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Autore: _eco    22/07/2011    3 recensioni
babyCaroline e Mark Forbes presentano...
"Sono le undici. Devi dormire", le impose Mark.
Sarebbe stato davvero convincente se solo non avesse curvato le labbra in un sorriso, sintomo di insicurezza, che di certo non sfuggì alla piccola curiosa.
"Prima raccontami una favola", replicò lei, approfittando della debolezza del padre.
Si liberò dalla stretta di Mark, già indebolita da un bel po’, e gli balzò fra le braccia.
"Per favore, papino", ed ecco di nuovo quella temuta faccia da cucciolo a far capolino sul viso di Caroline.
"D’accordo", acconsentì l’uomo, sistemandosi la figlioletta sulle ginocchia.

Leggete in molti e recensite per favore :)
_Lullaby_
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Caroline Forbes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Se state leggendo questa schifezza, dovete incolpare principalmente Bellamy e Saruxxa. Bene, potete cominciare a prepararvi un sacchetto per vomitare. _Lullaby_
Far  Far ...

 


 

"Far far, there's this little girl                                                                                          
 she was praying for something to happen to her
everyday she writes words and more words
just to spit out the thoughts that keep floating inside             
and she's strong when the dreams come cos' they
take her, cover her, they are all over
the reality looks far now, but don't go" 


Traduzione...

"Molto lontano, c'è questa ragazzina
pregava affinchè qualcosa le accadesse
ogni giorno scrive sempre più parole
solo per riversare fuori i pensieri
che le scorrono dentro
e lei è forte quando i sogni arrivano
perchè loro la prendono, la avvolgono,
sono tutti intorno a lei
la realtà sembra così lontana ora, ma non va"



