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Autore: LawrenceTwosomeTime    26/07/2011    1 recensioni
Una semplice zanzara può trasformare la più ordinaria delle notti in un incubo senza uscita.
Genere: Demenziale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi abbandonai sul letto senza pensare. Ero stanco, stanco morto; tanto che né la pressione del ruvido copriletto di poliestere, malamente ammonticchiato sotto il torace, né la consapevolezza della pallida luce lunare che mi sbirciava dalla finestrella in corridoio, impedirono alle mie palpebre di serrarsi.

zzzZzzzZZzzzz

"Cazzo"
Non ero sicuro di essere del tutto sveglio. Forse stavo ancora sognando.
Nel sogno, dormivo un sonno profondo e imperturbato; le mie labbra esalavano una sequela di sbuffi concentrici a forma di zeta, che come spettri di ippocampi scivolavano sul soffitto, macerandosi in grappoli di stalattiti intermittenti.
Mi grattai istintivamente l'interno del polso, vicino all'arteria: bruciava. Avevo la vaga certezza che fosse opera della Megera Oleaginosa, quella che ha l'abitudine di gettare spore di mandragola sui dormienti.
"Nel giro di poche ore mi germoglierà un viticcio alla base della mano, che poi si tramuterà a sua volta in una zampa"
Con questa estremità così succulenta, porosa e puntuta, sensibile al tocco della più insignificante forma di vita, avrei potuto agguantare i deva che presiedono al focolare domestico. E bollirne le ali in un decotto di sterco stregato, più nero e puzzolente dello stomaco del padfoot.
Un infuso di umori magici trattati con prodotti di scarto personale, spalmato sull'uscio, catalizza le intolleranze volatili; sicché gli ospiti sgraditi avrebbero pianto con gli occhi rivoltati dentro la testa, bile fumante a riempire la vescica e i capezzoli cosparsi di verruche.

Com'è che quella spiegazione mi lasciava insoddisfatto?
Ah, già. Non stavo sognando. Fantasticavo in dormiveglia.

Una zanzara mi aveva appena punto; e non era che l'avvisaglia.

Mi rimproverai la lentezza con cui ripresi coscienza.
Curioso: imbastivo una storiella originale per giustificare la puntura di un diabolico insetto, e intanto me la prendevo con me stesso. Ma gettando un fugace sguardo alla giornata che mi ero lasciato alle spalle…
Una mattinata spesa a trasportare una scala scalcinata su e giù per la casa. Il pomeriggio trascorso vagando nelle campagne insieme a un amico nel disperato tentativo di rintracciare una villa padronale dove si sarebbe tenuta una fantomatica rappresentazione. Una serata di bagordi…
Infine deputavo tutto al sonno, e da quando ci avevo quasi lasciato le penne in quell'escursione, i miei nervi non tolleravano un'iniezione di riposo inferiore alle sette ore. E il terrore di non riuscire a concedermele acuiva la tensione.

Responso finale: la zanzara doveva morire.

zzzZzzzZZzzzz

Mi schiaffeggiai con violenza lo zigomo destro. Il quadrante della sveglia digitale segnava le due e un quarto.
"È richiesto un approccio diretto"
Smontai dal letto, azionai l'interruttore della luce e mi diressi in bagno.

Il mio equipaggiamento comprendeva: un diffusore di sostanze tossiche, un insetticida munito di cannula orientabile e un repellente cutaneo scaduto da due anni. Garantirmi l'operatività congiunta delle tre soluzioni e sbarrare la porta mi parve la soluzione più sensata.
In pratica, ero rinchiuso in un locale impregnato di miasmi tossici.
Quando spensi le luci e mi misi a letto non avrei saputo dire cosa mi infastidiva di più: l'odore sintetico di citronella che friggeva sul fornello elettrico, l'aroma pungente che si spandeva dalla mia stessa pelle o il fatto di essere sveglio e pensante.
Ma in breve il mio corpo si fece pesante…

Il copriletto sapeva di limone e di violette. Non era piacevole.
Sollevai il capo. Un uomo alto e bruno mi sbirciava dalla porta aperta. Il mio cuore ebbe un sobbalzo.

Mi svegliai. Aprii gli occhi una seconda volta.
La porta era chiusa.

