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Autore: SunshineEmily    21/07/2011    7 recensioni
Quando si è bambini la vita è un’imponente novità, il mondo è un parco giochi immenso dove potersi perdere mille e più volte; quel mondo a suo tempo aveva osservato dall’alto anche te Blair, piccola Principessa di Park Avenue dagli occhi grandi e tristi, con quella sua faccia da schiaffi altezzosa e smaliziata.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Just a child.
Autore: SunshineEmily
Personaggi: Blair Waldorf; Chuck Bass
Rating: Verde
Summary:Quando si è bambini la vita è un’imponente novità, il mondo è un parco giochi immenso dove potersi perdere mille e più volte;  quel mondo a suo tempo aveva osservato dall’alto anche te Blair, piccola Principessa di Park Avenue dagli occhi grandi e tristi, con quella sua faccia da schiaffi altezzosa e smaliziata.
Note dell’autore:
Nota1: “Testolina boccolosa”, tenevo a farvi sapere che questa meravigliosa espressione, ahimè, non è opera della mia testolina boccolosa ma è stata, per così dire, “partorita” dalla geniale mente di Tuccin ( Kat <3), che ringrazio vivamente per avermi permesso di inserirla in questa breve shot.
 Credo non ci sia molto da spiegare, forse una minima difficoltà nella parte finale? No, suppongo che anche quella non vi creerà problemi. Sono comunque disponibilissima a chiarire, come sempre, incomprensioni e dubbi vari. Commenti e critiche, se costruttive, sono entrambi ben accetti.
Vi auguro una piacevole lettura^^

 

Just a child.

 

 


 

Quando si è bambini la vita è un’imponente novità, il mondo è un parco giochi immenso dove potersi perdere mille e più volte; quel mondo a suo tempo aveva osservato dall’alto anche te Blair, piccola Principessa di Park Avenue dagli occhi grandi e tristi, con quella sua faccia da schiaffi altezzosa e smaliziata.

Non ti piaceva quello sguardo costantemente fisso su di te, sempre pronto a condannare i tuoi errori, privo di comprensione e affetto; a sei anni credevi che i suoi occhi fossero celesti, un celeste che differiva parecchio da quello delle iridi di Nate, un celeste che di celestiale non possedeva nulla, un celeste limpido, quasi trasparente, e freddo, quasi fosse ghiaccio.

Il mondo aveva gli stessi occhi del padre di Chuck.

Il padre di Chuck, l’uomo con la camicia inamidata e la cravatta stretta che gli serrava la gola, ti chiedevi spesso come riuscisse a respirare, come riuscisse a sopportare l’orribile sensazione di avere un cappio intorno al collo.

Il padre di Chuck, l’uomo più ricco di Manhattan, ma anche all’apparenza il più povero di sentimenti.

Il padre di Chuck, l’uomo che Chuck non ha mai chiamato papà ma solamente Bart.

“Perché chiami tuo padre per nome, Chuck?”

“Lui non gradisce che io lo etichetti come mio padre.”

Ricordi quanto ti fosse sembrata folle quella risposta, ricordi il suono di tanti campanellini che, incessantemente, avevano preso a rimbombare nella tua testolina boccolosa1 alla ricerca di una spiegazione razionale a quel comportamento, a quell’ostilità da parte di entrambi, ma soprattutto di Bart, nel creare un rapporto reale, un rapporto normale.

 

Non hai avuto un’infanzia perfetta, Blair, ma nonostante le parole scontrose di tua madre e i piccoli screzi che solevano esserci tra i tuoi genitori, hai avuto un’infanzia, tu sì.

E indubbiamente ora non ricordi tutti i giorni di quel periodo della tua vita come meravigliosi, ma sai che ogni qual volta torneranno a vorticare nella tua mente le tue labbra si stenderanno in un nostalgico, dolce sorriso.

Quel genere di sorriso che fa apparire tutti un po’sciocchi, il sorriso di un bambino che gioioso e soddisfatto colora un disegno con dei pastelli variopinti, il sorriso che, durante gli anni più belli, non aveva mai sfiorato il volto di Chuck.


