era invertita.

«Perché…perché ti sei fatta rovinare la vita da me?»

Lei, di scatto si alzò abbracciandolo da dietro, stringendosi a lui.

«perché l’ho voluto io…perché….Mi sono innamorata di un baka che non ha capito che a me importava solo di lui indifferentemente dalla sua situazione, maledizione o meno..»

Di scatto, Ranma si girò, stringendo Akane tra le braccia a sua volta.

«Anche…anche io ti amo»

Disse incerto, con un imbarazzo che fece sorridere Akane, la quale sprofondò il viso nel suo petto

«Non lasciarmi mai più»

Sussurrò felice

«Tranquilla, noi saremo sempre insieme.»

Disse. In quel momento le tenebre attorno a loro svanirono e furono avvolti da un fascio di luce bianca, mentre nel mondo reale, il macchinario che segnava la vita della ragazza segnò improvvisamente una linea piatta verde…

Era morta…

Due vite di due innamorati distrutte…

Ora quelle due vite si erano finalmente riunite per stare insieme… per sempre.

 

 

 

 

  
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