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Autore: mindyxx    25/07/2011    14 recensioni
All'imbrunire di un giorno d’estate che nessuno avrebbe mai scordato, alla presenza di amici e parenti, la cerimonia del secolo, in cui Brian Kinney sposava Justin Taylor, terminò in un grande applauso accompagnato da fischi e urla di giubilo.
Per tutta la sera danze e brindisi si susseguirono incessanti, mentre il caldo sole scompariva all'orizzonte per essere sostituito da una luna splendente, che faceva bella mostra di sé in un cielo sgombro da nuvole, punteggiato da migliaia di stelle scintillanti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi della serie televisiva “Queer as folk”, citati nella storia, non sono di mia proprietà ma appartengono ai legittimi ideatori. Sono stati da me utilizzati senza il consenso degli autori, non a fini di lucro ma solo per divertimento personale.
Pairing: Brian / Justin
Rating: giallo
Avvertimenti: romantico, slash.

Note: non avendo gradito l’episodio con cui è terminato QaF, ho scritto questa fiction per proporre un finale alternativo.
I produttori della serie hanno separato Brian e Justin, ebbene, io li ho rimessi insieme.
Con questa storia, che racconta l’inizio della loro vita di coppia, ho cancellato l’orrenda immagine di Brian che si sveglia da solo nel loft vuoto e ho dato ai Britin la possibilità di coronare il loro sogno d’amore.
Essendo una post 5x13 manca di originalità, lo ammetto, però volevo che Brian e Justin stessero insieme per mantenere viva una tra le più belle storie d’amore che abbia mai visto e così ho deciso di incrementare il numero, già elevato, di finali alternativi proponendo un momento Britin. Spero possa strapparvi un sorriso.









Un’estate da sogno


un'estate


Justin, abbandonato il giaciglio condiviso con l’amante, si allontanò di pochi passi per immergersi nel fantastico spettacolo che madre natura gli stava regalando.
Respirando profondamente, mentre il sole spuntava all’orizzonte illuminandogli i capelli che risplendevano come fili d’oro, sorrise felice, incantato dalla meraviglia che lo circondava, senza accorgersi che anche Brian si era destato e lo stava osservando in silenzio, ammirando la sua nudità, rapito dal suo corpo perfetto, mentre la brezza mattutina gli solleticava la pelle. Per lui, quella era l’unica meraviglia che potesse incantarlo.
Puntellandosi sui gomiti, Brian continuò a fissare la persona più importante della sua vita lasciando che la mente lo riportasse agli eventi che lo avevano condotto in quel luogo sperduto come marito del signor Justin Taylor, il giovane che per cinque anni aveva lottato per conquistare un posto al suo fianco e che, alla fine, aveva vinto la lotta.

