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Autore: alister_    22/07/2011    5 recensioni
Una volta entrato nella sua orbita, non può più fuggire. E per tenerla legata a sè, John è disposto anche ad alimentare all'infinito la sua ossessione.
[John/Isobel]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Isobel Flemming, John Gilbert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi/Pairing: John Gilbert/Isobel Flemming, Elena Gilbert, Grayson e Miranda Gilbert, citati quel professore di storia noto ai più come Alaric Saltzman e gli onnipresenti Katherine Pierce e Damon Salvatore.

Timeline: pre serie, con vari livelli temporali. Ambientate nel 2007, anno della scomparsa di Isobel, le parti più recenti, nel 1991-'92 le più vecchie.

Word Count: 3531

Avvertimenti: Angst a palla, het, lunghezza papiracea

N/A: Questa avrebbe dovuto essere una flashfic, okay? E a me John stava pure antipatico, un tempo. *frigna* Se riuscite ad arrivare alla fine, vi meritate un premio, so anch'io che questo è un mattone terribile. Ho cercato di basarmi su quanto si dice nelle puntate della prima serie su Isobel, ma come abbia fatto John a mandarla da Damon sinceramente per me resta un mistero.

  • Scritta per il TVG!fest @ vampiregeometry con il prompt Isobel/John - cheerleader

 

 

 

 

Per l'ennesimo giorno consecutivo, i quotidiani usano una delle sue migliori foto, accompagnata dalle solite frasi fatte che i cronisti tirano fuori per i casi come questo, per attirare l'attenzione dei lettori.

Lei – Isobel Flemming, uccisa in circostanze misteriose, il cui corpo è ancora disperso – esibisce un sorriso sfrontato e sicuro di sé che lui conosce bene, e che non ha mai dimenticato.

Il telefono squilla, e John lascia cadere sul tavolo il giornale. Copre la faccia di Isobel con la tazza del caffè, mentre la voce di Miranda gli giunge familiare e confortante all'orecchio.

“Dovresti venire per il week-end. Ci sarà la prima partita di football della stagione ed Elena farà il suo debutto come cheerleader”.

Chiude gli occhi. Gli sembra quasi di trovarsela davanti nella sua cucina, Elena. Sorridente, con i lunghi capelli scuri legati in una coda di cavallo e uno sguardo deciso che esprime tutto l'orgoglio di indossare quella divisa.

A quell'immagine se ne sovrappone un'altra, mentre le parole di sua cognata diventano un indefinito brusio di sottofondo che gli ronza nelle orecchie.

 


Per Isobel quella divisa era come una seconda pelle. La indossava con fierezza, avanzando con passo sicuro, le spalle dritte e un sorriso carico di sottintesi – quello stesso sorriso che ora gli ammicca ogni giorno dai giornali e dai notiziari.

Lo metteva a disagio. Sin dal primo momento che l'aveva vista, era stato costretto a distogliere lo sguardo, come se farsi scoprire a guardarla potesse essere il più oltraggioso dei reati. Si sentiva come un popolano che guardava da lontano la regina, a cui non era concesso niente di più che spiarla da lontano, stando ben attento a non farsi notare.

Ma farsi notare sarebbe stato alquanto difficile – almeno così credeva. Non era bello, non era particolarmente simpatico o socievole, non era destinato a grandi cose. Era Grayson il Gilbert di successo. Già da quindicenne, capiva che il suo sentiero era ormai tracciato: non sarebbe mai riuscito ad eguagliare suo fratello, che a ventisette anni aveva un suo studio medico, una sua casa con staccionata bianca, una moglie bella e innamorata.

No, tentare di emularlo sarebbe stato il modo più facile per autodistruggersi, rovinarsi la vita. Non c'era spazio per lui nella sua ombra.

John non ce l'aveva con lui. Non era una sua colpa essere sempre il primo in tutto ciò che faceva: studente perfetto, dottore perfetto, figlio perfetto. Fratello perfetto. Odiarlo anche per un solo istante gli sarebbe stato impossibile, perchè Grayson c'era sempre stato per lui. Nonostante tutti gli impegni, l'università prima e il lavoro poi, non c'era mai stato nulla che gli avesse impedito di essere sempre presente nelle sue vesti di fratello maggiore.

