Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: sistolina    26/07/2011    4 recensioni
Daenerys Targaryen, Jon Snow, Tyrion Lannister, Bran Stark, ai capi opposti Sette Regni, accomunati dal destino e da una nascita che sembra averli segnati per sempre.
Jaime e Cersei Lannister, Robb Stark, Viserys Targaryen, coloro le cui vite sono state cambiate per sempre da quelle nascite.
L'inverno sta arrivando, ma il passato è importante quanto il futuro nel gioco dei troni...
1)Viserys/Daenerys → Stormborn
2)Jon/Robb/Bran → Summerborn
3)Jaime/Cersei/Tyrion → Deathborn
SPOILER!!!!!
4)Lyanna/Rhaegar/Jon → Bloodborn (questa OS è interamente frutto di una supposizione riguardo la possibile nascita di Jon, non è propriamente uno spoiler, anche se basata su dettagli evincibili dalla saga, nè ha la pretesa di essere verosimile. E' solo un'ipotesi sui veri genitori di Jon che a me interessava approfondire)
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Summerborn

 
“What’s your story, bastard?”
“Ask me nicely and maybe I’ll tell you, dwarf.”
 
Jon strinse fra le dita il messaggio, frantumandolo nel palmo della mano, come se avesse potuto cancellare così anche la verità di quelle parole. “Ali oscure, oscure parole”, disse a se stesso mentre, con fatica, spalancava rigidamente le dita ustionate della mano destra, la mano della spada, abbassando gli occhi sulla pergamena accartocciata che, silenziosamente, tentava di riaprirsi di nuovo davanti ai suoi occhi.
Suo padre era stato catturato e accusato di tradimento, e Robb aveva richiamato gli stendardi per scendere ad Approdo del Re e riportarlo indietro.
 
Veramente vivo in tempi bui
e non è per rovinarti il pranzo
che ti dico arriva la marea
e la tu la scambi per entusiasmo
 
E lui era lì, inchiodato al Castello Nero, a cuocere le dannate salsicce nere per il Vecchio Orso, e rammendare le sue tuniche, e portargli il maledetto vino speziato, e guardare il mondo da sopra la dannata Barriera di Ghiaccio, gli occhi inchiodati sulla sconfinata foresta, i suoi pini soldato, le sue distese di neve immacolata, i suoi Estranei, e i suoi bruti in marcia verso i Sette Regni.
E suo fratello aveva dichiarato guerra ai Lannister.
Smise di lasciare che quelle poche parole, vergate con calligrafia sottile e decisa, lo schernissero impunemente dal palmo della sua mano ustionata.
Gettò la pergamena contro il muro, serrando quella stessa mano a pugno, avvertendo il solito fastidio alle dita rigide e coperte di cicatrici sotto i guanti pesanti. La mano della spada si contrasse su se stessa fino a che, ne era certo, le nocche non furono bianche a contatto con la pelle del guanto.
Imprecò, con quella strana e ruvida noncuranza dei suoi confratelli, avvertendo il bisogno di avere su di sé lo sguardo severo ma giusto di suo padre.
Aveva bisogno di molte cose, Jon Snow, il bastardo di Grande Inverno, e non avrebbe avuta nessuna.
Se non un giaciglio di paglia, vento gelido, notti insonni, e l'onore di un Confratello della Notte che lo incatenava al suo posto su quella maledetta Barriera di ghiaccio, l'unica cosa al mondo a separarli dal caos.
 
veramente vivo in tempi bui
e non ho nulla di cui preoccuparmi
perchè son diventato buio anch’io
ma di notte sono uguale agli altri
 
