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Autore: Gwen Chan    24/07/2011    3 recensioni
Agli uomini che al porto, all’osteria o semplicemente per strada le si rivolgevano con pacata condiscendenza, le davano una pacca sulla testa o, peggio, la incitavano a correre a casa per occuparsi di lavori più adatti a una signorina qual era, Ilde replicava sbraitando di non permettersi e che una volta cresciuta, diventata adulta, donna, avrebbero dovuto mostrarle il giusto rispetto.
Ilde, la bionda ed energica Ilde dagli occhi di fuoco, meglio conosciuta come Konisgberg, ex centro teutonico, capitale del regno della Prussia orientale, anche se la ragazza non si era mai interessata della politica e dei maneggiamenti che avvenivano nelle alte sfere, esigeva tale rispetto; di essere trattata da pari da ogni cittadino, di poterli guardare negli occhi, senza che loro si dovessero chinare o lei alzare sulle punte dei piedi
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Agli uomini che al porto, all’osteria o semplicemente per strada le si rivolgevano con pacata condiscendenza, le davano una pacca sulla testa o, peggio, la incitavano a correre a casa per occuparsi di lavori più adatti a una signorina qual era, Ilde replicava sbraitando di non permettersi e che una volta cresciuta, diventata adulta, donna, avrebbero dovuto mostrarle il giusto rispetto.
Ilde, la bionda ed energica Ilde dagli occhi di fuoco, meglio conosciuta come Konisgberg, ex centro teutonico, capitale del regno della Prussia orientale, anche se la ragazza non si era mai interessata della politica e dei maneggiamenti che avvenivano nelle alte sfere, esigeva tale rispetto; di essere trattata da pari da ogni cittadino, di poterli guardare negli occhi, senza che loro si dovessero chinare o lei alzare sulle punte dei piedi.
A tredici anni, mentre a ovest la Prussia diventava ogni anno più influente, Ilde fremeva nel desiderio che il suo corpo di bambina crescesse, che fosse davvero o specchio della potente e grande cittadina che rappresentava.
Di certo non avrebbe immaginato che nel giro di due secoli avrebbe rimpianto quei giorni lieti in cui poteva ancora correre nel mare o cavalcare sino al confine russo senza pericolo alcuno.
Delle due categorie di persone, tra chi ama la modernità e chi guarda con nostalgia al passato, llde apparteneva senza troppi dubbi alla seconda.
Le visite di Gilbert, tanto apprezzate dalla giovane, non solo per i ninnoli che riceveva in regalo, ma soprattutto per la sola compagnia dell’uomo, che irradiava magnificenza e al cui fianco lei si sentiva protetta, si erano fatte sempre più rare fino a interrompersi del tutto. Del resto si era sempre trattato di occasioni speciali e sporadiche, prive di un calendario preciso; perciò Ilde non si era accorta subito dell’aumentare del tempo tra una partenza e il ritorno successivo.
Soltanto quando si ridussero a una o due all’anno, fatta eccezione per gli avvenimenti ufficiai, che non contavano perché allora Gilbert era troppo occupato a gestire i suoi affari per prestarle attenzione e lei, infagottata nel suo vestito più bello ( e scomodo) doveva sottostare a una rigidissima etichette, Konisgberg si rese conto di quanto le mancassero quelle mattine in cui poteva correre a precipizio giù per il viale, spesso con ancora addosso la camicia da notte, correre ad abbracciare Prussia in uno slancio di affetto infantile, con i capelli biondi intrecciati e le guance rosse di salute, e ricevere orgogliosa i complimenti su quanto fosse cresciuta.
Che tutto fosse destinato a mutare, a partire dagli stessi Stati, come Ludwig alias Germania, che, da bambino quale lei lo ricordava, si era trasformato in un metro e ottanta di giovane, stretto nella sua divisa nera con ancora il disagio dettato da un’innocenza che in breve lo avrebbe abbandonato, Ilde faticava ad accettarlo.
Che cosa importava se ora le era permesso indossare i pantaloni o tagliarsi i capelli secondo il suo piacere, se aveva dovuto vomitare il proprio ribrezzo dopo i risultati delle elezioni che avevano accettato un’ideologia che Ilde, da città qual era, vissuta, esperta, al di sopra delle parti, sentiva come profondamente errata? Che cosa le importava essere trattata da pari da uomini che la disgustavano, mentre l’imperativo categorico di quell’eccentrico del suo concittadino Kant, alla cui ombra era cresciuta, urlava dal profondo della sua coscienza? Se la notte non dormiva per la paura delle bombe e di giorno le lacrime le rigavano il volto sporco di polvere, quando camminava tra le macerie o era costretta ad assistere, annichilita, alla distruzione degli edifici che le erano più cari o ad imbracciare le armi, da bravo soldato Prussiano, per uccidere quelli che si erano trasformati in “nemici” e nulla di più?