Perciò aveva accettato l'evidenza dei fatti e si era chiuso nel suo destino d'anonimato. In fondo, gli piaceva. Gli piaceva starsene per conto suo, senza nessuno che gli tenesse il fiato sul collo perchè ottenesse dei bei voti, o entrasse nella squadra di football. Dato che ogni obiettivo possibile era stato raggiunto da Grayson, nessuno si aspettava nulla da lui, e alla fine quello si era rivelato un vantaggio.

Poteva tranquillamente leggere i suoi fumetti preferiti anziché studiare per il test di matematica. Poteva passare i pomeriggi in sala giochi o in biblioteca invece che sudare come un animale su un campo fangoso. Poteva persino sgattaiolare via dai pranzi a casa dei Lockwood per appartarsi e fumarsi una sigaretta – perchè lui non era Grayson e dello stato dei suoi polmoni se ne fotteva altamente, specie a quindici anni.

Fu in quel momento che la vide per la prima volta. Nonostante l'anno scolastico fosse finito da un pezzo, si aggirava tranquillamente dall'altra parte della strada indossando la divisa delle cheerleader del liceo di Grove Hill. Qualcosa nel modo in cui rideva appoggiandosi al braccio dell'amica – una biondina slavata di cui non riuscirebbe a ricordarsi il viso neppure sforzandosi – attirò inesorabilmente la sua intenzione.

Così alzò il capo per guardarla meglio, mentre una sferzata di vento spegneva la fiamma dell'accendino, lasciandolo con una sigaretta spenta stretta tra le labbra a seguire ogni suoi minimo movimento.

Rideva, rideva di gusto. I suoi occhi vispi saettavano da una parte all'altra e subito le offrivano qualche nuovo spunto per chinarsi e dire qualcosa all'amica, provocando la sua ilarità.

Era il motore di quella risata. L'altra gravitava attorno a lei, come un satellite con il suo pianeta, pendeva dalle sue labbra incurvate in un sorriso carico di sicurezze, e ogni suo gesto era finalizzato alla ricerca della sua approvazione.

Lei lo sapeva. Il suo modo di inclinare la testa facendo dondolare i capelli, la sua postura dritta, fiera, il sorriso malizioso con cui si guardava intorno: tutto in lei lasciava intuire quanto consapevole fosse del fascino che esercitava sul prossimo.

Ad un tratto, in un movimento del tutto casuale, lo notò. Quegli occhi scuri, magnetici, profondi come due pozzi di petrolio, si posarono, tra i tanti che passeggiavano per Mystic Falls beandosi della calura estiva, proprio su di lui, John Gilbert, con le spalle curve e una maglietta scolorita addosso. Le sue labbra si stesero in un sorriso sornione. Probabilmente stava ridendo di lui, nello stesso identico modo in cui si stava prendendo gioco del resto della città. Era quello il suo modo di sfuggire alla monotonia di Grove Hill: cercare nelle vicinanze qualche altro spunto divertente, e chi meglio di un adolescente imbambolato, con una sigaretta ancora spenta tra le labbra, poteva offrirsi come diversivo alla noia delle vacanze estive?

Per lei era tutto un gioco. Eppure, mentre trovava il coraggio di ricambiare lo sguardo, capì di non avere via di scampo. Inevitabilmente, era entrato nella sua orbita.

 


Elena è proprio come l'ha immaginata. Sfoggia la divisa con un sorriso orgoglioso, mentre ripassa con Miranda i passi della coreografia che segnerà il suo debutto come cheerleader.

“Cinque, sei, sette, otto.”

Prima regola del decalogo della cheerleader: sorridere sempre. Lei lo fa a meraviglia, mentre alza le braccia con eleganza a tempo dei comandi che sua madre le impartisce con dolcezza, le pieghe della gonna che sventolano ad ogni salto. Farà un figurone in campo.

