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Autore: Arky    22/07/2011    1 recensioni
Sulle note di "Born to run" di Bruce Springsteen. Finita quinta al contest "Parole e Musica" indetto da RubyTuesday sul forum di EFP.
Ci tengo a precisare che è stata gentilissima **
Un Capitan Guerriero a cui piace correre e il suo generale dai piedi d'oro che preferisce i campi da calcio.
Ogni riferimento a cose o persone è - ahimè - puramente casuale. più o meno...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: Sono calciatori, lo scrivo qui u.u
Avvertimenti: Oneshot, Slash, oh yeeah u.u
Raiting: Arancione
Genere: Romantico, Sportivo, Introspettivo
Disclaimer: Non mi danno un centesimo. E chi getterebbe soldi così? U.u
Canzone usata: Born to run di Bruce Springsteen.
Introduzione/riassunto: Un Capitan Guerriero a cui piace correre e il suo generale dai piedi d'oro che preferisce i campi da calcio.
Note dell'Autore: Tanto lo sapete a chi mi sono ispirata, non ci vuole un geniaccio del male u.u E’ solo ispirazione, che è libera, no? U.u

BORN TO RUN

Alejandro Martinez stava comodamente seduto sul cofano anteriore di una coupé grigia, la classica espressione seria e pensosa dipinta in volto. Alcuni ciuffi dei suoi corti capelli, leggermente rossicci, gli circondavano la pelle ambrata; gli occhi color cioccolato fissavano un punto imprecisato dello spazio poco illuminato di fronte a sé. Stretto nella sua giacca blu scuro contemplava il vuoto che gli si parava di fronte, le mani poggiate sul metallo per sorreggersi, le spalle leggermente incurvate verso l’alto per rimanere in equilibrio sull’accidentale sedile.
A Leandro era sempre piaciuta la notte, lo faceva sentire protetto e gli donava un senso di intimità che a personaggi come lui spesso era negato. Durante il giorno era il calciatore, il centrocampista prodigioso della capolista, il ventiquattrenne responsabile e diligente dai piedi d’oro. La gente aveva questa idea di Martinez, e lui avrebbe dovuto fare in modo che l’avesse per molto tempo ancora, se sperava di restare nelle loro grazie. Non era poi una visione molto scostante dalla realtà, poiché lui era sul serio il ventiquattrenne responsabile, centrocampista della capolista, eccetera eccetera. Solo, il suo essere non si limitava a quello. Era anche il ragazzo che si emozionava leggendo un libro particolarmente bello, amava la lettura. Era quello che sorrideva ascoltando le canzoni nel suo iPod poiché gli ricordavano episodi, emozioni, come a tutto il mondo. Era il bambino entusiasta dell’autografo di uno dei grandi del calcio, anche ora che era lui stesso tra quei giganti.
Sorrise a quel pensiero, poggiando un piede sul parabrezza, i jeans blu stretti intorno alle gambe e le classiche scarpe da tennis a fasciargli i “Golden Feet”, come li chiamavano i suoi tifosi. Ridacchiò divertito, la loro fantasia poteva arrivare a livelli inimmaginabili, ma dopotutto era proprio quello il bello del calcio. Non era sempre stato il suo sogno, quello di sentire il suo nome urlato da diecimila persone, in uno stadio dipinto di mille colori? Sì, era così, ed era disposto a pagare prezzi ben più alti di un po’ di intimità mancata, per farlo durare ancora a lungo. E poi per quello c’era sempre la notte, che con il suo manto di velluto cancellava i pensieri che la gente aveva di lui, che rendeva tutto più vero e segreto, in un certo senso, perché bastava un cappuccio tirato sulla testa a renderlo un ragazzo come tutti gli altri, con dei piedi come quelli di tutti gli altri. A Leandro la notte piaceva soprattutto per questo, perché per qualche ora il mondo smetteva di considerarlo un semidio solo per due o tre passaggi perfetti e tanta, tanta fortuna. Tutto si fermava e lui poteva correre, correre per davvero e divertirsi come il semplice ragazzo quale era, senza la paura di deludere nessuno.
