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Autore: KymLYCANTHROPE    27/07/2011    2 recensioni
“Salve, sono il Dottor Mendel del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale.”, Georg aggrottò le sopracciglia confuso. Un ginecologo? Non ricordava di avere una vagina. Né di avere un qualsiasi rapporto con il sesso opposto che implicasse un suo contatto, di qualsiasi genere esso sia, con quel preciso reparto dell’ospedale.
“Mi dica.”, Georg inspiegabilmente trattenne il fiato.
“Penso proprio che ieri lei sia diventato papà.”
Questo è un… videodiario. Ho ventitré anni, quindi semmai qualcuno lo ritroverà tra le macerie di questa casa tra cent’anni, chiunque si dirà: “Cazzo, a ventitré anni hai bisogno di un diario segreto Georg?”.
La mia risposta è affermativa. Sì. Sì mi serve. […] Ho bisogno di un diario perché sono un neo-papà. Che ha amici della sua età con cui non può parlare di biberon e pannolini.
E quindi vuole un diario segreto a cui raccontare di ogni volta che qualcuno gli fa la pipì addosso.
Il videodiario di un neo-papà. E adesso ti… vi… insomma, adesso racconto come è iniziato tutto questo… Oh, no… magari dopo.
Torno subito, l’esserino nella culla inizia a strillare.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco, si… funziona!… no… prova, prova… sa… sa, prova… oh, fanculo a questa webcam! Dai, su, accenditi… oh.
Ecco, si vede. Bene. Niente, questo è un… videodiario. Ho ventitré anni, quindi semmai qualcuno lo ritroverà tra le macerie di questa casa tra cent’anni, chiunque si dirà: “Cazzo, a ventitré anni hai bisogno di un diario segreto Georg?”.
La mia risposta è affermativa. Sì. Sì mi serve. Ho… bisogno, di un diario segreto.
Perché devo parlare, parlare con qualcuno. E trovare un modo per restare sveglio mentre il latte si riscalda e c’è un esserino che piange dentro a quella culla lì dietro… ecco, si vede? Sì, ecco, quella lì. Bé, ora non piange. Ma tra poco lo farà. Fortissimo.
Ecco, niente. Ho bisogno di un diario perché sono un neo-papà. Un neo-papà di ventitré anni. Un ragazzo padre. Che ha amici della sua età con cui non può parlare di biberon e pannolini.
E quindi vuole un diario segreto a cui raccontare di ogni volta che qualcuno gli fa la pipì addosso.
Il videodiario di un neo-papà. E adesso ti… vi… insomma, adesso racconto come è iniziato tutto questo… Oh, no… magari dopo.
Torno subito, l’esserino nella culla inizia a strillare.

***

“Mi faranno il cesareo, vero?”, Fey Baumann era uno scricciolo di diciannove anni con una grande pancia in quel letto d’ospedale così bianco. Gli occhioni azzurri erano titubanti verso l’infermiera, che le rivolse un sorriso dolce, sistemandole la flebo.
“E’ una gravidanza difficile, lo sai vero?”, indagò la donna, sedendosi in un angolo del letto.
“Sì.”
“E’ probabile che faranno un cesareo. Hai paura?”, domandò accarezzandole la fronte. Fey scosse il capo in segno di negazione. “Tanto non è niente di che.”, la rassicurò. “Andrà tutto bene.”
“Ho un’altra contrazione.”, biascicò la biondina, poggiando le mani sulla pancia sferica e sporgente.
“Tra poco ti porteremo in sala parto.”, Fey annuì con un sorriso stanco, passandosi una mano nei capelli. “I tuoi genitori non sono ancora arrivati?”, domandò con calma l’ostetrica. La bionda scosse il capo di nuovo.
“Io i genitori non ce li ho.”
“Ah. E… i tuoi parenti?”
“Non ho parenti. Sono sola.”
“Ah.”, si zittì. Quell’infermiera si chiamava Greta. Aveva i capelli biondi e un viso dolce. Sembrava voler bene ad ogni suo paziente. Tentò di indagare ancora dopo alcuni secondi. “E il padre del bambino?”
“Se ti dicessi chi è non mi crederesti mai.”, rispose Fey, rilassandosi in un sorriso e sventolando una mano. Greta le si fece più vicina con aria complice.
“Dai, dai, dimmelo.”
“Hai presente i Tokio Hotel?”
“Mh-mh.”
“Georg Listing, il bassista con i capelli lunghi, è il padre del bambino.”, Greta sgranò gli occhi.
“Dici davvero? E perché non è qui?”, domandò. Non c’era malizia nella sua domanda, solo curiosità e voglia di sapere.
“Perché lui non sa che sono incinta. Cioè siamo stati insieme per tre notti, una delle quali qualcosa è andato storto evidentemente. Poi non ci siamo più visti.”
“Capisco. Non vuoi dirglielo?”, Fey tornò seria di botto.
“E’ una gravidanza difficile.”, mormorò citando le parole dell’infermiera. “Se… se non dovessi farcela…”, mormorò. “Vorrei che contattaste Georg. Vorrei che il bambino stesse con lui.”, Greta iniziava a credere davvero alle parole di quella ragazza. Fey sorrise di nuovo, dopo un attimo, rasserenandola un po’. “E sempre se non dovessi farcela, vorrei che il bambino si ricordasse di me.”
“Vuoi lasciargli qualcosa?”, chiese Greta in un impeto di amore verso quello scricciolo.
“Non ho nulla qui con me.”, si strinse nelle spalle la biondina. “Per favore, chiamatelo Fey.”
“Ma è un nome da donna!”, Greta era sorpresa da quella strana richiesta.
“E’ il mio nome. È qualcosa di mio che gli rimarrà per sempre. Per favore.”, calcò la voce sulle ultime due parole, un po’ per enfasi, un po’ perché una forte contrazione la colpì in piena pancia come un pugno.