*****

All’imbrunire di un giorno d’estate che nessuno avrebbe scordato, la cerimonia del secolo, in cui Brian Kinney sposava Justin Taylor, terminò con un forte applauso accompagnato da fischi e urla di giubilo.
Per tutta la sera, danze e brindisi si susseguirono incessanti, mentre il sole scompariva all’orizzonte per essere sostituito da una luna splendente che faceva mostra di sé in un cielo sgombro da nuvole e punteggiato da migliaia di stelle scintillanti.
Allo scoccare della mezzanotte, quando gli ospiti se ne andarono, i novelli sposi si rifugiarono tra le accoglienti mura domestiche e Justin, in piedi accanto al caminetto spento, s’incantò ad ammirare la fede d’oro bianco che brillava al suo anulare, incapace di trattenere un sorriso di gioia. C’era riuscito, aveva coronato il suo sogno d’amore: Brian Kinney era finalmente diventato suo marito.
Fino a cinque anni prima nessuno avrebbe immaginato che un giorno il Dio dei gay avrebbe pronunciato il fatidico sì, perché fino a cinque anni prima nella vita di Brian non c’era mai stato nessuno come Justin.
Di prepotenza il giovane era entrato nell’esistenza dell’uomo più desiderato di Pittsburgh. Lottando con arguzia e pazienza era riuscito a sgretolare le sue assurde convinzioni portandolo a credere all’amore, tanto da condurlo alla giornata che si era appena conclusa in cui aveva pronunciato “lo voglio” davanti ai loro amici.
Incapace di distogliere lo sguardo dall’anellino che gli brillava al dito, Justin sentì le braccia di Brian cingerlo, avvolgendogli i fianchi, fino a intrecciarsi sul suo ventre. Gli bastava essere stretto a lui per sentirsi bene, per capire quanto fosse stato fortunato a incontrarlo.
Posate delicatamente le proprie mani su quelle di Brian, Justin sospirò. Era talmente felice che a fatica riusciva a trattenere le lacrime, le stesse che durante la cerimonia avevano minacciato più volte di sfuggire al suo controllo per scendere a rigargli le gote arrossate dall’emozione.
Immerso in pensieri che gli davano la sensazione di poter galleggiare a mezz’aria, avvertì l’alito caldo di Brian sul collo.
«Andiamo, Splendore, non avrai intenzione di trascorrere la prima notte di nozze guardando la tua mano? Ho altri progetti in mente», sussurrò Brian lascivo sfiorandogli la pelle con le labbra.
Strappato alle riflessioni, lentamente Justin si girò per fissare le proprie iridi cerulee in quelle scure del marito e un sorriso raggiante illuminò il suo volto. Posate le mani sul torace marmoreo dell'uomo, si alzò sulla punta dei piedi e si sporse per catturargli le labbra. Era tutto il giorno che voleva stringerlo a sé, che desiderava sentire il suo sapore, che bramava il suo corpo.
Avevano trascorso le ultime ore comportandosi da perfetti gentiluomini, intrattenendo gli invitati, dimostrandosi disponibili verso donne e bambini, sia quando si trattava di essere coinvolti in un ballo, sia quando venivano trascinati in frivole discussioni, ma in quel momento non c’erano ospiti da intrattenere. Finalmente erano rimasti soli.
Lo splendido castello che Brian aveva acquistato per lui, il suo principe, che per tutta la sera era stato teatro di chiacchiere, brindisi e musica, era di nuovo a loro disposizione e il silenzio che vi regnava, da quando i festeggiamenti erano finiti, presto sarebbe stato infranto solo dai loro gemiti.
Senza esitare, imprigionati nel turbinio delle emozioni, abbandonarono sul pavimento gli abiti da cerimonia e si strinsero in un abbraccio passionale che avrebbe unito i loro corpi e soddisfatto il desiderio impellente che avevano l’uno dell’altro. E così si amarono, per tutta la notte, evitando di pensare al futuro e a ciò che li attendeva.
La mattina seguente Justin si destò e vide Brian in cucina con un asciugamano legato attorno ai fianchi e i capelli bagnati, segno che si era alzato da qualche minuto.
Stampandosi sulle labbra un sorriso forzato lo raggiunse per dargli un bacio veloce, poi si chiuse in bagno. Cinque minuti più tardi ricomparve, lavato e profumato, pronto per affrontare la nuova giornata che, sapeva, sarebbe stata pessima.
