Sgraffio,
il gatto della nave, iniziò ad agitare nervosamente la coda
arruffata,
osservando con apparente calma il lungo ponte che lo separava dalla
porta, sua
fonte di salvezza: tante, tantissime gambe, e soprattutto piedi,
ostacolavano
il suo difficile cammino, muovendosi in modo scomposto e caotico.
L’aria
salmastra veniva resa ancora più soffocante dal berciare di
molti dei
proprietari di quelle gambe.
Il
gatto, però, non ebbe nessun cedimento, gli occhi gialli
fissi sul suo
traguardo; le orecchie, al contrario, si muovevano sufficientemente per
riuscire a seguire ogni rumore con attenzione.
Alla
fine si decise, e iniziò a trotterellare, sempre con
apparente calma, lungo il
percorso deciso dalla sua mente, nascondendo la paura, rivelata nelle
pupille
dilatate e nelle orecchie, queste guizzavano appena sentivano un rumore
troppo
vicino; la coda era ritta come il pennone della nave.
Il
suo manto lercio si mimetizzava perfettamente con le tavole di legno
del ponte,
e solo i mozzi messicani notarono incuranti il suo passaggio, il loro
sguardo
cadeva immancabilmente sul suo orecchio sinistro: era mezzo
mangiucchiato, come
se il ratto che l’aveva aggredito fosse rimasto schifato
dalla carne del
felino. Forse era amaro.
All’improvviso,
quando oramai sembrava che niente potesse fargli del male, una serie di
cime
vennero gettate verso di lui, e solo uno scatto dei muscoli delle zampe
salvò
Sgraffio; adesso, però, la paura aveva fatto 90, e senza
guardare in faccia
nessuno cominciò a correre, rischiando di incappare in
qualche caviglia e di
far inciampare. Evitare era diventato difficile, e sembrava che tutti
avessero accelerato
il loro passo con il felino.
Il
gatto compì un grande balzo, e parve scomparire
all’interno della scalinata.
Questa, dal ponte, portava verso una porta rosso stinto, e il gatto vi
ci s’avventò,
graffiando il legno vecchio, a quella altezza c’erano altri
segni del passaggio
del felino, segno che quelle aggressioni avvenivano già da
un po’ di tempo.
Miagolava
rauco, graffiava con energia e andava da una parte all’altra
della porta come
un dannato. Alla fine, però, la vecchia maniglia di bronzo
si mosse con uno scatto
che, nella confusione, nessuno riuscì a sentire, e
l’uscio si aprì quel tanto
che bastò per far sgusciare dentro il felino.
Appena
in tempo, perché una voce giovane e tuonante si
portò verso il ponte della
nave, attirando l’attenzione di tutti.
-Signori,
prepariamo a dar loro il benvenuto!-
Grida
di eccitazione cominciarono ad alzarsi, spintonando tra altre berciate
e risa mentre
il proprietario di quella voce si affacciò verso il mare dal
castello di prua;
il vento, dal mare, si alzò sul fianco della nave,
sollevando con il suo fiato
salato i capelli scuri del giovane capitano, un sorriso entusiasta
sollevava le
sue guance sbarbate, adornate da delle basette, e sul mento spuntava un
pizzetto tenuto con strana cura, accompagnato da un paio di baffi sul
labbro
superiore della bocca.
Il
suo sguardo esplorava il ponte della sua nave, come per prendere la
rincorsa
per raggiungere la nave che sbarrava loro la strada; da quella distanza
non
poteva udire gli ordini del capitano britannico, che tuttavia urlava
anche
parecchio dato che il volto era paonazzo come la sua uniforme.
-Preparate
la mitraglia incendiaria!-
Il
suo ordine fu riecheggiato e amplificato un paio di volte, con toni e
accenti
differenti dal suo. All’improvviso arrivò una
seconda voce dall’alto, da uno
degl’alberi della fregata.