<< Non voglio andare a letto! Non ho sonno >>, protestò la piccola Caroline, battendo i piedini per terra.
Non era mai stata più bugiarda di quel momento: il suo visino roseo era visibilmente stanco; gli occhioni azzurri erano incorniciati da aloni rossi e Caroline non smetteva di stropicciarci le nocche contro.
<< Caroline, è tardi >>, le fece notare Liz.
La bambina le diede le spalle e incrociò le braccia sul petto.
<< Papà, diglielo tu che non ho sonno >>, mormorò rivolta ad un uomo alto quasi il doppio di lei.
La bambina si coprì la bocca con la mano, nascondendo un rumoroso sbadiglio.
<< Caroline…>>, cominciò lui, lanciandole un sorriso a metà fra il dispiaciuto e il divertito.
<< Ti prego, ti prego, ti prego >>, lo supplicò la bambina.
In meno di un secondo aveva sfoderato l’arma che meglio sapeva utilizzare e che Mark Forbes temeva più di ogni altra cosa: la sua incontrastabile faccia da cucciolo. Quell’espressione che senza dubbio rendeva ancor più dolce il visetto della sua bambina, era come la sentenza anticipata di una battaglia già persa in partenza.
Le labbra rosse erano sporte in avanti, in un dolcissimo broncio, gli occhioni color cobalto erano più grandi e insistenti, mentre la bambina stava già cominciando a sbattere le ciglia su e giù con movenze eleganti. Mark fissò la moglie, e si chiese da chi la sua bambina avesse ereditato quelle doti idolatrici.
<< Forse…>>, temporeggiò Mark, che però si bloccò incrociando lo sguardo ferreo della donna accanto a lui.
Si strinse nelle spalle, divenendo quasi buffo nella sua statura esagerata, ma non poteva farci niente: ogni tanto, la figura imponente della moglie riusciva ad intimorire persino lui. Si chinò sulle ginocchia, poiché solo in quel modo riusciva a fissare la piccola Caroline dritto negli occhi. La raccolse per i fianchi e se la portò all’altezza del petto – un’ altezza abbastanza considerevole, per una bambina di soli sei anni.
<< Andiamo a letto, principessa >>, le sussurrò in un orecchio mentre saliva le scale.
Sperava di poterle dire indirettamente: “Che ci dobbiamo fare? Si comporta da Sceriffo pure a casa e noi dobbiamo stare alle sue leggi”.
<< Ma…>>, ribatté la bambina, in un disperato tentativo di liberarsi dalle braccia possenti del papà, che le allacciavano la vita.
<< Dì buonanotte alla mamma >>, sospirò lui.
<< Buonanotte e vermi d’oro* >>, cantilenò la piccola Caroline, dondolando la testa da un lato all’altro.
<< Caroline! >>, la richiamò il padre, voltandosi verso Liz, che era rimasta ferma sul primo gradino, con le dita avvolte sul corrimano di legno lucido.
<< Che c’è? >>, domandò con voce improvvisamente innocente la bambina.
Prima ancora che il padre potesse ribattere, si giustificò: << Non è colpa mia. Lo dicono anche Timon e Pumba nel Re Leone. Non è vero, mamma? >>.
Liz rispose con un cenno della testa affermativo, anche se abbastanza rassegnato. Si rintanò nella cucina per sistemarla, visto che dopo la cena non ne aveva avuto il tempo.
<< Buonanotte e sogni d’oro, mamma >>, strillò Caroline, sperando di farsi perdonare da Liz che l’aveva sicuramente sentita, ma al contempo uccidendo l’udito del padre.
La madre stava lavando un bicchiere di vetro, quando sentì la frase urlata a gran voce dalla sua Caroline. Sorrise e continuò ad insaponare il bicchiere per interi minuti, senza rendersi conto di aver sprecato quasi metà confezione di detersivo solo per quello.
Mark salì l’ultimo gradino, ritrovandosi in un corridoio dalle modeste dimensioni, con un pavimento di legno lucido, che aveva impiegato mesi interi a pagare.
Nonostante la bambina avesse ancora un peso leggero, la vecchiaia cominciava a farsi sentire e i primi acciacchi, come salire troppe scale con qualcosa fra le braccia, riducevano persino quell’omaccione dall’aspetto genuino in uno stato affaticato.
Non si lasciò intimidire da niente di tutto ciò, e così, proprio davanti la porta della cameretta di Caroline, lanciò per aria il corpicino leggero che stringeva fra le braccia e lo raccolse al volo qualche centimetro più avanti. Caroline aveva cominciato a ridere, di quella sua risata cristallina e spensierata. L’uomo spinse la porta di legno bianco con le ginocchia e fece ingresso nel piccolo mondo di Caroline: una stanza tutta rosa, colma di volant che partivano dal color panna al fucsia acceso. In un angolo c’era una mensola color panna, popolata da peluche raffiguranti fatine, ballerine e ogni sorta di animaletto – ovviamente femmina – che indossasse qualcosa di rosa. L’uomo adagiò la bambina sul soffice copriletto color confetto, mantenendo una presa considerevole sulle sue esili braccia. Caroline si dimenò fra i cuscini, tentando di sfuggire al padre, che intanto aveva cominciato a farle il solletico.
<< Papà! Mi fai il solletico! No! Smettila! >>, strillò la bambina strozzando le parole con risatine isteriche.
