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Autore: SunshineEmily    27/07/2011    7 recensioni
Boccoli, onde morbide e setose adagiate sul cuscino in piuma d’oca del mio letto, riccioli ormai scesi, pallido ricordo dell’eccellente messa in piega realizzata da Dorota la sera precedente.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Silky curls
Autore: SunshineEmily
Personaggi: Blair Waldorf; Chuck Bass
Rating: Verde
Summary ::: Boccoli, onde morbide e setose adagiate sul cuscino in piuma d’oca del mio letto, riccioli ormai scesi, pallido ricordo dell’eccellente messa in piega realizzata da Dorota la sera precedente.  


Silky curls

Chuck's Pov





 

Boccoli, onde morbide e setose adagiate sul cuscino in piuma d’oca del mio letto, riccioli ormai scesi, pallido ricordo dell’eccellente messa in piega realizzata da Dorota la sera precedente. Un’adolescente capricciosa e viziata come te che si fa acconciare i capelli dalla sua domestica piuttosto che prendere appuntamento presso uno dei migliori saloni di bellezza dell’Upper East Side; eppure i soldi non ti mancano, questo ero solito pensare prima di sapere.
Boccoli castani e lucenti, artefatti come gran parte di te.
Non il minimo ricciolo, o un’onda abbozzata su quella chioma perfettamente liscia, levigata come la tua pelle perlacea di bambola.
Ricordo la tua espressione oltraggiata di quel giorno, le labbra rosse ed invitanti imbronciate, gli occhi brillanti di una vendetta che non mettesti mai in atto; come osavo entrare in camera tua senza prima aspettare di essere annunciato dalla devota  Dorota che, come ti feci immediatamente notare, non avrebbe potuto comunicare la mia visita anche se avessi aspettato, seduto su quella rigida panca nell’ingresso, perché intenta nell’arricciare meticolosamente quelle linee informi della tua capigliatura.
Vederti annaspare, senza sapere come controbattere alle mie provocazioni è sempre stata  la più dolce delle visioni, il suono di quel ti prego, Chuck riecheggia ancora nella mia mente, squillante e supplichevole.
Un accordo infantile, un segreto che mi porterò nella tomba, Waldorf, e l’incredibile è che non ne ho davvero mai fatto parola con anima viva, che tu, quando di tanto in tanto torni ad assillarmi sulla questione, squadrandomi dall’alto in basso con quello sguardo assassino che adoro, ci creda o meno.
Boccoli erano quelle lunghe ciocche che stringevi nella mano sinistra  mentre con la destra ti sorreggevi la fronte, lacrime e mascara ad imbrattarti il viso dal colorito smorto, malamente accasciata sulle mattonelle del bagno della tua camera.
In quel momento, come in tutti gli altri della medesima natura, mi sentivo dannatamente impotente, incapace di confortarti, incapace di abbracciarti, incapace di esternarti la preoccupazione e la paura che leggevi nei miei occhi scuri e che interpretavi scorrettamente, l’interpretazione errata di una persona malata.
“Non guardarmi con quell’espressione delusa Chuck, non tu.”, e lacrime, lacrime, lacrime e dolore, dolore, dolore.
E prenderti in braccio, portarti nel tuo letto, coprire la tua figura minuta e fragile, premere il bottone di scarico, raccogliere i tuoi boccoli dal pavimento e dalla tua mano rilassata, tu ormai abbandonata a un sonno profondo, per nascondermeli nelle tasche del cappotto nero e poi gettarli nel cestino della mia suite, lì dove nessuno avrebbe potuto trovarli, vederli, sapere.
Boccoli, ne era improvvisamente aumentato il numero, la tua chioma sempre perfetta con una quantità maggiore di onde tra i capelli.
Una chioma eccessivamente folta, quelle onde di una sfumatura di colore impercettibilmente più chiara, quelle onde meno fluenti e brillanti, quelle onde che, se poi non avessi avuto (l’impensabile) opportunità di constatare da me non vi avrei mai creduto, non erano tue, non erano tue le onde, non erano tuoi i capelli.