***

“Allora lei mi ha detto: «Voglio salire in camera tua». Io ovviamente le ho detto di si.”
“Il solito maniaco.”, Bill Kaulitz rimbeccò suo fratello con fare critico.
“Maniaco! Andiamo, siamo seri. Dannazione, grandi tette e gran culo quella Sam.”, rispose Tom, mimando con le mani due seni abbondanti. Georg scosse il capo con fare rassegnato. Gustav, esasperato, gettò il capo all’indietro. “Una scopata davvero memorabile.”, concluse il chitarrista, un’espressione soddisfatta sulla faccia da schiaffi.
“Quanto abbiamo ancora?”, lo interruppe Georg, stiracchiandosi.
“Ancora dieci minuti di pausa e poi si torna a lavoro.”, rispose stancamente l’ossuto vocalist, accoccolandosi sul divanetto. “Non ce la faccio più a stare in questo studio.”, due colpi sulla porta distrassero la band da deliri di onnipotenza e oppressiva stanchezza. Dunja, la bionda segretaria del manager David Jost fece capolino nella stanzetta dedicata al relax.
“Georg, tesoro.”, il bassista girò la testa nella sua direzione. “C’è una telefonata per te. Dall’ospedale.”
“Ospedale?”, Bill sollevò gli occhi confuso. “Che è successo?”, Georg scattò in piedi come una molla e in un attimo fu fuori dalla stanza. Pochi secondi dopo una voce sconosciuta lo raggiunse attraverso il cordless.
“Pronto? Chi parla?”
“Georg Listing?”
“Sì, sono io.”
“Salve, sono il Dottor Mendel del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale.”, Georg aggrottò le sopracciglia confuso. Un ginecologo? Non ricordava di avere una vagina. Né di avere un qualsiasi rapporto con il sesso opposto che implicasse un suo contatto, di qualsiasi genere esso sia, con quel preciso reparto dell’ospedale.
“Mi dica.”, Georg inspiegabilmente trattenne il fiato.
“Penso proprio che ieri lei sia diventato papà.”

***

Gli occhi di Tom si sgranavano ogni frazione di secondo di più. Georg fu tentato di pararsi la faccia per paura che potessero schizzargli addosso da un momento all’altro.
“Io voglio capire cosa cazzo significa che sei diventato padre!”, sbraitò il chitarrista agitando una mano nervosamente.
“Non lo so, Tom. Se lo sapessi a quest’ora non starei andando in ospedale a fare un test del DNA.”, rispose altrettanto istericamente Georg.
“E se è veramente tuo figlio?”, piombò di colpo nella discussione Gustav, un alone di pacatezza che si poggiò su di loro permettendogli di riflettere.
“Non lo so, cosa si fa in questi casi?”, biascicò Georg afferrando la giacca di pelle dall’attaccapanni. Gli altri tre membri della band si guardarono per un attimo spaesati, gli uni in cerca di una risposta negli occhi degli altri.
“Bé penso che tu debba scegliere se riconoscere o meno il bambino.”, tentò Bill.
“E se non lo riconosco?”
“Lo danno in adozione.”, rispose con ovvietà il vocalist. Georg corrucciò per un attimo le labbra sottili, storse il naso, poi si passò un mano tra i capelli e fece per andarsene.
“Problema risolto. Non riconosco il bambino, lo danno in adozione, avrà una vita felice. Grazie e arrivederci.”, gli altri approvarono senza ripensamenti, prima che Georg potesse richiudersi la porta alle spalle con un respiro profondo.