<< Sì, la smetto, ma solo perché è tardi ed è ora di dormire >>, si arrese quello.
<< Io non ho sonno, però >>, protestò debolmente la bambina, sporgendo il suo famoso broncio.
<< Sono le undici. Devi dormire >>, le impose Mark.
Sarebbe stato davvero convincente se solo non avesse curvato le labbra in un sorriso, sintomo di insicurezza, che di certo non sfuggì alla piccola curiosa.
<< Prima raccontami una favola >>, replicò lei, approfittando della debolezza del padre.
Si liberò dalla stretta di Mark, già indebolita da un bel po’, e gli balzò fra le braccia.
<< Per favore, papino >>, ed ecco di nuovo quella temuta faccia da cucciolo a far capolino sul viso di Caroline.
<< D’accordo >>, acconsentì l’uomo, sistemandosi la figlioletta sulle ginocchia.
<< C’era una volta, in un luogo lontano lontano, una piccola casetta costruita su una collina. Nella casetta viveva un’umile famiglia di contadini: il papà Mark impiegava le sue giornate a lavorare nei campi e coltivare quel poco che la terra gli dava; la mamma Liz si occupava di vendere al mercato i loro prodotti, perlopiù frutti e qualche verdura; e poi c’era una bimba, loro unica figlia, che avevano chiamato Caroline. Era una bella bambina con i lunghi boccoli biondi – l’uomo si mise a giocherellare con i riccioli della figlia – e i grandi occhi blu. Amava scorrazzare per tutto il cortile, dare da mangiare alle galline e spazzolare Huna, l’unico cavallo che possedevano. Un giorno, la mamma e il papà andarono insieme al mercato, e non potendo portare con loro la piccola Caroline, poiché Huna era diventato troppo vecchio per sostenere il peso di tre persone, la lasciarono sola in casa, con la raccomandazione di stare bene attenta.
“Non aprire la porta a nessuno”, le raccomandò il papà – l’uomo imitò con successo la voce dal tono preoccupato.
“Va bene”, rispose la piccola Caroline – Mark scimmiottò la vocetta capricciosa della sua bambina, e si beccò un bel pugno sul petto da parte di Caroline.
E così, Liz e Mark, partirono alla volta del mercato, in paese.
Intanto, a casa, Caroline stava giocando con i suoi unici giocattolini: un peluche e una bambola di pezza. Qualcuno bussò alla porta di legno e la bambina si precipitò nell’atrio, impaziente di riabbracciare la mamma e il papà. Quando aprì, però, si ritrovò di fronte ad un uomo alto e tutto vestito di nero, con un mantello scuro che ondeggiava grazie al vento.
“Buongiorno, piccolina”, la salutò con voce tetra – ovviamente Mark non mancò di imitare anche quel tono tenebroso.
“B-buongiorno”, balbettò la bambina – inutile ripetere che in quel momento, l’uomo, dovette incassare un altro gancio destro più debole del primo.
“Dove sono la mamma e il papà?”, chiese quello, chinandosi per guardarla negli occhi.
“Al mercato”, esclamò la piccola Caroline.
“Oh”, disse l’uomo, “ E dimmi un po’…ti piacerebbe avere tante bambole di pezza molto più belle di quella che hai?”, le propose.
“La mia è già bella. Si chiama Anne”, ribatté la bambina – Mark s’interruppe e lasciò che la figlia stringesse fra le mani la sua bambola preferita, quella di pezza con i lunghi ricci rossi.
“Ma è sola, povera piccola”, replicò l’uomo, “Perché non farle compagnia?”.
“Tu avresti davvero tutte quelle bambole?”, s’incuriosì Caroline, strabuzzando gli occhi.
“Certamente. E tanti dolciumi, peluche e persino una casetta giocattolo tutta per te”, elencò l’uomo, alzando un dito della mano ad ogni elemento che diceva.
“E dove le tieni queste cose?”, domandò ancora la bambina.
“Nel mio palazzo”, rispose quello con un sorriso cupo, al quale però la bambina non fece caso: era troppo impegnata a fantasticare sui giocattoli che avrebbe posseduto.
“Posso sapere il tuo nome?”, chiese Caroline.
“Certamente. Sono Richard Lockwood”, esclamò quello, portandosi una mano sul petto a lasciar vedere il suo ego sin troppo grande – e qui il signor Forbes marcò il tono, facendo trasparire la sottile antipatia nei confronti del sindaco. Caroline gli lanciò un sorriso complice.
“Allora, vieni nel mio palazzo?”, le chiese Richard, voltandosi verso un cavallo color notte.
Caroline lanciò un ultimo sguardo alla sua casetta e chiuse la porta di legno. Si lasciò prendere in braccio e in pochi minuti si ritrovò in sella ad un bel cavallo in salute e possente, tutto il contrario di Huna. Prima di salire, il signor Lockwood, impugnò un vecchio foglio di pergamena e cominciò a scriverci qualcosa. Poi lo appese con un grosso chiodo alla porta di casa.
“Dobbiamo avvisarli che sei con me”, spiegò l’uomo, “così non si preoccuperanno”.
Il viaggio fu molto lungo e soprattutto quasi sempre silenzioso.
“Il mio papà è tuo amico?”, chiese Caroline, quando arrivarono.
“Cosa?”, domandò l’uomo, “ Ah, sì. Siamo molto molto amici”, concluse.
Quando Liz e Mark ritornarono a casa, scoprirono il foglio di pergamena attaccato alla porta, che recitava più o meno così:

