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Autore: Ucha    26/07/2011    6 recensioni
Gli uomini non sono fatti solo per giocare con le donne. C'è sempre qualcuno che può dare il loro cuore.
Piccola One-shot AU su un crack pairing: UraharaxHarribel
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Espada, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La donna aprì il rubinetto del lavello, lasciando che un violento getto d’acqua aggredisse la porcellana bianca. Quella sera non aveva messo i piatti sporchi nella lavastoviglie, a causa dell’incredibile solitudine che l’affliggeva, insieme ad una frustrante sensazione di abbandono.
Scrostare il sugo dalla pentola l’avrebbe aiutata a sfogarsi un po’. Prese la spugna, e ci mise due gocce di sapone per piatti sopra, per poi cominciare un’energica lotta contro le incrostature di cibo che rimanevano ostinatamente attaccate sulle sue stoviglie.
Tia Harribel contrasse leggermente il suo viso scuro e strofinò con più forza, mentre amari pensieri l’assalivano, provocandole un’acidità irritante. Guardò con astio e amarezza il calendario appeso al muro della cucina, ricoperto da una pellicola di polvere. La data del giorno, il venticinque luglio, era segnata da un cerchio rosso e ben in vista. Un venticinque luglio che ormai s’apprestava a terminare. Si chiese perché alla fine ci aveva creduto così tanto, alle promesse di un uomo qualunque appartenente a quella sfilza che erano solo di passaggio nella sua vita. Si domandò perché aveva dato ascolto alle sue parole, che avevano pronunciato una frase sentita fino alla nausea: “Festeggeremo il tuo compleanno insieme, te lo prometto!”
Che mucchio di scemenze. Forse si era fatta ammaliare ingenuamente dai suoi metodi cavallereschi e la voce gentile che velava un pizzico di maliziosità. Che stupida eri stata, Tia Harribel, a fidarti di un uomo. E pensare che le tue tre amiche ti avevano invitata a festeggiare il tuo compleanno con loro. Un invito che avevi respinto con gentilezza, dato l’impegno preso. E invece niente, una falla come al solito. Si fissò con stizza l’anello d’oro dove era incastrato un brillante, il regalo di fidanzamento da parte di lui. Le venne voglia di toglierlo e di lasciarlo a marcire in una scatola conservata appositamente per quel genere di delusioni, per ricordarsi che nonostante lei ci avesse messo anima e corpo nel far sentire a loro agio quella razza che si ostinava ancora a chiamare ‘umana’, fosse stata buttata in sudicio angolo come una bambola che non serve più a una bambina stufa.
Osservò quei piatti abbandonati nel lavandino, non avendo più forza fisica e morale per continuare a lavarli. Li prese con gesti bruschi e li infilò nella lavastoviglie, insieme ad un “tenero” augurio di andare al diavolo, i piatti e tutti gli uomini.
Trascinò le gambe fino al divano carminio e si buttò sopra arricciandosi una ciocca bionda.
- Buon compleanno, Tia. - biascicò. - Ventinove anni non si fanno tutti i giorn… -
DRRRRRRRRRIIIIIIN! si sentì per l’appartamento, interrompendo le sue parole e stonandole le orecchie. La donna si alzò esibendo una palesemente seccata espressione in faccia, assottigliando gli occhi color smeraldo. Fece ondeggiare la camicetta trasparente che le arrivava a metà coscia fino all’ingresso della casa e, benché da parte sua non fu molto saggio, aprì la porta senza aver sbirciato dall’occhiello. Si ritrovò davanti un uomo sulla trentina in camicia e pantaloni, reggente in mano una giacca nera che gli aveva causato una sudata infame. Il volto chiaro era spruzzato da accenni di barbetta, i capelli color paglia arruffati e un’espressione da ebete e chiedeva ripetutamente scusa.
Tia rimase interdetta nel trovarselo di fronte, ciononostante rimase impassibile e scura in volto.
- Mi sorprende che alla fine tu sia venuto. - disse con durezza la neo-ventinovenne.
Lui ridacchiò un po’ stupidamente, tenendo una mano ben nascosta dietro la schiena.
- Ehehe, mi dispiace per questo ritardo… - provò a giustificarsi, venendo però interrotto da lei.