 
Flashback*******************************************
 
Le spade di legno si scontrarono nell'uggioso tramonto di Grande Inverno: la neve dell'estate si scioglieva sui tetti, gocciolando ritmicamente sulle ringhiere di legno, con quel suono musicale che a lui era familiare come l'odore freddo dell'aria; la nebbia umida gli si appiccicava ai capelli scuri circondando il cortile come una magia, isolando lui e suo fratello nel gelo irreale del Nord. Il sole, un disco luminescente ormai frastagliato dietro le pesanti nubi che incoronavano le colline, moriva silenziosamente, lanciando rossi raggi obliqui sul terreno umido e odoroso di terra bagnata del cortile del castello.
Robb, nella sua calda e spessa divisa da addestramento di cuoio trattato e pelliccia, reggeva la sua spada a due mani, come il Lord loro padre, e mulinava fendenti a destra e manca con espressione grave. Era sempre terribilmente serio quando si allenavano nel cortile di Grande Inverno, come se gli occhi di lord Eddard Stark fossero sempre inchiodati su di loro, anche quando lui non era lì.
Entrambi sentivano su di sé l'occhio severo ma giusto del padre, anche se per motivi diversi: per Jon era il bisogno di dimostrare che, a discapito di quel nome infame che portava, era degno di essere uno Stark. Per Robb era diverso, suo fratello doveva essere all'altezza del nome che portava, come Jon, forse più di Jon, perché lui era, e sarebbe sempre stato, sotto processo.
Jon serrò la presa attorno all'elsa scivolosa della spada, le palme sudate che per poco non la lasciarono cadere sotto gli attacchi non più troppo giocosi di suo fratello.
Amava Robb, anche se la loro madre non era la stessa. Anche se lui, Jon, non avrebbe mai ereditato nemmeno una zolla d'erba delle terre di suo padre. E Robb lo amava anche se era un bastardo, e lady Stark cercava di riempirgli la testa di sciocchezze sul diritto di successione e sul suo dover essere Lord e Protettore del Nord quando suo padre non avrebbe più potuto farlo.
Jon Snow, al massimo, avrebbe potuto restare a guardare mentre si sposava e diventava il Lord di Grande Inverno, un vassallo fedele e un signore giusto, valoroso, amato e rispettato.
Ma lui voleva bene comunque a suo fratello, anche quando caricava come un toro e per poco non lo mandava a schiantarsi contro il muro delle stalle.
 
e mi cambierò nome
ora che i nomi non valgono niente
non funzionano più
da quando non funziona più la gente
 