"I tatuaggi…"
Complicate ramificazioni moai rivestivano quegli avambracci. La sconcertante nitidezza con cui mi erano apparse le rendevano indelebili al mio occhio interiore.
L'immagine sbiadì con la lentezza di una cicatrice onirica, lasciandosi dietro confusi prospetti di cupole romaniche e poi intarsi astratti, e poi il nulla.
Mossi la mano in un gesto meccanico per sedare un improvviso prurito al sopracciglio. Ero ancora sveglio?

Non aveva senso prolungare quella tortura che, a quanto pareva, la mia stratificata opera di dissuasione non aveva contribuito ad alleviare.
Mi alzai e accesi di nuovo la luce. Gli occhi vagavano con furia inquisitrice, provati ma disperatamente vigili, sull'intonaco bianco della camera e fra le ombre grigiastre che si dipartivano ai suoi estremi.

"Ah! Eccola lì"
La bastarda vorticava vicino al soffitto, sbandando e rimbalzando contro il muro. Più che agonizzante pareva ubriaca.
Spalancai fragorosamente la porta e puntai alla cucina: mi serviva un piumino da spolvero. L'avrei strigliata per bene, oh se…
Davanti a me c'era nuovamente la camera da letto.

"Impossibile"

Ero stato in cucina senza raccogliere ciò che cercavo, e poi – incosciente come quando vi ero entrato – avevo fatto ritorno nella mia stanza. La vigilanza forzata cominciava a giocarmi brutti scherzi.
Fortunatamente la zanzara si trovava a pochi centimetri da dove l'avevo lasciata.
Montai sul letto e mi sollevai in tutta la mia altezza, sporgendo le dita dei piedi oltre il bordo del materasso.
Ancora poco e l'avrei spiaccicata. Ormai non si muoveva quasi più. Ancora un poco. Nelle orecchie risuonava il flebile stormire del suo ronzio.

Il boato secco della mia mano che si abbatteva sulla parete echeggiò per qualche istante, ma lei non era più lì. La sentivo ancora ronzare.
Quella frequenza trapanante sembrava irridermi da lontano.
Sedetti sulla coperta, testa ciondolante e un fischio acuto che mi trafiggeva da orecchio a orecchio. Fare una notte in bianco era fuori discussione.
Dormire nello studio? Probabile che lì ce ne fossero altre.
Il salotto allora? Il mattino seguente mi sarei svegliato con un segatronchi al posto della schiena.

Deglutii. Avevo la bocca piena di saliva. Gli occhi invece erano asciutti e velati da premature cataratte.
Ebbi l'impressione di sudare da troppo tempo. Che immagine! Il mio corpo continuava a svuotarsi delle sue sostanze, poco a poco, lentamente. Una goccia per volta, smaltivo la vita in macchie di vapore, come una striscia di carne messa a seccare sotto il sole.
E cominciavo a sapere di vitello marinato.

Quella stronza incolore se ne stava lassù, da qualche parte, aspettando il momento buono per scendere a banchettare col mio corpo.
Per lei non ero altro che una lattina di aranciata.
Una modesta quantità di emoglobine foreste stava già sciaguattando nella microscopica architettura del suo stomaco.

Sentii di aver sfiorato il delirio. Mi allungai per brandire lo strumento della resa, i tappi per le orecchie.
E presi sonno con i dischetti di gommapiuma abbandonati nel palmo della mano.



Non ci fu uno stacco vero e proprio tra il mattino della zanzara e la mattina del risveglio.
Mi alzai con la flemma del sonnambulo, ciabattai in cucina e ci trovai mia madre.
Era voltata verso i fornelli.
Strano, di solito a quell'ora dormiva.
Ma che ora era?

Si girò con il pentolino del latte stretto in mano, ne versò una generosa porzione nella mia tazza e fece un passo indietro.
Piccole uova bianche affiorarono in superficie.

Ora la vedevo, con la proboscide turgida che oscillava come un pendolo, gli occhi retinati e le setole frementi. Vedevo le ruote dentate che collegavano il collo e la testa, sentivo lo scoppio sferragliante delle turbine idrauliche nell'infrastruttura delle ali, e avvertivo nelle ossa il presagio di quel ronzio, quel rivoltante zzzZzzzZZzzzz che pareva uscire da una grotta carsica.

Mi svegliai gridando.



Per quanto possa essere difficile da capire, anche le zanzare hanno gli incubi; e quello di ieri notte ha scavato un solco indelebile nella mia pur limitata memoria di emofago.



  
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