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Autore: Phai___    22/07/2011    1 recensioni
Una ragazza, con un'altra se stessa più aggressiva e omicida di lei.
La perdita di un caro, una strage. E il rischio di essere condannati alla forca.
One-shot scritta per il contest "Prigionieri di un Incubo".
Genere: Drammatico, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oh, Lord! Save me...


La lama affonda nella carne, uno schizzo di sangue mi macchia il viso, l'uomo davanti a me cade al suolo con il viso distorto in un urlo muto di orrore e dolore.
Era l'ultimo, fortunatamente. Finalmente. Uso la mia spada come appoggio per non crollare accanto a quel cadavere. La uso come bastone per arrivare fino al fiume che attraversa la radura in cui sono. Sono stanca: è tutta la notte che combatto e sono completamente ricoperta di sangue. Mi cedono le gambe e neanche il mio bastone improvvisato riesce a tenermi in piedi. Cado bocconi nell'acqua, che si tinge di rosso dopo pochi secondi. Con la poca forza che mi rimane, faccio forza sulle braccia per mettermi in ginocchio, dopodiché inizio a lavarmi le braccia ancora sporche di sangue. Chissà perchè il fatto di aver ucciso tutta questa gente non mi turba per niente, adesso. È sempre stato così e non ne ho mai capito il motivo. Ma sta volta c'è un chiarissimo motivo: Lui è steso, morto vicino agli altri e loro dovevano pagare per quello. Per vendicarlo ho fatto la cosa che mi riesce meglio: uccidere. Adesso ha, ho, avuto la sua vendetta e posso piangere la sua morte.
Dopo aver finito, mi specchio sul riflesso dell'acqua e mi sorprendo di notare una cosa che mai avevo notato prima: i miei occhi sono divenuti di un rosso particolarmente acceso. Resto ancora a guardare la mia immagine quando a un tratto i miei occhi si scuriscono gradualmente fino a ridiventare del loro colore naturale.
È l'ultima cosa che vedo prima di svenire stremata nel fiume.

Hang me down
By the river bad
With the other dead



Le membra intorpidite e riposate mi dolgono appena mi risveglio. Socchiudo gli occhi, ancora un po' annebbiati dal sonno, sbatto le palpebre, riuscendo però a vedere poco di quello che mi circonda. Sono in una gabbia, coperta da un telone e dai sobbalzi sembra che sia sollevata da terra e portata in spalla da degli uomini. Anche se non capisco perchè sono qui, non mi agito. Sono sempre stata una persona piuttosto calma e non mi faccio prendere dal panico facilmente
Non riesco subito ad abituare gli occhi, ma riesco, a tentoni, ad avvicinarmi alle sbarre. Cerco di tirar su il telo nero: riesco a sollevarlo solo di poco e a vedere qualcosa: gente vestita con abiti antichi e consumati ai bordi della strada, lanterne, capanne ai lati della strada e infine, abbassando lo sguardo, vedo un suolo sterrato. Intuisco che siamo ancora fuori dal paese, in periferia. Faccio ricadere la tenda e mi appoggio alle sbarre chiudendo nuovamente gli occhi per ricordare cos'è accaduto prima di venire rinchiusa.


Sangue.

Vendetta.

Lui è morto.

Assassini.

Cadaveri.

Spada.

Rosso.

Fiume.



