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Autore: WYWH    26/07/2011    2 recensioni
Una giornata calda, torrida, d'estate; lo scirocco che soffia, gonfia le vele e fa scivolare placidamente la fregata sul mare; poi il Grillo nota una nave nemica, battente bandiera britannica. E i nemici riconoscono la bandiera dei pirati, e la testa di grifone che fa da polena: si tratta della "Nekros Manteia", e sanno che ora dovranno combattere. Perché quelli sono pirati, mentre la loro nave, adesso, è il loro obbiettivo.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sgraffio, il gatto della nave, iniziò ad agitare nervosamente la coda arruffata, osservando con apparente calma il lungo ponte che lo separava dalla porta, sua fonte di salvezza: tante, tantissime gambe, e soprattutto piedi, ostacolavano il suo difficile cammino, muovendosi in modo scomposto e caotico.

L’aria salmastra veniva resa ancora più soffocante dal berciare di molti dei proprietari di quelle gambe.

Il gatto, però, non ebbe nessun cedimento, gli occhi gialli fissi sul suo traguardo; le orecchie, al contrario, si muovevano sufficientemente per riuscire a seguire ogni rumore con attenzione.

Alla fine si decise, e iniziò a trotterellare, sempre con apparente calma, lungo il percorso deciso dalla sua mente, nascondendo la paura, rivelata nelle pupille dilatate e nelle orecchie, queste guizzavano appena sentivano un rumore troppo vicino; la coda era ritta come il pennone della nave.

Il suo manto lercio si mimetizzava perfettamente con le tavole di legno del ponte, e solo i mozzi messicani notarono incuranti il suo passaggio, il loro sguardo cadeva immancabilmente sul suo orecchio sinistro: era mezzo mangiucchiato, come se il ratto che l’aveva aggredito fosse rimasto schifato dalla carne del felino. Forse era amaro.

All’improvviso, quando oramai sembrava che niente potesse fargli del male, una serie di cime vennero gettate verso di lui, e solo uno scatto dei muscoli delle zampe salvò Sgraffio; adesso, però, la paura aveva fatto 90, e senza guardare in faccia nessuno cominciò a correre, rischiando di incappare in qualche caviglia e di far inciampare. Evitare era diventato difficile, e sembrava che tutti avessero accelerato il loro passo con il felino.

Il gatto compì un grande balzo, e parve scomparire all’interno della scalinata. Questa, dal ponte, portava verso una porta rosso stinto, e il gatto vi ci s’avventò, graffiando il legno vecchio, a quella altezza c’erano altri segni del passaggio del felino, segno che quelle aggressioni avvenivano già da un po’ di tempo.

Miagolava rauco, graffiava con energia e andava da una parte all’altra della porta come un dannato. Alla fine, però, la vecchia maniglia di bronzo si mosse con uno scatto che, nella confusione, nessuno riuscì a sentire, e l’uscio si aprì quel tanto che bastò per far sgusciare dentro il felino.

Appena in tempo, perché una voce giovane e tuonante si portò verso il ponte della nave, attirando l’attenzione di tutti.

-Signori, prepariamo a dar loro il benvenuto!-

Grida di eccitazione cominciarono ad alzarsi, spintonando tra altre berciate e risa mentre il proprietario di quella voce si affacciò verso il mare dal castello di prua; il vento, dal mare, si alzò sul fianco della nave, sollevando con il suo fiato salato i capelli scuri del giovane capitano, un sorriso entusiasta sollevava le sue guance sbarbate, adornate da delle basette, e sul mento spuntava un pizzetto tenuto con strana cura, accompagnato da un paio di baffi sul labbro superiore della bocca.

Il suo sguardo esplorava il ponte della sua nave, come per prendere la rincorsa per raggiungere la nave che sbarrava loro la strada; da quella distanza non poteva udire gli ordini del capitano britannico, che tuttavia urlava anche parecchio dato che il volto era paonazzo come la sua uniforme.

-Preparate la mitraglia incendiaria!-

Il suo ordine fu riecheggiato e amplificato un paio di volte, con toni e accenti differenti dal suo. All’improvviso arrivò una seconda voce dall’alto, da uno degl’alberi della fregata.

-Si prepararono a sparare!-

-Bolina a babordo Guercio! Non allontaniamoci troppo!-

Il timoniere, con un movimento secco delle braccia, fece girare la ruota del timone, dipinta d’oro e nero; la nave fece un rumore simile ad un ruggito, sferzando le onde del mare mosso, pareva che la polena, a forma di testa di grifone, prendesse vita e cercasse di uscire fuori dalla sua prigione di legno.

Una serie di lampi apparvero dalla nave avversaria, seguiti da lingue di fumo che uscivano dalle bocche dei cannoni.