Prima di sposare Brian aveva fatto una promessa e non era tanto stupido da credere che l’uomo avesse dimenticato le sue parole.
In silenzio si accomodò sul divano e attese che Brian lo raggiungesse.
Quando gli fu accanto si scambiarono uno sguardo inequivocabile; Brian stava per ordinargli di mantenere l’impegno preso.
Chinata la testa, Justin iniziò a giocherellare con la fede che brillava al suo anulare per evitare lo spiacevole discorso, ma Brian gli pose un dito sotto il mento e lo costrinse a guardarlo. «Il giorno prima del matrimonio ti dissi che non volevo sposarti perché la nostra unione ti avrebbe impedito di diventare famoso. Ti saresti fossilizzato in questa città ed io non lo avrei permesso», affermò con voce calma e subito Justin ritrovò la forza per ribattere.
«Ricordo le tue parole. Come sempre stavi per buttare nel cesso la nostra felicità».
La risposta decisa del biondino e il suo sguardo combattivo non impressionarono Brian che continuò il discorso senza scomporsi. «Allora ricordi anche le tue parole!»
Justin sospirò e, senza distogliere lo sguardo da quegli occhi così profondi che scrutavano la sua anima, accolse la sfida e ripeté, non senza fatica, quanto dichiarato solo quarantotto ore prima. «Dopo che avevi immolato il nostro amore all’arte, ti dissi che eri uno stronzo e che non avrei lasciato Pittsburgh solo perché tu me lo stavi ordinando. Ho cercato di farti capire che il nostro matrimonio era più importante della fama. Che solo vivendo con te sarei stato felice e infatti ora sono felice. Sai quanto ti amo, io...»
Brian gli posò un dito sulle labbra per zittirlo. «Stai divagando Splendore, torniamo alla promessa». La sua frase fu accolta da una smorfia seccata da parte di Justin, ma lui la ignorò.  «Allora? Dicevi?» chiese, arcuando un sopracciglio e Justin dovette riprendere l’odiato discorso.
«Dopo circa un’ora di discussione, o forse più di un’ora, non ricordo per quanto tempo ti sei comportato come un perfetto coglione, mi ero stancato delle tue cazzate sul sacrificio, sul futuro, sulle mie possibilità di diventare un artista famoso, così ho ribadito che non me ne sarei andato e che mi sarei presentato davanti all’altare in attesa del tuo arrivo, poi ho lasciato il loft sbattendoti la porta in faccia».
Concluso il resoconto, Justin rivolse a Brian un sorrisino malizioso. «Sapevo che saresti venuto, che non mi avresti abbandonato davanti all’altare e ora che siamo sposati sono l’uomo più felice del mondo».
Di nuovo Brian lo zittì con un gesto della mano. Justin era scaltro, otteneva sempre ciò che voleva, ma aveva fatto una promessa e, anche se faceva male, gliela avrebbe fatta mantenere.
Il furbetto aveva giocato bene le sue carte per costringerlo al matrimonio. Sapeva che Justin non scherzava e si sarebbe fatto trovare davanti ai loro amici, e all’officiante, in attesa che lui arrivasse e così si erano sposati. Non poteva abbandonarlo all’altare!
Ma non era stato solo il ricatto ad averlo convinto a compiere il grande passo, erano state le parole che Justin aveva pronunciato durante l’interminabile discussione pre-matrimoniale a convincerlo, parole di cui, in quel momento, Justin fingeva di non avere ricordo, ma lui gliele avrebbe rammentate.
«Ora che hai finito di menzionare quanto io sia stato stronzo, o coglione, fai ordine in quella bella testolina bionda e dimmi l’unica cosa che voglio sentire uscire dalla tua boccuccia».
«Cazzo, Brian, non oggi».
«Sì Justin, oggi!»
«E va bene!» urlò esasperato Justin. «Ho promesso che dopo il matrimonio sarei partito per quella cazzo di città, che avrei cercato un posto dove vivere e un manager che mi aiutasse a diventare famoso», ammise stizzito poi, con sguardo da cucciolo bastonato, si avvicinò alle labbra di Brian per sfiorarle delicatamente con le proprie sperando in un suo ripensamento, ma gli bastò un’occhiata per capire che era tempo perso. «Non farlo, non mandarmi via... ti prego», implorò, e i suoi occhi si colmarono di lacrime.