 
Deviò all'ultimo secondo un affondo e roteò su se stesso, colpendo il polso di Robb con un fendente obliquo più forte di quanto avrebbe voluto. Suo fratello lasciò andare la spada, d'istinto, lanciandogli uno sguardo torvo. Il rumore del legno che cadeva a terra sembrò echeggiare intere ore nel silenzio del cortile, rotto solo dal gracchiare dei corvi lo starnazzare delle oche che si rincorrevano accanto al recinto.
Poi Jon sollevò l'angolo destro della bocca
E Lord Jon di Grande Inverno vince il combattimento! - gli occhi azzurri di suo fratello, così simili a quelli di lady Catelyn, lo squadrarono ombrosi. Robb raccolse la spada e si avviò lentamente verso il grande baule in legno che conteneva le armi smussate per gli addestramenti. Lasciò cadere rabbiosamente la sua fra le altre, ammaccate, vecchie, scheggiate, e afferrò un arco lungo appoggiato all'umido muricciolo di pietre che costeggiava il cortile. Era troppo basso, ancora, e le sue braccia troppo deboli, per tenderlo a sufficienza, eppure Robb Stark sembrò sfidare la legge stessa della natura, e tentò d'incoccare una freccia, inutilmente; il dardo cadde mollemente a terra, sfiorando a malapena il terreno fangoso con la punta, prima di accasciarsi in una pozzanghera maleodorante ai suoi piedi.
Jon si lasciò sfuggire una risata strozzata, ma lo sguardo torvo dell'altro si accese di rabbia
Tu NON SEI il lord di Grande Inverno – sussurrò a denti stretti sotto la cascata dei suoi ricci rosso scuro. Le spalle erano rigide di furore, e tremava come se avesse freddo; ma Jon aveva visto quello sguardo centinaia di volte incastonato nel viso della lady sua madre, e sapeva riconoscere la rabbia quando la vedeva. Era solo un bambino, anche Robb lo era, ma sarebbero stati uomini presto, e presto entrambi avrebbero dovuto rassegnarsi al destino che gli dei del nord avevano riservato loro.
Suo fratello non voleva ferirlo, non più di quanto Jon avesse voluto fare del male a lui con le sue parole, ma entrambi erano consci della verità , come del vento che spirava dalla Foresta del Lupo, la notte, muovendosi fra gli alberi come uno spirito, in un coro di ululati che non apparteneva interamente agli animali. Jon era un bastardo, non una sola pietra scheggiata di Grande Inverno gli sarebbe mai appartenuta veramente, e Robb era il primogenito, l'orgoglio del lord loro padre e della lady sua madre, ma era ancora l'unico figlio maschio della Casa Stark, e questo terrorizzava tutti, perfino mastro Hullen, il loro stalliere. Lì, nel clima rigido dell'estate del Nord, un solo erede maschio avrebbe potuto costare agli Stark Grande Inverno e il Nord.
Un grido terribile ingoiò il teso silenzio che aleggiava fra loro; gli occhi di Robb avevano vagato a lungo verso le stanze di sua madre, durante tutto il giorno, fino a quella sera più calda delle altre, in cui il fiato si condensava a malapena davanti alle loro bocche. Lady Catelyn era rinchiusa là da ore, assieme alle servette, vecchia Nan e maestro Luwyn, e, anche se le sue grida raggiungevano a malapena il cortile, soffocate com'erano dagli spessi muri di pietra di Grande Inverno, Jon aveva parlato più forte, e Robb aveva voluto allenarsi più a lungo, pur di non sentire la madre soffrire dando alla luce un altro dei suoi figli.
Sansa e Arya erano venute al mondo quasi silenziosamente, osservò Jon mentre sollevava gli occhi grigi, malgrado tutto, degli Stark, verso la torre. Ma questo figlio...sembrava che lady Catelyn urlasse da giorni interi, tanto era incrinata la sua voce, tanto erano disperate le sue urla. Jon non l'amava, lei lo tollerava a malapena, e aveva uno sguardo diffidente e ostile ogni volta che lo incontrava, ma non avrebbe mai augurato a nessuno di provare un simile dolore, nemmeno se la donna lo avesse fatto fustigare ogni giorno fino alla fine della sua vita.
E Robb sentiva quelle grida ancora più forte di lui, come se gli penetrassero nella mente, gli artigliassero il petto e tentassero di strapparglielo via.
Si lasciò sedere contro il muro, disegnando con la punta della freccia, a labbra serrate, strani ghirigori nella terra fangosa; il primo sembrò un lupo, il secondo un corvo, il terzo una lama insanguinata, poi tutto si mescolò nella poltiglia che era il terreno, cancellando il senso a quelle linee curve, e trasformando quegli schizzi in spaventose immagini di dolore e morte. Jon chiuse gli occhi, serrando le palpebre con tanta violenza da veder lampeggiare luci bianchi nell'oscurità.
Tenne gli occhi chiusi finché non sentì la freccia spezzarsi fra le dita chiuse a pugno di suo fratello
Perché deve fare tanto male? - sussurrò con gli occhi blu dei Tully piantati nel terreno fangoso.
Jon sollevò lo sguardo verso il cielo all'imbrunire, la nebbia quasi confortante del Nord, le nubi che si rincorrevano pigramente nella brezza della sera che si avvicinava, fredda e rincuorante, famigliare come la voce degli uomini di suo padre che si allenavano in cortile, scambiandosi parole di scherno e risate.
Scosse la testa
Chissà se a mia madre ha fatto male... - si lasciò sfuggire quelle parole mentre un altro straziante urlo di dolore squarciava il silenzio ovattato del castello. Robb non le udì, o forse non volle udirle. Non aveva senso parlare di una donna che forse nemmeno esisteva più, quando sua madre soffriva a pochi metri da lui.
Jon si limitò a sospirare, tirando un sasso al centro del cortile, che rimbalzò un paio di volte prima di rotolare sotto lo stivale di Mikken, il possente fabbro dalla voce tonante
E' nato – disse semplicemente, con un brusco sorriso, sputacchiando a terra.
Robb scattò in piedi, facendo correre lo sguardo dalla torre a Jon, a Mikken, finché non sembrò perdere l'equilibrio. Poi si precipitò nel castello, sciaguattando nelle pozzanghere del cortile.
Jon rimase fermo, incerto se muovere il primo passo. Le altre volte era stato lord Stark a mandarlo a chiamare per visitare le sue sorelle appena nate. Le altre volte la voce di Eddard aveva soffocato i lamenti di sua moglie, e a Jon era stato concesso di vedere le sue sorelle. Non ricordava nemmeno di Sansa, ma aveva un cristallino ricordo della testa glabra di Arya e dei suoi grandi occhi spalancati. E del frastuono dei suoi pianti notturni, quando l'intero castello dormiva e le sue grida potevano sciogliere il ghiaccio della Barriera.
Ma quella volta, quella volta presentarsi nelle stanze del lord sua padre e di sua moglie avrebbe significato entrare a forza in quella famiglia, sfondare una porta impossibile da chiudere.
Se fosse entrato in quella stanza di sua volontà, avrebbe imposto agli Stark la sua esistenza, senza che nessuno di loro, potesse più fingere che Jon Snow non fosse figlio del lord di Grande Inverno tanto quanto gli altri.
 