Per un attimo John, da dietro la porta a vetri che dà sul giardino, prova ad immaginare una realtà alternativa. Un mondo in cui c'è Isobel che tiene il tempo ad Elena, infondendole sicurezza con il suo sorriso enigmatico, dove John non è un ospite passeggero in quella casa e nella vita di sua figlia, ma una presenza fissa e fondamentale; un presente immaginario in cui a sedere sugli spalti facendo il tifo per Elena sono loro due, e a Grayson e Miranda tocca il ruolo secondario di zii.

A volte pensa che Isobel sarebbe stata una buona madre, nonostante la giovane età e il carattere volubile, a tratti difficile. A volte rivede così tanto di lei in Elena, che si chiede come sia possibile che non siano mai più incontrate, dopo che suo fratello gliel'ha tolta dalle braccia al primo vagito.

Quelle mani così piccole che si tendevano nella sua direzione, è sicuro che Isobel non le abbia mai dimenticate, benchè l'argomento sia sempre stato tabù. Non ha mai voluto avere alcuna informazione sul modo in cui stava crescendo sua figlia: aveva anche provato più volte a farle avere delle sue foto, ma lei si era sempre rifiutate di guardarle. Tentava in ogni modo di dimenticarsi di essere – almeno biologicamente – madre, e cercava un baluardo alla sua ostentazione di indifferenza in qualcos'altro: lo studio, le ricerche, i vampiri.

 


L'ossessione era cominciata per causa sua. C'era Isobel, con quella passione per l'immortalità nata dopo aver visto consumarsi lentamente la nonna su un letto di ospedale, e c'era lui, con tanta voglia di legarla a sé e uno scatolone pieno di vecchi diari zeppi di storie sui vampiri.

Invecchiare è così triste”, si era lasciata sfuggire un pomeriggio, seduta al suo fianco nel portico. “Cadi a pezzi lentamente, e alla fine ti si consuma anche il cervello. Forse a conti fatti è meglio morire giovani”.

Lo scorrere del tempo l'atterriva, tanto da renderle ansie insopportabili problemi che a quindici anni avrebbero dovuto apparire lontani anni luce. Così, un giorno, John innestò in lei quella passione morbosa mostrandole uno dei diari di Jonathan Gilbert.

Dapprima si schernì, ridendo del tono patetico con cui il suo antenato narrava le vicende di più di un secolo prima, ma sin dal primo istante fu chiaro che quel racconto aveva destato il suo interesse. I suoi occhi attenti brillavano affascinati, mentre saettavano da una pagina all'altra, nel tentativo di carpire quante più informazioni nel minor tempo possibile.

Così John le mostrò altri diari, le diede altre informazioni. Passarono interi pomeriggi seduti l'uno accanto all'altra a studiare quel mondo all'apparenza tanto irreale, e fu proprio tra i fogli sparpagliati del suo antenato che Isobel lo baciò per la prima volta.

Lentamente, quei baci, quegli occhi carichi di interesse, fecero sì che anche lui cominciasse a guardare con nuovo interesse a tutta quella faccenda di famiglia. L'ossessione per i vampiri divenne il ponte di collegamento tra le loro realtà opposte.

Isobel, però, non era mai sazia. Voleva avere sempre nuovo materiale da leggere, voleva sempre sapere di più.

Iniziò a scivolargli via quando ebbe esaurito i diari da mostrarle. Partorita una figlia, smessa la divisa da cheerleader, si allontanò dalla sua piccola realtà di paese per proiettarsi verso un livello più alto di ricerche.

Lui, satellite estromesso dall'orbita del suo pianeta, la rincorse, la rincorse ovunque. Era giovane, e lei gli aveva lasciato addosso una traccia così profonda che non poteva neppure immaginare di vederla andare via.

