Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: Fiamma Drakon    27/07/2011    1 recensioni
Prussia si sentiva preso in giro, nonostante dall'esterno riuscisse a non farlo notare: il suo superiore aveva invitato al ballo praticamente tutta Europa senza che lui ne sapesse niente.
C'erano il suo fratellino Germania e le due Italia; Spagna, Francia e Inghilterra - che non conosceva se non di nome - e c'erano persino Svizzera e quell'antipatico di Austria.
E, ovviamente, c'era anche lei.

[PruHun, GerIta - scritta per la community casti&puri]
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Through pieces of memories and something else Prussia si sentiva preso in giro, nonostante dall'esterno riuscisse a non farlo notare: il suo superiore aveva invitato al ballo praticamente tutta Europa senza che lui ne sapesse niente.
C'erano il suo fratellino Germania e le due Italia; Spagna, Francia e Inghilterra - che non conosceva se non di nome - e c'erano persino Svizzera e quell'antipatico di Austria.
E, ovviamente, c'era anche lei.
Prussia era in agitazione più che altro per quello: anche Ungheria era al ballo.
Da quel fatidico "incidente" - come lo chiamava lui - non aveva più neppure osato avvicinarsi a lei. L'ammirava per la forza fisica e di carattere che aveva nonostante fosse una femmina, ma lo faceva da lontano e cercando di non farsi scoprire.
Il fatto che fosse una donna fatta e finita lo metteva in soggezione, per quanto si ostinasse ad atteggiarsi a duro e a fingere d’ignorare la cosa. Peccato che un ballo fosse proprio l'occasione più adatta a far spiccare la differenza di sesso.
«Non devo pensarci!» si disse, esaminando la sala gremita di gente dall'angolino che si era scelto come luogo di rifugio dove poter passare tranquillamente la serata «Con tutta la gente che c'è, non verrà a cercare proprio me...!».
Aveva appena finito di parlare che si sentì toccare una spalla.
Sobbalzò e si voltò di scatto, i nervi a fior di pelle, impaurito dalla possibilità che potesse essere proprio Elizabeta.
«Ehi, fratellone... tutto okay?».
Gilbert si rilassò nel constatare che era solamente Ludwig, al fianco del quale c'era Feliciano.
L'espressione sul viso del biondo era di leggera perplessità, mentre quella dell'italiano era, come al solito, completamente spensierata e assente.
«Eh? Ah, sì! Certo, tutto okay!» rispose con enfasi, cercando di tenere un atteggiamento che potesse sembrare normale, fallendo.
Germania si domandò che cosa fosse a renderlo tanto agitato, ma non ebbe il tempo di formulare verbalmente la domanda, poiché Italia gli tirò la camicia ed esclamò allegro: «Germania guarda! C'è Austria!».
Veneziano sembrava entusiasta di rivedere la nazione che l'aveva comandato durante tutta la sua infanzia, al contrario di Germania, che vedeva nell'austriaco solamente il parassita che aveva vissuto a casa sua per un tempo che gli era parso infinito.
«Oh, no...» borbottò, mentre l'italiano se lo portava allegramente via.
Prussia li guardò andarsene senza muovere un passo da dove si trovava. Rimase lì nel suo isolamento quasi forzato per un po', poi si decise a provare ad affrontare la folla e s'inserì.
Con un po’ di timore iniziale, parlava con chi gli rivolgeva la parola guardandosi intorno in modo quasi paranoico, poi però, non vedendola arrivare, cominciò ad allentare la tensione ed iniziò a chiacchierare con i vari invitati che, passandogli accanto, gli si avvicinavano.
Si stava divertendo e quasi si era dimenticato delle sue preoccupazioni, convinto che ormai lei non potesse riuscire a trovarlo.
«Ehi, Francia!» esclamò Inghilterra, avvicinandosi al biondo, a pochi metri di distanza da Gilbert.
Lanciò un’occhiata a quest’ultimo, esaminandolo da capo a piedi.
«Che cos'ha Prussia? Fino a poco fa sembrava nervoso...».
Francia sorrise, agitando il calice che aveva in mano, rimestando elegantemente il vino al suo interno.
«Sta cercando Ungheria»
«Come? Io avevo sentito che tra loro i rapporti erano parecchio tesi...»
«Ah, Inghilterra...! Cosa vuoi saperne tu! È amour!» sospirò il francese.
«Tsk, amore!» lo schernì l'inglese, lanciando un'altra occhiata a Gilbert, notando che fissava qualcosa tra la folla con espressione rapita.
«Oh, lei l'ha trovato...» osservò Francis, interessato, inarcando un sopracciglio.