Brian lo accolse tra le forti braccia per permettergli di posare la testa sul suo torace, mentre con la mano gli accarezzava i capelli scendendo lentamente a lambirgli la guancia. «Sono fiero di te, Justin. Dell’uomo che sei diventato. Ma ora voglio che tutto il mondo ti veda come ti vedo io. Voglio che tu vada a New York e spacchi il culo a quegli etero di merda. Tutti dovranno capire che razza di genio sei».
Justin alzò la testa per cercare lo sguardo del marito che gli sorrideva dolcemente.
«Non ti sto cacciando», sussurrò Brian. «New York non è in capo al mondo e ci vedremo ogni fine settimana».
Justin sapeva che non era un addio, ma amava tanto Brian e separarsi da lui, il giorno successivo il matrimonio, lo faceva star male, però aveva promesso e avrebbe onorato la parola data. «Ho preso un impegno e lo manterrò», annuì asciugandosi le lacrime. «Ma anche tu dovrai mantenere il tuo e quando sarò famoso, e tornerò, non dovrai più mandarmi via perché convinto di agire per il mio bene...»
Justin lasciò la frase in sospeso per alcuni secondi, la caparbietà che contraddistingueva il suo carattere era riemersa. Lui non era un ragazzino piagnucoloso, era un adulto forte che sapeva accettare le proprie responsabilità. Di nuovo fissò lo sguardo in quello dell’uomo che amava. «E il giorno in cui tornerò non è lontano, mister Kinney. Un paio d’anni e avrò conquistato il mondo e allora non ti libererai più della mia costante presenza. Ti starò sempre attaccato al culo», ribatté, mentre Brian lo attirava a sé per poggiare la fronte alla sua.
«È una minaccia?» chiese malizioso.
«È una promessa», asserì Justin e le loro labbra si accostarono come a voler siglare, con un bacio, l’impegno preso da entrambi per costruire un futuro insieme.
Sereni si diressero verso la camera, dove si erano amati con passione per tutta la notte e, senza rimpianti, si prepararono alla separazione.
Giunti in aeroporto si salutarono evitando addii strappalacrime e Brian, immobile, osservò Justin dirigersi verso l’imbarco. Quando il giovane marito scomparve tra la folla, lasciò l’ampio salone per tornare alla Corvette. Avrebbe trascorso i successi sei giorni lavorando, in attesa che il suo Raggio di Sole tornasse a illuminare una vita che non aveva più senso senza di lui.
Arrivato alla Kinnetik, Brian salutò Cynthia e si chiuse in ufficio per rilassarsi e riflettere.
Sprofondando nella poltrona s’incantò a osservare la fede che brillava al suo dito, ma la quiete durò poco perché la porta venne spalancata e la bionda segretaria entrò a passo spedito. «Ti ho portato dei documenti da approvare».
Afferrati gli incartamenti, Brian li firmò senza neppure chiedere di cosa si trattasse e il suo comportamento incuriosì Cynthia. Non era da lui apporre una firma senza domandarne il motivo.
Incrociato lo sguardo perplesso della donna, Brian capì che la giornata già pessima sarebbe diventata un vero incubo perché, quando voleva, Cynthia sapeva essere più irritante di Debbie.
La vide sedersi di fronte a lui, pronta a triturargli le palle, e cercò di evitare il supplizio. «Mi piacciono le tue scarpe e anche la tua gonna», affermò ostentando falso interesse e Cynthia indirizzò un’occhiata distratta alle calzature indossate. «E sai cos’altro mi piacerebbe ora?» domandò con sarcasmo. «Sentire il rumore dei tuoi tacchi e il fruscio della tua gonna mentre schiodi il culo dalla poltrona e lasci il mio ufficio».
Cynthia finse di non cogliere la provocazione e, senza che vi fosse un particolare motivo, iniziò a parlare del matrimonio. «La cerimonia è stata molto emozionante, non credevo che un giorno avrei sentito Brian Kinney pronunciare il fatidico sì, anche se per Justin anch’io potrei rivedere il mio status di single incallita. A proposito del tuo splendido maritino, perché non sei a casa a scoparlo? Credevo che lo avresti incatenato al letto per un’intera settimana!»
