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Autore: Melisanna    21/07/2011    2 recensioni
Un buon medico sa diagnosticare anche i propri mali. E prescrivere una cura.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo studio era arredato con gusto, mobili di legno scuro semplice e seri, nelle cui vetrine erano allineati con ordine gli strumenti di lavoro di Watson: lucidi stetoscopi, misuratori di pressione, aghi e siringhe

Lo studio era arredato con gusto, mobili di legno scuro semplice e seri, nelle cui vetrine erano allineati con ordine gli strumenti di lavoro di Watson: lucidi stetoscopi, misuratori di pressione, aghi e siringhe. In un angolo discreto si trovava il lettino per le visite, opportunamente mascherato da un paravento. Un orologio a pendolo ticchettava dietro alla scrivania.

Watson, schiena dritta e sguardo compreso, tentava di ascoltare l’elenco di sintomi che il suo paziente accusava. Sembrava soffrisse di un qualche tipo di gastrite, ma il dottore doveva ammettere di riuscire a seguire il filo del discorso con estrema difficoltà.

Tutta colpa di Holmes, come sempre.

Voleva sinceramente che la smettesse, una buona volta, di complicargli la vita.

Era riuscito a trasformarlo, da professionista apprezzato e suddito emerito di sua Maestà Britannica, quale era stato fino a qualche anno prima, nello scalcagnato tirapiedi di un investigatore privato di dubbia fama. Si era trovato a fargli da infermiere, cameriere, assistente e guardaspalle. Lo aveva seguito in ognuna delle sue folli avventure, senza lamentarsi, nonostante mai, quello sciagurato di Holmes, si fosse degnato di suggergli in che razza di guai si stessero cacciando.

Si aspettava, ogni volta, che confidasse pienamente in lui, senza spiegare niente, senza mai avvertirlo dei rischi, senza nemmeno concedergli il diritto a fare domande. Non poteva parlare, mentre aveva il dovere di ascoltare le sue infinite orazioni che, comunque, lo lasciavano sempre con l’amaro in bocca e la sensazione che quello che di importante c’era da dire, Holmes lo tacesse. I suoi consigli erano a malapena ascoltati e mai seguiti.

Si sentiva, spesso e volentieri, inutile, un peso morto che Holmes si trascinava dietro senza averne realmente bisogno.

Eppure l’investigatore non gli permetteva di allontanarsi, faceva tutto ciò che era nelle sue possibilità per tenerlo legato, facendo leva sul suo buon cuore, sul suo senso del dovere e sull’affetto che, inevitabilmente aveva iniziato a nutrire per lui.

Maledetto egoista.

Gli negava ostinatamente ogni possibilità di farsi una vita. Accanto a lui, Watson lo sapeva fin troppo bene, non avrebbe mai e poi mai avuto la possibilità di una vita normale. La vita tranquilla, da buon inglese,  da buon medico che si era guadagnato al servizio dell’esercito di Sua Maestà. Voleva degli orari regolari, alzarsi la mattina quando albeggiava e andare a letto presto, avere il suo tè alle cinque esatte, una clientela affezionata, una casa pulita e accogliente e una moglie che lo facesse sentire tranquillo e soddisfatto.

Niente di tutto ciò era minimamente compatibile con un rapporto con Holmes, soprattutto l’ultima parte.  Da quando aveva cominciato a frequentare Mary il suo amico si era fatto sempre più scorbutico e insistente e aveva tentato con ogni mezzo di convincerlo a rompere i rapporti con la fidanzata. Che Mary fosse una persona responsabile, di grande forza d’animo che sicuramente gli sarebbe stata accanto in ogni momento della sua vita, non lo interessava minimamente.

Era solo un maledetto egoista. Lo avrebbe privato di qualsiasi piacere, pur di averlo accanto a sé, a sua completa disposizione. Da lui non c’era veramente da aspettarsi niente.

Eppure, che avesse avuto la faccia tosta di trattare Mary come aveva fatto non se lo sarebbe aspettato. E il suo desiderio di umiliarla era stato tale che aveva preso una totale cantonata nell’analizzare il carattere e la vita precedente di Mary.

Watson non avrebbe mai creduto che i pregiudizi che aveva nei confronti della signorina sarebbero riusciti persino ad annebbiare la lucidità della sua mente razionale. Era stata la prima volta che aveva assistito a un suo fallimento nell’uso della logica.

Non sapeva se era rimasto più sconvolto dalla infantile scortesia di Holmes o dal suo errore madornale.

Mentre cercava di concentrarsi sul suo paziente, il dottore non poteva esimersi dal continuare a interrogarsi intorno all’investigatore. Dalla risoluzione del caso Blackwood erano passate, ormai, quasi due settimane, durante le quali non lo aveva mai visto. Non avrebbe saputo dire se, a trattenerlo dal fargli visita fosse il più che comprensibile sdegno per come aveva trattato la sua promessa, che il dottore aveva accantonato finché il suo amico era stato in pericolo, ma di cui non si era scordato, o l’inquietudine che lo aveva colto, nel momento in cui era stato testimone di quanto la gelosia lo avesse accecato.