Prussia si trovava dinanzi a Ungheria, che lo guardava a propria volta con perplessità e interesse. Il prussiano era vestito in modo inusualmente elegante: indossava una giacca color cremisi che riprendeva il colore dei suoi occhi e che gli scendeva lungo il torace e oltre, fino alle ginocchia e che teneva chiusa da metà petto in giù. Sotto ad essa portava una camicia bianca con una sciarpa dello stesso colore legata sotto il colletto che cadeva sul suo petto mettendo in mostra un volant estremamente elegante.
I pantaloni - dello stesso colore della giacca - erano tanto lunghi che in fondo si piegavano su un paio di scarpe nere lucide.
Sembrava che avesse pure tentato di imporre un ordine ai capelli che solitamente stavano un po' come pareva loro: adesso i ciuffi che normalmente gli cadevano sulla fronte - così come tutti gli altri - erano tirati indietro e gli davano un aspetto più raffinato.
Gilbert, invece, stava osservando com'era vestita lei.
Indossava un lungo abito verde smeraldo con un'ampia e profonda scollatura rifinita con del tessuto dorato che copriva un esiguo scorcio del seno. Le maniche erano semplici e si aprivano dal gomito ai polsi in un'ampia campana col bordo dello stesso tessuto della scollatura.
Dai fianchi l'abito si apriva in una gran veste probabilmente sostenuta da diversi strati di sottogonna. Il vestito era decorato con delle strisce tessuto dorato verticali al termine delle quali si trovavano fiocchi dorati uniti tra loro da drappi di volant dello stesso colore.
Le scarpe non si vedevano, ma - a giudicare dal rumore prodotto precedentemente dai suoi passi - erano munite di tacco.
I capelli erano raccolti in un alto chignon da cui fuoriuscivano due ciuffi speculari che teneva dietro le orecchie.
Se Prussia avesse dovuto descriverla con una sola parola, quella sarebbe stata senz'altro "bellissima".
Però, invece di elogiare il suo aspetto, tutto quel che riuscì a dire fu un acido: «Allora anche tu sai vestirti elegante, ogni tanto».
Si sarebbe preso a schiaffi da solo per quell'uscita tutt'altro che consona, ma era più forte di lui: non riusciva ad essere apertamente sentimentale. Era quello il suo modo di esprimersi.
Ungheria gli sorrise di sghembo, con un'accezione vagamente perfida.
«Anche tu, Prussia. Credevo di trovarti con una di quelle vecchie tuniche bianche e nere da cavaliere che continui ad ostentare come se fossero chissà che cosa».
Continuando di quel passo non sarebbero arrivati a niente, Ungheria lo sapeva. Non era andata lì per litigare ancora con lui, solo che non era riuscita a lasciar correre quel suo commento poco gradito sul suo abito, che tra l’altro aveva impiegato ore a scegliere.
Prese fiato e tentò di raddrizzare quell'inizio di conversazione tutt'altro che roseo: «Senti, perché n...».
«Scusa, ma devo andare. Mi hanno chiamato» la interruppe rapidamente lui e corse via, lasciandola lì da sola.
Ungheria lo guardò mentre se ne andava, stupita dalla sua reazione: a lei non sembrava d'averlo sentire chiamare.
Però, non voleva lasciare le cose così come stavano: quella sera aveva un piano in mente, e non voleva rovinarlo.
«Prussia, aspetta!».
«Ah, l'amour...!» sospirò Francia.
Inghilterra lo guardò stranito.
«Ma se è scappato!»
«Troppo timido per aprire il suo cuore!»
«Come ti pare...».
Ungheria, dopo qualche minuto, si decise ad addentrarsi tra la folla.
Il prussiano, nel frattanto, si era fermato nei pressi del tavolo del rinfresco.
Avrebbe dovuto allontanarsi con un po' più di normalità. Probabilmente le aveva dato l'impressione di stare scappando da lei - ed era effettivamente così, solo che non voleva che lei se ne accorgesse.
Nella sua mente balenò nuovamente l'immagine di Elizabeta ferita nel bosco e dello scorcio di seno che aveva intravisto.
Divenne immediatamente paonazzo e scosse la testa, cercando di allontanare anche il ricordo di quanto era seguito: era stato imbarazzante, troppo.
Eppure, lui voleva stare con Ungheria, ma il problema era che non era abituato a stare con le ragazze. Non aveva la più pallida idea di come comportarsi.
«Prussia!».
Gilbert sobbalzò sentendo la voce della ragazza poco distante e riprese a correre.
«Devo farcela. Non posso continuare a scappare» si disse, cercando di trovare il coraggio di fermarsi e affrontarla.