-Si
prepararono a sparare!-
-Bolina
a babordo Guercio! Non allontaniamoci troppo!-
Il
timoniere, con un movimento secco delle braccia, fece girare la ruota
del
timone, dipinta d’oro e nero; la nave fece un rumore simile
ad un ruggito,
sferzando le onde del mare mosso, pareva che la polena, a forma di
testa di
grifone, prendesse vita e cercasse di uscire fuori dalla sua prigione
di legno.
Una
serie di lampi apparvero dalla nave avversaria, seguiti da lingue di
fumo che
uscivano dalle bocche dei cannoni.
Due
occhi castani, riparati da tutto il vociare e il movimento del ponte
della nave,
tentarono di individuare le palle nell’azzurro afoso di
quella giornata d’estate
o nelle pieghe del mare davanti a sé; tutto ciò
che riuscirono a vedere, però,
furono le alte colonne d’acqua che si alzarono proprio
davanti alla vetrata che
li proteggeva, spaventandosi assieme a Sgraffio, il gatto
soffiò e rizzò il
pelo contro quell’acqua salata.
I
rumori provenienti dal soffitto aumentarono, così come il
numero dei comandi:
le vele da governare in preparazione alla virata, la disposizione dei
cannoni
con mitraglie e altro ancora, affiancato dal brontolare costante della
nave,
trasportata dal vento di Scirocco caldo e fastidioso.
-Sgraffio,
spostiamoci nella sala da pranzo.-
Il
micione si lasciò prendere e sollevare da un paio di braccia
magre e femminili,
il suo muso cercò subito la morbida consistenza del seno, e
le sue fusa rauche
risuonarono sulla stoffa e nel petto dell’umana, le labbra
del furbastro
sembravano come piegarsi in un’espressione beata.
Sul
ponte, invece, c’era chi cominciava a caricare le armi e ad
afferrare la
propria spada per metterla sulla cintola, in una posizione che non
impedisse i
movimenti; un cannone a doppio colpo avversario aveva trapassato una
delle vele,
obbligando l’equipaggio ad ammainarla rapidamente e anche in
modo rozzo, per
non permettere al vento di rallentarli.
Il
danno, tuttavia, fece crescere l’eccitazione alla battaglia,
il giovane capitano
dava ordini senza sosta.
-Tirate
fuori picchetti e arpioni! Pronti con le armi! Prepararsi
all’abbordaggio!-
In
prima fila cominciarono a litigare tra di loro per avere i posti
migliori, i
Numidi erano pronti a menarsi con gli Spagnoli mentre, tra i vari
pirati, una
silenziosa figura si faceva avanti, e stranamente nessuno
osò lamentarsi con
lui, i suoi occhi scuri e intensi osservavano la nave nemica in
avvicinamento.
-Grillo!
Grillo, scendi!!-
Sentendosi
chiamare dal suo capitano, l’uomo in cima ad un
degl’alberi, scese velocemente
sul ponte e raggiunse il giovane uomo; questi, nonostante avesse sempre
un
sorriso sicuro e beffardo, ora aveva uno sguardo decisamente
più serio e
concentrato.
-Vai
nella mia cabina e prendi due uniformi inglesi, che facciamo un
po’ di botti.-
Il
biondo Grillo obbedì, correndo verso le scale che portavano
alla porta rosso
stinto, dove c’erano le stanze del capitano; appena fu dentro
controllò subito
lo studio, notando che c’era solo la scrivania piena zeppa di
carte e altri
oggetti, muovendosi deciso e veloce verso la camera da letto, gli
stivali
rinforzati battevano sul pavimento.
-Grillo?
Sei tu?-
La
voce femminile spinse il portoghese ad affacciarsi nella sala da
pranzo: una
giovane donna aveva spostato una delle sedie verso la vetrata che si
affacciava
verso la battaglia, l’abbordaggio era imminente e lei era
l’unica spettatrice,
in prima fila, elegantemente seduta con Sgraffio in grembo, il quale
miagolò
infastidito all’intruso.