mi cambierò nome
ora che i nomi non cambiano niente
non funzionano più
da quando non funziona più la gente…
 
 
 
Robb si voltò, allargando le braccia con impazienza
Devo venire lì a prenderti fratello? - i suoi grandi occhi Tully lo squadrarono con determinazione e divertimento insieme. Sapeva essere testardo come un mulo, Robb Stark, ma anche farlo sentire interamente suo, come se a separarli non ci sarebbe sempre stata una madre sconosciuta. Jon si strinse nelle spalle, impiastricciandosi di fango le punte degli stivali di cuoio trattato. Poi sollevò i suoi occhi grigi sull'altro, e annuì, seriamente.
La camera da letto di suo padre sembrava un campo di battaglia: ovunque si aggiravano persone, intente nelle più disparate attività, con catini d'acqua insanguinata in mano, pezzuole di lana grezza, lenzuola macchiate di un inequivocabile colore rosso. Maestro Luwyn era ancora accanto a lady Stark, assicurandosi con sguardo saggio che nessuno la affaticasse troppo.
Sansa e Arya erano rispettivamente alla testa e ai piedi del grande letto coperto di pellicce, e osservavano la loro madre con due sguardi completamente differenti: la prima era terrorizzata, la seconda, piccola e dai capelli annodati e fuori posto, osservava la donna come se avesse avuto tra le braccia un rospo anziché un bambino. Si voltò verso una delle servette, tirandole la gonna con insistenza e dicendole qualcosa che Jon non comprese, la voce coperta dal frastuono dell'attività e il chiacchiericcio che si diffondeva rapidamente da una persona all'altra, come se un periodo di lutto fosse finito, e a tutti fosse concesso, finalmente, il diritto di danzare.
Lady Catelyn appariva prosciugata di ogni goccia di vita, ma sembrava stare bene: sorrideva, sotto la cascata di capelli fiammeggianti come ciliegie mature, di quel rosso scuro e sanguigno che nessuno dei suoi figli aveva ereditato così com'era, ma diluito dalle più diverse sfumature. I suoi grandi occhi blu scrutavano quel piccolo fagotto con amore intenso e protezione, addolcendosi in quel modo che Jon sapeva non avrebbe mai riservato a lui. Come potevano, quegli stessi occhi, scrutarlo come se sperassero di vederlo sparire per sempre nel folto della foresta? 
 
e mi cambierò nome
per passar le dogane e gli inverni
andrò sempre più giù
dove non serve tenere gli occhi aperti
 