Sentiva dietro di sé il rumore affrettato di tacchi superare il vociare della folla, segno che Elizabeta non si era rassegnata a lasciarlo perdere e, quasi per riflesso, lui continuò a correre, accelerando.
Alla fine - dopo qualche altro minuto d’inseguimento - riuscì finalmente a trovare la forza di fermarsi e girarsi a fronteggiare la ragazza.
L'ungherese comparve dopo pochi secondi.
«Prussia» esclamò.
«Che c'è?» fece Gilbert in tono scortese.
«Sei particolarmente strano oggi»
«Figurati. Piuttosto, vai a divertirti» disse lui, abbassando lo sguardo e girandosi, quando la ragazza proseguì: «L'ho notato, sai. È da quella volta che mi tratti in modo diverso».
Gilbert si fermò ed Elizabeta si convinse d'aver fatto centro.
«Non è che stai cercando di evitarmi perché ti sei accorto che sono una femmina?».
Lui si volse di scatto e se la trovò davanti, a pochi centimetri da sé e d'istinto fece un passo indietro.
«Allora, perché non mi rispondi?» chiese Hedérváry, con una vaga sfumatura di trionfo e sfida nella voce.
Prussia non sapeva cosa dire: era con le spalle al muro.
Fu allora che udì la musica: era un valzer.
«Questa musica è...» sussurrò tra sé.
«Vuoi ballare?» domandò di getto ad alta voce.
Ungheria lo guardò: le sue guance erano rosse e ostinatamente teneva gli occhi bassi, in tipico atto di vergogna.
La ragazza sbatté le palpebre, colta alla sprovvista dalla richiesta; però fu solo per pochi attimi.
«Sì!» acconsentì, e superò l'esigua distanza che li separava, prendendogli la mano.
Gilbert sentì per un momento il bisogno di interrompere quel contatto, ma superò la cosa con uno sforzo di volontà e si diresse verso il centro della sala, dove era stato lasciato lo spazio per le danze.
Elizabeta, guardandolo camminare, riusciva a notare una certa meccanicità nei suoi movimenti. Sembrava decisamente a disagio.
Il prussiano si fece largo fino al centro della pista da ballo e solo quando fu sotto le attenzioni di tutti si rese conto di non essere poi quel granché nei balli di coppia.
E pensare che si era anche preparato...!
L'ungherese lo guardava, in attesa che partisse. Dallo sguardo sembrava smarrito.
Gilbert deglutì e assunse un cipiglio un po' più determinato.
«Ormai la mia figuraccia con lei l'ho già fatta quella volta nel bosco, per cui...» si disse e, esitante, la guidò nei primi passi.
Le pestò due volte il bordo del vestito all’inizio e per due volte le bisbigliò un debole ed esitante "mi spiace", ma poi parve accordarsi con la musica.
Roteavano sulla pista sotto gli occhi di tutti gli altri, che li seguivano attoniti.
«Germania, guarda! È il tuo fratellone!» esclamò Veneziano, sorpreso, tirando una manica della camicia del tedesco per attirarne l’attenzione. Tuttavia, quello veramente stupito era proprio quest’ultimo: fin da piccoli erano stati educati in modo parecchio rigido e militare, per cui non avevano mai avuto occasione di cimentarsi in passatempi artistici come poteva essere la danza. Era strano che riuscisse a ballare tanto bene.
Dall'altro capo della stanza, nella zona dov'era situata l'orchestra, il tedesco vide che il direttore di quest'ultima era nientemeno che Austria.
La cosa che lo colpì di più, però, fu la sua espressione: l'austriaco, oltre a dirigere egregiamente l'orchestra, di tanto in tanto lanciava occhiate d'evidente compiacimento alla coppia principale. Vedendo quel genere di sguardo, Germania ipotizzò che ci fosse il suo zampino in quel che stava accadendo.
«E pensare che se sono qui è merito di quell'altezzoso di Austria...!» borbottò tra sé e sé Prussia, un po' offeso, ripensando a quanto era accaduto due giorni prima.

«C-che cosa?! Ungheria sarà presente al ballo?!».
Gilbert stentava a crederci: il suo superiore non gli aveva riferito niente circa eventuali “invitati speciali”.
Austria sorseggiò il suo thé senza minimamente scomporsi alla sua reazione, gli occhi chiusi per godersi meglio l’aroma ed il sapore della bevanda.
«Esatto» confermò dopo qualche minuto, aprendo solo un occhio, appuntandolo sul suo interlocutore.
Sul viso di quest’ultimo si era dipinta un’espressione a metà tra lo sconcertato e l’imbarazzato. Roderich non si sorprese per niente, visto il rapporto che ultimamente intercorreva tra lui e la ragazza.