- Ritardo? Io proverei a dire che te ne sei dimenticato, Kisuke. - tagliò corto con freddezza, sibilando il nome del compagno come per risaltarne la colpa.
- Su, su, cosa dice, signorina Harribel? - rispose con una faccetta infantile quanto tenera. Con grande stupore della sua interlocutrice, dalla schiena l’uomo scoprì un mazzo di rose incredibilmente intatte, avvolte in una carta rosa.
Sia il tono che l’espressione di Urahara in quel momento erano cambiate e traboccavano di un’ eleganza innata, ricca di finezza e fascino. Porse il suo dono alla ragazza e disse:
- Ecco a te. Buon compleanno, signorina Harribel. -
Lei rimase pietrificata, stupita dall’entrata in scena di Kisuke, che era stato così premuroso da regalarle un mazzo di rose rosse, un regalo comunque facilmente reperibile. Ma non era questo il punto. Solo la consapevolezza che se ne fosse ricordato la fece stare bene, facendole dimenticare quel lieve rancore provato sino ad un secondo prima.
Urahara osservò compiaciuto il rossore attizzarsi sulle gote color caramello della compagna, ma essendo un uomo imprevedibile, volle dare un’altra soddisfazione alla donna.
- Guarda che non è finita qua! - disse. - Guarda nel mazzo. -
Lei lo ascoltò come per cogliere nelle sue parole un messaggio nascosto, poi osservò fra i fiori, curiosa di scovare il mistero. Constatò che le spine non erano state tolte dai gambi, e come una ragnatela brillante, un delicatissimo filo argentato si aggrappava fra una rosa e l’altra. Facendo attenzione, Harribel sfilò quella che si rivelò una collana. Il ciondolo era una elegantissima farfalla, che esibiva la sua finezza nell’intreccio di fili d’argento e brillanti.
- Ecco il motivo del mio ritardo. - si giustificò Urahara. - Spero lei possa perdonarmi, signorina Harribel. -
Lei portò il ciondolo al petto, guardando grata il suo uomo.
- Kisuke… Non dovevi… Questa… -
- È la collana che ti piacque tanto quella volta. Sfortunatamente l’avevano venduta e io mi sono fatto il giro di tutta la città per trovarla, appena finito il lavoro. - spiegò lui con un’arietta desolata.
Sebbene il cuore battesse forte dall’emozione, si diede un contegno e si avvicinò a Kisuke posandogli un bacio sulle labbra, ricambiata da lui che le cinse i fianchi in un tenero abbraccio.
Rimasero pochi minuti in quella posizione, concedendosi un po’ di affetto reciproco, poi Harribel si staccò leggermente dal suo ragazzo.
- Dormi qui? È tardi. - gli sussurrò.
Kisuke esibì un sorriso che gli storpiò interamente la faccia poi si allontanò e uscì dalla porta dell’appartamento, per poi tornare reggendo un secchiello contenente una bottiglia di spumante immerso in cubetti di ghiaccio ormai quasi del tutto sciolti. L’uomo guardò con un po’ di imbarazzo lo stato in cui era la “sorpresa finale” e rise come un ebete.
- Beh… è ridotto piuttosto male… Di certo non fa la sua bella figura. - si scusò chiudendosi la porta alle spalle e dirigendosi verso il bagno. Prima di entrare, però si rivolse alla compagna: - Ah, signorina Harribel? Si potrebbe vest… volevo dire SVESTIRE e portare due calici? Servono per la nostra serata.-
Lei alzò un sopracciglio riluttante.
- Mi hai ascoltata? Ho detto che è tardi! Sono le undici passate! - ripeté. L’uomo la guardo come se non capisse.
- E allora? Prima che sia il ventisei recuperiamo un po’ del tempo perso. - disse, per poi entrare in bagno con passo deciso.Harribel rimase dubbiosa a scrutare la porta, dalla quale fece capolino la testa arruffata di Urahara all’improvviso. - Ah, signorina Harribel? Potrebbe portare due calici e… svestirsi per la nostra festicciola? -
Il suo tono era così mellifluo e buffo, che la giovane non poté fare a meno di farsi scappare un sorrisetto. Alla fine si arrese e girò i tacchi verso la cucina, sfilandosi mano a mano la biancheria e scegliendo dalla credenza due lunghi calici di vetro. Mentre li prendeva pensò all’uomo che l’aspettava nel bagno.  Un tipo imprevedibile. Bizzarro. E anche inquietante. Sì, perché all’apparenza Kisuke Urahara sembrava un maniaco sessuale. O almeno, era questa la prima impressione che aveva avuto di lui quando si erano incontrati, un giorno che non avrebbe mai dimenticato…


Era buio, quella sera. E faceva anche molto caldo. Era ovvio, erano in pieno luglio. Fortunatamente dove lavorava Harribel c’era l’aria condizionata, altrimenti non avrebbe retto sicuramente il clima pesante di un bar impregnato di alcool e persone sudaticce.