Brian la osservò incerto, non sapeva se mandarla affanculo o risponderle con sincerità. Per un istante i loro sguardi s’incrociarono e decise per la seconda opzione.
Cynthia era fantastica. Una delle poche persone che non lo aveva mai giudicato e che non aveva timore di dirgli ciò che pensava. Era il Brian Kinney del mondo etero.
Cercando di non apparire melodrammatico o peggio, patetico come una lesbica, rispose sperando che poi lo avrebbe lasciato in pace. «Justin è partito. Ora è su un aereo che lo porterà a New York e, sebbene non siano cazzi tuoi, devi sapere che ho accettato di sposarlo a condizione che non mandasse a puttane l’opportunità di diventare famoso. Il matrimonio c’è stato e adesso deve occuparsi della sua carriera... fine della storia. Ora fammi vedere come giri sui tacchi e te ne vai».
Ascoltata con interesse ogni sillaba pronunciata dall’uomo, ovviamente Cynthia non accolse il suo gentile invito, non poteva andarsene senza aver esposto un parere non richiesto. «Ho capito cosa vi serve!» esclamò entusiasta.
«Non pensavo ci servisse qualcosa», ribatté serio Brian, ma la bionda non sembrava ascoltarlo.
Puntato contro Brian l’indice perfettamente laccato, Cynthia iniziò a esporre l’idea fantastica balenata nella sua mente diabolica. «Siamo in estate e ricordo che una volta Justin mi disse che gli sarebbe piaciuto trascorrere qualche giorno a Ibiza. Quando la splendida creatura lascerà New York per tornare nella tana dell’orco?»
«La splendida creatura tornerà dall’orco per il fine settimana, e l’orco lo sodomizzerà per due giorni senza concedergli tregua», replicò Brian con tono acido. «E ora te ne puoi andare».
Di nuovo Cynthia non accolse il garbato invito a levare il disturbo, non poteva andarsene, non aveva ancora esposto la sua idea brillante.
Posate le mani sulla scrivania, incatenò i propri occhi azzurri in quelli dell’uomo. «Fagli una sorpresa. Organizza un viaggio. Dieci, quindici giorni da trascorrere insieme. Non siete mai andati in vacanza e so che a lui piacerebbe. E non dirmi che la sua carriera non ve lo permette. Non saranno due fottute settimane a mandare affanculo il suo futuro anzi, credo che lo renderesti felice e al termine del viaggio sarebbe più ispirato».
Brain la osservò stupito. «Alcune volte mi fai paura».
«Perché sono un genio?» rispose Cynthia di rimando.
«Perché mi somigli troppo!»
Cynthia sorrise alle sue parole. «Grazie capo, lo prendo come un complimento e ora datti da fare, guadagna tanti milioni, prenota la vacanza e pensa seriamente a concedermi un aumento in modo che anch’io possa permettermi sole, mare e uomini fighissimi con cui scopare».
Brian trattenne una risata divertita e radunò i documenti firmati. Non lo avrebbe mai ammesso, ma adorava Cynthia e non avrebbe potuto fare a meno delle loro discussioni sul lavoro, né dei suoi consigli non richiesti che, la maggior parte delle volte, risultavano appropriati.
«Se ti aumento lo stipendio, mi porterai sull’orlo del fallimento», rimbeccò porgendole l'incartamento firmato pocanzi. «E ora vai a lavorare se non vuoi che ti licenzi».
Cynthia afferrò i documenti e si diresse verso l’uscita. Posata la mano sulla maniglia, si voltò un’ultima volta verso l’amico. «Prenota la vacanza, penseremo Ted ed io a mandare avanti la baracca». E senza aggiungere altro uscì.
Di nuovo solo, Brian si ritrovò a osservare la piccola fede d’oro al suo dito, brillava come gli occhi di Justin al momento del sì.
Non avrebbe mai dimenticato la sua espressione mentre gliela infilava. Era la cosa più bella che avesse mai visto.
Sapeva che spedirlo a New York, subito dopo il matrimonio, era stato un duro colpo per Justin e siccome con le parole non era bravo, decise che gli avrebbe dimostrato con i fatti quanto lo amava.
Aveva ancora sei giorni prima del suo rientro e avrebbe organizzato qualcosa che potesse renderlo felice.
Grato all’amica per il suggerimento, pensò che meritasse davvero un aumento e, probabilmente, glielo avrebbe concesso.