A loro stessa insaputa, li aveva spiati ogni volta che ne aveva avuta occasione.
Prussia cercò di ricomporsi, riprendere il suo consueto atteggiamento: aveva notato che l’austriaco lo stava guardando.
«Perché me lo stai dicendo?» domandò, sospettoso.
Austria bevve un altro sorso di thé, lasciando correre qualche altro momento prima di rispondere.
«Ovvio. Perché tu hai una cotta per lei».
Gilbert indietreggiò d’un paio di passi, il viso che s’era fatto di colpo paonazzo, l’espressione tipica di chi viene colto sul fatto e cerca di nascondere le prove della sua colpevolezza.
Prima che potesse mettere avanti qualche scusa assurda, Roderich proseguì: «Non sei un granché bravo con le donne, visto che non ne hai mai avute intorno, però che tu sia innamorato è lampante. Non puoi continuare a fare il codardo e stare a guardarla da lontano, come se tu fossi un pedinatore. Per cui voglio aiutarti».
Beilschmidt digrignò i denti.
«Non prendermi in giro!» sbottò, irritato.
«Non è nelle mie intenzioni» asserì l’altro, mantenendo un tono di voce tranquillo e controllato.
Posò la tazzina di thé ormai vuota e si alzò, lo sguardo acceso di una determinazione che Prussia non gli aveva mai visto negli occhi.
«Io sarò il direttore dell’orchestra, per cui tu ballerai con Ungheria» sentenziò.
«CHE COSAAA?!?!».
Gilbert era allibito: lui? Ballare?
Non aveva la minima idea di come si facesse. Non era come l’austriaco: a lui avevano insegnato a combattere, da piccolo, non a comportarsi da nobile. Non sapeva ballare.
«N-non pensarci nemmeno» affermò, incrociando le braccia sul petto, dandosi aria d’importanza «Io non ballo».
«Peccato: ad Ungheria piace ballare... pazienza, si troverà un altro cavaliere».
Roderich esitò un istante, poi si alzò e si diresse verso la porta, aggiungendo: «Oh... in tal caso puoi anche andartene...».
Gilbert lo guardò procedere verso l’uscio per qualche secondo: a lei piaceva ballare e poi - a ben pensarci - era una festa.
Era naturale che ci sarebbero state delle danze.
Il problema era che non le si era più avvicinato e non aveva intenzione di farlo nemmeno quella volta: non sapeva più come comportarsi.
Accorgersi tangibilmente della sua femminilità l’aveva mandato in confusione.
«Non puoi continuare a fare il codardo e stare a guardarla da lontano».
Le parole che poco prima aveva pronunciato il moro gli riecheggiarono con più forza nella mente, facendogli prendere finalmente una decisione.
«Ehi, Austria aspetta!».
Quest’ultimo, sentendosi richiamare, si volse all’indietro, fermandosi sulla soglia.
Un sorriso fugace gli attraversò il viso.
«Sì?».
«Ecco...» esordì Gilbert, fortemente a disagio «Io... tsk! E va bene. Insegnami a ballare!».
«Bene» commentò semplicemente Austria, facendo dietrofront «Data la scarsità di tempo a mia disposizione, ti insegnerò come ballare il ballo di coppia per eccellenza: il valzer».

Era stato a dir poco massacrante. Per certe cose, Austria riusciva ad essere veramente crudele: l’aveva corretto nella postura perlomeno un migliaio di volte, bacchettandolo come se fosse un alunno cattivo. Prussia gli aveva pestato i piedi innumerevoli volte nel tentativo disperato d’imparare a muovere i primi passi, e Roderich l’aveva fustigato verbalmente altrettante volte, anche se aveva notato sempre una sorta di morbidezza nel suo modo di parlargli, come se non volesse essere troppo duro. Il perché gli era sconosciuto.
L’austriaco pretendeva la perfezione in ogni minima cosa, tanto che averlo come partner nelle danze di coppia era diventato il peggior incubo del povero Beilschmidt.
Ungheria, invece, si muoveva aggraziata e leggera tra le sue braccia, lasciandosi condurre. L’unica cosa che lo metteva leggermente a disagio era la strettissima vicinanza tra il proprio torace ed il suo seno.
La ragazza trovava che ballasse divinamente, o forse era solamente una sua impressione, visto che, a suo parere personale, lei stessa non era granché.
«E pensare che solo quattro giorni fa ho preso lezioni da Austria...» si disse, sconsolata.

«C-cosa? Ci sarà una festa a casa di Prussia?» ripeté Ungheria.
«Sì, ho ricevuto ieri l’invito. Il suo superiore vorrebbe che fossi io ad occuparmi della musica» spiegò Austria.
