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Autore: SlightlyMad    22/07/2011    5 recensioni
"Ero arrivata da poco in quella casa, ma fino ad allora mi avevano sempre tenuto in un ambiente fresco e asciutto, al riparo dalla luce.Sentivo solamente un cigolio continuo accanto a me, e degli strani versi, ma nessuna parola compiuta."
Una sciocchezzuola su un nuovo personaggio che farà compagnia ai due begnamini,ma in realtà avrei potuto usare chiunque, anche qualcuno di mia invenzione, è solo che quando penso a qualcosa da scrivere automaticamente penso a loro due.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Brian Kinney, Justin Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Me ne stavo su un comodino, accanto alla lampada. La superficie era dura e scura e questa lampada non era molto socievole. Se ne stava ferma, immobile, zitta.Io cercavo di comunicare, almeno di presentarmi, ma il caldo asfissiante mi stava torturando: non facevo altro che sudare, perdere il mio prezioso liquido, in quel luogo a me sconosciuto. Ero arrivata da poco in quella casa, ma fino ad allora mi avevano sempre tenuto in un ambiente fresco e asciutto, al riparo dalla luce. Di certo anche lì c'era buio. Non vedevo niente. Sentivo solamente un cigolio continuo accanto a me, e degli strani versi, ma nessuna parola compiuta. Era così da qualche minuto, da quando una mano calda mi aveva preso e portato in quel posto, per poi posarmi su quello che aveva chiamato comodino, e aveva spento la luce. In quella frazione di secondo in cui quella figura si era spostata da me e prima che mi togliesse la possibilità di gurdarmi attorno, osservai quell'ambiente insolito: era caldo, spazioso, pieno di colori e di oggetti, di cui non conoscevo il nome. Poco prima che quella figura spegnesse la luce, intravidi un'ombra che si avvicinava; sentii le due sagome passare davanti a me con passi felpati, lenti, per poi sparire dalla mia visuale, anche se oscurata, e dal mio udito, con un cigolio, lo stesso rumore che non facevo altro che sentire da tre, cinque, sette minuti. Sentivo anche dell'altro: quei versi, certo, ma anche degli schiocchi, come quando il latte ha i suoi problemi di acidità e comincia a fare le bolle, prima di essere puntualmente trasferito. Dopo di lui ne arriva sempre un altro, e sono sempre più pimpanti e sbruffoni, freschi del loro nuovo ed elettrizzante lavoro. Tanto prima o poi si sgonfiano tutti. Solo io rimango intera sempre!
Continuarono i rumori, finchè non sentii qualcosa di sorprendente.

-Brian...-

Una parola articolata, finalmente! Per un attimo avevo pensato di essere finita in una casa di scimmie. Presa dalla sorpresa del gesto, mi accorsi solo dopo che non era una parola qualunque. Era un nome! Adoravo le presentazioni. Di solito i miei compagni stavano sempre un po' sulle loro, quelli dediti al lavoro, che non hanno tempo o voglia di una vita privata, per non parlare poi di quelli che non sapevano neanche cosa fossero le buone maniere: era praticamente impossibile scambiare qualche parola decente. I più gentili sono gli ortaggi: ci salutiamo sempre, quando arrivano e quando ritornano, anche se non siamo mai posti nello stesso scompartimento. E' esattamente come una caserma: tutti schierati immobili, ai loro posti, finchè non devi entrare in servizio, e la cosa peggiore è che non hai orari, quindi mai un momento per rilassarci.

-Brian...Brian-

Ancora quel nome. Non sembrava che si stesse presentando, ma che una delle due figure stesse chiamanado l'altra. E questa non rispondeva. Forse quella era una scimmia.

-Brian..Brian...fermati-

-Che c'è, ti ho fatto male?-

Udii l'altra voce: era più bassa ma più delicata. Volevo che parlasse ancora. Mi piaceva, e almeno mi distoglieva da quel caldo esasperante.

-No, no, è solo che..-

L'altra voce, quella più brutta, meno particolare, non finì nemmeno la frase. Sentii accanto a me dei tonfi sul comodino e percepii la presenza di un corpo, solido, ma leggero, che si muoveva veloce, e camminava a tentoni su quella superficie dura. Sentii afferrarmi: era la stessa mano calda che mi aveva portato lì. Mi stringeva per il collo; era sempre terribilmente fastidioso, anche se non rischiavo di soffocare, ma sembra che sia l'unico modo conosciuto di prendermi,o che sia impossibile ogni altro modo. Mi sollevò da quel piano stabile: potevo percepire il vuoto sotto di me. Mi  avvicinò alla bocca. Quella era una parte anatomica che conoscevo molto bene, umida, tiepida. Perchè il corpo umano dev'essere tanto disgustoso? Intanto sentivo uno sguardo su di me: era incredulo, sorpreso, anche un po' ferito e affranto. Non sapevo perchè quell'altra persona mi guardasse così male, stavo solo lavorando! E anche bene, a giudicare dalla foga di quella bocca. Quando quella mano mi riposò sul comodino, però non sentii più quello sguardo che mi seguiva. Forse non stava osservando me.