Le risate di Matías e Rafael lo distolsero dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo sul primo, suo compagno di squadra e connazionale, seduto al posto del navigatore di una Cayman nera. Stava cercando disperatamente di uscire dalla Macchina di Rafael – anch’egli spagnolo – che però pareva intenzionato a non mollare il suo polso sinistro, bloccandolo all’interno. Il biondo continuava a ridere e agitava le braccia nel tentativo di arrivare alla maniglia, ma il compagno era sempre stato più forte, fuori e dentro il campo, per cui l’unico risultato che ottenne fu quello di far sorridere soddisfatto l’altro quando riuscì a circondargli la vita e a tirarselo contro. Dai finestrini aperti si potevano sentire le parole che i due si scambiavano, inframmezzate dalle risate sonore di Rafael e quelle più timide di Matías. Da quando divideva la maglietta della nazionale con loro, Leandro aveva sempre visto Rafael essere più chiassoso del biondo in tutto quello che faceva, si trattasse di chiudere la porta dello spogliatoio o esultare per un goal.
- Rafa, lasciami! – disse Matías, ridacchiando divertito, stretto dal braccio sinistro dell’altro contro il suo petto. - Altrimenti cosa mi fai? – chiese Rafael, alzando le sopracciglia e guardandolo con l’aria di chi sfida un bambinetto a fare qualcosa di impossibile.
Matías non rispose, si limitò ad avvicinarsi lentamente al volto del compagno, che sorridendo gli andò incontro. Prima che le loro labbra si incontrassero, però, il biondo si tirò indietro e, approfittando del momento di distrazione dell’altro, con una mossa repentina gli sfuggì ed uscì fuori dalla macchina. Il compagno rimase un attimo interdetto, per poi raggiungerlo all’esterno con sul volto l’espressione da “Biggest Lion” che osserva attentamente la sua preda, per citare uno dei cori dei suoi tifosi.
- Dove credi di andare, Matías Fernando Morales? – gli chiese, aggirando la vettura e avvicinandosi molto lentamente. Il biondo, nel frattempo, si era richiuso la porta alle spalle e stava retrocedendo passo dopo passo, senza allontanarsi dall’auto, ridacchiando divertito. Continuarono a girare in tondo per un po’, fino a quando Rafael non decise di fare sul serio con uno scatto degno della punta quale era, prendendo Matías per i fianchi e inchiodandolo alla portiera dell’auto in preda alle risate. Alejandro si fece sfuggire una risatina divertita, guardandoli.
- La smettete di fare i bambini? – chiese, principalmente per avvisare gli altri due della sua presenza, fino a quel momento completamente ignorata.
- Ehi Leandro! Ci sei anche tu? – lo salutò allora Rafael, senza lasciare per nemmeno un secondo Matías, che si dimenava tra le sue braccia senza la reale intenzione di fuggire.
Leandro scosse la testa sorridendo, immobile dalla sua posizione. Quei due erano irrecuperabili. Ogni volta che si vedevano finivano per comportarsi come due bambini: corse, dispetti, risate e tanto casino. Troppo casino, per gli standard di Martinez, che era una persona molto più calma e riservata. Se quella fosse stata una famiglia, lui avrebbe senza dubbio vestito i panni della mamma di quei due bimbi irresponsabili. Tanto bimbi poi non erano, visto il modo con cui solevano chiudere i loro giochi, il quale di innocente aveva ben poco, Forse solo la scintilla negli occhi di Matías, o i “ti amo” sussurrati sulla sua pelle da Rafael quando giungeva al culmine e non riusciva a trattenersi.