La ragazza sorrise: si vedeva dallo scintillio nei suoi occhi che reputava un onore poter far mostra delle sue abilità di direttore d’orchestra. Dopotutto, era stato cresciuto per fare musica.
Ciononostante, non riusciva a capire perché lo stesse dicendo a lei e con un anticipo di quattro giorni, per giunta: di solito, quando doveva uscire glielo diceva appena un paio d’ore prima.
«E stavolta verrai anche tu» disse lui, quasi avesse captato il suo dubbio.
Le lanciò un’occhiata di sbieco per osservare la sua reazione, che si manifestò subitaneamente: Elizabeta arrossì ed assunse un’espressione leggermente indignata.
«Perché devo venire anche io a casa di quello lì? È un tormento!» esclamò.
Ricordava fin troppo bene le sue non troppo sporadiche apparizioni mentre lei era in giardino a pulire: se ne stava nascosto dietro l’angolo dell’edificio e le lanciava frecciatine.
Era insopportabile, eppure era riuscita a cogliere un che di morboso nel suo continuo apparire che - alla fine - glielo aveva fatto apparire addirittura tenero, ma solo un po’.
«Davvero...? Io credevo che ti avrebbe fatto piacere vederlo un po’ più da vicino...».
Ungheria affilò lo sguardo.
«Cosa stai cercando di dire?».
Roderich le sorrise, il viso la rappresentazione carnale dell’innocenza più pura.
«Credevo che ci fosse qualcosa tra te e lui e che magari ti avrebbe fatto piacere ballarci insieme».
«EEEH?!» fece lei, arrossendo tutta «Non ci penso nemmeno a ballare con lui! E poi io non so ballare...» proseguì, anche se nella sua mente stava prendendo forma l’immagine di loro due che volteggiavano su una pista da ballo - e non le dispiaceva affatto, anche se le costò parecchio ammetterlo a sé stessa.
Non voleva mostrarsi debole con Prussia: fin da quando erano piccoli era sempre stata lei a vincere tra di loro. Ora che anche lui si era reso conto della sua femminilità, non voleva che si illudesse di poterla battere.
«Come vuoi. Avevo sentito dire che Prussia ballava egregiamente... magari ha già un’accompagnatrice, visto che è l’ospite» continuò Austria.
Vide i muscoli delle spalle di Elizabeta contrarsi in uno spasmo di rabbia, segno evidente che era riuscito a colpire l’obiettivo.
«Un’accompagnatrice...».
«E va bene. Insegnami a ballare!» esclamò lei, decisa.
«Perfetto» sentenziò Edelstein «Allora ci eserciteremo nel valzer».

«Austria è stato davvero un bravo insegnante, perciò devo fare bella figura!» si disse, determinata.
Prussia e Ungheria continuarono a danzare sulle note del valzer fissandosi dritti negli occhi, come se non ci fosse nient’altro al mondo che il loro partner.
Fu come un sogno.
«Balli bene, Hedérváry» constatò in tono formale ed imbarazzato Gilbert.
«Anche tu, Beilschmidt» replicò lei con lo stesso tono.
Continuarono a fissarsi negli occhi, mentre ciascuno dei due faceva appello al proprio coraggio per cercare di esplicare i propri sentimenti.
Il primo che ci riuscì - o almeno, che ci provò - fu Gilbert: «Ungheria... c’è una cosa... che vorrei dirti».
Incoraggiata dal suo esordio, anche la fanciulla parlò: «Sì... anch’io».
«Allora, prima tu» la esortò Beilschmidt.
«No, prima tu».
Si scambiarono un’ulteriore occhiata, le guance rosse per l’emozione e l’imbarazzo.
«Ecco... Elizabeta...».
Era la primissima volta in vita sua che la chiamava col suo nome di battesimo. Doveva ammettere che gli faceva un certo effetto: era così confidenziale.
«Gilbert...» disse lei.
«Elizabeta, io...».
Non gli riusciva dirlo: era così da deboli.
«No, non mi posso arrendere ora. Ho faticato troppo!» si disse.
Prese un bel respiro e, assumendo l’espressione più determinata e virile che gli riuscì trovare in quel momento, esclamò: «Ti amo!».
«Ti amo».
Sgranarono gli occhi ambedue, continuando a piroettare sulla pista, rallentando pian piano mentre la musica cessava.
Quando furono fermi, un applauso esplose attorno a loro, l’unica coppia rimasta a danzare, ma a loro non importava.
Ungheria stirò le labbra in un sorriso di sfida e lo abbracciò senza pensarci su due volte, cogliendolo talmente alla sprovvista da lasciarlo a bocca aperta.