-Scusa, lo sai che con d'estate ho bisogno di bere..-

-Possiamo riprendere?-

L'altro umano interruppe la frase con tono scocciato: poteva anche avere una splendida voce, ma era un maleducato. Ricominciarono quei versi, mentre io rimasi lì a sciogliermi, parzialmente privata del mio liquido. Dovetti abituarmici. Ormai era diventato un rituale: ogni sera venivo presa, portata sul comodino e svolgevo il mio dovere senza che nessuno si fosse mai lamentato, poi la mattina dopo mi portavano in cucina, mi rinfreschavano di acqua corrente, e mi rimettevano al mio posto fino a quella sera. Non era male: vedevo ogni vota qualcosa di diverso della casa, il bagno, la sala, perchè spesso quell'uomo che mi portava andava a cercare l'altro, prima di dirigersi insieme verso quella che chiamavano la camera da letto. Avevano cominciato a parlare di più fra loro, sempre come se io non ci fossi. Non dicevano molto e non urlavano. Amavano il silenzio. Dalla mia visuale, sempre un po' abbassata, riuscivo a vedere che quando si incontravano si guardavano, dicevano qualcosa, che spesso rigurdava il letto, che a quanto avevo capito era vicino al comodino,e si avvicinavano sempre di più, fino a che non sapevo più distinguerli in due figure. La mano che mi teneva però era sempre delicata, e in quei momenti diventava sudata immediatamente, tanto che doveva appoggiarmi su una superficie lì vicino per poter continuare a confondere la sua immagine con quella dell'altro, o almeno era così che li vedevo. Non potevo fare a meno di osservarli. Non sapevo cosa stessero facendo, so solo che mi piaceva.

L'altro non mi aveva mai preso. Credo che ce l'avesse con me, anche se non mi guardò più male come quella prima volta, anche se forse non stava guardando me. Tuttavia, non mi stava antipatico. La sua voce...quella voce era ipnotizzante. Una volta la solita mano mi aveva appoggiato sul ripiano di quello che ho capito dopo si chiama lavandino. C'era uno specchio, dove potevo riflettermi e l'uomo dalla voce suadente si guardò dritto nello specchio. Non potei fare a meno di notare i suoi occhi. Forse il corpo umano non era così disgustoso come credevo. Forse lo era solo la bocca. Poco dopo arrivò l'altro, e anche se facevo un po' fatica a tenerli nel mio campo visivo, notai che quello che mi prendeva sempre in mano ammirava gli occhi dell'altro. Sapevo che ogni volta che mi portavano fuori da quella cella, imparavo qualcosa, e non volevo più tornarci in quella che consideravo, appunto una cella. Mi piaceva che facessero parte della mia vita.
Una sera di queste, il caldo fu davvero insopportabile, e anche quei versi presto lo diventarono. Erano più forti di qualunque altra sera, e i cigolii con loro. Sentii anche qualche urlo soffocato. Non potevo fare niente, anche se ero un po' spaventata. Quando li vedevo assieme di solito non facevano così. Probabilmente era il buio.

-Non ti fermare-

Non era la prima volta che quella voce usava quella variante, al posto di "fermati", una dichiarazione, evidentemente, per annunciare che mi doveva prendere, visto che era sempre quello il gesto che ne seguiva.
Quella volta disse solo "non ti fermare", e subito dopo mi afferrò. Mi fece roteare sul vuoto, finchè non  avvicinò la bocca a me, tenendomi ancora sull'orlo del precipizio. Mi continuava a muovere su e giù, non aveva nessun ritegno. Si staccò immediatamente emettendo un suono acuto, non controllato. Mi allontanò senza ripormi sul comodino. Avevo paura:ero appesa a quell'unico appiglio, e avevo la sensazione che non fosse molto sicuro. Di certo non era stabile.

-Sì..Brian...SI'!-

Ma sì cosa? Io stavo rischiando di morire. Sentii allentare la presa dal mio collo. Non ero mai stato così impaurito da quel gesto. Sentivo scendere goccie di sudori freddi, e poi cadere e toccare un fondo sotto di me. Non ero sicura che fosse una buona cosa. Il braccio che mi sosteneva continuava ad agitarsi, finchè la mano non si irrigidì un istante. Tutta la stanza che stava girando intorno a me sembrò fermarsi per un attimo. Sentii scivolare sotto le dita.

CRASH


Non mi sentivo più. Il mio corpo era andato in pezzi, il mio liquido disperso.





 

- Justin? -

-Sì? Che c'è?-

-Credo si sia rotta la bottiglia-

-Oh, merda-

-Stai attento, quando scendi-

-Va' a prendere una scopa e una paletta....e uno straccio! Dannazione...-

-Ecco-

-Grazie-

-E ora?-

-Se ne compra un'altra-


 

  
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