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Autore: Gweiddi at Ecate    22/07/2011    3 recensioni
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Sequel di "Sorridi oltre il vetro"
"Damon non ricordava esattamente l’ultima volta che aveva visto suo fratello; avrebbe potuto essere stata due mesi fa come anche un anno. Era da parecchio che lo scorrere del tempo aveva smesso di interessargli, così come tante altre cose."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Damon/Katherine, Elena/Stefan, Katherine/Stefan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ha fatto la sua scelta'
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scritta per il TVG festival al prompt Damon/adult!Elena/Stefan #"Ho sentito che Elena ha avuto un bambino"

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Sei come fumo negli occhi






Damon non ricordava esattamente l’ultima volta che aveva visto suo fratello; avrebbe potuto essere stata due mesi prima come anche un anno. Era da parecchio che lo scorrere del tempo aveva smesso di interessargli, così come tante altre cose.
A volte si guardava indietro e rimaneva tanto amareggiato quanto stupito da come lui e la sua vita fossero cambiati in centosessanta anni, anno più, anno meno.
Era stato un giovane ingenuo, un vampiro stupito, arrabbiato, rancoroso, dilaniato, depresso, redento, l’ombra di se stesso, un miracolato… e infine era arrivato a quel punto lì, e chissà chi e cosa sarebbero stati capaci di cambiarlo ancora.
Una volta, tuttavia, aveva sentito un uomo dire che con gli anni le persone non cambiavano: miglioravano o peggioravano. Poco dopo era stato corretto dalla donna con cui discuteva, che aveva ribattuto che invece veniva solo a galla quel che realmente erano.
Lui, dunque, cos’era?
Se mai fosse stato in grado di darsi una risposta, quella avrebbe dovuto attendere ancora un secolo e mezzo, perché in quel momento Stefan entrò nel soggiorno di quella casa nel North Dakota.
Fin là era andato a cacciarsi il fratellino, pensò ironicamente. Se non fosse stato per Caroline, probabilmente non l’avrebbe mai trovato.
Una volta era stata Elena la chiave, la giuntura che legava tutti loro: lui, suo fratello, Caroline, Bonnie, Jeremy, Alaric.
Ma poi lei aveva fatto le sue scelte, e l’unica ad aver trattenuto con le unghie e con i denti i legami con tutti loro era stata proprio Caroline. La piccola Caroline, che lui aveva usato, preso in giro, denigrato… se gli avessero detto vent’anni prima che quella Barbie esaltata sarebbe diventata una delle sue migliori – una delle poche – amiche, si sarebbe fatto una risata e avrebbe dato del folle a chiunque avesse pronunciato quella demenzialità.
«Damon.»
Stefan pronunciò il nome di suo fratello piattamente. La mestizia e la sorpresa erano appena riflesse in quella mascella rigida che Damon aveva imparato ad interpretare nei decenni.
«Ciao, fratellino.» gli sorrise divertito, inarcando un sopracciglio.
Alzò la mano in cui reggeva un bicchiere pieno fino a metà di bourbon «Mi sono preso la libertà di attingere alla tua piccola scorta. Noto che con gli anni i tuoi gusti sono migliorati.»
Stefan si strofinò la fronte con una mano, ad occhi chiusi.
«Cosa ci fai qua, Damon?»
Il maggiore aggrottò le sopracciglia e scimmiottò il tono preoccupato del fratello «Cosa ci fai qua, Damon? Sei venuto a portare altro dolore e sofferenza alla mia patetica esistenza?»
Stefan irrigidì ancora di più il volto, e Damon rise, rilassandosi e scrollando le spalle.
«Rilassati, Stefan. Quei tempi sono finiti.»
Gli rivolse un sorriso tirato bevve un sorso di bourbon. Lo assaporò sulla lingua e sulle labbra, guardando Stefan prendere posto sulla poltrona di fronte la sua. Solo un basso tavolino in legno li separava.
Stefan notò solo in quel momento che proprio lì Damon aveva lasciato un bicchiere anche per lui. Per un attimo osservò diffidente il liquore, poi prese il bicchiere in mano e bevve anche lui una generosa sorsata.
Damon sorrise ancora, più caloroso questa volta.
«Non mi hai ancora detto perché sei qui.» gli ricordò Stefan, tenendo ben stretto il suo bicchiere tra le mani.
Damon ghignò «Ma come, non lo immagini? Mi mancava il mio fratellino.»
Stefan sorrise scettico e lo guardò da sotto in su «Raccontane un’altra, Damon.»
Notò come suo fratello stesse ripetendo spesso il suo nome, quasi volesse sincerarsi che quello di fronte a sé fosse davvero lui, e non uno scherzo della sua immaginazione.
