Videogiochi > Professor Layton
Ricorda la storia  |      
Autore: Cucuzza2    31/07/2011    2 recensioni
«È sempre un piacere aiutare una brava persona.»
«Io non sono una brava persona.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 Questa storia è stata betata, letta ed approvata da LivingTheDream.
-Diffidate delle imitazioni, solo le originali possiedono il bollino!-

_
_
_
_
_
Era una strana città. Gli metteva una gran voglia di tè.
Avanzava fra le case semidiroccate, esplorando con lo sguardo ogni vicolo ed ogni stradina.
Respirò a fondo. Finalmente libero. Solo ed infreddolito nella città più vicina al carcere, ma comunque libero.
«Qui ci sono i fantasmi, giovanotto! Guarda, eccone uno!»
A parlare era stata un’anziana donna. Pazza, molto probabilmente.
«Dove?»
«Ti conviene lasciar stare, sai?» disse una donna da dietro di lui. Clive si voltò per vedere da dove provenisse quella voce. «È solo Narice.»
 
 
 
Clive mandò giù un altro sorso del tè offertogli dalla giovane, poi si mise più comodo sulla sedia.
«Tu non sai chi sono, dici... Ma qui non avete i giornali
«Cosa vuoi che dica? L’unico collegamento che abbiamo qui a Folsense con il mondo esterno è un treno fantasma!»
La donna l’aveva fatto entrare in un piccolo appartamento in Piazza della Torre. Modesto, ma tutto sommato caldo ed accogliente.
«Questa casa è tua?»
«Diciamo di sì,» disse, cogliendo solo dopo l’espressione perplessa dell’altro. Girò il cucchiaino nella tazza fumante. «È di mio nonno. Sì, lo so che non è il massimo... Prima avevamo molto di meglio, ma il castello è - come dire... crollato
L’altro aggrottò la fronte. «Come sarebbe a dire “crollato”?»
«È lungo da raccontare,» tagliò corto lei. «Ma tu non hai una famiglia?»
«Una specie.» Sogghignò. «È lungo da raccontare.»
«E va bene» incominciò, prendendo fiato. «Mio nonno era duca in questa città quando era fidanzato con mia nonna, ma in seguito a dei lavori in miniera si diffuse un gas che portò morte ed allucinazioni. Mia nonna partì perché era incinta di mia madre, ma non lo disse a mio nonno per non farlo soffrire. La città rimase vittima del gas allucinogeno e, quando tornai qui, mio nonno era convinto di essere ancora un ventenne. Ma ora è tutto a posto, grazie anche ad alcuni amici.»
«Interessante
«Mi stai dicendo che mi credi?»
«Sì.»
Katia sorseggiò ancora l’infuso, poi fissò Clive negli occhi. «Davvero?»
Il giovane annuì. «Ti ringrazio» sussurrò.
«D-di cosa?»
«Di tutto. Del tè e della compagnia.» Scattò in piedi. «Quando è il prossimo treno? Devo tornare a Londra. Ho una specie di famiglia, lì.»
«Non lascerò certo che tu vada così!,» lo trattenne per un braccio. «Non mi hai detto nemmeno il tuo nome. Oggi non ci sono treni, puoi parlarmi un po’ di questa tua specie di famiglia...»
Rassegnato, Clive si risedette. Se non c’erano treni non aveva altra scelta che rimanere lì, ma non aveva molta voglia di parlare.
«C’è un hotel ad un paio di isolati da qui» lo informò lei, vedendo la sua espressione scoraggiata. «Se vuoi posso accompagnarti.»
L’altro alzò le spalle. «Per me va bene.»
«Perfetto. È sempre un piacere aiutare una brava persona.» Si alzò e sistemò le tazzine nel lavello.
«Io non sono una brava persona.»
Katia si girò verso Clive, sorridendo appena. «Ah, no?»
«Be’, non direi proprio.»
«Secondo quale criterio?»
«Mmh, vediamo» il tono si fece improvvisamente sarcastico. «Sono uscito giusto stamattina di galera, ho tentato di distruggere Londra, ne ho raso al suolo interi quartieri e, sì, ho anche cercato di uccidere una persona che in passato mi aveva salvato la vita. Tutte cose che fanno le brave persone, eh già.»
 Il viso di Katia si fece appena più pallido, ma si videro i suoi sforzi per non cedere ai nervi.