 
Pensò a sua madre, cercò di ricordare i suoi lineamenti, ma i visi delle servette, e quello di Catelyn Tully si sovrapponevano in un perverso gioco di ombre, senza portare a nulla; e pensò a Theon Greyjoy, che lo insultava chiamando sua madre “puttana”, e lo derideva, chiamando lui “bastardo”. Pensò che odiava quel suo ghigno soddisfatto ogni volta che Robb lo sconfiggeva a duello, lo metteva a sedere nel fango, o era più bravo di lui a cavalcare fino ai margini della foresta.
Disprezzava intensamente Theon: figlio del signore ribelle delle Isole di Ferro, preso in ostaggio da suo padre poco dopo aver sedato la rivolta, l'erede di Balon aveva la cattiva abitudine di farsi detestare da tutti, e di amare le ragazze più di quanto non fosse fedele a lord Eddard.
Ma perfino il sangue stesso di un ribelle, era meglio accetto di lui. Theon Greyjoy non scatenava in Lady Stark lo stesso disprezzo di Jon.
Quando la donna sollevò gli occhi su di lui, parve rabbuiarsi.
Jon abbassò lo sguardo, addossandosi silenziosamente alla parete, sentendo chiaramente quella stanza richiudersi davanti a lui, in una felicità e in un orgoglio di cui non avrebbe mai fatto parte. Poco importava che fosse lì, che potesse scrutare nella semioscurità il corpo appena nato del bambino che si agitava fra le braccia di lei, Jon Snow non sarebbe mai stato uno Stark, e avrebbe continuato a guardare quella famiglia da dietro l'eterna foschia di Grande Inverno, gli occhi offuscati e la voce ovattata che si perdeva nella notte.
Indietreggiò di un passo, e sbatté contro una gamba forte fasciata da stivali neri sopra il ginocchio. Suo zio Benjen, il viso affilato e gli stessi occhi grigi di Jon, gli sorrise da dietro la barba fitta
Te la dai a gambe figliolo? - Jon arrossì, colto in flagrante
Io non... - esitò; Benjen, ranger dei Guardiani della Notte, era il suo parente preferito, ma era pur sempre il fratello di suo padre, e lui non avrebbe parlato con lui di quello che provava. Non ne avrebbe parlato con nessuno, seppellendo la propria solitudine sulla punta di una spada di legno.
L'uomo gli poggiò una mano sulla spalla, stringendo delicatamente; era incredibilmente elegante e aggraziato per essere alto e coperto di pelliccia e cuoio trattato. I guanti neri scricchiolarono lievemente, emanando un odore confortante nelle narici di Jon. C'era, da qualche parte, qualcosa di famigliare a Grande Inverno.
Coraggio – disse Benjen sospingendolo verso il grande letto – non potrà essere più difficile per te che per lady Stark no? - Jon avvertì le gambe muoversi, le persone davanti a lui farsi da parte, il baldacchino avvicinarsi, il fuoco scoppiettare da qualche parte, maestro Luwyn borbottare qualcosa a vecchia Nan, ma in quel momento, la sola cosa che riusciva a vedere e sentire su di sé, era lo sguardo d'acciaio di suo padre, in piedi accanto a lady Catelyn, con una mano stretta alla testiera intarsiata del letto, e l'altra sulla spalla di lei, le dita che roteavano sulla pelle di sua moglie disegnando complessi ghirigori simili a rune sulla pelle pallida.
Una scintilla attraversò i suoi occhi grigi, identici a quelli di Jon, ed entrambe le mani si mossero, prendendo tra le braccia il fagotto di pellicce dalla presa delicata di Catelyn.
Jon fece un passo indietro, senza pensare, ma incontrò solo il solido corpo, che gli bloccava ogni via di fuga.
Arya succhiava un lembo del suo pesante abito, gli occhi sbarrati e ridenti, mentre Sansa era troppo concentrata a pettinare con le dita i capelli di lady Stark. Robb gli si avvicinò, gli occhi rivolti al fagotto di coperte che si avvicinava inesorabilmente
Brandon Stark – disse Eddard con la sua voce profonda. Non sorrideva, era rarissimo vederlo sorridere, ma nei suoi occhi brillava una luce inestinguibile di gioia e orgoglio – tuo fratello – lo disse morbidamente, come se desiderasse dirlo da tanto tempo, ma come se questo lo turbasse profondamente.
Un paio di occhi grandi e vigili lo scrutarono in un corpo minuscolo. Il bambino lo guardava serio, concentrato. Allungò una mano bianca, dalle striminzite dita che si agitavano, e gli sfiorò la tunica sporca di fango, emettendo strani mugolii.
Dall'alto dei suoi sette anni, Jon Snow lo guardò con la fronte aggrottata, sollevando una mano.
Subito, le piccole dita dell'altro si serrarono attorno al suo pollice, in una stretta che lo fece quasi sobbalzare. Bran emise una suono gorgogliante, schioccando la lingua, un suono che sembrò colmare l'aria per intero, diventando quasi palpabile, udibile e visibile.
Poi gli occhi di Jon furono in quelli dell'altro, innaturalmente saggi e profondi per appartenere ad un bambino così piccolo, e una muta intesa nacque fra loro, un filo sottile che avrebbe travalicato anni e miglia. Anche il destino, forse.
 
veramente vivo in tempi bui
e ora son diventato buio anch'io
che cos’hai tu da brillare tanto
 
 
Robb rise piano, accarezzando il viso di suo fratello con un dito dalle unghie mangiucchiate. Arya smise di succhiare il lembo consunto del suo abito e lo guardò, con la bava che le scivolava sul mento, intensamente. Il corpo solido di suo zio Benjen era sempre alle sue spalle, e lo sguardo di suo padre, sospeso su di loro con un misto di austera tenerezza ed emozione, scaldava loro le spalle.
Jon si sentì a casa, forse per la prima volta a Grande Inverno, attorniato da persone che lo amavano, anche se per molte di loro non sarebbe mai stato così.
Qualunque piano gli antichi dèi del Nord avessero serbato per loro, quella sera avrebbe atteso.
 