Due occhi castani, riparati da tutto il vociare e il movimento del ponte della nave, tentarono di individuare le palle nell’azzurro afoso di quella giornata d’estate o nelle pieghe del mare davanti a sé; tutto ciò che riuscirono a vedere, però, furono le alte colonne d’acqua che si alzarono proprio davanti alla vetrata che li proteggeva, spaventandosi assieme a Sgraffio, il gatto soffiò e rizzò il pelo contro quell’acqua salata.

I rumori provenienti dal soffitto aumentarono, così come il numero dei comandi: le vele da governare in preparazione alla virata, la disposizione dei cannoni con mitraglie e altro ancora, affiancato dal brontolare costante della nave, trasportata dal vento di Scirocco caldo e fastidioso.

-Sgraffio, spostiamoci nella sala da pranzo.-

Il micione si lasciò prendere e sollevare da un paio di braccia magre e femminili, il suo muso cercò subito la morbida consistenza del seno, e le sue fusa rauche risuonarono sulla stoffa e nel petto dell’umana, le labbra del furbastro sembravano come piegarsi in un’espressione beata.

Sul ponte, invece, c’era chi cominciava a caricare le armi e ad afferrare la propria spada per metterla sulla cintola, in una posizione che non impedisse i movimenti; un cannone a doppio colpo avversario aveva trapassato una delle vele, obbligando l’equipaggio ad ammainarla rapidamente e anche in modo rozzo, per non permettere al vento di rallentarli.

Il danno, tuttavia, fece crescere l’eccitazione alla battaglia, il giovane capitano dava ordini senza sosta.

-Tirate fuori picchetti e arpioni! Pronti con le armi! Prepararsi all’abbordaggio!-

In prima fila cominciarono a litigare tra di loro per avere i posti migliori, i Numidi erano pronti a menarsi con gli Spagnoli mentre, tra i vari pirati, una silenziosa figura si faceva avanti, e stranamente nessuno osò lamentarsi con lui, i suoi occhi scuri e intensi osservavano la nave nemica in avvicinamento.

-Grillo! Grillo, scendi!!-

Sentendosi chiamare dal suo capitano, l’uomo in cima ad un degl’alberi, scese velocemente sul ponte e raggiunse il giovane uomo; questi, nonostante avesse sempre un sorriso sicuro e beffardo, ora aveva uno sguardo decisamente più serio e concentrato.

-Vai nella mia cabina e prendi due uniformi inglesi, che facciamo un po’ di botti.-

Il biondo Grillo obbedì, correndo verso le scale che portavano alla porta rosso stinto, dove c’erano le stanze del capitano; appena fu dentro controllò subito lo studio, notando che c’era solo la scrivania piena zeppa di carte e altri oggetti, muovendosi deciso e veloce verso la camera da letto, gli stivali rinforzati battevano sul pavimento.

-Grillo? Sei tu?-

La voce femminile spinse il portoghese ad affacciarsi nella sala da pranzo: una giovane donna aveva spostato una delle sedie verso la vetrata che si affacciava verso la battaglia, l’abbordaggio era imminente e lei era l’unica spettatrice, in prima fila, elegantemente seduta con Sgraffio in grembo, il quale miagolò infastidito all’intruso.

-Tutto bene Elena?-

-Si, grazie. E tu? Come mai sei qui?-

-Il Cresta mi ha chiesto di vedere se era tutto a posto.-

La ragazza sorrise, e lo sguardo turbato di qualche momento prima si addolcì con un semplice movimento delle sopracciglia.

Il marinaio, a quel punto, tornò verso la camera da letto, che si rivelò come la culla del caos, ma incurante aprì un armadio, nascosto da un panno appeso ad un trave e cadente fino a terra; afferrò le uniformi britanniche, nel mucchio stranamente ordinato di altre uniformi prese o rubate ad avversari o cadaveri.

Elena si sporse a vedere, con Sgraffio in braccio, e intuì quello che sarebbe accaduto.

-… fate attenzione.-

Non sapeva cos’altro dire in quelle occasioni. A consolarla ci fu pronto il sorriso di Grillo, il giovane uomo le si avvicinò e le accarezzò i capelli mentre teneva con una mano le due uniformi.

-Non ti preoccupare, lo tengo d’occhio io.-

Gli fece l’occhiolino e poi corse di nuovo fuori in tempo per l’abbordaggio.

I primi a lanciare gli arpioni e ad avventarsi contro i britannici furono gli africani, il cui spirito guerriero, soffocato da anni di schiavitù, avvampò come fuoco mentre li seguivano gli Spagnoli, pistole alla mano. Il resto della ciurma si divise tra chi si gettava nella mischia e chi difendeva la nave.