«Avrai avuto sicuramente un buon motivo per...»
«Vendetta
«Nessuno si vendica senza motivo. Ogni vendetta nasce da un’azione che l’ha scatenata.»
«Bill Hawks
«Il primo Ministro?»
«Il primo Assassino
«Potresti anche essere più prolisso, lo sai?»
«Potrei dirti anche che nulla di tutto ciò ti riguarda» sbottò Clive, scattando in piedi. «Ti ringrazio molto per il tè e tutto, ma d’ora in avanti vedrò di cavarmela da solo.»
«Vuoi almeno spiegarmi perché l’hai fatto?»
«No.» Spalancò la porta, ed il freddo invase la stanza. «È una questione fra me, il dottor Allen ed il professor Layton. Tu non hai proprio nessun ruolo nella vicen-»
«Aspetta un attimo.»
Clive rimase sulla soglia, immobile. «Mmh?»
«Sbaglio o hai appena detto “professor Layton”?»
Clive la fissò per un attimo, incuriosito, poi decise che non erano affari suoi. Poggiò la mano sulla maniglia della porta e spalancò l’uscio.
Del vento gelido investì la stanza.
«L’ho detto» tagliò corto. «Addio.»
Uscì a passo svelto, sbatté la porta e si avviò senza meta per le vie di Folsense. Piovigginava.
Katia spalancò nuovamente l’entrata, furibonda.
«Ehi, ma aspet- Oh, lascia stare. E ora mi tocca pulire anche la sua tazza!»
La richiuse, poi si avvicinò al lavabo con aria avvilita, e sbuffò più volte mentre lavava piatti e posate. Non aveva mai incontrato un uomo più maleducato e con sbalzi d’umore così violenti.
Sperava proprio che l’indomani partisse e non si facesse più vedere. Le faceva un gran piacere che non avesse alcun posto dove dormire, quella notte: magari una notte all’addiaccio gli avrebbe insegnato qualcosa sulle buone maniere.
«Umpf. Zoticone.»
«La rabbia non sbollisce facilmente. Eh, Katia?»
 La voce tremolante accompagnata dal rumore dei passi malfermi sulla scala a chiocciola preannunciò l’arrivo di Anton in cucina.
«Nonno! Ti avevo detto di non-»
«So ancora camminare sulle mie gambe, stai tranquilla. E col nuovo bastone va che è una meraviglia.»
Katia gli lanciò un’occhiata preoccupata. Era vero, solo dieci anni prima suo nonno era poco più che ventenne, ma a suo giudizio con quest’aria forzata da vecchietto arzillo aveva lievemente esagerato.
D’altronde quel giorno non le andava di litigare anche con lui. Ne aveva davvero abbastanza di farsi il sangue amaro.
«Cosa hai sentito?»
«Tutto.»
«E che ne pensi?»
Il vecchio sedette ad un angolo del tavolo, poggiando a terra il bastone. «Che mi sembra normale che un ragazzo carcerato fino a poche ore fa non sia proprio un campione di buone maniere. Anzi, mi era sembrato sin troppo educato.»
«Ma dai, non-» Toc, toc, toc. «Chi è?»
«Chi vuoi che sia?»
La donna lanciò fece una smorfia, per poi dirigersi verso la porta. Sull’uscio, intirizzito ed implorante c’era Clive.
Katia non si fece troppi scrupoli a sbattergli la porta in faccia; poi tornò a sedere vicino al fuoco, come se nulla fosse successo.
Toc, toc, toc.
Toc, toc, toc.
Toc, toc, toc.
Inizialmente cercò di ignorarlo. I battiti si fecero più insistenti.
«E va bene!» sbottò in fine. «E va bene, apro!»
Clive era ancora lì. Sembrava aver freddo.
«Posso?»
«Prima tu rispondi a tre domande.»
«E tu ad altrettante.»
«Come ti pare. Dimmi come ti chiami, quanti anni hai e che cos’ha a che fare Layton con te.»
L’uomo parve sorpreso. «Sono Clive», cominciò. «Ho ventinove anni. Ho conosciuto il professore in giorno che morirono i miei genitori, quando mi salvò dalla stessa sorte, e fece lo stesso anche nel mio ultimo giorno di libertà. Può bastare?»
Katia annuì e, rassegnata, fece per farlo entrare.
«Prima rispondi. Alle stesse domande.»
«Katia Anderson,» tagliò corto la donna. «Anch’io ventinove anni. Ho incontrato Layton quando ne avevo diciotto, ai tempi della scoperta della verità su questa città. Può bastare?»
«Direi di sì, posso?»
 