Oh, adesso ricordo benissimo! Eccome se ricordo! LORO hanno ucciso l'unica persona a cui tenevo, l'unica persona che avevo al mondo e che si prendeva cura di me, che mi aiutava quando le crisi si facevano presenti e hanno, finalmente, avuto la punizione che meritavano. Ma adesso sono nelle mani dei loro compagni e non posso e non voglio rivedere il loro re. Il mio orgoglio ne risentirebbe e sta volta quest'uomo non mi salverà, non mi salverà di nuovo. In passato, quando Lui era ancora vivo, mi aveva salvato dalla forca solo per fare un favore al mio uomo, Robert. E ora che
lui è morto non lo rifarà, soprattutto se questo bisogno di vendetta, questo desiderio di tenere in mano una spada, questa voglia sangue e crudeltà non si smorza. Anche se può non sembrare, dato quello che ho fatto, io sono molto cosciente delle mie azioni, la cosa strana e anormale è che non riesco a controllarle. So benissimo che quando ho queste “crisi” i desideri di cui parlavo prima si fanno presenti con prepotenza, ma anche se lo so, e oh, come lo so!, non riesco a fermare il mio corpo ed è proprio spinta da queste emozioni che adesso sto assalendo le sbarre per cercare di uscire. Vista da occhi esterni questa reazione può essere animalesca e infatti lo è, ma gli esterni non sanno come la mia mente combatta contro questa parte del mio essere, come cerchi di sopraffarla. Ci provo anche se so che vincerà sempre lei, che la “parte sana”, la parte che articola questi pensieri strani e contorti non riuscirà a prendere il potere perchè troppo debole. E lo è sempre di più dopo la “nostra” perdita, non reggerà un confronto, si lascerà sicuramente sottomettere...E in questo momento è successo quello che mi aspettavo e che mi aspetterò anche per il futuro: la parte selvaggia insorge.
Assalgo le sbarre cercando di piegarle o di spezzarle, per uscire da questa gabbia che mi separa dal mio obbiettivo. La gabbia vacilla, poi gli uomini si fermano e la poggiano a terra. Il telone viene alzato e la luce di una lanterna a pochi centimetri dal mio viso mi fa saltare indietro. Un debole ringhio sale dalla mia gola con l'intenzione di spaventarlo, ma la sua espressione è impassibile, fredda e cattiva. Incurante del fuoco mi riabbatto sulle sbarre, scuotendole tanto da farlo almeno indietreggiare almeno un po'. Ma non dura a lungo la sua faccia si riavvicina ancora di più, senza paura alle sbarre, facendosi sempre più vicina alla mia.


- Morirai presto. Mettiti l'anima in pace e prega perchè i tuoi peccati siano perdonati.-




Ringhio un “Non ne ho bisogno” un più forte e a quel punto riabbassa il telone riabbandonandomi all'oscurità. La parata verso il patibolo continua straziante. Le sue ultime parole fecero calmare la parte aggressiva che in quel momento stava mi stava facendo perdere del tutto il controllo ed emerse la parte più placida. Sono spaventata a morte. La mia solita calma è andata tutta a farsi benedire dopo questi ultimi eventi. Rischio la vita di nuovo. Il respira aumenta e si fa affannato dopo quest'ultima costatazione. Adesso che posso analizzarla bene, la trovo più terribile di prima, anzi di sempre. E man mano che il tempo passa la parola “Fine” si fa sempre più grande nella mia testa, mozzandomi completamente il respiro. No, no, no, no! Non posso morire prima di arrivare al palazzo, prima di avere la certezza della mia sentenza! NO!
Sono questi pensieri che mi permettono di calmarmi almeno un po' per provare a fermare l'attacco di panico. Metto la testa fra le gambe coprendola con le braccia per poi respirare profondamente e a lungo. Il respiro comincia a farsi sempre più calmo, fino a quando la situazione non si ristabilizza.
Ho bisogno di pensare a mente lucida, senza nessun istinto che posso disturbarmi.
Solo quando ho ripreso la calma, riesco a notare i particolari che prima in preda al panico, alla rabbia e a tutte le altre emozioni non avevo notato. La gabbia è di ferro, ha una forma quadrata e sul pavimento c'è uno straccio bianco sporco e pieno di terra, accanto a me una ciotola d'acqua. I miei vestiti sono completamente strappati e sudici, i capelli ancora incrostati di sangue. Sono in condizioni pietose, se vogliamo aggiungere anche le varie ferite da taglio sulle mie braccia e sulle mie gambe. Sento un bruciore anche sulla guancia destra, quindi è possibile che sia tagliata anche in quel punto. Gattono verso la ciotola e, mettendo le mani a coppa, porto un po' d'acqua al viso per lavarlo. Poi mi avvicino nuovamente alle sbatte controllando se c'è qualche modo per uscire o per vedere cosa c'è fuori. Trovo uno strappo nel telone, tiro per allargarlo e poi avvicino il volto al foro iniziando a vagare con lo sguardo: stiamo entrando nel centro cittadino, le capanne si sono sostituite a casa di pietra, la ghiaia ha lasciato il posto a dei san pietrini, la gente è ancora in piedi ai lati delle strade e guarda la mia prigione con disgusto e rabbia, ai lati della gabbia non c'è nessuno, ci sono solo quattro persone, due davanti e due dietro, che mi portano al patibolo. All'improvviso, prima che io posso allontanarmi, lo stesso uomo di prima mi si para davanti. Con quegli spilli scuri mi scruta per qualche secondo, spaventata faccio un balzo indietro. Quest'uomo sembra maligno, probabilmente lo è, sembra una persona cattiva, probabilmente la più cattiva che io abbia mai incontrato, eppure continua a predicare il perdono dei propri peccati e l'assoluzione se ammettiamo di aver sbagliato. Anche adesso resta accanto alla tenda a ripetere come un mantra le frasi “Pentiti” e “Avrai il perdono”. Vorrei rispondergli, ma non ho voglia di rincontrare i suoi occhi scuri e severi. Mentre parla, il cammino continua e ci facciamo sempre più vicini; sento le voci delle persone che in piazza aspettano l'arrivo del carnefice alla forca. Ci avviciniamo sempre di più, sempre di più, fino a quando le urla arrabbiate non sono che a un metro di distanza da me. Ma perchè, mi chiedo, loro sono arrabbiati? I loro mariti, i loro fratelli, i loro amici, i loro figli, i loro parenti non hanno ucciso il mio Robert? L'hanno fatto! E non dovevano essere puniti come loro ritengono di dover punire me? Non capisco perchè per loro dovrebbe essere diverso e non condivido per niente questo pensiero. La “mia parte” di mente deve aver acquistato stabilità, perchè Diva (così l'ho chiamata) non si fa più sentire, o almeno per ora.
Prima di entrare nel palazzo reale, l'unica cosa a cui penso è che spero fortemente che l'altra me non mi dia fastidio durante il colloquio con il sire, con il loro Lord. Spero di aver recuperato abbastanza lucidità per parlare con lui tranquillamente. Continuo a sperare fino a quando con un botto la mia gabbia atterra al suolo malamente. Il colpo mi fa praticamente volare dall'altra parte dell'abitacolo facendomi sbattere piuttosto violentemente contro le sbarre della parete opposta.