All’interno della sala da pranzo Elena si era alzata in piedi dalla sua sedia, non perdendo di vista neanche un istante dello scontro, la nave avversaria era alla sua destra e poteva vedere i britannici scontrarsi e battersi contro la ciurma della nave; le sue orecchie sentivano i rumori ovattati, ma riconoscevano gli spari di pistola e le urla, proprio a pochi metri da lei un inglese venne scaraventato in mare, e con orrore ne vide il corpo, immobile, galleggiare e perdere sangue.

Sgraffio, ancora tra le sue braccia, continuava a fare le fusa, incurante di quello che stava accadendo, strusciando la testa sulla spalla della ragazza, per chiederle di coccolarlo.

Nel frattempo, nel caldo estivo torrido, il ponte della nave britannica si stava macchiando sempre di più di sangue misto, sebbene molti marinai fossero semplicemente feriti, nella calca e tra i fumi della polvere da sparo si cercava di mettere al sicuro i più gravi, rischiando però di farsi colpire. Due marinai inglesi, nella mischia, riuscirono a ripararsi sottocoperta, uno dei due sosteneva, ferito all’addome.

Non appena si trovarono da soli, però, il ferito si mise subito in piedi e scattò a correre, seguito dal suo “salvatore”; alla fine i due si divisero, e mentre uno andò all’armeria l’altro si diresse verso il magazzino.

Il Guercio intanto, al timone della nave, continuava a controllare l’andamento della fregata, contrastando di volta in volta l’assalto dei nemici, mantenendo più o meno una distanza costante dall’imbarcazione avversaria, aspettando il segnale per potersi allontanare.

Il Cresta, in quei minuti, si stava allontanando dagl’esplosivi lasciando una scia di polvere da sparo, preparandosi poi ad accendere il fuoco per il gran finale, ed era talmente concentrato nell’operazione che non si rese conto di una presenza che entrava nella stanza, avvicinandosi a lui. L’uomo gli afferrò saldamente la spalla, e per istinto il giovane afferrò il pugnale che portava dentro lo stivale, girandosi per poterlo ficcare nella gola dell’avversario.

Questo, però, incrociò la lama con la sua spada, e si rivelò essere non un avversario, bensì la figura dagl’occhi scuri e a mandorla che aveva partecipato, in prima fila, all’abbordaggio della nave.

-Mongolo! Porca miseria, mi hai fatto prendere un colpo!-

L’altro non gli rispose, riponendo la spada nel fodero, così come il giovane uomo ripose il pugnale, terminando il lavoro prima di rivolgere nuovamente la parola al suo sottoposto.

-Siamo tutti pronti ad andare?-

L’altro annuì, e il giovane prese la pistola dal fianco, usando la pietra focaia dell’innesco per creare la scintilla e far prendere fuoco alla polvere, scappando in seguito con Mongolo alle calcagna.

L’esplosione che ne derivò generò il panico negl’avversari e in Elena, la quale fece inavvertitamente cadere Sgraffio dalle sue braccia, avvicinandosi al vetro per poter vedere i lampi di luce che uscivano dalla pancia dell’imbarcazione avversaria, seguiti da alte e grosse colonne di fumo, che il vento portò anche verso di lei, impedendole di vedere ulteriormente.

Nonostante la fastidiosa caduta, Sgraffio continuò a strusciarsi sulle gambe della giovane donna, facendo le fusa, innamorato perso dell’umana.

Alla prima esplosione ne seguirono velocemente altre due e poi anche una quarta, il fuoco ben presto iniziò a stringere nelle sue spire la nave attaccata, nonostante alcuni marinai stessero cominciando a domare le fiamme. Nel trambusto che seguì, fatto di fumo, urla e rumori di battaglia, due figure in uniforme inglese e un uomo con una casacca rovinata piombarono sulla nave pirata, quella che si alzò per prima si liberò della giacca e urlò ai suoi sottoposti.

-Caricate i cannoni a mitraglia! Prendete i picchetti!-

La seconda figura in uniforme cominciò un veloce passamano del bottino e dei feriti che stavano recuperando dalla nave avversaria mentre i pirati illesi, di ritorno dalla battaglia, una parte abbandonavano spade e pugnali da una parte per riprendere i picchetti e allontanare la propria nave da quella abbattuta, gli altri scivolavano sotto coperta per raggiungere i cannoni.

Elena sentì chiaramente, oltre la porta rossa, il passaggio con urla ed esclamazioni dell’equipaggio, e poggiò le mani sul legno, avvertendolo vibrare per quel movimento; inoltre, sentì il rullare dei cannoni, spostati a forza dalle braccia dei pirati, assieme ad indicazioni strillate, con movimento di oggetti e i passi degl’artiglieri. Attese, nervosa, di sentire una voce che gridava: -Cannoni carichi!-

E poi la risposta.