Restare accanto a suo fratello e vedergli crescere la sua bambina era troppo doloroso. Elena era stata un errore della sua inesperienza, ma, benchè sapesse perfettamente che quella che avevano trovato era la soluzione migliore per rimediare alla sua leggerezza, guardarla ogni giorno chiamare genitori altre due persone lo faceva soffrire. E ancor di più lo faceva soffrire il modo in cui Isobel aveva voltato le spalle a tutto quello, lasciandolo solo ad affrontare le conseguenza di uno sbaglio comune.

Sapeva che quello era il suo modo di guarire le ferite, sapeva che anche lei, in silenzio, soffriva, e cercava di non chiedersi come sarebbe stato prendersi cura della sua bambina ponendosi altri interrogativi ben più oscuri. Il suo lavoro di ricerca sui vampiri – ormai aveva raggiunto un livello professionale, era andato oltre quanto John si sarebbe mai aspettato – assorbiva ogni attimo della sua vita. Tutto il resto le scorreva addosso: aveva trovato il bottone per spegnere le emozioni ancor prima di perdere la sua umanità.

Per questo, John dapprima rimase più stupito che ferito quando gli annunciò, con un sorriso impenetrabile dipinto sulle labbra, che di lì a poco si sarebbe sposata con un giovane insegnante di storia. Gli pareva impossibile che, dopo tutto quello che avevano condiviso, dopo tutto quello che aveva fatto per lei e per la sua ossessione, Isobel decidesse di passare il resto della sua vita con una persona che neppure credeva alla fondatezza delle sue ricerche, che si scherniva – a quanto gli aveva raccontato divertita – nel vederla parlare con fervore delle sue teorie sui vampiri.

Era un'assurdità che gli fosse scivolata via dalle dita sorridendogli, quasi a volerlo prendere in giro, mentre lui faceva ogni cosa fosse in suo potere per cercare di tenerla legata a sé, e che avesse scelto come marito un altro, sbucato fuori all'improvviso da qualche polverosa aula universitaria. Che cosa aveva fatto questo professore alle prime armi di tanto speciale per conquistare Isobel, che cosa poteva avere da offrirle che lui non aveva saputo darle?

Il giorno prima del suo matrimonio, John passò da lei. Non aveva intenzione di mettere su una scenata da soap opera, facendo appello ai loro dieci anni passati insieme, o ricordandole che dai loro primi impacciati incontri era nata una bambina che ogni giorno diventava più bella, anche se non voleva saperne di vederla; andò da lei semplicemente per cercare nei suoi occhi le tracce di un amore che gli sembrava privo di ogni logica e fondamento.

Gli aprì la porta con indosso un vestito bianco, lungo fino ai piedi, che faceva risaltare la carnagione chiara e gli occhi scuri. Era più bella che mai, con il suo abito da sposa.

Il desiderio di poter essere lui a portarla all'altare lo scosse con una violenza tale che, se si fosse trovato davanti il professore, sarebbe stato capace di spezzargli il collo a mani nude solo nella speranza di prendere il suo posto.

Isobel mise su il caffè, riempiendo la cucina con chiacchiere insignificanti, quasi fosse tornata a recitare il ruolo di bella cheerleader popolare. Sul tavolo giaceva il portatile, aperto su una pagina della sua mastodontica tesi.

Come fai a voler sposare qualcuno che neppure può capire tutto questo?”

Si morse il labbro per non lasciarsi sfuggire quella domanda, rimase in silenzio a fingere di ascoltare i futili discorsi di Isobel. Si stava prendendo gioco di lui, come sempre. Lo trattava con serietà soltanto quando parlavano di quell'argomento – di vampiri.

Lo guardò con quel lampo malizioso che non aveva mai smesso di tirare fuori, saggiò l'ascendente che ancora aveva su di lui chiedendogli di slacciargli il vestito – non voleva che si macchiasse di caffè.

John lo fece. Lei comandò e lui eseguì, come sempre.