Aveva appena finito il suo turno di lavoro come barista in quel locale modesto che le consentiva di vivere bene. Era uscita dal retro e mentre camminava cercava già l’abbonamento del treno che prendeva regolarmente per tornarsene a casa. Aveva dato una fugace controllata all’orologio al polso e aveva affrettato il passo, dato l’orario.
Non era passato molto che si era resa conto di un rumore di passi appena poco distanti dai suoi. Aveva inarcato le sopracciglia turbata e aveva accelerato il passo, senza correre. Anche il rumore ambiguo aveva aumentato frequenza e sonorità. Sembrava quasi che l’individuo fosse piuttosto stanco, dati gli improvvisi sospiri che cominciarono a manifestarsi.
Tia a quel punto aveva concretizzato l’ipotesi che un uomo la stesse pedinando. Beh, era normale, di notte, una donna sola per una via deserta. Il pericolo di essere molestata era immaginabile.
Aveva cercato di non voltarsi e di non mostrare facce sconcertate e preoccupate, sebbene fosse non poco agitata a causa del misterioso pedinatore. I suoi nervi però erano saltati quando aveva sentito una mano stringersi intorno alla sua spalla. A quel punto la reazione era stata immediata. Con un giro rapido, Tia aveva tirato un gancio ben assestato al mento del misterioso individuo che, non aspettandosi un’azione del genere, aveva incassato male il colpo cadendo rovinosamente a terra.
“Cinque anni di palestra devono dare prima o poi i suoi frutti.” aveva pensato soddisfatta fra sé e sé. Si era buttata immediatamente sul suo “aggressore”, mettendolo a pancia sotto e bloccandogli gli arti dietro la schiena.
- Cercare di assalire una donna isolata è un atto vergognoso. - gli aveva sibilato con freddezza.
- I-io volevo solo un’informazione… - aveva provato a dire l’uomo, benché il petto ostinatamente premuto sull’asfalto gli impediva di parlare per bene.
Harribel aveva allentato di poco la presa sull’uomo, che cercò debolmente di rialzarsi. La donna si era allontanata mantenendosi comunque sulla difensiva pronta a qualunque mossa dell’individuo. A occhio e croce doveva averne una trentina, i tratti erano giapponesi, ma i capelli biondi le fecero credere che fosse di sangue misto. Aveva un’espressione ambigua e la barbetta scompigliata gli attribuiva ancora di più l’aria da maniaco sessuale.
- Uff…! - aveva sbuffato l’uomo spolverandosi i pantaloni. - Certo non sapevo che le donne qui a Boston menassero così forte! -
Aveva rivolto poi uno sguardo alla donna che continuava a guardarlo con astio e le aveva porto  gentilmente una mano.
- Sono Urahara Kisuke. Vengo da Tokyo e siccome sono qui da praticamente oggi mi servirebbe un’informazione. - aveva detto prima di una risatina deficiente.
Harribel lo aveva squadrato malissimo, ritirandosi ancora di qualche passo. Il suo volto non aveva accennato a una piega, e le dita erano rigorosamente strette alla borsa. Una mano era scivolata dentro a cercare lo spray al peperoncino.
Si era creato un clima di tensione così fitto da essere quasi tangibile. Urahara si era reso conto del danno fatto e aveva assunto un’aria mortificata.
- Mi dispiace… di averla spaventata, non era mia intenzione. - si era giustificato. - E per farmi perdonare l’accompagnerò anche a casa. -
- Come se potessi fidarmi. - aveva risposto lei.
- Così mi ferisce! Io sono solo uno scienziato mediocre! Glielo giuro! - aveva piagnucolato.