Blair Waldorf con le extensions, roba da sgualdrine d’alto borgo, come le definivi tu, tra i suoi preziosi boccoli, extensions quelle che ho toccato nella limousine, quelle che ho di nuovo accarezzato la sera del tuo compleanno mentre tu dormivi con la testa poggiata sul mio torace tra le lenzuola sfatte che profumavano ancora di noi.
Mi piace accarezzarti i capelli mentre dormi, il loro profumo inebriante  e l’effetto che hanno su di me, mi piace quando facciamo l’amore e ti ricadono a nasconderti leggermente i candidi seni, il sorriso che mi regali tra un bacio e l’altro in quei nostri  momenti intimi e assolutamente segreti, mi piace quando la passione lascia il posto alla tenerezza, e nessuno è più sorpreso o pieno di vergogna di quanto lo sia io nel pronunciare questa parola, e ti accoccoli su di me, giocando come una bambina con i  peli sul mio petto prima di addormentarti con la bocca semi aperta e un ciuffo castano davanti agli occhi chiusi. Ti addormenti così ogni volta, sulla mia pancia, ed ogni volta che lo fai sento le maledette farfalle svolazzare più insistentemente, sbattendo come farebbe un ubriaco contro le pareti del mio stomaco, quasi sentissero la presenza, il richiamo della loro padrona.
Boccoli, boccoli arricciati oltremodo quando senti che qualcosa nella tua vita cambierà, nel bene o nel male, quando ti senti invadere dall’euforia  mischiata a champagne e ancheggiando sali sul palco del Victrola, quando la mancanza di tuo padre il giorno del Ringraziamento si fa eccessivamente pesante da sopportare, da tollerare e la maschera cade di nuovo inesorabilmente, quando con quel vestito rosa, acquisto non tuo e regalo non mio, falso sorriso sulle labbra lucide di lip-gloss, ti avvii con passo sicuro verso l’amore giusto e i suoi occhi sinceri, limpidi, voltando per sempre le spalle all’amore vero, l’amore della tua vita.
Boccoli, onde morbide e setose adagiate sul cuscino in piuma d’oca del mio letto, riccioli ormai scesi, pallido ricordo dell’eccellente messa in piega realizzata da Dorota la sera precedente. Boccoli che lentamente iniziano a muoversi, un secondo prima che la tua mano scosti malamente la mia da quelle onde scure, il tuo sguardo infastidito mi lascia frastornato. Perché? Cos’è successo?
E sembra che tu riesca a leggere la mia inquietudine, sorriso carico di miele.
“Solo il mio ragazzo può toccarmi i capelli, Chucky.”
Veleno, veleno, veleno.
Mi sveglio di soprassalto, la fronte imperlata di sudore e una biondissima ragazza nel letto, non le faccio mai restare per la notte ma in tutta franchezza ora non mi interessa minimamente di andare a ripescare nella mia memoria il perché non l’abbia sbattuta fuori dalla stanza la sera precedente.
Mi soffermo ad osservare i suoi capelli troppo lunghi, extensions sicuramente, troppo biondi, tinta scadente accostata al rovente sole di Los Angeles, cerco di focalizzare la mia attenzione su quella matassa ossigenata mentre cascate di morbidi boccoli castani prendono vita davanti ai miei occhi.
Solo il mio ragazzo può toccarmi i capelli.
Mi avvio verso il bagno, acqua fredda, ghiacciata, non riesco a mandar via la tua voce. Alzo lo sguardo e quasi sobbalzo, sei qui, riflessa nello specchio che mi scruti con i tuoi occhi da cerbiatta e un’espressione desolata e amareggiata.
“Tu non rientri più nella categoria.”
Negazione, vetri rotti, urla.
Lo sconcerto negli occhi azzurri di Nate e tanto, tanto sangue.
Ho di nuovo la mano fasciata e anche quel minimo di lucidità se n’è andato a farsi fottere.
Tu non sei qui con me.
E io mi domando se la mia vita priva della tua luce sarà un eterno, oscuro déjà-vu.



Fine.
  

 

  
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