L’opprimente senso di sconfitta e impotenza, condiviso da tutto il popolo tedesco in quegli anni in cui la disfatta appariva ormai inevitabile, raggiunse l’apice durante l’ultima visita di Prussia, nel dicembre del 1945, alla vigilia della battaglia che l’avrebbe distrutta per sempre.
Non solo era la prima occasione dopo quasi tre anni che Ilde aveva la possibilità di confrontarsi nuovamente con al sua nazione sovrana, ma anche la prima in cui vedeva Gilbert in abiti civili, forse in un tentativo di sfuggire ai campi di battaglia, che iniziavano a disgustare persino lui, cresciutovi; soprattutto sembrava fuggire da quella divisa nera di pece, di disperazione, che ti corrodeva l’anima. Forse cercava solo un luogo dove trovare un po’ di pace, dove riflettere, come già era accaduto in passato. In un qualche senso avvertiva una sorta di benessere fisico e spirituale dalla vicinanza di Ilde.
“Abbiamo perso” furono e uniche parole pronunciate da Prussia nel corso della giornata, davanti agli innumerevoli boccali di birra scura che la ragazza gli piazzò davanti e che lui vuotò senza fiatare, dal primo all’ultimo. Non c’era tristezza nella voce dell’albino, neppure rammarico. La sua fu piuttosto una schietta considerazione da uomo di mondo, da nazione che aveva sempre viaggiato su binari differenti rispetto agli altri Stati, più lucidi, per così dire.
“Abbiamo perso” ripeté prima di stringerla in un rude abbraccio e allontanarsi. Nell’aria aleggiavano tutte le parole volutamente taciute e i dubbi di Konisgberg.
Quattro mesi e un centinaio di edifici distrutti dopo, con i carri armati russi che occupavano le vie, tutti i dubbi furono fugati.
Avevano perso. Una sconfitta totale. Lei, come tanti altri, ora ne pagava le conseguenze.
“Davvero non capisco. Non capisco.” osò ripetere un giorno davanti a Ivan che odorava di quella vodka da quattro soldi che si portava sempre appresso. Il pugno sulle labbra, dal sapore metallico di sangue, che la sbalzò all'indietro, arrivò così inaspettatamente da dipingerle un’espressione attonita sul visetto fuligginoso. Il suo cappello di fustagno volò via, i setosi capelli biondi, non lunghi, ma neppure tanto corti, caddero in ciocche disordinate attorno alla fronte e al collo.
“C’è poco da capire, Ilde. Sei dalla parte sbagliata. In ogni senso. Credevi che non mi sarei ricordato che sei una ragazza?¬¬” Da mesi Ilde si vestiva e comportava da uomo nel tentativo di fuggire alle violenze dei soldati inferociti e ebbri.
Calcio negli stinchi “O che avrei” -calcio nello stomaco- provato pietà”- pugno sul viso. “Ho tanti uomini lontani da casa da mesi, che non vedono l’ora di sfogarsi su una giovane bella come te. Ma stai tranquilla, non lo permetterò”.
La voce del sovietico era calma, quasi dolce, allora perché la ragazza si sentiva fremere di paura?
“Sarebbe uno spreco farti rovinare in tal modo. Sarei uno stupido a cederti a semplici sottoposti. E poi voglio ferire quel bastardo prussiano anche nei suoi affetti. No, ho altri programmi. Fa’ la brava, piccola Ilde, d’accordo? Non voglio bambini cattivi.”
Ilde avvertì il sapore salato delle lacrime che si sommava a quello del sangue mentre la mole di Russia la schiacciava al terreno.
“Prussia…Gilbert” chiamò, piangendo. Dov’era Gilbert? Dov’era quell’Ivan sorridente e gentile, che le regalava i fazzoletti ricamati o, di nascosto, la portava a cavalcare tra i campi di grano e di girasoli? La guerra aveva spazzato via ogni cosa.
“E’ inutile. Prussia non verrà a salvarti. È troppo impegnato a combattere contro le mie truppe a Berlino per sentirti.” furono le ultime parole che Konisgberg udì prima che le sue stesse urla coprissero ogni altro suono.
Il resto è storia nota: la distruzione di Berlino, la resa incondizionata della Germania, i processi ai gerarchi nazisti. E, cosa più importante per Ilde, la Prussia cessò di esistere come nazione, divisa tra Germania Est, Polonia e, soprattutto, Russia.Ivan si portò via anche lei, la privò dei suoi abitanti, della sua cultura, della sua lingua, persino del suo nome, rendendola un mero guscio vuoto, al punto che Konisgberg arrivò al domandarsi de valesse ancora le pena continuare a esistere.
Un anno dopo la sconfitta tedesca, la ragazza, in ginocchio nella neve di gennaio, sorda i richiami dei pochi che si preoccupavano per la sua salute, ascoltava i rumori di una città ridotta in macerie, un patetico agglomerato di edifici fantasma. La mattina aveva salutato gli ultimi tedeschi espulsi.
“Ci si vede, Ilde. Sii forte. Ci si vede.”
Sotto la danza di fiocchi candidi dovette appellarsi a tutto il proprio autocontrollo per non dirigersi verso il Baltico in tempesta per una passeggiata senza ritorno.
Konisgberg, Konisgberg… continuava a ripetere, quasi volesse aggrapparsi con tutta la sua persona a quel nome, al suo passato, la sua stessa essenza. Konisgberg…. Non Kalingrad! No, no! Konisgberg.