 
 
«E dunque questa tua “specie di famiglia” sarebbe...»
Alla fine gli avevano proposto di rimanere per la cena. O meglio, Anton lo aveva proposto: voleva scoprire qualcosa di più su come procedesse la vita di Layton, quindi fare amicizia con quel ragazzo gli avrebbe fatto parecchio comodo. A Katia l’idea non era piaciuta per nulla: aveva trangugiato la minestra senza parlare con nessuno, aspettando con trepidazione l’arrivo dell’indomani.
«Sì, signor Herzen. La mia famiglia sono loro.»
Non riusciva più a sopportarlo. Non vedeva l’ora che se ne andasse. Avrebbe pagato personalmente il biglietto del treno per Londra, a patto che Clive sgombrasse alla svelta.
«Molto interessante, già. Il professore insegna a Londra, giusto?»
«Nella Gressenheller University.»
La voce di Katia interruppe la conversazione dei due uomini: «Com’era quella storia dei tuoi genitori?»
«Morti quando avevo quindici anni in un’esplosione,» recitò, meccanico, col tono di chi non pensa per non ravvivare il dolore. «Colpa di Hawks.»
«E Layton che cosa c’entra?»
«Questo non ti riguarda.»
Katia lo incenerì con lo sguardo. «Com’è che ti ha salvato la vita?»
«Mi ha detto di non avvicinarmi alle macerie.»
«Tutto qui?»
«Sai? È grazie a quel “tutto qui” che posso ancora parlarti.»
Katia dovette ammettere che non aveva tutti i torti.
«E poi?»
«Mi ha fermato mentre distruggevo Londra e mi ha salvato di nuovo la vita. Ho tutti i miei motivi per essergli grato.»
«Ti capisco,» sussurrò Katia. «Anch’io ho i miei.»
«Allora abbiamo qualcosa in comune!», esclamò Clive, poi cambiò sveltamente discorso. «Signor Herzen, posso dormire sul divano? Non ho un soldo per l’hotel, e potrò andare via solo domani.»
Anton annuì, guadagnandosi un’occhiataccia dalla nipote. «Vorrei mandare un messaggio al professore», si giustificò lui. «Scommetto quel che vuoi che appena a Londra questo giovanotto volerà alla Gressenheller. È un’occasione troppo buona per lasciarsela sfuggire.»
Katia alzò le spalle. Tutto quel discorso non spostava di una virgola la situazione.
 
Il piede destro di Katia si posò leggero sull’ultimo gradino della scala a chiocciola. Dalla lieve luce che filtrava dalle tapparelle capì che era quasi l’alba.
Si infilò nel bagno. Il pavimento era gelido al tatto. Ho dimenticato le pantofole.
Quando ne uscì notò che il divano era vuoto. Si guardò attorno, pensierosa, poi si avvolse con il plaid abbandonato in cucina e decise di controllare fuori.
Non pioveva da qualche ora. L’aria odorava di rugiada.
«Sei sveglia anche tu, quindi.»
Si voltò. Clive non aveva portato con sé nessuna coperta: si era limitato a sedersi sul marciapiede, senza badare al gelo mattutino.
«Non hai freddo?»
«Sto bene così, grazie per l’interessamento.»
Eccolo che ricomincia, si disse Katia. Sbuffò. «Che hai?,» sbottò. «Non avevi freddo?»
L’altro alzò le spalle, senza dar segno di sorpresa per quella rabbia improvvisa. «Sì,» rispose. «Ma erano dieci anni che non respiravo così bene.»
«Mmh.»
«Comunque sono curioso», prese lui. «Com’è questa storia che tuo nonno dieci anni fa era un ventenne?»
«Te l’ho già detto, gas allucinogeno. E che mi dici del fatto che hai tentato di distruggere Londra?»
«Fortezza mobile.» Sogghignò mentre la vedeva farsi seria, ma decise di troncare ogni polemica sul nascere. «A che ora è il treno?»
«È arrivato ieri sera, partirà giusto fra qualche ora. Credo intorno alle nove del mattino.»
«Ed adesso che ora è?»
Katia gettò un’occhiata al proprio polso. «Le sette e cinque. Il nonno sarà in piedi verso le otto, e per la colazione lo aspetteremo.»
Era un chiaro ordine. Clive sembrava affamato, ma era troppo orgoglioso per ribattere.
«È strano, questo posto» buttò lì.
«Se ti va possiamo fare un giro.» Cosa ho detto?
Clive alzò le spalle.
«Prima metti un maglione di mio nonno, comunque, o morirai di freddo,» borbottò Katia, pentita di aver parlato. Poi cominciò a salire su per la scala a chiocciola. «Ne ha alcune di quando aveva ventitré anni. Ti andranno un po’ piccoli, ma è tutto quello che passa per il convento.»
Qualche minuto dopo erano pronti entrambi, Katia imbronciata e Clive con l’aria di qualcuno che si accorge a malapena di stare camminando.
«Cos’hai?»
«Adesso devo pure rendere conto a qualcuno per la mia espressione?»
«Dicevo per dire.»
«Guarda che lo so cosa pensi di me.»
Katia aggrottò la fronte.
«Già, lo so! Tu pensi che io sia un mostro.»
«No, non è vero», rispose lei. Colse subito l’espressione di sorpresa di Clive. «Penso solo che tu sia un villano e uno zoticone.»
«Ti sbagli. Sono un mostro e basta.»
«Non devi essere tu a dirl-»
«Ah, no?,» sbottò lui. «Non devo essere io a dirlo? E allora chi, dimmi tu chi deve dirlo!»
Katia lo polverizzò con lo sguardo. «Non sei un mostro, sei un idiota. È diverso
«Lascia stare,» sbuffò. «Questa è Piazza della Torre, giusto?»
«Sì,» borbottò lei. «Di là un tempo c’era il Teatro, andando dritto davanti a noi troviamo la Strada ad Est ed a sud il Viale. È di là che si va per la stazione.»
«E per il Castello?», chiese Clive, insolitamente calmo. Katia si chiese per l’ennesima volta se quell’uomo soffrisse di sdoppiamento di personalità - ma d’altronde il carcere poteva averne modificato il carattere.
«Dal Teatro, su per l’Incrocio a Y. Poi la Strada a Ovest, e da lì nella foresta. Ma fidati, del vecchio maniero Herzen non rimane molto.» E soprattutto tu non devi ficcarci il naso.
«Possiamo andarci?»
Ha davvero detto “possiamo”? E si aspetta pure una risposta affermativa?
«Va bene.» Sono un’idiota.
 