-FUOCO!-

Sembrava che persino lo scirocco, in quei pochissimi secondi, avesse trattenuto il fiato: lo sparo dei cannoni fece vibrare la fregata, che stava strambando per allontanarsi ulteriormente, piegandosi da un lato sebbene fosse impercettibile.

La scena che seguì aveva un che di magnificenza, ma anche di orrore: i colpi a mitraglia diedero ulteriore vigore alle fiammate, e sembrò apparire un essere dalla grande e folta criniera di fuoco, che dava sfogo alla sua ira mentre i marinai britannici tentavano di dominarlo.

Le fiamme si videro per miglia mentre la nave vincitrice si allontanava velocemente, prendendo di traverso il vento di scirocco, tornando a scivolare placida tra le onde del mare cristallino; sul ponte della nave, i pirati urlavano e cantavano a squarciagola, le loro voci stonate davano l’idea che le canzoni fossero più latrati e ululati di un branco di vecchi cani.

Di tutte le grida che si sollevarono c’è n’era una che percorse tutta la nave:

-Cresta! Cresta! Cresta!-

Il capitano venne sollevato in aria per l’entusiasmo dei suoi uomini, e poco ci mancò che lo denudassero tanto volevano festeggiare: l’attacco era stato portato a compimento con successo, e i feriti non erano neanche troppo gravi. Quindi valeva la pena di stappare qualche barile di liquore e bere; persino al timoniere Guercio venne dato il permesso di sorseggiare la bevanda, senza però esagerare.

E nell’euforia che continuava ad andare avanti senza sosta, il capitano riuscì a sgusciare fra i suoi uomini, tenendo tra le mani un piccolo scrigno che Grillo aveva trovato nel magazzino, rifugiandosi dietro la porta rosso stinto e dirigendosi verso le sue stanze.

Ad attenderlo, anzitutto, gli occhi gialli di Sgraffio, che lo guardavano silenziosi, il gatto era comodamente seduto su una delle sedie della sala; il felino si limitò a sbadigliargli in faccia, leccandosi in seguito una zampa per passarsela sul muso.

Il giovane uomo, però, cercava la ragazza che, fino a quel momento, aveva assistito in silenzio alla battaglia. La trovò ancora in piedi davanti alla vetrata, con la luce d’estate che faceva risaltare i suoi lunghi capelli rossicci.

-Gloria al vincitore.-

-Hai assistito alla battaglia? Come ti è parsa?-

Lei non gli rispose subito, ma lo seguì verso la camera da letto, dove Cresta appoggiò il piccolo scrigno sul materasso, tra le lenzuola stropicciate.

-Feroce, violenta, spettacolare.-

Lui le sorrise soddisfatto e lei ricambiò divertita. Poi il giovane uomo la osservò affascinato, notando specialmente come quegl’abiti maschili le cadevano sul corpo, la camicia grande che non faceva intuire le vere forme del suo corpo.

In seguito, il capitano le mostrò il piccolo scrigno, facendola sedere accanto a sé.

-Grillo l’ha trovata nella cambusa. Non c’era molto altro di oro, era più che altro una nave dedita al trasporto delle merci.-

Lei annuì, e lui aprì il forziere: dentro c’erano tante, tantissime e colorate gemme, rubini, zaffiri incastonati in decorazioni di argento e oro, smeraldi di collane e orecchini, ametiste che formavano bracciali, un topazio grosso quanto il palmo della sua mano. E poi piccoli e freddi diamanti, uniti tra loro da un sottile filo argento, a formare una collana che Elena teneva tra le mani, colpita.

-Che splendore …-

Cresta, lentamente, gliela prese dalle mani, e la pose delicatamente su quel collo sottile, la giovane spostò da una parte i capelli per rendergli più facile l’operazione; poi la guardò con quella meraviglia sul petto, per farla vedere meglio la giovane si era sbottonata parte della camicia.

-Si, un vero splendore. Ma mai quanto te.-

Lei rise, imbarazzata da tale dolcezza, la stessa che ritrovava in quegl’occhi scuri, fissi su di lei.

Elena allungò una mano, e gli accarezzò con delicatezza una guancia, sfiorandogli in seguito la parte inferiore degl’occhi e il naso, giungendo con una curva sulle labbra, passandoci il pollice; il pirata, a sua volta, le accarezzò una guancia, seguendo il contorno di quel volto in un gesto un po’ ruvido, ma carico di passione.

Il cofanetto di gemme, ben presto, si ritrovò rovesciato da un colpo che lo allontanò, e tutte le gemme impreziosirono e decorarono le lenzuola bianchissime, su cui i due si stesero per fare l’amore.

E tutto il resto del mondo svanì dai loro pensieri.

   
 
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