- Ehi! Ma cosa vi è preso?!?!- chiedo decisamente irritata da quest'arrivo piuttosto violento.




Non ottengo nessuna risposta e non perdo tempo provando a intrattenere un dialogo. Sbuffo e mi risiedo comodamente sul pavimento, per quanto potrebbe essere comodo il pavimento, certo. Poco dopo “l'uomo cattivo” apre solleva il telone e apre la prigione spostandosi di lato per farmi uscire. Gattonando esco, esitando leggermente per poi alzarmi in piedi e stendere finalmente le gambe intorpidite e doloranti. Mi appoggio, per tenermi in piedi, a quello che è stato il mio “rifugio”. Provo a fare un passo, ma le mie gambe sono ancora deboli e rischio di cadere per terra. Dopo un paio di tentativi riesco a mettere un piede dietro l'altro e ad avanzare zoppicando. Subito vengo circondata dalle guardie che si posizionano come una barriera intorno a me, per proteggere me e i cittadini, suppongo. Mentre ci addentriamo nel palazzo mi convinco che lo scudo è più per proteggere loro che me, ma non mi urta più di tanto. Le guardie che mi circondano sono imponenti omaccioni, decisamente più alti di me che non mi permettono di vedere cosa c'è dall'altra parte. L'unica cosa che vedo sono i mattoni grigi dalla quale sono composte le mura, le lanterne appese al muro e gli stemmi che sormontano gli archi sotto la quale passiamo per arrivare alla Sala Grande. Mi accorgo che siamo arrivati solo quando, all'improvviso, ci fermiamo, dopodiché le due guardie che stavano ai lati della porta si fanno avanti per spalancarla. Avanziamo ancora di pochi passi per poi fermarci di nuovo quando la porta si chiude.


- Fatela venire avanti.- ordina una voce bassa e ruvida, così familiare. Quante volte l'ho sentita nel corso di questi anni.