Trincerandosi in una forzata apatia, fece scivolare verso il basso la lampo, e si ritrasse subito, come un'automa. In realtà avrebbe voluto costringerla a voltarsi verso di lui, inchiodarla contro quel muro perfettamente tinteggiato e baciarla, baciarla con tutta la rabbia che aveva in corpo, con tutto il risentimento che gli aveva fatto accumulare in quegli anni; avrebbe voluto soltanto urlarle in faccia quanto fosse dannatamente ingrata a fargli questo, a trattarlo con un vecchio conoscente qualunque, ad accoglierlo in casa sua con quel sorriso affettato che si riserva agli estranei, a voltargli le spalle una volte per tutte, per sempre.

Sorseggiò il suo caffè in silenzio. La sua testa, in procinto di esplodere per quel miscuglio di emozioni, era troppo indaffarata a tentare di controllarsi per formulare frasi fasulle che si adattassero al gioco di Isobel.

Si alzò in piedi di scatto mentre lei posava con la sollecitudine della miglior casalinga le tazze sul lavandino – stava forse facendo le prove per il suo ruolo di sposina? – e, dandole le spalle, posò una piccola scatola sul tavolo. Dentro c'era l'anello che aveva ereditato da Jonathan Gilbert, il suo estremo tentativo di tenerla legata a sé.

Congratulazioni per le nozze”, disse, con un sorriso sarcastico che gli costò una fitta al petto. Poi le voltò le spalle e se ne andò – conosceva la strada – prima ancora che lei si girasse e notasse ciò che le aveva lasciato.

 


John applaude sorridendo. Elena è raggiante mentre si inchina a fine numero.

Sorride guardando verso gli spalti. Per un attimo si illude che quel sorriso sia proprio per lui, ma, quando vede Grayson sollevare il pollice, l'inganno cade. Con dei genitori così premurosi, comprensivi e amorevoli – suo fratello è perfino riuscito a spostare tutti i suoi impegni di lavoro per non perdersi l'esibizione di sua figlia – è normale che nel cuore di Elena non ci sia spazio per l'antipatico zio John.

Stranamente, nonostante di solito gli zii giovani riescano ad accattivarsi le simpatie dei nipoti, per lui non è stato così: ci ha pensato Jenna a rubargli quel ruolo, tra una canna nascosta nel bagno del college e una sveltina nella sua macchina.

Per lui non c'è posto, lo sa. Ha amato solo due donne nella sua vita, ed entrambe l'hanno estromesso.

Isobel si è presa tutto ciò che gli ha offerto, senza alcuna riserva, senza alcun rimorso, e poi l'ha gettato via, come carta straccia; Elena, invece, non si è mai fermata a parlare davvero con lui – John non ha mai saputo come avvicinarla – e neppure immagina quanto sia profondo in realtà il legame che li unisce.

In fondo, è meglio così. Preferisce restare per sempre un'ombra sbiadita nella vita di sua figlia, a patto di vederla felice ed amata come merita. Lui non avrebbe mai saputo essere un buon padre, non saprebbe crescere una bambina neppure ora che ha quasi trent'anni: non è capace ad amare, John, e, quando ci prova, non riesce a farlo nel modo giusto. Finisce col perdere tutto.

Quanto a Isobel, Elena non dovrà mai sapere di lei. Sarebbe una tale delusione sapere che è lei sua madre, così diversa dalla dolce Miranda, così lontana, così egoista.

E' vero, spesso si perde ad immaginare come sarebbe stato essere una famiglia, vivere loro tre insieme in una bella casa, andare il sabato pomeriggio alle partite e poi a cena fuori. Poi, però si ricorda della luce folle negli occhi di Isobel quando si sono incontrati l'ultima volta.

L'ossessione era arrivata al suo stadio terminale. Credeva – sperava – che l'avesse chiamato per dirgli che si era pentita delle sue scelte, si era pentita di averlo messo da parte per uno sconosciuto, o che perlomeno gli chiedesse notizie della sua vita, di quella di Elena. Invece, il ritornello che faceva da colonna sonora ad ogni loro incontro era sempre il solito: vampiri.

 


“Non ci posso credere, John. Anzi, non ci crederei, se non fossi assolutamente certa del fondamento delle mie ricerche. E' stato difficilissimo risalire tanto indietro nel tempo, ma non c'è dubbio: Katherine Pierce è una mia antenata!”