«Visto, che cosa ti avevo detto...?».
Francia ed Inghilterra erano in prima fila tra la folla ed il francese osservava la coppia con il sorriso tipico da “io l’avevo detto”.
«È amore» aggiunse, come a volerlo ulteriormente sottolineare.
Arthur gli lanciò un’occhiata, prima di voltarsi e allontanarsi con un risentito: «Ma guarda questo...».
Non voleva ammettere di aver sbagliato il suo giudizio sul rapporto tra Prussia ed Ungheria, men che meno con Francia.
Anche Austria applaudiva, il suo miglior sorriso soddisfatto ad illuminargli il viso.
«Ehi, Austria... sei intervenuto?».
Germania sbucò dalla folla di persone intente ad applaudire la coppia di ballerini e si fermò accanto al direttore d’orchestra con Feliciano al fianco, che stava applaudendo come un matto, entusiasta dell’esibizione.
I due avevano fatto il giro della sala durante il valzer ed avevano atteso che finisse per poter parlare con Roderich.
«Solo un pochino» ammise quest’ultimo, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Ma non ti stava antipatico mio fratello...?» chiese il biondo, incuriosito: era strano che uno come Edelstein prestasse le sue mirabili doti di ballerino e musicista per aiutare qualcuno - figurarsi poi se quel qualcuno era Prussia.
«Io non ho mai detto questo» disse, dando particolare vigore al “mai” «È lui che era geloso di vedermi insieme ad Ungheria praticamente ogni ora del giorno» proseguì pacato il moro.
In effetti, Gilbert stava parecchio per conto proprio, ma Ludwig sapeva bene che non gli piaceva stare da solo - infatti quando si ritrovavano la sera a bere qualcosa il maggiore stava sempre dove c’era più gente.
«E alla fine a forza di vederla e darle fastidio, ha finito con l’innamorarsi di lei» continuò Austria.
«Innamorato?» esclamò Germania, sbattendo le palpebre perplesso, guardando verso il fratello maggiore, notando solo allora che Elizabeta stava abbracciata a lui col viso affondato nella sua spalla - e lui in cambio le cingeva debolmente il bacino, lo sguardo basso tipico di un bambino che per la prima volta prova qualcosa di nuovo.
«Probabilmente si sono dichiarati durante il ballo, che se non fosse stato per il mio intervento loro non avrebbero potuto compiere in modo così egregio da essere elogiati così» esclamò il musicista, pienamente soddisfatto di sé.
Eppure, nel suo tono di voce c’era qualcosa che suonava strano alle orecchie di Ludwig, una nota stonata: era riuscito a percepire una traccia di tristezza, benché velata.
Lo guardò negli occhi e notò la stessa cosa: guardava Gilbert ed Elizabeta teneramente abbracciati con una luce affranta e nostalgica nelle iridi. Sembrava ferito.
Ad osservarlo meglio, Germania vide che in realtà la sua attenzione era rivolta ad uno solo dei due ed un po’ se ne stupì, considerando chi della coppia stava guardando ed il suo carattere.
«Tu... ti piaceva mio fratello...?» chiese, esitando appena.
«Piace» lo corresse il moro con un sospiro, voltandosi a dar le spalle all’oggetto delle sue attenzioni e togliendosi gli occhiali, cavandosi di tasca un fazzoletto bianco col quale cominciò a pulire le lenti.
Germania sentì una fitta di dolore al petto nel vederlo così: la rivelazione era stata senz’altro sorprendente - non si sarebbe mai aspettato che Roderich potesse amare Gilbert - però non riusciva a comprendere come avesse potuto aiutarlo ad amare un’altra persona. Doveva aver sofferto molto, eppure non aveva mai mostrato il minimo accenno di sofferenze fino ad allora.
Aveva messo avanti a sé gli interessi di qualcun altro, una cosa che Germania non ricordava d’avergli mai visto fare: era sempre stato parecchio egoista in quel senso.
Il tedesco si volse a guardare Feliciano e si sentì stringere la bocca dello stomaco da una morsa d’acciaio: pensare di aiutarlo a mettersi con qualcun altro era atroce. Non riusciva a concepirlo, figurarsi farlo.
«E allora perché...?» cominciò, ma Edelstein lo fermò.
«Perché è giusto così. Sono fatti l’uno per l’altra, è lampante» disse, rimettendosi in tasca il fazzoletto e risistemandosi gli occhiali sul naso.
Attraverso le lenti appena pulite, Ludwig vide cristalli tremuli affiorare ai lati dei suoi occhi nell'attimo in cui si voltava di nuovo verso l'orchestra. Stava alzando la bacchetta, pronto a ricominciare.