È stato il proprietario di questa splendida voce a far cadere le mie accuse e a congedarmi con il consiglio di non commettere più stupidaggini. E adesso so benissimo che niente sarà come quella volta. Glielo avevo promesso e non ho mantenuto quella promessa, anche se io non ritengo, gli ultimi fatti, delle stupidaggini. Per questo mi sento giustificata. Non credo che questo varrà anche per loro. E ne sono sempre più certa ad ogni secondo che passa.
A quell'ordine, la “protezione” che mi circondava si apre ed è allora che posso vedere il volto pallido del loro Sire. E mi stupisco della bellezza che caratterizza quel volto un po' troppo magro. Non ricordavo tanta bellezza ed eleganza nei lineamenti. Non ricordavo quelle palle di vetro azzurro splendente, quegli occhi di un azzurro cangiante che assomigliano tanto al cielo e al mare. Una fusione perfetta di quei due colori ha dato vita a quelle preziose pepite che adesso mi scrutano...leggermente deluse.
Inizia lui la conversazione.

- Inutile dire che non mi aspettavo di rivederti. Pensavo di essere stato chiaro.- dice freddo come il ghiaccio.




Anche i suoi occhi sono divenuti di ghiaccio, ora, e mi scrutano più profondamente di prima cercando di capire almeno in parte il mio essere. Una sola persona c'era riuscita veramente e i suoi uomini avevano fatto in modo che io non l'avessi più. Perché avrei dovuto tener fede alla promessa fatta tempo fa, se era lui, anzi i sudditi del suo regno, a fare in modo che io la rompessi??
Non accetto e non capisco quella luce nei suoi occhi, ma non voglio chiedere o dire qualcosa che lo possa far arrabbiare sul serio. Spero ancora di salvare la mia vita, magari dandogli una spiegazione soddisfacente. Dubito molto di questa specie di piano, ma non vedo nessun'altra soluzione.


- Era chiaro.- dico solo.


- E allora perchè sei qui davanti a me ad aspettare una mia sentenza?- chiede sollevando le sopracciglia.


- Non mi aspetto niente da te. Sai bene perchè sono qui, hai ordinato tu ai tuoi uomini di portarmi al tuo cospetto.- rispondo.- Mi sbaglio?-


- Non ti sbagli, Isabelle. È vero, ti ho fatto portare io qui, ma sei troppo intelligente per non capire il perchè.- continua alzandosi dal suo trono dove era stato seduto per tutta la conversazione.


- Oh, credimi lo so benissimo ed è anche per questo che non ho opposto troppa resistenza. Anche tu sai. E sai che sarei riuscita a scappare, se solo avessi lasciato che Diva prendesse il controllo .-


- E ovviamente tu sai anche come andrà a finire. In cosa speri, a questo punto?-




Mentre parla si avvicina e adesso è a pochi metri di distanza da me.


- Difficile da dire, Lord Jared. Una parte di me, quella più orgogliosa, ti direbbe di andare al diavolo e che non mi serve la tua misericordia, l'altra implora di salvarmi dalla forca, come feci anni fa. Tu che mi suggerisci?-




C'è un rapporto strano fra noi. Anche se odio vederlo, perchè è sempre indice di guai, è un piacere avere davanti agli occhi il suo volto e i suoi occhi. E scherzo con lui e lo prendo in giro, cose che altre persone, in questo palazzo e fuori, non avrebbero mai potuto fare. Un' altra specie di privilegio è quello di dargli del “tu”, il che indica l'intimità, seppur relativamente poca, del nostro rapporto. Forse è l'unica persona che può farmi sentire meglio dopo la Sua morte, ma il dato di fatto che sono stati i suoi uomini e che lui è pronto a mandarmi a morire, non aiutano e non lo mettono in buona luce.


- Sai per il tuo bene, io ti suggerirei la seconda.-


- Non credo più che sia solo per il mio bene.- rispondo con tono tagliente.- Perché l'hai fatto?-


- Fatto cosa, Belle?- chiede quasi con una punta di fintissima innocenza.


- Lo sai benissimo. Sai sempre tutto e sai sempre quello che accade nel tuo regno.- rispondo sprezzante.