Fine flashback**************************************************************
 
Brandon Stark si svegliò fradicio di sudore nella notte gelida: aveva di nuovo sognato il corvo con tre occhi.
Estate sollevò l'enorme muso peloso dalle pellicce ai piedi del suo grande letto, e i suoi occhi gialli incontrarono quelli di Bran nell'oscurità.
Il cielo era così coperto di nubi che nemmeno la luce della luna gli permetteva di distinguere le sagome nel cortile di Grande Inverno, l'agitarsi delle fronde dell'albero-cuore nel parco degli dèi, i soldati di suo padre di vedetta sulle mura.
Qualcosa non andava. Tentò di aggrapparsi alle ultime immagini del suo sogno, ma ricordava solo vagamente sagome sfuocate, il sole che splendeva sul una spada di ghiaccio che gocciolava, e la sabbia, sabbia ovunque, negli occhi, in bocca, nelle orecchie. E ricordava Baelor il Benedetto, il suo sguardo amorevole su di lui, che lacrimava sangue.
Suo padre era morto.
Era impossibile accettarlo per Bran, crederlo, sopportarlo. Il dolore di perdere le gambe, perfino il dolore di cadere dalla torre, anche se non lo ricordava, era stato meno terribile di quello.
Eppure maestro Luwyn era stato chiaro quella mattina, quando Bran e Ocha, la donna dei bruti, erano sbucati dalla cripta degli Stark.
Bran e Rickon, entrambi, avevano sognato d'incontrare lord Eddard giù nella cripta, alla luce soffocata delle torce, solo la nuda pietra a stringerli nel suo freddo abbraccio, e lui era morto. Esattamente, inesorabilmente, come Bran aveva previsto.
Ed era terrificante.
Il meta-lupo strisciò sul letto, sistemando il muso nell'incavo della sua spalla, uggiolando
Lo so – sussurrò Bran sforzandosi di combattere contro le lacrime – mancano anche a me... - Estate non era più lo stesso senza i suoi fratelli, e nemmeno Bran. Da quando Spettro, Lady, Nymeria e Vento Grigio avevano lasciato Grande Inverno, la neve dell'estate sembrava più fredda, e le notti più lunghe. Estate e Cagnaccio ululavano senza sosta, risvegliando rabbiosamente gli abitanti del castello che rovesciavano in uno scroscio fradicio il contenuto del loro pitale, imprecando.
E Bran era ancora Lo Spezzato, immobile nel suo letto di pellicce, e doveva ancora chiamare Hodor ogni volta che voleva uscire, o semplicemente orinare. E nessuno dei suoi fratelli era lì.
Gli mancavano i battibecchi di Sansa e Arya, le ballate cavalleresche che sua sorella amava intonare passeggiando; gli mancavano perfino i litigi con Arya per chi dei due era un arciere migliore, in cui sua sorella, come sempre, aveva la meglio. Gli mancavano gli allenamenti nel cortile, con Robb e Jon che si prendevano gioco di lui, con gli sguardi attenti e inteneriti dei loro genitori che li osservavano dall'alto.
E gli mancava la lady sua madre, quel suo modo tutto speciale di chiamarlo “Brandon” quando lo coglieva con le mani nel sacco appena sceso dalle mura.
Gli mancava suo padre, la sua spada lunga a due mani con la quale lo aveva visto decapitare un uomo, con la tristezza negli occhi e la mano ferma. “Un pazzo vede ciò che crede di vedere”, gli aveva detto. E forse anche Bran era un pazzo, un folle che sognava il futuro.
Ma soprattutto, sopra ogni altra cosa, anche sopra il desiderio di scalare nuovamente le alte mura gibbose di Grande Inverno, gli mancava la sua famiglia, nella sua imperfezione, nei suoi battibecchi, negli sguardi severi, nei suoi tetri pomeriggi in cui il vento del Nord soffiava così forte da scoperchiare i tetti. Gli mancavano perfino le occhiate astiose di sua madre a Jon, e gli occhi di lui che cambiavano direzione.
Per gli dèi, gli mancava perfino Theon Greyjoy!
Estate strofinò il naso umido contro la sua guancia, e Bran sospirò
Hodor! - sussurrò, certo che il gigante dalla mente semplice non lo avrebbe sentito. Il meta-lupo lo sfiorò nuovamente, mugolando piano. Gli tirò delicatamente una manica della tunica di lana, prima piano, quasi per gioco, poi con insistenza – Estate, non posso venire fuori con te – gl'indicò le gambe immobili sotto le pellicce – sono “Spezzato”, non te lo ricordi? - il meta-lupo lo osservò con i suoi occhi dorati che sembravano capire, e tirò di nuovo.