"Ho la vostra piccola bambina: per riaverla indietro portatemi ciò che di più prezioso avete.

 

Richard Lockwood"

 
Liz cominciò a preoccuparsi tanto e implorò il marito di partire immediatamente alla volta del grande palazzo del signor Lockwood, conosciuto e temuto dall’interno paesino. Così, Mark, costruì in fretta e furia una piccola gabbia di legno e vi mise dentro le uniche vere ricchezze che possedeva: le sue galline e l’ultimo raccolto, che non erano riusciti a portare per intero al mercato. Lo legò al suo caro cavallo, Huna, e cominciò a galoppare verso il castello di Richard Lockwood.
Lo raggiunse dopo ore e ore di viaggio, dovuto alla vecchiaia di Huna e al pesante carro di legno da trasportare. Mark scese da cavallo e si avvicinò alla porta d’ingresso, di un legno curato, tutto l’opposto di quella della sua umile casetta. Bussò più volte alla porta e Richard gli venne ad aprire con un largo sorriso sul volto.
“Ho portato le mie galline e ciò che resta del mio ultimo raccolto. Ora datemi la mia piccola Caroline”, disse tutto d’un fiato il signor Mark.
Riuscì a scorgere due occhi chiari e familiari appena dietro il nemico: la sua bambina stava osservando tutto, impaurita, e bloccata dal braccio di Lockwood.
“Papà!”, strillò stringendo Anne ancora più forte.
“Ciao, principessa”, la salutò lui inghiottendo le lacrime di commozione.
Com’era bella la sua bambina – Mark diede un bacio sulla fronte alla sua Caroline.
“Non ancora”, irruppe Richard.
“Cosa vuole ancora?”, chiese preoccupato Mark.
“Il cavallo”, rispose quello.
“Ma…”, provò a ribattere l’uomo.
Caroline annuì, come ad incoraggiarlo, e mimò con le labbra qualcosa che somigliava a: “Ti prego”.
Mark annuì e afferrò il cavallo per le redini, guidandolo di fronte al signor Lockwood. Finalmente la piccola Caroline fu libera di corrergli fra le braccia e Mark s’impresse bene in mente il profumo di rose da campo di cui odorava la piccolina.
La adagiò per terra, e strinse la sua piccola manina nella propria, piena di calli dovuti al duro lavoro nei campi.
“Torniamo dalla mamma. Ok?”, le disse.
Caroline si limitò ad annuire e stringere con l’altra mano, quella paffuta e soffice della sua Anne.
Il viaggio a piedi fu duro e faticoso, lungo il doppio di quello a cavallo.
Quando arrivarono, mamma Liz li attendeva fuori dalla porta, seduta sui gradini a lavorare a maglia.
Caroline le corse incontro, lanciandole le braccia al collo.
“Cosa faremo ora?”, la donna non riuscì a trattenersi dal dirlo.
Erano con una sola, cadente casa, e per il prossimo raccolto avrebbero dovuto attendere il mese successivo.
“Ho preso qualcosa”, proruppe la piccola Caroline.
“Che cosa dici?”, le domandò il papà.
Caroline si mise a  maneggiare con agilità il vestitino della sua bambola, mettendola sottosopra, in modo che grosse monete d’oro sgusciassero fuori dalle tasche del vestitino di stoffa consumata.
E così, vissero tutti e tre felici e contenti, nella loro umile casetta di campagna >>, concluse il signor Forbes.
Mark raccolse il corpicino assonnacchiato della sua piccola Caroline e lo adagiò fra i cuscini, osservando le eleganti movenze dei boccoli biondi che si stendevano sui cuscini multicolore. Sistemò la piccola Anne fra le sue braccia e fissò i suoi occhi azzurri e pieni di stanchezza, ma velati da un sottile strato di soddisfazione.
Le scostò i capelli dalla fronte e le sorrise.
<< Papà >>, lo chiamò lei, << tu lo daresti via un cavallo per me? >>.
Mark rimase sorpreso da quella domanda piena di innocenza, che gli scaldò il cuore, vuotandolo e riempiendolo continuamente.
<< Papà darebbe tutto ciò che ha per la sua principessa >>, le assicurò.
<< Anche se il cattivo la porterà lontano lontano? >>, insisté la bambina.
<< Anche se il cattivo la porterà lontano lontano >>, affermò Mark.
Caroline si voltò su un fianco, come se quelle domande le conservasse dentro da tanto, sin troppo tempo, e avesse avuto una risposta solo in quel momento. Si portò un pollice sulle labbra, come era solita fare, e si rannicchiò in posizione fetale.
<< Caroline >>, le sussurrò il padre.
<< Sì? >>, rispose la bambina con la voce impastata dal sonno.
<< Promettimi che non inviterai mai nessuno che non conosci ad entrare
 in casa >>,  mormorò Mark.
<< Promesso >>, borbottò la bambina.
<< E…acqua in bocca con il signor Lockwood >>, le raccomandò lui scherzosamente.
<< Sì. Papà, ma quella casetta sulla collina dove si trova? >>, chiese la piccolina.
<< Lontano, lontano >>, rispose evasivo Mark, che tutto si aspettava tranne che quella domanda.
<< E come posso raggiungerla? >>, chiese la bimba.
<< Chiudi gli occhi e fai tanti sogni. Così potrai raggiungerla >>, sussurrò il padre, avvicinandosi all’orecchio della bambina.
<< Buonanotte, principessa >>, disse spegnendo il lumetto sul comodino.
<< Buonanotte e vermi d’oro*, papà >>, replicò la piccola Caroline.