Leandro guardandoli si chiedeva come facessero a essere tanto felici, vedendosi così poco e sempre di nascosto: i tifosi stavano già sospettando troppo e questo non era un bene. Possedevano una forza e un’allegria apparentemente inesauribili, quei due. Non a caso erano tra i fiori all’occhiello della Nazionale Spagnola.
- Lasciami! – continuava a chiedere Matías, sempre ridendo divertito e agitandosi con le braccia, con cui cercava di colpire Rafael senza troppa violenza.
- No! – gli rispondeva urlando quegli, tenendolo sempre imprigionato e avvicinandosi, tra le botte assestate dal biondo.
- Vuoi abbassare la voce? Se ci scoprono… - lo richiamò Matías fermandosi e guardandolo sorridente, ma fu interrotto prima di riuscire a finire la frase.
- … tu cosa faresti? – gli aveva chiesto Rafael, bloccandosi anche lui e sorridendogli con gli occhi. Matías rimase un attimo spiazzato dalla domanda. Sotto lo sguardo intenso dell’altro non riuscì a impedire al sangue di affluirgli alle guance, colorandole di un rosa vivace che fece risaltare maggiormente le lentiggini marroncine che gli spruzzavano gli zigomi.
- Ecco, io… - iniziò, abbassando lo sguardo, ma fu interrotto dalle labbra del compagno che si erano posate senza preavviso sulle sue. Alzò immediatamente lo sguardo, le mani poggiate sulle spalle dell’altro come a volersi proteggere, e incontrò le ciglia di Rafael a un niente da lui; a occhi chiusi continuava a tenere le loro bocche incollate stringendolo per i fianchi. Allora Matías si rilassò, come ogni volta: chiuse gli occhi e unì le braccia intorno al collo del castano, stringendolo di più contro se stesso e approfondendo il bacio.
Durante tutto questo, Leandro era stato a osservarli silenzioso e assorto. Un sorriso dolce gli scaldò il viso, di quelli che concedeva di rado e solo alle persone più importanti. Non era riuscito a trattenerlo, gli era scivolato via come l’acqua tra le mani che inesorabilmente scorre via. Questo perché Matias e Rafael, seppure totalmente diversi da loro, gli ricordavano tanto Alejandro e James.
Neanche l’avesse sentito gridare il suo nome, James Wallace si posizionò comodamente accanto al compagno di squadra, senza pronunciare una sillaba, stretto nella sua giacca di jeans scuro. Leandro capì al volo di chi si trattava, per questo motivo non si curò di girarsi a salutare, semplicemente si spostò un po’ di più verso sinistra, per far sì che l’altro stesse più comodo. Stettero così, in silenzio, ad ascoltare le risate di Matías e Rafael per due minuti buoni, coscienti dei propri reciproci respiri vicini e bollenti, le dita poggiate sulla carrozzeria dell’auto su cui erano seduti prossime a toccarsi.
I pensieri di Leandro si fissarono su un unico argomento: il ragazzo di fianco a lui. Ventisei anni, capelli di un biondo talmente poco chiaro da sembrare castani, fisico robusto da centrocampista avanzato, portamento fiero da “Capitan Guerriero”, tanto per citare i tifosi. Quel soprannome rispecchiava in pieno l’altro, si ritrovò a pensare Alejandro, fatto che gli fece incurvare ancora una volta gli angoli della bocca verso l’alto. E già: James Wallace rappresentava sicuramente il prototipo di Capitano, o almeno uno dei prototipi. C’era il Capitano buono, quello che rispettava tutti, umile e generoso; c’era il Capitano leale, quello che per vent’anni indossava la stessa maglia e la onorava sempre e comunque, con un ardore identico a quello che lo faceva bruciare agl’inizi della sua carriera; c’era il Capitano fenomenale, quello che ogni tiro è goal, ogni passaggio è preciso sui piedi del compagno, ogni intervento è vincente. Poi c’è il Capitano guerriero, che è un po’ il misto di tutte e tre, quindi nessuna in particolare. E’ un po’ colui che da’ forza alla squadra perché ci è dentro da più tempo, perché ci tiene a quella maglia, perché cerca di non creare casini, ma di giocare al massimo e ci riesce.