***

La corsia dell’ospedale era vuota e vibrante di suoni sommessi. Si percepiva lo scricchiolio delle rotelline delle barelle sui pavimenti lucidi, il vociare dei medici e delle infermiere, i loro passi confusi e arrovellati e frettolosi. Il battito lontano di alcuni elettrocardiogrammi. In quella situazione raggelante la gamba di Georg molleggiava nervosamente su e giù ad un ritmo instancabile, fin quando una porta bianca si aprì permettendogli di scattare in piedi come se fosse seduto su intricati rovi di spine.
“Allora?”, si agitò andando incontro al medico.
“A quanto pare lei è il padre del bambino.”, le gambe di Georg si fecero incredibilmente molli. Sentì il cuore fare un capitombolo fin giù nello stomaco.
“Ma è sicuro?”, biascicò. Il Dottor Mendel annuì con serietà.
“Attualmente lei è l’unico parente del bambino.”
“Ma io non conosco bene nemmeno sua madre…”, era nel panico più completo.
“La madre si chiamava Fey Baumann. Aveva diciannove anni.”, Fey Baumann. Quel nome riecheggiò nella testa di Georg svolazzando dentro ad una nuvola di capelli biondi ed enormi occhi azzurri. Georg non riuscì a dire niente. Pensò solo a un rivolo di sangue e alla pelle già bianchissima di Fey che sbiadiva lentamente; una scoordinata danza di morte sul suono del pianto di un bambino.
“Potrei… potrei vedere il bambino?”, domandò deglutendo. Sentiva la gola asciutta e arsa come se avesse ingoiato sabbia.
“Certo, mi segua.”, i loro passi rintoccavano inesorabilmente lungo le corsie fino a quando il camice del Dottor Mendel smise di sventolare davanti ad una lunga vetrata oltre la quale erano schierate dieci minuscole culle rosa e celesti. Georg rimase senza fiato nel vedere tutte quelle piccole manine stropicciarsi e quei piedini scalciare in aria sollevando piccoli lembi di stoffa. Percorse tutta la lunghezza della vetrata seguendo i passi lenti del medico fin quando questo si arrestò indicando un punto davanti a sé. Indicava una culla contenente un bimbo biondo pacificamente addormentato, vestito di una tutina gialla. L’unica tutina gialla in mezzo a tutto quel rosa e quel celeste. Georg sentì il fiato mozzarsi e pregò che il battito del suo cuore non fosse udibile, perché la sua forza aveva un che di imbarazzante.
Sollevò gli occhi e proprio dietro la testa del bambino c’era una grande etichetta azzurra con un uccellino disegnato. Sull’etichetta c’era riportato il nome, il peso e la data di nascita dello scricciolo addormentato nella culletta trasparente e blu.
“Si chiama Fey?”, biascicò Georg. “E’ un nome da donna.”, disse impercettibilmente tra sé e sé.
“Si chiama Fey come sua madre, è un maschietto che pesa 3 chili e 450 grammi, gode di ottima salute e allo stato attuale è suo figlio.”, il groppo nella gola di Georg invece di scendere si ingrossò. Trattenne il fiato ancora nel guardare quell’agglomerato di coperte muoversi un po’ e spalancare lentamente due occhi di quel colore indefinito, plumbeo e vitreo che hanno solo i bambini di pochi giorni. Georg non riuscì a fare a meno di immaginarli di un verde così simile al proprio. “Allora, vuole riconoscere Fey?”, le parole del dottore destarono ancora Georg.
I cinque secondi che seguirono furono per Georg i più intensi della sua vita, perché il suo cervello scatenò un’attività morbosa come non aveva mai fatto prima. Nella sua testa si succedettero immagini diverse, da Tom che sbraitava, ai Tokio Hotel sul palco, al nervosismo isterico di Bill prima di un concerto, a sua madre, al giorno in cui i suoi si erano separati e aveva visto suo padre andar via, al suo cane, ai suoi amici di Magdeburgo, a quella volta che aveva fatto a pugni a scuola, per poi passare alla sera in cui lui e Fey si erano rotolati tra le lenzuola, per poi irrompere nel giallo sole di quella giornata e di quei capelli dorati e al verde prato che aveva sognato di vedere in quegli occhi su quella testa così piccola.
E fu così che Georg seguì il dottor Mendel dentro un’altra stanza, e al pensiero di un Tom arrabbiato nella sua testa preferì quello di un involucro di pelle, cuore, pannolini e coperte accovacciato in una carrozzina azzurra nuova di zecca.

 

 

 

e così decisi di tenere Fey.
Che, sì, ha un nome da donna anche se è un maschio. È il nome della sua mamma. Me la ricordo a malapena, questa Fey.
Era stata il divertimento di qualche notte. E non mi guardate come mi state guardando. Lo so, lo so, non è una cosa bella da dire, né da fare… eccetera eccetera.
Ma che volete, ho ventitré anni.
Oh… finalmente Fey ha fatto il ruttino. Posso andare a dormire.
Buonanotte.

  
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