Stefan era deperito da quando Elena se n’era andata. Aveva rispettato la sua decisione, non l’aveva seguita, non aveva provato a farla desistere, non l’aveva cercata. Si era però distrutto dentro, la lontananza l’aveva giorno dopo giorno lacerato, e quello che ora Damon aveva davanti era il ricordo un po’ sbiadito e invecchiato del suo vecchio fratello minore.
Anche Damon aveva vissuto in un inferno cupo e corrosivo dopo l’addio di Elena, eppure qualcosa l’aveva poi spinto ad andare oltre e riassettare con molta calma qualche pezzo. Non tutti, certo, ma almeno quelli che bastavano a vivere in modo decente. Forse perché per lui quella era stata la seconda volta in cui si era visto abbandonare dal suo amore, o forse perché dopo aver calpestato così tante volte il suo amor proprio, quello si era ribellato e aveva preteso la sua parte di dignità.
Ad ogni modo per una volta Damon era stato in grado di compiere il passo, mentre Stefan era rimasto imprigionato nella gabbia di schegge di vetro.
Provò pena, e quasi compassione per suo fratello. Si augurò che un giorno di quelli Stefan si svegliasse e capisse, avesse una rivelazione, e riuscisse anche solo a tornare a respirare, perché in quello stato era più morto di quanto fosse mai stato, più di quando loro padre li aveva fucilati a sangue freddo.
Si morse una guancia e spostò lo sguardo altrove per un attimo. Non appena riuscì a sentire le parole premergli in gola per uscire, tornò a posare gli occhi su Stefan, che aspettava.
«Ho sentito che Elena ha avuto un bambino.»
L’irrigidimento di Stefan fu talmente impercettibile che Damon ebbe lodi per se stesso per essersene accorto.
«Caroline…» mormorò con occhi vuoti.
«Ha la bocca più larga delle sue mani bucate.» concluse il maggiore ironicamente.
«Sei venuto per dirmi questo?» gli chiese Stefan. Le note di dolore e rancore nella sua voce per un attimo furono così vive che Damon credé di vederle danzare e affondargli nel petto.
Non demorse.
«No. Sono venuto per dirti che quindi sono andato a controllare di persona.»
Infilò una mano nella tasca interna della giacca e ne trasse un portafoto. Lo girò dal lato della fotografia e lo porse a Stefan.
«Ho pensato che avresti voluto vederlo.»
Stefan afferrò con dita incerte la cornice in metallo, per rimanere poi in contemplazione della foto per alcuni minuti di pesante silenzio.
In quel tempo, Damon non lo perse di vista nemmeno per un istante. Vide gli occhi di suo fratello farsi lucidi e distanti, mentre sbatteva le palpebre continuamente per evitare di piangere. Sapeva che anche dopo tutti quegli anni, nessuno dei due si sarebbe mai permesso di mostrarsi debole con l’altro presente.
Damon aveva studiato per giorni quella fotografia, il sorriso adulto di Elena e le sue rughe attorno agli occhi, e ne era rimasto sconfitto e devastato ogni volta, per cui comprendeva bene quel che stava sconvolgendo in quel momento Stefan.
Lo osservò passare cautamente i polpastrelli lungo il viso stampato di Elena e di suo figlio.
«Come si chiama?» domandò ad un certo punto, con una voce ferma che colpì Damon, che si sarebbe aspettato piuttosto che soffocasse le parole in gola.
«Christopher.» rispose lapidario.
«Le somiglia.»
«Sì.»
Sapevano entrambi che in quel bambino non c’erano né i capelli, né gli occhi, né le mani di Elena, ma era il suo spirito, il suo animo dolce e combattivo a rivivere.
Stefan alzò lo sguardo su di lui, nella foschia di quegli occhi Damon intravide una parvenza di luce.
«Tu l’hai visto?»
«No, era a casa da sola. Ho preferito non trattenermi troppo.»
Stefan annuì, e allora Damon la vide, quell’ombra di sorriso.
«È ancora così bella…» bisbigliò accarezzandole i capelli sopra il vetro protettivo.
Damon decise di non rispondergli, di non dirgli che invece Elena era ancora più magnetica e stupenda di quanto loro due potessero ricordare, di come quella vita serena avesse steso sul suo viso un nuovo velo di gioia e pace.
Bevve un ultimo sorso di bourbon e si alzò dalla poltrona.
«Rimarrò nei paraggi per un po’ di giorni. Abbiamo del tempo di qualità da recuperare, fratellino.» dichiarò con sbruffoneria lisciandosi i pantaloni.
Stefan si riscosse «La stanza negli ospiti è…»
«So dov’è. Ci ho già lasciato le mie cose.» lo anticipò con un ghigno.
Stefan lo guardò per un attimo stralunato, poi scosse la testa con un sorriso, conscio di star parlando con suo fratello.
Gettò un’occhiata dolorosa alla foto, senza il coraggio di fissare negli occhi Damon mentre tornava a sussurrare «Potrei…»
Damon lo bloccò con pacata compostezza.
«Tu hai avuto con te l’immagine di Katherine, quando ero io quello che l’ha amata veramente. Ora siamo pari, Stefan.»
Il minore corrugò la fronte, poi abbassò il capo e appoggiò la schiena alla poltrona, rilassandosi.
«Ora siamo pari.» concordò.