James Wallace era esattamente quello, anche se di casini lui ne aveva fatti parecchi e non se ne vergognava, anzi! Se per Leandro il miglior modo per scappare alla “monotonia della città” - a cui somigliava in una maniera esasperante la sua vita di calciatore – era quello di infilare una felpa troppo grande e ripararsi da flash e telecamere fingendosi un normale ragazzo, James aveva tutta un’altra idea. Idea che, per la cronaca, coincideva con il verbo “correre” e implicava una macchina e due belle birrette – ma anche tre o quattro. Già: a James Wallace non bastava correre sul campo da gioco ogni giorno, ogni mese, ogni anno. No, lui era sempre stato tipo da strafare, quindi era ovvio che volesse correre ogni minuto, in un modo o nell’altro.
Il leggero sorriso che gli aveva increspato le labbra fino a pochi secondi prima sparì improvvisamente, sostituito da una smorfia contrariata. Non gli era mai andata a genio questa “passione” di James, non solo perché avrebbe potuto metterlo nei casini fino al collo con la società, la squadra, i tifosi e via dicendo. Non solo perché se lo avessero scoperto sarebbe potuto finire in una buia cella umida e bagnata, no. Non gli piaceva che James corresse a quel modo perché era pericoloso. Leandro poi non era un tipo che si spaventa per poco, il rischio intrigava anche lui, altrimenti non si sarebbe trovato lì in quel momento mettendo in gioco carriera e tutto per passare qualche minuto in più con l’altro. Semplicemente pensava, con la sua logica mente razionale, che quella fosse una passione stupida e pericolosa, per questo ogni volta che James professava il suo amore per quel secondo “sport”, restava immancabilmente deluso e contrariato.
- Ehi ragazzi, invece di stare lì, fermi impalati, che ne dite di farvi un giretto? – chiese Rafael, staccandosi dalla bocca di Matias il necessario per formulare una frase di senso compiuto, tenendo ancora gli occhi chiusi. L’altro mugugnò contrariato e, dalla sua posizione incastrata tra il corpo del moro e la portiera della macchina, si sporse per riprendere a baciarlo. Rafael non si fece pregare troppo prima di tornare, sorridendo, sulle sue labbra.
Leandro scosse leggermente la testa a quella vista, lasciandosi sfuggire un sorrisetto divertito. Una volta che si riunivano, quei due non riuscivano proprio a stare lontani. Abbassò lo sguardo, immaginando la risposta affermativa che James avrebbe dato di lì a poco, fregandosene dei suoi pensieri. E come dargli torto? Non aveva detto neanche una parola da quando l’altro era arrivato, come pretendere che capisse ciò che gli passava per la testa?
Non si era accorto, però, dello sguardo concentrato che l’altro gli aveva posato addosso da quando si era seduto di fianco a lui, senza mai staccarlo o spostarlo di un centimetro. James lo aveva osservato attentamente per tutto il tempo, studiando ogni singola espressione che gli scivolava sul viso, immaginando i pensieri che le avrebbero potute provocare. Fu per questo motivo che alla vista dei suoi occhi bassi e lo sguardo sconfitto che aveva riservato alle sue scarpe scure, sorrise.
- Oggi no Rafael - si limitò a dire, conciso come al solito, consapevole che l’altro lo avrebbe smesso comunque di ascoltare dopo le prime due parole. Il sorriso gli si allargò sul volto quando vide gli occhi di Leandro sgranarsi stupiti, continuando a fissare il terreno.
- Come vuoi… - si limitò a sussurrare Rafael prima di avventarsi sulla bocca del compagno per un bacio più appassionato dei precedenti. James durante quello scambio di battute non aveva smesso un attimo di fissare Leandro, godendo silenziosamente del mutare delle sue espressioni.