-Tutto
bene Elena?-
-Si,
grazie. E tu? Come mai sei qui?-
-Il
Cresta mi ha chiesto di vedere se era tutto a posto.-
La
ragazza sorrise, e lo sguardo turbato di qualche momento prima si
addolcì con
un semplice movimento delle sopracciglia.
Il
marinaio, a quel punto, tornò verso la camera da letto, che
si rivelò come la
culla del caos, ma incurante aprì un armadio, nascosto da un
panno appeso ad un
trave e cadente fino a terra; afferrò le uniformi
britanniche, nel mucchio
stranamente ordinato di altre uniformi prese o rubate ad avversari o
cadaveri.
Elena
si sporse a vedere, con Sgraffio in braccio, e intuì quello
che sarebbe
accaduto.
-…
fate attenzione.-
Non
sapeva cos’altro dire in quelle occasioni. A consolarla ci fu
pronto il sorriso
di Grillo, il giovane uomo le si avvicinò e le
accarezzò i capelli mentre
teneva con una mano le due uniformi.
-Non
ti preoccupare, lo tengo d’occhio io.-
Gli
fece l’occhiolino e poi corse di nuovo fuori in tempo per
l’abbordaggio.
I
primi a lanciare gli arpioni e ad avventarsi contro i britannici furono
gli
africani, il cui spirito guerriero, soffocato da anni di
schiavitù, avvampò
come fuoco mentre li seguivano gli Spagnoli, pistole alla mano. Il
resto della
ciurma si divise tra chi si gettava nella mischia e chi difendeva la
nave.
All’interno
della sala da pranzo Elena si era alzata in piedi dalla sua sedia, non
perdendo
di vista neanche un istante dello scontro, la nave avversaria era alla
sua
destra e poteva vedere i britannici scontrarsi e battersi contro la
ciurma della
nave; le sue orecchie sentivano i rumori ovattati, ma riconoscevano gli
spari
di pistola e le urla, proprio a pochi metri da lei un inglese venne
scaraventato in mare, e con orrore ne vide il corpo, immobile,
galleggiare e
perdere sangue.
Sgraffio,
ancora tra le sue braccia, continuava a fare le fusa, incurante di
quello che
stava accadendo, strusciando la testa sulla spalla della ragazza, per
chiederle
di coccolarlo.
Nel
frattempo, nel caldo estivo torrido, il ponte della nave britannica si
stava
macchiando sempre di più di sangue misto, sebbene molti
marinai fossero
semplicemente feriti, nella calca e tra i fumi della polvere da sparo
si
cercava di mettere al sicuro i più gravi, rischiando
però di farsi colpire. Due
marinai inglesi, nella mischia, riuscirono a ripararsi sottocoperta,
uno dei
due sosteneva, ferito all’addome.
Non
appena si trovarono da soli, però, il ferito si mise subito
in piedi e scattò a
correre, seguito dal suo “salvatore”; alla fine i
due si divisero, e mentre uno
andò all’armeria l’altro si diresse
verso il magazzino.
Il
Guercio intanto, al timone della nave, continuava a controllare
l’andamento
della fregata, contrastando di volta in volta l’assalto dei
nemici, mantenendo
più o meno una distanza costante dall’imbarcazione
avversaria, aspettando il
segnale per potersi allontanare.
Il
Cresta, in quei minuti, si stava allontanando dagl’esplosivi
lasciando una scia
di polvere da sparo, preparandosi poi ad accendere il fuoco per il gran
finale,
ed era talmente concentrato nell’operazione che non si rese
conto di una
presenza che entrava nella stanza, avvicinandosi a lui.
L’uomo gli afferrò
saldamente la spalla, e per istinto il giovane afferrò il
pugnale che portava
dentro lo stivale, girandosi per poterlo ficcare nella gola
dell’avversario.