Mentre era immerso in queste riflessioni, l’uomo di fronte a lui aveva cessato di parlare e lo fissava con aria di aspettativa che si faceva via via più impaziente alla sua mancata risposta.

Il dottore si riscosse, cercò di ricordare la conversazione appena avuta, ma con fastidio si accorse di non essere in grado di recuperare se non brandelli di informazioni. Dissimulando il disappunto e l’imbarazzo, fece accomodare l’uomo sul lettino e tirò il paravento in modo da nasconderlo alla vista.

“Levativi il cappotto e slacciate la camicia, signor Sunders, se non vi spiace”.

Mentre il paziente si spogliava, Watson lavò accuratamente le mani, distogliendo lo sguardo dal paziente.

Ma Holmes continuava a infiltrarsi fra i suoi pensieri.

Era preoccupato per lui e questo lo irritava. Era adulto e più o meno responsabile, in fondo aveva vissuto diversi anni da solo, prima che lui cominciasse a fargli da balia: non c’era nessun reale pericolo a lasciarlo a se stesso per un po’.

D’altro canto non poteva negare che le pulsioni autodistruttive del suo amico fossero violente e che la sua assenza le esacerbasse. Provava un certo orgoglio e un malsano piacere al pensiero che solo grazie a lui Holmes non si abbandonasse alla sua dipendenza dalle droghe e riuscisse a condurre una vita quasi regolare.

Si chinò sul torace nudo del signor Sunders e cominciò a tastarlo, cercando punti dolenti o gonfiori sospetti.

Doveva pensare anche alla propria autoconservazione, aveva il diritto di essere egoista anche lui ogni tanto, anzi, a ben vedere, non si trattava di egoismo, quanto di semplice buon senso, perché, in fin dei conti, i rischi a cui andavano incontro continuando a frequentarsi assiduamente come avevano sempre fatto, erano peggiori di quelli a cui Holmes andava incontro costretto ad arrangiarsi da solo.

Per quanto si trattava di lui, Watson, non erano nemmeno paragonabili. A stargli alla larga, aveva solo da guadagnarci.

Il rapporto fra loro due travalicava la semplice amicizia. Era qualcosa di morboso. Non era in grado di giudicare, per quello che riguardava i sentimenti di Holmes, ma per quello che riguardava i suoi erano qualcosa che andava ben aldilà della morale e del comune buon senso.

Era completamente succube di lui, da sempre. Non poteva rifiutargli niente.

Quando questo si era trasformato in ciò che provava adesso nei suoi confronti non ne era certo, ma era assolutamente certo che fosse giunto il momento di sottrarsi alla sua influenza. Anche per questo, o forse soprattutto per questo, aveva cominciato a frequentare Mary. Se fosse stato altrimenti, sospettava che le attrattive della vita casalinga non gli sarebbero parse altrettanto allettanti; ma da quando si era reso conto di come si era trasformata l’influenza che esercitava Holmes nei suoi confronti aveva saggiamente deciso di mettere un anello matrimoniale fra sé e le sue tentazioni.

Holmes era imprevedibile e geniale, strafottente e affascinate, agile come un gatto alla bisogna e al tempo stesso irrimediabilmente goffo la maggior parte del tempo. Lentamente si era appropriato di tutti i suoi pensieri, di tutte le sue emozioni, di tutta la sia vita. Il dottore avvertiva un brivido scivolargli lungo la spina dorsale, mentre realizzava quanto Holmes si fosse impresso nella sua anima. Ricordava tutto di lui, gli bastava chiudere gli occhi per vederlo, distrarsi un attimo per sentire la sua voce. Riconosceva ogni sua inflessione, conosceva ogni suo gesto.

Non era così sciocco, né così ingenuo da non riconoscere i sintomi. Aveva avuto in cura diversi pazienti che manifestavano la medesima ossessione e sapeva perfettamente cosa significava. Poiché aveva riconosciuto il suo male con facilità, questo era cresciuto in fretta.

Talvolta si domandava cosa sarebbe accaduto se lui non avesse cominciato a sospettare dei propri sentimenti. Forse non avrebbe mai cominciato a pensare a Holmes in quell’ottica. Forse non si sarebbe mai trovato a studiarlo con avidità, da dietro il suo sguardo grigio e indifferente, non si sarebbe mai scoperto a chiedersi che consistenza avessero i suoi arti scolpiti, che odore la sua pelle, che sapore la sua bocca. Invece era vittima di una passione bruciante che solo l’abitudine a una discrezione esercitata fin dall’infanzia gli permetteva di nascondere.

Watson si era sempre giudicato un uomo profondamente etico. Aveva più volte superato i limiti della legalità, soprattutto in compagnia di Holmes, ma aveva sempre rispettato quelli della sua morale personale. Quello a cui adesso anelava, invece, non solo era illegale, ma anche decisamente immorale.