Le risate dei bambini erano così fresche e vitali che fecero sorridere Stefan.
Appoggiò la mano al tronco dell’albero dietro cui si nascondeva, e sentì la corteccia premere e grattare contro la pelle fino a sanguinare, mentre osservava quella figura più alta innalzarsi tra tutti i bimbi del parco, e chiamarne uno in particolare.
«Chris!»
Elena teneva le mani poggiate sui fianchi, e abbracciò il figlio con un sorriso radioso quando questo le venne incontro tenendo un pallone sotto il braccio e cercando di nascondere il livido su una guancia.
«E questo come te lo sei fatto?» la ascoltò chiedere preoccupata.
Elena si inginocchiò e prese tra le mani il volto del bambino «Dimmi che non hai fatto di nuovo a botte, ti prego.»
«No.» negò non senza una certa titubanza il piccolo.
«Chris…» lo ragguagliò minacciosa lei.
Da così lontano Stefan non vedeva alla perfezione la sua espressione, ma non aveva problemi ad immaginarla.
«Non sono stato io a cominciare!» protestò Christopher incrociando le braccia attorno al pallone.
Stefan sorrise. Lo dichiarava sempre anche lui quando tornava a casa con qualche livido, anche se non sempre era vero.
«Ti credo, ma stasera voglio sentirtelo dire a papà quando torna a casa.»
Quell’accenno al marito di Elena lo colpì più di quanto si aspettasse.
Guardò madre e figlio un’ultima volta prima di girarsi ed andarsene.










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Che poi sarebbe il seguito di questa roba qua.
Non so perché mi siano usciti un Damon libero dai demoni e uno Stefan invece tormentato dagli stessi. Immagino che sia il karma. Un po' per ognuno.
Warning: è quasi certo che a questa shot ne seguirà una terza. E poi dovrei aver finito, si spera <3
   
 
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