 
 
_Lullaby_’s space: Eccomi, nel mio piccolo cantuccio a scrivervi un po’. Questa shot è una di quelle che volevo scrivere da un bel po’ di tempo, ed ero alla disperata ricerca di una canzone che mi ispirasse. Poi ho visto l’ultimo episodio della prima stagione di Pretty Little Liars, e in una scena Toby/Spencer, ho scovato questa bellissima canzone, molto familiare, infatti è stata usata per uno spot di cui non ricordo quasi niente, a parte questa bellissima melodia. Far Far…appena mi sono accorta del significato di questa parola (Molto lontano), mi è venuto un tuffo al cuore. Era come ascoltare una mamma che racconta una favola al proprio bambino, nonostante l’effettivo significato non rispecchi alla perfezione la shot che ho scritto. Penso sia stata più che altro la dolce voce della cantante e la melodia trascinante che mi abbiano spinta a scrivere ascoltando a ripetizione la canzone. All’inizio, infatti, era una Liz/babyCaroline...ma poi ho inserito il papino della nostra biondina preferita. E gli ho dato un’identità – non è la prima volta che lo nomino – ovvero, Mark Forbes. Non so se si chiami davvero così (ne dubito fortemente), se si comportasse così, se quando Caroline aveva sei anni fosse già andato via eccetera…Quindi, è tutto frutto della mia fantasia. Ricordo che da piccola amavo farmi raccontare favole da chiunque, soprattutto da mia mamma. E adoravo quando le inventava lei, sul momento, proprio come in questa shot ha fatto Mark. Mi pare che una sera mi raccontò qualcosa che aveva a che fare con giocattoli, bambini poveri e generosità. Quindi, in un certo senso, è da questo che è venuto fuori ciò che avete appena letto. Vorrei farvi notare una frase detta da Mark Forbes alla piccola Caroline: “Promettimi che non inviterai mai nessuno che non conosci ad entrare in casa”, in quanto è un gioco di parole con il quale il padre si assicura che, quando la sua bambina sarà cresciuta, non inviterà mai un vampiro ad entrare in casa; è quindi una sottile allusione al mondo che l’attende, anche se il padre non può nemmeno immaginare che Caroline, un giorno, diventi una di loro.Le ripetizioni della piccola Caroline (lontano, lontano), sono volute, perché a mio parere la fanno sembrare più dolce e bambina, con la classica innocenza dei piccoletti. Scrivere molto lontano, me la fa immaginare già più grande. Inoltre, come potete vedere ho deciso di cambiare un po’ l’impaginazione della shot, e d’ora in poi credo che saranno tutte così. Ho inoltre cambiato il carattere, perché da un po’ di tempo mi piace molto il Georgia. E ora…mi ritiro nella penombra e lascio spazio ai vostri pareri e soprattutto alle vostre critiche, sempre moderate, eh! O la mia autostima ne risentirà un pochetto ahah =)
Un abbraccio,
_Lullaby_
*: Citazione di Timon e Pumba nel Re Leone. Me la ripeteva sempre il mio fratellino prima di andare a letto ahahah
 
 

 

  
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