Bran si aggrappò alle sbarre che mastro Mikken gli aveva costruito sopra il letto, e si tirò a sedere, lasciando che lo sguardo vagasse fuori dalla finestra che dava sulle colline nebbiose. L'oscurità gli restituì lo sguardo, impietosa.
Estate agguantò un lembo di stoffa più grande, e tirò finché la lana non sembrò strapparsi. E Bran cedette, allacciando le braccia attorno al collo dell'animale, mentre si lasciava cadere sulla sua schiena possente, come a cavallo. Non fu una salita facile, né lo sarebbe stata la discesa lungo la torre, ma il suo meta-lupo sentiva quello di cui aveva bisogno, e sembrava deciso a condurlo dove nemmeno Bran pareva conscio di voler andare.
Il parco degli dèi era buio e silenzioso come tutto il resto di Grande Inverno, ma nelle sue mute note l'albero cuore pareva cantare.
Bran rimase in silenzio, cullato dallo sciabordio dell'acqua sospinta dal vento e il ritmico pulsare del cuore di Estate sotto le sue mani, in attesa, ad occhi chiusi. Il tronco non parlò, non rispose alle sue silenziose preghiere, come non aveva risposto a quelle di sua madre, o di suo padre, o dei suoi fratelli disseminati nei Sette Regni, ma fu confortante sapere che in qualche modo gli antichi dèi potevano vedere ognuno di loro. Sansa e Arya ad Approdo del Re, Jon alla Barriera, sua madre e Robb sul Tridente.
L'albero-cuore sembrava cieco, ma Bran sapeva che il suo sguardo era ovunque. Suo padre glielo diceva sempre. Gli antichi dèi erano gli dèi di suo padre, e Bran li sentiva vicini più dei Sette Dèi del Sud, dei Tully, della capitale. Gli antichi dèi erano gli dèi degli Stark, della sua famiglia, dei suoi fratelli. Erano l'unica cosa che li teneva ancora insieme.
E allora Brandon Stark respirò la nebbia gelida del parco degli dèi, sotto gli occhi sempre chiusi dell'albero-cuore, fingendo di scorgere dall'alto delle mura Robb e Jon combattere con le spade dalla punta smussata, Arya e Sansa intente nel ricamo, e suo padre e sua madre, gli sguardi così differenti accesi di amore e orgoglio, che guardavano tutti loro dall'alto, l'uno accanto all'altra. Immaginò di poterli vedere, mentre Rickon e Cagnaccio si rincorrevano fra le gambe di mastro Mikken, facendo quasi incespicare maestro Luwin, e finendo a rotolare nel fienile, scatenando le ire del mastro dei cavalli.
Sorrise, permettendo a se stesso di annegare in quei ricordi, finché erano vividi e profumavano di realtà, prima che diventassero un altro sogno confuso che sarebbe svanito all'alba.
 
 
"Can a man still be brave if he's afraid?"
"That is the only time a man can be brave" 
 
 
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Angolo della delirante autrice: buonasera...eccomi qui con il mio per nulla pretenzioso o credibile nuovo lavoro^^
Questa volta incentrato sulla nascita di Bran e cosa questo ha portato nelle vite dei suoi fratelli...ovviamente non è esattamente il fulcro della vicenda, come avrete notato, ma mi sembrava comunque carino parlarne, non so perchè^^
Nuovamente mi scuso con chi troverà la storia OOC o poco curata, degna o in linea con la saga...io ci metto tutto il mio impegno, lo giuroXDXD
La canzone che ho inserito questa volta è Tempi Bui dei Ministri, che potete ascoltare qui
Mi sembrava adatta a descrivere lo stato d'animo di Jon, l'ho trovata sempre una soundtrack azzeccata per Jon, ma anche per Bran, la cui caduta e perdita delle gambe, nonchè la guerra in sè, ha portato a non riconoscere più se stesso come prima^^
Che dire...grazie per averla letta, ricordata, preferita o seguita, e soprattutto recensita finora, mi auguro che anche questo capitolo sia di vostro gradimento...a me ha gasato un sacco scriverlo^^
   
 
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