Poi non ce la fece più. Mentre Rafael e Matias risalivano in macchina – lo sbattere delle portiere giunse ovattato alle sue orecchie – si fece più vicino a Leandro, fino a far sfiorare le loro dita. Da lì tutto fu veloce e improvviso. Il suo corpo si staccò autonomamente dalla carrozzeria dell’auto, per andare a coprire interamente quello di Leandro, schiacciando le sue gambe contro il metallo. Un ginocchio di James andò a separare quelli del compagno, che nella foga del gesto si era alzato per premerglisi di più contro. Così si ritrovarono appiccicati, Leandro premuto contro il cofano dell’auto che, per reggersi, aveva portato un braccio a circondare le spalle e il collo dell’altro, i respiri bollenti e leggermente affannati che si confondevano tra loro. Si guardarono per alcuni istanti, fermi in quella posizione, chiedendosi come mai due giocatori del loro livello, abituati a corse forsennate, avessero il fiatone dopo un paio di movimenti neanche troppo bruschi. La risposta era così ovvia da sfuggirgli.
Fermi in quella posizione, con gli sguardi incatenati e i volti vicinissimi, sorrisero. Furono sorrisi semplici e leggeri, veloci. Imbarazzato per gli ultimi movimenti compiuti quello di James, che non si addiceva alla sua nota figura di “Capitan Guerriero”; semplicemente felice quello di Leandro.
- Oggi niente corsa, Capitano? – chiese quest’ultimo a un soffio dalla sua bocca. L’altro abbassò lo sguardo sulle sue labbra, osservandole un attimo come in ammirazione.
- Senza te non avrebbe avuto senso – si limitò a rispondere questo, senza spostare lo sguardo. Leandro si sentì leggermente in imbarazzo sotto quegli occhi così carichi, ma liquidò quella sensazione con un’altra domanda.
- Cosa ti fa pensare che non sarei venuto? – chiese, alzando un sopracciglio.
- Non ti piace correre, non così almeno… - rispose James, tornando a guardarlo negli occhi, e Leandro si sentì quasi in colpa perché gli aveva appena negato una serata di divertimenti. Però poteva sempre farsi perdonare in altro modo…
- Perché non ti piace? Non ti fidi di me? – chiese allora il quasi biondo, facendo trasparire da quelle parole tutta la preoccupazione che aveva in corpo e che, normalmente, non mostrava a nessuno. Leandro sentì il cuore stringersi, ma prima che potesse aprire bocca per rispondere, l’altro ricominciò.
- Insomma, potremmo scappare da tutto e da tutti, da questo stupido nasconderci, dalle telecamere, se solo tu accettassi di venire con me per una notte. Noi siamo nati per correre, Leo – disse con più enfasi, spingendolo maggiormente contro l’auto senza accorgersene. L’altro a sentire il suo nome pronunciato in quel modo da quella bocca, abbassò lo sguardo e dovette mordersi le labbra per non sospiragli contro, sentendo l’eccitazione risvegliarsi, fatto che non sfuggì certo a James.
- Allora un po’ sei d’accordo con me, vedo... – disse con un debole ghignò sulle labbra, che stonava molto con l’espressione preoccupata che aveva avuto fino a qualche secondo prima. Leandro scosse leggermente la testa.
- E’ vero Jamie, siamo nati per correre. Solo non in questo modo. – rispose Martinez, ignorando le ultime parole del compagno e tornando a fissare i suoi occhi. James rimase in silenzio per qualche secondo, pensando che oramai erano soli e avrebbe potuto fare a Leo quello che voleva. Lui il sospiro non riuscì a trattenerlo, chiudendo gli occhi e sentendo l’eccitazione farsi largo in lui.