*****

Le giornate si susseguivano lente.
Brian lavorava alla Kinnetik, mentre Justin cercava i primi contatti a New York per la scalata al successo.
Non passava giorno senza che si sentissero telefonicamente e Brian, ogni volta, benediva la dea della tecnologia per aver reso possibili le videochiamate.
Il sesso virtuale era appagante, se si aveva una buona webcam, e gli sposini disponevano del prodotto migliore sul mercato che rese meno duro il distacco finché, al termine della lunga settimana, Justin tornò a casa.
Pregustando ciò che Brian gli avrebbe fatto varcò la soglia ma, posata a terra la valigia, ricevette solo un bacio veloce dal marito mentre gli passava accanto trascinando un trolley.
«Ciao Splendore, so che sei stanco per il viaggio, ma avrai modo di dormire in aereo. Prendi il beauty e muovi il tuo bel culo. Si parte!»
Justin, impalato sulla soglia di casa, continuò a osservare il compagno mentre caricava le valige sul montacarichi.
«Cazzo, Justin, ti vuoi schiodare da lì?» gesticolò Brian e di nuovo Justin lo osservò senza capire. Finalmente erano insieme e Brian gli aveva dato solo un misero bacino. Anche sua madre lo avrebbe accolto con più passione.
«Ero convinto che varcata la soglia mi avresti preso con forza», sorrise malizioso. «Immaginavo mi avresti messo faccia al muro e mi avresti scopato per ore e invece non mi degni della minima attenzione. Non ti è mancato il mio bel culetto sodo?»
Sfiorandosi il sedere in modo sensuale, Justin rivolse a Brian l’ennesimo sorriso malizioso e l’uomo, alzando gli occhi al cielo, lo avvicinò e gli afferrò il polso. «Me lo hai fatto diventare duro, stronzetto, e più tardi verrai punito, dato che ora non ho tempo per scoparti e dovrò tenermi una fastidiosa erezione stretta nei pantaloni... e adesso cammina».
Dopo aver trascinato Justin sul montacarichi, Brian pigiò il bottone per il piano terra e si avventò famelico sulle sue labbra coinvolgendolo in un bacio che gli tolse il respiro.
Quando si staccarono Justin cercò di parlare, ma Brian lo zittì. «Niente domande, Splendore, è una sorpresa».
Usciti in strada, un taxi li stava aspettando per condurli all’aeroporto. Durante il tragitto Justin provò a carpire informazioni a Brian per scoprire la meta del viaggio, ma senza riuscirci.
Era anche giunto al ricatto. In fondo sembrava funzionare. Lo aveva minacciato di fargli trascorrere le successive notti da solo se non gli avesse rivelato ciò che stava succedendo, ma in risposta aveva ottenuto una sonora risata. Quando stavano insieme, riuscivano a tenere i rispettivi giocattoli nei pantaloni solo il tempo necessario per oltrepassare la soglia di casa, alcune volte non riuscivano neppure ad arrivare alla porta ed erano già semi nudi davanti all’ingresso. La sua minaccia era tanto assurda quanto inattuabile. Lo sapeva lui e lo sapeva Brian che non aveva ancora smesso di ridere.
«Sei uno stronzo Kinney», sbuffò Justin e in silenzio osservò la strada soleggiata che, rapida, si snodava davanti a loro.
Giunti all’aeroporto s’imbarcarono su un aereo di modeste dimensioni e Justin s’incantò a osservarne l’interno, perfettamente allestito, e notò che gli unici passeggeri erano loro.
Il comandante gli rivolse un cordiale saluto poi parlò a bassa voce con Brian in modo che lui non potesse sentire.
Quando l’aereo decollò, sfoderando il sorriso abbagliante con cui tante volte aveva irretito il marito, Justin cercò nuovamente di scoprire la meta del viaggio, ma invano. Decise allora di lasciar perdere e si accomodò sulla comoda poltrona per concedersi un po’ di riposo. Chiuse gli occhi e si addormentò ripensando al momento in cui Brian aveva pronunciato quel sì per cui aveva lottato dal giorno in cui si erano incontrati.