«Sei un idiota» esclamò il tedesco, afferrandolo per una spalla e voltandolo «Non puoi lavorare in questo stato».
Lo guardò severamente dall'alto e finalmente vide sciogliersi la maschera d'aristocratica compostezza che aveva ostentato così a lungo. E vide le lacrime traboccare dai suoi occhi, copiose, mentre lui cercava invano di darsi un contegno.
Ludwig lo attirò verso la propria spalla, alzando gli occhi a guardare la sala: Prussia e Ungheria se n'erano andati da qualche altra parte - probabilmente in un luogo più appartato - e la festa era ripresa. L'orchestra era in pausa, ma nessuno pareva occuparsene.
«Ehi, Germania! La prossima volta balliamo anche noi un valzer, mh?» esclamò allegro Veneziano, girandosi a guardare il biondo, notando solo allora che cingeva con un braccio Roderich, tenendolo vicino a sé.
Sembrava quasi che lo stesse abbracciando.
«Germania...?» chiamò, come sperduto, ma lo sguardo del tedesco lo guidò sull'austriaco. Solo allora l'italiano si accorse che il corpo di quest'ultimo era in preda ai singulti.
«Austria...?» domandò, dispiaciuto, accostandosi a lui, ma senza capire cosa stesse accadendo.
«Italia, perché non vai a prendere qualcosa da bere?» gli chiese Ludwig.
«Sì!» acconsentì l'altro, scomparendo di corsa tra le persone.
Germania sospirò.
«Andiamo a cercare un posto a sedere, in disparte» propose, guidandolo via. Una cosa era certa: in quelle condizioni non poteva lasciarlo da solo.
Non era da lui fare pensieri così melensi, però un cuore ferito non si rimarginava se abbandonato a sé stesso.
Austria si divise da lui, gli occhi gonfi di pianto incollati al suolo, il suo aspetto composto ed aristocratico ormai abbandonato del tutto, camminandogli vicino attraverso la folla, cercando di non farsi vedere in faccia: non voleva che qualcuno, vedendolo, lo andasse poi a dire a Prussia.
Quest’ultimo, nel frattanto, si era appartato con la ragazza, che si stava complimentando per la sua prestazione nel valzer: «Balli veramente bene. Austria aveva ragione...».
Gilbert inarcò le sopracciglia, stupito: «Che cosa?».
Abbandonò subito la domanda, però, affatto desideroso di litigare già con lei, così - anche se ancora con forte imbarazzo - si complimentò a propria volta: «Anche... tu balli bene, proprio come mi aveva detto lui».
«Lui...?» fece l’ungherese, incuriosita.
«Austria».
«No, c’è un errore per forza: io fino a quattro giorni fa non avevo mai ballato. È stato Austria ad insegnarmi...» rivelò Ungheria, sincera.
«C-come? Ma a me aveva detto che tu sapevi ballare bene!» obiettò Gilbert, confuso «È per questo che due giorni fa ho accettato di farmi insegnare a ballare da lui!» aggiunse di getto.
«A me invece aveva detto che eri tu a saper ballare bene ed io ho preso lezioni da lui per...» s’interruppe, mentre nella mente di ambedue prendeva forma una verità che li fece infuriare entrambi: Austria li aveva presi in giro.
«È stato lui a combinare tutto quanto!» esclamò Ungheria, inviperita.
«L’ha fatto di proposito!» sbottò Prussia «Ahah, ma io l’ammazzo quel...!» esordì, facendo per infilarsi in mezzo alla folla alla sua ricerca, ma la ragazza lo fermò.
«Aspetta, Prussia» disse, trattenendolo per un braccio.
«Cosa?».
Lei esitò un momento, poi proseguì: «Se non fosse stato per lui, non saremmo arrivati a questo momento, non credi?».
Beilschmidt dovette ammettere con sé stesso che era effettivamente così: non si sarebbero mai dichiarati se Roderich non si fosse intromesso.
Rilassò i muscoli e lasciò perdere i suoi propositi di vendetta.
«Sì, è vero...» disse.
«E allora non serve a niente andare a picchiarlo, ti pare? Semmai, dovremmo ringraziarlo...» esclamò Ungheria.
«Allora andiamo» fece lui, prendendola per mano «Dovrebbe essere dalle parti dell’orchestra».
L’ungherese annuì, seguendolo attraverso la folla fino alla zona dove erano radunati i membri dell’orchestra, dove però di Austria non c’era nemmeno l’ombra.
«Dov’è? Non è da lui lasciare l’orchestra nel bel mezzo di una festa...» constatò Elizabeta.