Da persona concreta e razionale qual’era, si era spesso chiesto se l’omosessualità fosse a ragione considerata un peccato contro Dio e una grave malattia della società e spesso si era risposto che quei poveretti facevano del male solo a se stessi. Comprenderlo negli altri però era decisamente più facile che accettarlo per quanto riguardava se stessi. Watson non era mai stato un critico tenero dei propri peccati e quello che perdonava negli altri, lo condannava in sé.

E quello che lo legava a Holmes era qualcosa di crudele e perverso che lo spaventava persino, con cui non riusciva a venire a patti.

Quando Holmes, solo un paio di settimane prima aveva giocato con il suo anello di fidanzamento e lo aveva accusato di volerlo abbandonare, era stato travolto da un’onda di rabbia bruciante che non credeva di poter provare. Per la prima volta nella sua vita, si era trovato a chiedersi se la sua forza fisica e la sua abitudine al corpo a corpo, sarebbero bastati per aver ragione delle capacità boxistiche di Holmes. Aveva desiderato afferrargli i polsi, torcerli fino a fargli male, male davvero, nel modo in cui un medico sa di poter far male. Di prenderlo per la gola e stringere finché non gli avesse spezzato il respiro e ascoltarlo annaspare inutilmente per l’ossigeno. Aveva desiderato morderlo, non baciarlo, morderlo per vedere il suo sangue, per  trasmettergli quella furia devastante, quella sofferenza crudele che non poteva alleviare, perché capisse e soffrisse con lui, egli che era sempre inconsapevole di tutto.

In modo simile e differente, gli era capitato, durante gli incontri di boxe di Holmes, di desiderare che, per una volta, uno dei suoi incapaci avversari, lo mandasse a terra con la mandibola frantumata e un paio di costole fratturate. Non per poterlo assistere, aveva già fin troppe occasioni per assisterlo inabile e sofferente, ma il piacere sadico ed estetico che era certo che la vista del corpo leonardesco del collega, infranto e macchiato di sangue gli avrebbe dato.

L’attrazione per Holmes sembrava inevitabilmente declinare in una lussuria seviziosa e inquietante, inevitabilmente peccaminosa, ragion per cui aveva fatto di tutto per allentare il legame che li stringeva e per gettare acqua sul fuoco dei suoi sentimenti.

Fino a quel momento, però, c’era sempre stato qualcosa che aveva semplificato le circostanze: la convinzione che Holmes non lo ricambiasse, che fosse troppo concentrato su stesso per poter provare qualsivoglia genere di sentimento per un altro.

Cogliere l’ampiezza della sua gelosia, aveva improvvisamente offerto al dottore un’altra prospettiva: se esisteva la possibilità che il suo collega non lo rifiutasse, Watson non era affatto sicuro di essere in grado di resistere.

Quindi non restava che troncare, allontanarsi da lui definitivamente, o almeno finché entrambi non avessero recuperato il lume della ragione.

Non desiderava rischiare di soggiornare in qualche cella, ma soprattutto non voleva perdere il rispetto che aveva di se stesso.

Holmes non conosceva il significato della parola buonsenso e Watson aveva avuto fin troppe evidenze della totale incapacità dell’amico di resistere a qualsiasi tentazione. Stava a lui decidere per entrambi e per entrambi era un bene che si allontanassero.

Anche se allontanarsi da Holmes era doloroso come strapparsi un braccio.

Il paziente sussultò, mentre lo palpava con eccessiva energia e Watson si affrettò a scusarsi, vergognandosi del modo in cui si era lasciato distrarre dal suo dovere, lui sempre così responsabile. Una dimostrazione in più di quanto certi sentimenti non portassero altro che problemi. Il pensiero di Holmes, non avrebbe dovuto turbarlo al punto di distrarsi durante una visita. Il pensiero di nessuno, uomo o donna, avrebbe dovuto avere tanto poter su di lui.

Il dottore si concesse alcuni secondi per chiudere fuori dalla mente i pensieri che tanto lo turbavano, quindi riprese a palpare il paziente con delicatezza. Ritrovata la concentrazione, diagnosticare il problema e chiudere la visita fu questione di pochi minuti. Eppure fu per Watson una delle più grandi fatiche che si fosse trovato ad affrontare.

Più desiderava allontanarli, più i ricordi, i dubbi, i desideri lo braccavano.

Era una parola difficile, dolorosa, perfino orribile, ma la verità era che lo amava. Lo amava in un modo in cui era convinto di non poter amare nessun altro, sicuramente non Mary.

Apprezzava Mary, la stimava, le voleva bene, molto più che a Holmes, ne era sicuro, ma solo per lui provava quel desiderio implacabile, solo l’assenza di lui lo faceva sentire così solo.

Ed era sicuro che, contrariamente a qualsiasi evidenza portata dalla logica e dall’esperienza, una volta perso Holmes, si sarebbe sentito solo per sempre.

 

 

 

  
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