*****

Dopo un viaggio durato ore, Justin sentì le morbide labbra del marito posarsi sulle proprie e si destò. Con sollievo apprese che la meta era prossima; finalmente avrebbe scoperto la sorpresa che Brian aveva in serbo per lui.
Rabbrividì al ricordo dell’unica volta in cui l’uomo aveva deciso di fargli un regalo. In occasione del suo diciannovesimo compleanno Brian gli aveva procurato un gigolò e sperò che la meta di quel viaggio misterioso non fosse una città frivola dove rimorchiare i ragazzi più belli. Non che l’idea di stare con splendidi giovani pronti a tutto fosse da scartare, però avrebbe scambiato ogni gay del pianeta pur di stare da solo con l’uomo che amava. Magari in una città romantica come Venezia, o Parigi.
Inutile pensarci, presto avrebbe scoperto dov’erano diretti e avrebbe gioito qualunque cosa lo aspettasse.
Prima di scendere dall’aereo, Brian estrasse dalla tasca un nastro e Justin sospirò intuendo ciò che aveva in mente. In pochi secondi, nonostante le sue vivaci proteste, si trovò bendato e, aggrappandosi alla mano del marito, si lasciò condurre verso l’ignoto.
Senza fare domande scese dall’aereo per salire sul taxi che li stava attendendo.
Una quindicina di minuti più tardi l’auto si fermò.
Portata una mano agli occhi per liberarsi della benda che lo fasciava, Justin sentì il fiato di Brian sul collo. «Calma, Splendore, non essere impaziente, la meta è vicina, ma non siamo ancora arrivati».
Rassegnato, Justin decise di assecondarlo e attese.
Lo sentì parlare con qualcuno, poi avvertì la sua mano cingergli un polso; Brian lo stava aiutando a salire su un elicottero e la curiosità di scoprire dove fossero diretti aumentò e iniziò a porsi mille domande.
Dove stavano andando? Perché tanto riserbo? Che diavolo aveva in mente lo stupendo marito? E mentre la sua mente formulava tanti quesiti, cui non riusciva a dare risposta, finalmente atterrarono.
Con l’aiuto di Brian lasciò l’abitacolo e, quando l’elicottero decollò, attese paziente che i suoi occhi potessero rivedere la luce.
Ancora un istante e avvertì il tocco delicato di Brian sfiorargli la nuca. Le mani dell’uomo stavano accarezzando i suoi capelli, dove la benda era annodata.
Sentì il suo alito sul collo, prima che le sue labbra gli sfiorassero la pelle.
Un brivido gli corse lungo la schiena, ma s’impose di restare calmo. Il gioco lo stava conducendo Brian e avrebbe lasciato che andasse fino in fondo abbandonandosi completamente a lui.
«So che non è il tuo compleanno, Splendore, ma spero che questo regalo possa compensarti per quelli che non ti ho mai fatto».
La voce sensuale di Brian gli procurò l’ennesimo brivido e di nuovo Justin dovette trattenersi dal gettarsi tra le sue braccia, tanta era la voglia che aveva di lui, e lasciò che continuasse a giocare.
«Hai sempre detto che avresti voluto trascorrere una settimana a Ibiza. Ci ho pensato mentre eri via e ho deciso che ci saremmo concessi una vacanza. È estate e anche noi meritiamo un po’ di riposo».
Mentre parlava Brian slegò la benda che cadde ai suoi piedi.
Justin impiegò qualche secondo per mettere a fuoco ciò che aveva di fronte e rimase muto, a bocca spalancata, finché la voce divertita del marito lo scosse dal torpore che aveva intrappolato ogni fibra del suo corpo. «Sai che non amo i luoghi turistici come Ibiza, così ho deciso per un itinerario alternativo».
Justin, ancora a corto di parole, sentì il cuore battere più forte e temette potesse esplodere per la felicità mentre Brian, cingendogli la vita, posò il mento sulla sua spalla, soddisfatto per la reazione che il suo regalo stava suscitando in lui.
Con falsa modestia, e un pizzico di malizia, soffiò nel suo orecchio per farlo reagire. «Spero non ti dispiaccia se ho programmato una vacanza in cui non dovrò dividerti con nessuno, perché devi sapere che su questa isola paradisiaca, che ho affittato per un mese, ci siamo solo noi».
Le parole di Brian distolsero Justin dal panorama che li circondava e con le lacrime agli occhi e incapace di dire qualunque cosa, lentamente si voltò tra le sue braccia.
Limitandosi a posare un bacio sulle labbra di Brian, perché le parole sembravano non voler uscire dalla sua bocca, Justin sorrise, poi di nuovo si voltò a osservare l’immensa distesa azzurra di fronte a lui, mentre un senso di pace irreale lo cullava dolcemente.
Era il tramonto e le onde danzavano spumeggianti rincorrendosi lente in un moto continuo per spegnersi sulla bianca sabbia della spiaggia.
Il sole stava raggiungendo la linea dell’orizzonte, dove il blu del cielo si confondeva con quello dell’acqua, creando giochi di colore che tingevano d’arancio le nuvole vicine. Mai spettacolo fu per Justin più bello, perché lo stava ammirando tra le braccia dell’uomo che amava.
Con un groppo in gola, che rischiava di farlo scoppiare in lacrime come una ragazzina, distolse lo sguardo dalla meraviglia che lo circondava per rivolgerlo alla meraviglia che lo teneva stretto.
Non sapeva cosa dire. Ancora una volta Brian lo aveva sorpreso.
Sorrise all’idea che l’uomo non volesse sentir parlare di romanticismo. Se quello non era un gesto romantico, allora cos’era? Brian aveva affittato, non una camera in un anonimo hotel di una cittadina qualunque, bensì un'intera isola per trascorrere insieme un'estate da sogno!
Emozionato, Justin cercò di articolare una frase, anche se il tremore della voce glielo rese difficile. «Brian... tu sei... sei...»
«Bellissimo? Sexy? Eccitante? Favoloso? Stupendo?» lo incalzò l’uomo divertito.
«Sei la mia ragione di vita», sussurrò Justin prima che Brian lo avvolgesse tra le forti braccia per accoglierlo in una stretta possessiva, per dimostrare quanto anch’egli tenesse a lui. Lo amava. Da tempo aveva capito che la sua vita non sarebbe più stata completa se non lo avesse avuto al suo fianco.
Lentamente gli passò una mano tra i capelli, mossi dalla leggera brezza, scendendo a lambirgli le gote.
Con un dito gli sfiorò lo zigomo, tracciando una linea delicata fino alle sue morbide labbra di cui disegnò il contorno.
Gli occhi di Justin, al tocco leggero di Brian, assunsero una colorazione più intensa, velati da un piacere che urlava di essere soddisfatto.
Con calma Brian gli sfilò la maglia, lasciando che le proprie mani corressero lungo la sua schiena nuda e lo attirò a sé.
Le bocche s’incontrarono, le labbra si schiusero e le lingue s’intrecciarono in una danza sensuale carica di passione e finalmente i due amanti si lasciarono trasportare dal desiderio, abbandonandosi sulla sabbia per godere del reciproco calore.
La dolce melodia della risacca fece da sottofondo ai loro sospiri.
In quel paradiso perduto, lontano dal caos cittadino, in breve si udirono solo i loro gemiti soffusi mescolati ai rumori della natura che li circondava, unica spettatrice dell’amore che li univa da cinque anni.
E quando il desiderio divenne insopportabile e la voglia di trovare sollievo nell’accogliente corpo di Justin non poteva essere rimandata Brian, scivolando lentamente in lui, senza imbarazzo, senza timore di essere considerato una patetica checca, con un sussurro soffiato sulla sua candida pelle si abbandonò ai sentimenti. «Ti amo Justin». Fu solo un sussurro seguito da una dolce promessa. «E voglio fare l'amore con te per tutta la notte».
Così, sotto il cielo che lentamente imbruniva, iniziò la danza di quei corpi perfetti. Una danza sensuale che avrebbe condotto i due amanti ad assaporare ciò che la loro unione gli aveva donato sin dalla prima volta in cui, un po’ per gioco, un po’ per passione, l’uno si era concesso all’altro, senza immaginare che in quel giorno speciale qualcosa di importante stava nascendo.