Prussia chiese ad uno dei musicisti se avesse visto il direttore, ma tutto ciò che ottenne fu ben poco: «Dopo il valzer se n’è andato con qualcuno, ma non l’hanno visto bene, per cui non sanno chi sia» raccontò alla ragazza.
«Che strano...» borbottò Ungheria, guardandosi attorno, nella speranza di scorgerlo.
Germania ed Austria, intanto, avevano raggiunto un angolo della sala in cui erano sistemati diversi tavoli. Si sedettero ad uno particolarmente isolato e cadde improvvisamente il silenzio, spezzato solo da qualche singhiozzo del moro. Ludwig lo guardava, in attesa: non doveva forzarlo a parlare. Se voleva farlo, lui era disponibile.
«A-abbiamo ballato insieme, per due giorni. Il valzer» disse all'improvviso Roderich, guardandosi le ginocchia.
«Gilbert non era molto bravo, era impacciato nei movimento e sbagliava i passi, però è stato bello comunque. Peccato che sia durato così poco...» continuò.
«Mentre ballava con Elizabeta sembrava così felice. Mi ha convinto d'aver fatto la cosa giusta».
Non sembrava più triste, ma semplicemente pensieroso.
Germania gli posò una mano sulla spalla con fare rassicurante, riuscendo a strappargli un debole e pallido cenno di sorriso.
«Germania! Austria!!».
Italia stava correndo verso di loro con tre boccali di birra tra le mani.
«Italia, non correre!» l'avvertì Ludwig, alzandosi per andargli incontro.
Veneziano ignorò l'avvertimento - che forse non aveva neppure udito - e continuò a correre. Incespicò nel tappeto a meno di un metro dal biondo e rovinò addosso a lui. Fortunatamente, da un lato quest'ultimo riuscì a togliergli di mano i boccali di vetro, e dall'altro Feliciano riuscì ad aggrapparsi a lui.
Il risultato fu che i boccali arrivarono intatti sul tavolo, ma la manica della camicia di Ludwig cui il castano s'era appigliato fu rimossa con un sonoro “strap!”, cadendo sul polso, rimanendo nella presa di Vargas.
«Ah, Germania! Germania, mi dispiace!» si affrettò a scusarsi l'italiano, disperato.
«Ah, invece di scusarti con me, pensa piuttosto a cosa sarebbe successo se quei boccali fossero finiti a terra, magari sotto di te! La devi smettere di correre con gli oggetti di vetro in mano, quante volte devo ancora ripetertelo?!» lo rimproverò l'altro, constatando i danni subiti.
Austria, che aveva assistito all'intera scena ammutolito, non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
I due lo guardarono, perplessi della sua reazione, ma Germania fu felice di vederlo sorridere di nuovo.
«Comunque» disse, togliendosi la manica ormai mutilata «Questa camicia è da buttare: la manica è venuta completamente via e...».
«Scherzi?! Vuoi buttare una camicia solo per una manica strappata?» intervenne Roderich deciso, alzandosi.
Gli si piazzò davanti e, afferrata l'altra manica, tirò via anche quella.
«Ecco, ora non c'è più motivo di buttarla» esclamò, soddisfatto.
Ludwig lo guardò negli occhi, ritrovandoci la scintilla che solitamente li animava. Esasperato dalla situazione assolutamente assurda - e non sapendo che replicare - scrollò semplicemente le spalle e tornò a sedersi, prendendo uno dei tre boccali.
Era sollevato dal fatto che Roderich si fosse calmato e avesse ripreso ad essere il solito.
«Beviamo!» esclamò, alzando il proprio boccale. Lo guardò e disse: «Tipico del fratellone, usare i boccali migliori per servire la birra alle feste!».
Austria ed Italia si avvicinarono a lui e presero un boccale ciascuno.
Edelstein se lo rigirò in mano finché non scorse il bassorilievo dello stemma con la bandiera prussiana.
Sorrise appena e alzò il boccale a propria volta, sbattendolo con una certa forza contro quello del tedesco e dell'italiano - aggiuntosi all'ultimo.
Bevvero tutti insieme e Roderich svuotò il boccale in un solo sorso.
Non aveva mai bevuto tanta birra, ma supponeva che almeno per quella volta uno strappo alle regole potesse anche farlo.
Affogare la disperazione nella compagnia ed un po' di birra non gli sembrava poi una cosa così malvagia - a patto che non si ubriacasse.
Già, era proprio disperato.
Austria fissò lo stemma prussiano, carezzandolo con le dita, un sorriso mesto sulle labbra.
«Il tuo primo ed ultimo valzer da single, Prussia. È stato bellissimo».
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Fiamma Drakon