Scavate una fossa in cui possa nascondermi.
Ilde, bricconcella, una signorina non deve mostrare le gambe.
Datemi una corda cui appendere i resti della mia anima.
Che cos’è quel fazzoletto? Non devi accettare regali dai russi. È pericoloso.
Aprite il mare ai miei piedi e richiudetelo sopra la mia testa.
Ilde, quanto sei cresciuta! La prossima volta di porterò a Berlino.
Prussia, dove sei? Vieni a salvarmi! Dimmi che è solo un incubo. Portami con te a Berlino.
Gilbert non verrà. Dimenticalo. Da oggi sarai Kalingrad.
Datemi una ragione per far continuare a battere questo mio cuore.
Ancora impegnata a risolvere l’enigma dei ponti? Vieni che ti offro una birra, cara Ilde.
Così pregava Ilde, la triste ragazza che ora rimpiangeva i giorni tanto disprezzati, in ginocchio nella neve. Le lacrime scivolavano bollenti sulle guance fredde, accompagnate prima che singhiozzi sporadici, poi sempre più forti e frequenti, finché quel corpo ferito e violato, che pagava il fio di decisioni non sue, non fu scosso completamente da tremiti di ghiaccio.

1946. Dopo la sconfitta della Germania e la successiva dissoluzione della Prussia, la città di Konisgberg, ex capitale della Prussia orientale, cessa di esistere.
Ribattezzata Kalingrad, viene inglobata nel territorio dell’URSS e, dopo l’espulsione di tutti i tedeschi, ripopolata con cittadini russi, bielorussi e ucraini.

Note: di solito non amo parlare delle mie convinzioni belliche e politiche su internet, ma oggi farò un'eccezione. A mio modesto parere la guerra è una carognata da persone incivili, dove alla fine quello che pagano sono soprattutto i civili di entrambe le parti. è qualcosa che distrugge, che cambia le persone e fa in modo che i nemici si trasformino in amici e viceversa. Questo è quello che penso e volevo trasparisse nella fanfiction. Inizialmente doveva essere una cosa totalmente differente, poi mi sono documentata riguardo ad alcuni fatti e ho capito che l'idea che avevo sarebbe stato storicamente inesatta, perciò l'ho accantonata. Chiedo venia se Russia risulterà OOC e spero che non intaccherà la storia per quel poco in cui appare.

   
 
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