- Non l'ho ordinato io.- dice arrendendosi.- Te lo posso anche giurare. Sono cosciente di quello che è avvenuto, ma non gliel'ho ordinato io.-


- E se io non volessi crederti?- chiedo sempre più diffidente.


- Oh, è una tua scelta. Comunque il fatto che Robert sia morto non ti giustifica della strage che hai fatto, lo sai questo.-




Non rispondo, mi limito ad annuire. Lo sapevo, oh, come lo sapevo!, ma non posso farci niente. Non riesco a fidarmi. No ha impedito che lui morisse, lo sapeva e non l'ha impedito. E inoltre, non vuole nemmeno provare ad aiutarmi. Non mi giustifica come speravo che facesse ed è pronto a condannarmi a morte.
E sono davvero divisa in due: vivere con il dolore della sua perdita o morire, raggiungendo Robert per essere felice con lui.
Poi mi ritornano in mente le sue parole prima di morire: << Vivi. >>
Disse solo questo, ma per me ha un grandissimo significato. Abbandono ogni brandello di dignità e orgoglio, anche se è dura, molto dura, e mi avvicino ancora di più a Jar. I nostri corpi sono distanziati solo da pochi centimetri, il mio viso accanto al suo, la mia bocca all'orecchio.


- Sai quanto mi costa dirlo, ma fa qualcosa. Se quello che c'era tra te, Rob e me, quel nostro rapporto particolare, conta davvero, aiutami. Salvami di nuovo. Salvami! Se non vuoi farlo per me, farlo per Robert, anzi per la sua memoria.- inizio trattenendo il fiato.- Non credo capisca quanto mi sia difficile, ma...ti...- esito, espirando ed inspirando per prendere coraggio.- Ti prego. Salvami, Lord. Salvami, Jared.-



Save me,
Save me.
Save...
OH, LORD!
Save me, again.



- Belle, credimi, ti prego, cedimi, vorrei salvarti. Credimi! Lo vorrei con tutto il cuore.-



Please...Believe me!



In quel momento ha un tono così supplicante che resto ad ascoltando sperando che la riposta che seguirà sia positiva. Spero e spero fino a quando lui non si decide a sperare.


- Ma...-


“C'è sempre un “Ma” penso un secondo prima che le parole sgorghino dalla sua bocca.


- Non posso, bimba, non posso. Devo onorare il mio popolo, fargli capire che sono con loro. Non posso lasciare libera la donna, la ragazzina, che ha ucciso i loro parenti, i loro amici, i loro vicino. Lo capisci? Si rivolterebbero e sarei io quello a finire sulla forca poi. Ti prego, credimi, non ho altra scelta.-




È in quel momento che le mie speranze si infrangono, si rompono, come uno specchio. In qualche modo me lo aspettavo e non posso dargli torto. Lo supplico ancora una volta.


- Oh, Lord. Salvami. Davvero non puoi fare niente, Lord? Davvero non puoi salvarmi?- chiedo sconsolata e abbattuta.


- Piccola, mi dispiace. Non posso fare niente. Credimi vorrei, ma non c'è niente da fare.- dice stringendomi a sé. - Perdonami, credimi, vorrei, ma non posso.-




È questo che ripete mentre mi porta personalmente al patibolo, tra le urla furiose della folla. Ad un tratto tutto si ammutolisce e sento solo la sua voce.

I will die
without the sound

Anche quando mi inginocchio davanti alla ghigliottina. Anche quando mi fermano la testa contro il legno. L'unica cosa a cui penso è: Robert sto venendo da te! Perdonami, non sono riuscita a vivere.
Il boia scioglie la corda che ferma la lama ed ella si abbatte sul mio collo. BOOM!
Nero. Buio.
Vuoto. Il nulla.






[Nda]
Ciao a tutti, ragazzi!
Questa storia l'ho scritta per un concorso istituito su Facebook dalla Page "Le 999 cose che la gente non sa degli scrittori".
Il contest era intitolato "Prigionieri di un incubo".
Non credo che ci siano altre spiegazioni che io possa dare, a parte il fatto che i nomi sono inventati e non si riferiscono a nessuna persona in particolare. XD

Fatemi sapere cosa ne pensate :D
Grazie mille <3
Bacioni :*
Alla prossima

   
 
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