La sua aria estatica l'aveva lasciato indifferente, anzi, deluso da quell'ennesima dimostrazione di egoismo. Nella testa di Isobel c'era soltanto quell'ossessione per i vampiri e per l'immortalità che andava avanti da quasi quindici anni. Non era più un'adolescente spaventata della vita, adesso; avrebbe dovuto voltare pagina. Se l'avesse fatto, forse sarebbe finalmente riuscita ad affrontare la realtà, ad incontrare Elena.

Così, John aveva giocato il suo ultimo asso nella manica. Un azzardo, che aveva sempre evitato per paura che la storia potesse finire male. Ma Isobel non era una ragazzina alle prime arme: faceva ricerche sui vampiri da così tanto tempo da potersi difendere, da poterli quasi affrontare ad armi pari.

Assieme all'ultimo indirizzo a cui era stato avvistato Damon Salvatore – John lo teneva d'occhio sin da quando aveva letto il suo nome nei diari nascosti, badando che stesse alla larga da Mystic Falls – le diede un ramoscello di verbena.

“Non vederlo senza prima averne in circolo, mi raccomando”.

Isobel sorrise. Nei suoi occhi c'era tutto l'entusiasmo di una bambina che ha appena ottenuto il giocattolo che tanto desiderava.

Dopo aver avuto ciò che voleva, lo liquidò con qualche rassicurazione e con la promessa di farsi sentire presto per dirgli che stava bene.

Lui, troppo cieco per accorgersi del piano che aveva intessuto senza farne parola, la lasciò andare, inquieto ma in buona fede.

Solo qualche giorno dopo, quando i telegiornali cominciarono a denunciare la sua scomparsa, capì qual era sempre stato il suo obiettivo.

Non avevano trovato il corpo, perchè non era morta. Era diventata una di loro.

 


Sono passati tre giorni da quando Isobel ha bussato alla sua porta, di notte, con il solito sorriso enigmatico dipinto sulle labbra, reso ancora più impenetrabile dalla morte.

Soddisfatta della sua fine e del suo nuovo inizio, gli ha mostrato il capolinea di un'ossessione che l'ha distrutta e ricreata a proprio piacere.

John, esitante, è rimasto fermo sulla soglia di casa, indeciso se invitarla ad entrare. All'apparenza sembrava sempre la solita Isobel, ma anni di studio e odio verso i vampiri non potevano certo non ricordargli che lei ora è un mostro come quelli che infestavano Mystic Falls nel 1864, un mostro da eliminare.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere la forza di cacciarla, si chiuderle la porta in faccia, ma ancora una volta i suoi occhi l'hanno stregato ed attratto nella loro orbita, senza lasciargli via di fuga.

Entrando, lei l'ha sfiorato appena su un braccio, con le dita fredde di un cadavere.

“Tranquillo, mi sono appena nutrita. Non ti farò del male”.

Perfettamente a suo agio nella sua nuova pelle, come un serpente che finalmente abbia portato a compimento la muta, gli ha raccontato della sua trasformazione, sorseggiando un bicchiere di bourbon che si è versata da sola.

L'ossessione non si è spenta con l'atto estremo; al contrario, ne è uscita più viva che mai.

 


Osserva Elena uscire dagli spogliatoi con il borsone della squadra su una spalla e un sorriso caldo sulle labbra.

E' così giovane, così innocente, così ignara di tutta l'oscurità che la circonda che d'improvviso capisce quale sia il suo dovere nei suoi confronti.

John sa che non potrà mai essere un padre per lei, né tanto meno una figura di riferimento. Ma c'è una cosa che può – anzi, deve – fare per lei: proteggerla da tutto ciò che ha fatto a pezzi Isobel.

Mentre sua figlia gli rivolge un saluto distratto per poi gettarsi tra le braccia di suo padre, John giura a sé stesso che farà qualsiasi cosa sia in suo potere perchè Elena non conosca mai la verità che si nasconde nel passato della loro famiglia.


   
 
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