Questo,
però, incrociò la lama con la sua spada, e si
rivelò essere non un avversario,
bensì la figura dagl’occhi scuri e a mandorla che
aveva partecipato, in prima
fila, all’abbordaggio della nave.
-Mongolo!
Porca miseria, mi hai fatto prendere un colpo!-
L’altro
non gli rispose, riponendo la spada nel fodero, così come il
giovane uomo
ripose il pugnale, terminando il lavoro prima di rivolgere nuovamente
la parola
al suo sottoposto.
-Siamo
tutti pronti ad andare?-
L’altro
annuì, e il giovane prese la pistola dal fianco, usando la
pietra focaia dell’innesco
per creare la scintilla e far prendere fuoco alla polvere, scappando in
seguito
con Mongolo alle calcagna.
L’esplosione
che ne derivò generò il panico
negl’avversari e in Elena, la quale fece inavvertitamente
cadere Sgraffio dalle sue braccia, avvicinandosi al vetro per poter
vedere i
lampi di luce che uscivano dalla pancia dell’imbarcazione
avversaria, seguiti
da alte e grosse colonne di fumo, che il vento portò anche
verso di lei,
impedendole di vedere ulteriormente.
Nonostante
la fastidiosa caduta, Sgraffio continuò a strusciarsi sulle
gambe della giovane
donna, facendo le fusa, innamorato perso dell’umana.
Alla
prima esplosione ne seguirono velocemente altre due e poi anche una
quarta, il
fuoco ben presto iniziò a stringere nelle sue spire la nave
attaccata,
nonostante alcuni marinai stessero cominciando a domare le fiamme. Nel
trambusto
che seguì, fatto di fumo, urla e rumori di battaglia, due
figure in uniforme
inglese e un uomo con una casacca rovinata piombarono sulla nave
pirata, quella
che si alzò per prima si liberò della giacca e
urlò ai suoi sottoposti.
-Caricate
i cannoni a mitraglia! Prendete i picchetti!-
La
seconda figura in uniforme cominciò un veloce passamano del
bottino e dei
feriti che stavano recuperando dalla nave avversaria mentre i pirati
illesi, di
ritorno dalla battaglia, una parte abbandonavano spade e pugnali da una
parte
per riprendere i picchetti e allontanare la propria nave da quella
abbattuta,
gli altri scivolavano sotto coperta per raggiungere i cannoni.
Elena
sentì chiaramente, oltre la porta rossa, il passaggio con
urla ed esclamazioni
dell’equipaggio, e poggiò le mani sul legno,
avvertendolo vibrare per quel
movimento; inoltre, sentì il rullare dei cannoni, spostati a
forza dalle
braccia dei pirati, assieme ad indicazioni strillate, con movimento di
oggetti
e i passi degl’artiglieri. Attese, nervosa, di sentire una
voce che gridava:
-Cannoni carichi!-
E
poi la risposta.
-FUOCO!-
Sembrava
che persino lo scirocco, in quei pochissimi secondi, avesse trattenuto
il
fiato: lo sparo dei cannoni fece vibrare la fregata, che stava
strambando per
allontanarsi ulteriormente, piegandosi da un lato sebbene fosse
impercettibile.
La
scena che seguì aveva un che di magnificenza, ma anche di
orrore: i colpi a
mitraglia diedero ulteriore vigore alle fiammate, e sembrò
apparire un essere
dalla grande e folta criniera di fuoco, che dava sfogo alla sua ira
mentre i
marinai britannici tentavano di dominarlo.
Le
fiamme si videro per miglia mentre la nave vincitrice si allontanava
velocemente, prendendo di traverso il vento di scirocco, tornando a
scivolare
placida tra le onde del mare cristallino; sul ponte della nave, i
pirati
urlavano e cantavano a squarciagola, le loro voci stonate davano
l’idea che le
canzoni fossero più latrati e ululati di un branco di vecchi
cani.
Di
tutte le grida che si sollevarono c’è
n’era una che percorse tutta la nave:
-Cresta!