*****

Dopo la notte trascorsa tra le braccia di Brian, immobile sulla rena Justin ammirava estasiato lo spettacolo di fronte a sé.
Il sole, lentamente, stava solcando il cielo per occupare il posto che madre natura gli aveva riservato, riflettendosi nel blu dell’oceano, e creava giochi di luci scintillanti sull’enorme distesa d’acqua.
La quiete era rotta dalla leggera brezza che muoveva le fronde e dall’ovattato rumore delle onde che, lente, si rincorrevano fino a morire sulla spiaggia.
Respirando la fragranza della natura, così inebriante, Justin finalmente si voltò e le sue iridi cerulee incontrarono quelle scure dell’uomo che aveva fatto avverare i suoi desideri e rabbrividì al ricordo della notte appena trascorsa.
Brian lo aveva amato e, per la seconda volta da quando stavano insieme, aveva pronunciato le due parole per le quali non aveva mai smesso di lottare, e il suono melodioso di quel ti amo, sussurrato contro la sua pelle, lo avrebbe conservato nel cuore per sempre, come fosse un tesoro di valore inestimabile.
Mentre la sua mente si lasciava cullare dai ricordi, vide Brian allungare il braccio per chiamarlo. La vacanza era appena iniziata e l’uomo aveva intenzione di renderla memorabile per entrambi.
Justin sorrise e lentamente tornò da lui.
Lasciandosi cadere sulla sabbia si fece accogliere dalle sue braccia che lo avvolsero in una stretta passionale.
La vita insieme non sarebbe stata facile, non aveva mai creduto che lo fosse. In fondo aveva sposato Brian Kinney, non un gay qualunque, eppure era certo che avrebbero superato ogni incomprensione, ogni problema legato al lavoro di entrambi e alla vita di coppia avrebbe trovato una soluzione perché si amavano.
Stretto al corpo del marito, Justin chiuse gli occhi assaporando la quiete che regnava in quel paradiso terrestre.
Era felice.
Grazie all’uomo stupendo che lo stava abbracciando dolcemente, il sogno di quando era solo un ragazzino diciassettenne era divenuto realtà.
Sorridendo ripensò alla sera in cui Brian lo aveva rimorchiato per condurlo al loft. La radio era accesa e la voce di Jim Morrison cantava: “A volte il vincitore è semplicemente chi non ha mai mollato”.
La frase gli era piaciuta tanto che aveva deciso di farla propria e negli anni successivi, ogni volta che un ostacolo si frapponeva tra lui e l’uomo che amava, ricordando quelle parole ricominciava a lottare.
Mai aveva mollato e alla fine si era aggiudicato il premio più ambito: Brian Kinney, e stringendosi a lui sorrise felice, pronto a gustare di nuovo l’inebriante sapore della vittoria.


Fine







Questa storia ha partecipato al contest: «Choose your Quote!» indetto da Lady_Nonsense, classificandosi TERZA.

La citazione che ho scelto è: «A volte il vincitore è semplicemente chi non ha mai mollato (Jim Morrison)»

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