Lei aveva alzato gli occhi al cielo seccata. Aveva anche perso il treno, maledizione. Aveva rivolto un altro sguardo di ghiaccio al “mediocre scienziato” e aveva sospirato.
- Che informazione le serve? - aveva detto, poi. Lui era sembrato rallegrarsi. La sua faccia aveva acquisito un che di infantile e si mise a sorridere tutto contento.
- Sì, sì! Vorrei sapere dov’è l’hotel “Las Noches”. -
Harribel gli aveva spiegato con l’estrema cura tutte le vie da prendere e alla fine lui l’aveva ringraziata devoto.
- Avrei dormito per strada, la ringrazio tantissimo! - aveva esclamato con quell’arietta da tonto. - Posso offrirmi di accompagnarla a casa? -
- Non si preoccupi, è lontana da qui. - aveva replicato lei con fermezza.
- Abbandonare una signorina così carina nel momento del bisogno andrebbe contro la mia morale! - aveva risposto lui.
Alla fine si era fatta accompagnare a casa. Mentre guidava quell’auto mantenuta così bene lei gli aveva indicato le strade da prendere e arrivarono a destinazione nel giro di trenta minuti.
Harribel era scesa e aveva ringraziato con garbo, scusandosi per il trattamento che aveva riservato poco prima a una persona che si era offerta con così tanta premura di accompagnarla a casa.
Mentre si dirigeva, la voce melliflua dell’uomo aveva interrotto il silenzio dell’afa della notte.
- Ah, mi scusi! - aveva detto. - Potrei sapere il suo nome? -
Tia era rimasta interdetta, poi alla fine aveva pensato di rispondere.
- Tia Harribel. - aveva detto solamente.
- Tia Harribel… che bel nome! - aveva commentato fra sé e sé Urahara. - Ah… Signorina Harribel! -
“Ancora?” aveva pensato seccata la donna girandosi.
- Le andrebbe qualche volta di cenare assieme? Mi piacerebbe approfondire la sua conoscenza. -
- Come? -



Harribel si diresse verso il bagno sfoggiando la sua bellissima nudità. Camminava ancheggiando appena, con una femminilità e sensualità innata, reggendo i due calici con grazia. Appena varcata la soglia di un bagno che fino a qualche minuto addietro era solo di sua proprietà, venne investita da un delicato aroma di vaniglia, aroma che proveniva dalla sua vasca da bagno sommersa dalla schiuma. Ai bordi di quella vasca, Urahara Kisuke si rilassava a occhi chiusi. Era così perfettamente immobile, che Tia pensò dormisse, dato l’orario.
- Signorina Harribel, vuole rimanere lì tutta la notte? - chiese l’uomo aprendo gli occhi e esortandola a venire. Dopo un attimo di esitazione, la donna si convinse ad unirsi con il suo uomo in un bagno notturno al sapore di vaniglia.
S’immerse piano nell’acqua e una volta  abbracciata dalla schiuma, porse un calice a Kisuke, che prese lo spumante e lo versò prima nel bicchiere di Tia e poi nel proprio. Con le labbra assaporò il nettare zuccherino e frizzante.
- Due anni… Sembrano volati, vero? - disse quasi trasognato.
- Il tempo gioca sempre brutti scherzi. - rispose lei sorseggiando un goccio dello spumante.
- E nonostante ciò tu ti fai sempre più bella. Alla faccia dei ventinove anni. - continuò Urahara alzando il calice come augurio. - Ti auguro di essere felice, signorina Harribel. A te! -
Lei lo guardò interdetta, poi scosse leggermente la testa.
- No. Alla NOSTRA felicità, Kisuke. - lo corresse, con un sorriso. Si sporse un po’ nella vasca finendo sopra l’uomo, per poi dargli un bacio allo spumante. Quando si staccò, le sue labbra pronunciarono una frase mai nemmeno pensata. - Ti amo. -
Lui sorrise intenerito.
- Così mi lusingate. L’imperatrice che si concede a me! - scherzò. Poi i suoi occhi grigi si fecero seri, e portò il volto della donna amata a sé, ricambiando con un bacio intenso. - Ti amo anche io. -
I due poi si staccarono, guardandosi intensamente negli occhi. Alla fine brindarono e Kisuke dormì da lei.



Forse quella era la volta buona.
   
 
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