- Mi chiedo… - iniziò a dire, sempre senza guardarlo e prendendolo per i fianchi. - … come sarebbe andare a duecento all’ora con te vicino. Come sarebbe sentire il tuo respiro affannato accanto durante la corsa. – continuò sottovoce, poggiando la fronte su quella del compagno, che sorrise mordendosi il labbro inferiore.
- Ma tu lo sai, Capitano. Ti sei già scordato il sudore, le urla, i tacchetti nell’erba? – chiese, senza cambiare espressione. – E poi io non ti vieto di salire su una macchina e correre, Jamie… - disse, sussurrandogli quell’abbreviativo sulle labbra. A quel suono l’altro sentì tanti piccoli brividi corrergli lungo la spina dorsale, provando prima freddo, poi successivamente un caldo bollente che soltanto la pelle dell’altro sembrava saper alleviare. Per questo motivo avvicinò maggiormente i loro volti e sfiorò il petto del compagno col proprio, deglutendo.
- Cosa mi fai… - sussurrò James, sfregando la fronte contro quella di Leandro, che ridacchiò eccitato per quelle parole.
- Vieni con me stanotte. Non voglio stare solo di nuovo, come un viaggiatore spaventato. Voglio morire con te stanotte, in un bacio senza fine. – sussurrò ancora, riaprendo gli occhi e fissandoli in quelli dell’altro. A Leandro parve di annegare in quello sguardo, tanto liquido e scuro a causa del desiderio, lo stesso che prese lui quando si rese conto di esserne l’unica e sconvolgente causa. Deglutendo lo attirò maggiormente a sé, stringendo la presa che aveva il suo braccio intorno alle spalle dell’altro, fino a far sfiorare le loro labbra.
- Perché non la smetti di citare vecchie canzoni, come un ragazzino alla prima cotta? – gli chiese sulla bocca, abbozzando un piccolo ghigno. L’altro arrossì leggermente, senza riuscire a spostare lo sguardo, colto in fallo. Non sapendo cosa rispondere, attese che fosse l’altro a parlare. E infatti Leandro, vedendolo in difficoltà, sorrise.
- Allora ti aiuto io. Le autostrade sono piene di eroi distrutti alla guida della loro ultima possibilità. Sono tutti in fuga, stanotte, ma non è rimasto più nessun posto dove nascondersi. Che ne dici di smetterla di scappare, allora? – chiese lentamente, portando anche il braccio sinistro a circondare le spalle dell’altro. - Un giorno, non so quando… - continuò, facendo aderire i loro petti.
- … salirò su quella macchina e ci faremo una corsetta, promesso. – disse sorridente, facendo ridacchiare il compagno per la modifica apportata al testo della canzone, che James amava tanto. Sempre sorridendo inclinò la testa, per far incastrare meglio i loro volti.
- Ma fino ad allora i vagabondi come noi sono nati per correre. Su un campo da calcio, però. – terminò, poggiando finalmente le labbra sulle sue, in un bacio lento e sempre più profondo. In quel gioco di lingue e sospiri e morsi accennati riuscirono a sentire tutto il bisogno l’uno dell’altro che stavano provando. James spinse gentilmente Leandro a sdraiarsi sul cofano dell’auto, facendosi trascinare nella discesa dalle sue braccia.
- Va bene, continueremo a correre su un campo da calcio, però voglio i risarcimenti. – disse il più grande tra un bacio e l’altro, scendendo a occuparsi della sua mandibola e beandosi dei primi suoni che l’altro si lasciava sfuggire. Leandro alzò leggermente la testa per raggiungere il suo orecchio con la bocca. Lo morse dolcemente sulla punta, prima di sussurrargli contro lascivo, lentamente:
- Tutto quello che vuoi, Capitano… -

Le ultime frasi, scritte in corsivo, sono versi della canzone. Spero di non averla ammazzata troppo adattandoci su questa fiction ç_ç
Grazie per aver letto e grazie in anticipo a chi vorrà insultarmi via recensioni **
Stringiamoci forte e vogliamoci tanto bene! [cit.]

  
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