Cresta! Cresta!-
Il
capitano venne sollevato in aria per l’entusiasmo dei suoi
uomini, e poco ci mancò
che lo denudassero tanto volevano festeggiare: l’attacco era
stato portato a
compimento con successo, e i feriti non erano neanche troppo gravi.
Quindi valeva
la pena di stappare qualche barile di liquore e bere; persino al
timoniere
Guercio venne dato il permesso di sorseggiare la bevanda, senza
però esagerare.
E
nell’euforia che continuava ad andare avanti senza sosta, il
capitano riuscì a
sgusciare fra i suoi uomini, tenendo tra le mani un piccolo scrigno che
Grillo
aveva trovato nel magazzino, rifugiandosi dietro la porta rosso stinto
e
dirigendosi verso le sue stanze.
Ad
attenderlo, anzitutto, gli occhi gialli di Sgraffio, che lo guardavano
silenziosi, il gatto era comodamente seduto su una delle sedie della
sala; il
felino si limitò a sbadigliargli in faccia, leccandosi in
seguito una zampa per
passarsela sul muso.
Il
giovane uomo, però, cercava la ragazza che, fino a quel
momento, aveva
assistito in silenzio alla battaglia. La trovò ancora in
piedi davanti alla
vetrata, con la luce d’estate che faceva risaltare i suoi
lunghi capelli
rossicci.
-Gloria
al vincitore.-
-Hai
assistito alla battaglia? Come ti è parsa?-
Lei
non gli rispose subito, ma lo seguì verso la camera da
letto, dove Cresta
appoggiò il piccolo scrigno sul materasso, tra le lenzuola
stropicciate.
-Feroce,
violenta, spettacolare.-
Lui
le sorrise soddisfatto e lei ricambiò divertita. Poi il
giovane uomo la osservò
affascinato, notando specialmente come quegl’abiti maschili
le cadevano sul
corpo, la camicia grande che non faceva intuire le vere forme del suo
corpo.
In
seguito, il capitano le mostrò il piccolo scrigno, facendola
sedere accanto a sé.
-Grillo
l’ha trovata nella cambusa. Non c’era molto altro
di oro, era più che altro una
nave dedita al trasporto delle merci.-
Lei
annuì, e lui aprì il forziere: dentro
c’erano tante, tantissime e colorate
gemme, rubini, zaffiri incastonati in decorazioni di argento e oro,
smeraldi di
collane e orecchini, ametiste che formavano bracciali, un topazio
grosso quanto
il palmo della sua mano. E poi piccoli e freddi diamanti, uniti tra
loro da un
sottile filo argento, a formare una collana che Elena teneva tra le
mani,
colpita.
-Che
splendore …-
Cresta,
lentamente, gliela prese dalle mani, e la pose delicatamente su quel
collo
sottile, la giovane spostò da una parte i capelli per
rendergli più facile l’operazione;
poi la guardò con quella meraviglia sul petto, per farla
vedere meglio la
giovane si era sbottonata parte della camicia.
-Si,
un vero splendore. Ma mai quanto te.-
Lei
rise, imbarazzata da tale dolcezza, la stessa che ritrovava in
quegl’occhi
scuri, fissi su di lei.
Elena
allungò una mano, e gli accarezzò con delicatezza
una guancia, sfiorandogli in
seguito la parte inferiore degl’occhi e il naso, giungendo
con una curva sulle
labbra, passandoci il pollice; il pirata, a sua volta, le
accarezzò una
guancia, seguendo il contorno di quel volto in un gesto un
po’ ruvido, ma
carico di passione.
Il
cofanetto di gemme, ben presto, si ritrovò rovesciato da un
colpo che lo
allontanò, e tutte le gemme impreziosirono e decorarono le
lenzuola
bianchissime, su cui i due si stesero per fare l’amore.
E
tutto il resto del mondo svanì dai loro pensieri.