 

Non eri una bambina allegra e esuberante come Serena certo, ma ogni tanto regalavi una risata per una barzelletta assolutamente non divertente (ma non volevi ferirlo constatando quell'amara realtà) di Nate o per una rovinosa caduta di Dorota che invano tentava di starti dietro quando correvi dalle tue amate papere a Central Park.

Chuck no.

Chuck trovava le barzellette di Nate stupide (su questo non potevi contraddirlo), disprezzava gli animali, qualsiasi tipo di animale, e la maggior parte delle volte preferiva essere lasciato solo, completamente solo, privo perfino della compagnia del migliore amico Nate.

Era generalmente in quegli scomodi frangenti che apparivi tu, Blair, incurante delle offensive parole e delle occhiate torve che ti sarebbero state rivolte, perché sapevi bene che trascorsi cinque minuti Chuck avrebbe chiuso la bocca e smesso di guardarti, si sarebbe perso nel suo dolore intento a scrutare un punto indistinto davanti a sé e, ostentando indifferenza, avrebbe ascoltato ogni singola parola del medesimo discorso che avevi preparato per lui.  Ci sarebbe senz’altro stata una frase nella tua arringa che l’avrebbe colpito e in quel momento sapevi che avrebbe puntato i suoi occhi, troppo scuri per somigliare a quelli del padre e troppo penetranti per permetterti di fissarli a lungo, nei tuoi, rivolgendoti  così un tacito ringraziamento per essere venuta ancora una volta a rimettere insieme i cocci della sua vita.

Perchè sapevi bene quanto Chuck ne avesse bisogno.



 

A undici anni Chuck era già un bambino cresciuto troppo in fretta, un bambino che aveva bruciato la maggior parte delle tappe troppo rapidamente, un bambino che ancora non sapeva cosa volesse dire sorridere, cosa volesse dire amare.

Dall’esterno Chuck era visto come un essere spregevole, un rampollo viziato e cresciuto nella bambagia,  uno che dalla vita a diciassette anni aveva già avuto tutto, persone che parlavano senza sapere che a Chuck erano stati negati i doni più grandi: la presenza di una madre e l’amore di un padre.

A Blair bastava guardare nei suoi occhi sconsolati per leggervi dentro tutta l’ira e lo strazio che sguazzavano anche nei suoi, tutta la frustrazione e l’amarezza per quel non essere mai abbastanza per le persone più care.


 

Oggi Chuck ha venti anni, ha imparato a sorridere grazie a lei, e sporadicamente il suo io bambino fa la sua comparsa.

Il Chuck bambino è nel largo sorrisone che rivolge a Blair quando la vede comparire nella suite dell’Empire con un mazzo di peonie rosa, il mazzo di peonie rosa, tra le mani delicate prive di guanti.

Il Chuck bambino è in quel sorriso di sollievo nel sapere che la sua Blair non è andata a letto con Jack, è il suo sorriso spontaneo nel sapere che nulla è accaduto, nulla è stato contaminato, la falsa convinzione di un bambino che dopo aver rotto un prezioso vaso di cristallo crede che verrà esonerato dal ricevere una punizione perché nessuno è rimasto ferito.

Il Chuck bambino non si mostra frequentemente e quando lo fa si concede alla vista di una sola persona, colei che è sempre stata la sua unica eccezione.


 

Ti sentivi onorata di tale privilegio, Blair, adoravi sentirti speciale, l’unica a conoscere quella parte vulnerabile ma radiosa che Chuck celava a chiunque altro non fossi tu, quel sorrisone che era solo per te.

E adesso che sei distesa tra le morbide lenzuola di seta, il braccio destro di Louis a cingerti la vita, una lacrima salata scende giù a giustiziarti la guancia lievemente accaldata per via dell’elevata temperatura di luglio, una lacrima che scivola velocemente fino ad arrivare ad insinuarsi tra le tue labbra dischiuse, una gocciolina dal gusto agrodolce.

 L’asprezza dell’ignoranza che per te, minuscola e insopportabile saccente, brucia come il sale su una ferita aperta, accostata alla dolcezza del tuo carezzare amorevolmente da ormai tre settimane la tua pancia; una felicità rigogliosa nell’eventualità di poter vedere ancora una volta quel bambinesco, adorabile sorriso.
 

 
Fine. 

 

  
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