Il Teatro era messo meglio di quanto si sarebbe detto a primo acchito. Certo, le luci erano spente e la scritta cadeva a pezzi, ma comunque si reggeva ancora in piedi.
«Cosa c’è da quella parte?»
«Una casa solitaria. La chiamano “Bottega degli Enigmi”. Non ho idea del motivo.»
«Non ti importa?»
«Ho smesso di pensarci.»
«Come si fa a “smettere di pensare” a qualcosa?»
Katia lo squadrò. «Perché, tu a cosa vorresti “smettere di pensare”?»
«Lascia stare,» sbottò lui, e si allontanò da solo verso il Castello.
Katia scosse la testa. Non lo avrebbe mai capito.
Rifletté per un attimo; poi, come se fosse la cosa più naturale al mondo, semplicemente lo seguì a distanza.
Risalì su per l’Incrocio Ovest a Y. Giunse davanti a quello che un tempo doveva essere stato un droghiere, e lo rivide. Stava per inoltrarsi nella foresta, ma lo bloccò al cancello diroccato.
«Perché vuoi andare a tutti i costi alle rovine del Castello?»
Quello alzò le spalle. «Nessun altro va lì.»
«Correggo la mia domanda: perché vuoi a tutti i costi stare solo?»
«Non ti riguard-»
«E INVECE SÌ
Clive la scrutò, perplesso; la sua espressione era tanto buffa che Katia non riuscì a trattenere qualche risatina.
«Non c’è nulla da ridere», protestò lui. «Vorrei vedere te, al mio posto.»
«Io non ho tentato di distruggere Londra con una fortezza mobile, fino a prova contra-»
«TU NON HAI VISTO IL BASTARDO CHE HA UCCISO TUTTA LA TUA FAMIGLIA SEDERE SUL SEGGIO PIÙ ALTO DEL PARLAMENTO
«E TU NON HAI VISTO TUO NONNO PRENDERE CINQUANT’ANNI IN UN COLPO SOLO
«Che c’è, ora su fa pure la gara a chi soffre di più? In tal caso rassegnati, ho vinto io.»
«Tu-»
«Lasciatemi in pace. Tutti
«Clive, io-»
«Mmh?»
«Mi spieghi cos’hai, una buona volta?»
«È semplice,» si lasciò andare lui, arrendendosi all’evidenza. «È sin troppo semplice. Sono dieci anni che lotto contro il senso di colpa, ed è sempre lui quello che vince.»
 
Katia portò la forchetta alla bocca, assaggiando una frittella dalla montagna che aveva preparato. Erano riuscite bene, quel giorno.
«Katia, signor Herzen, scusate,» disse Clive. «La natura chiama.»
Con queste parole si defilò in bagno.
Anton sorrise, protendendosi sul tavolo verso la nipote. «Allora?»
«Allora che?»
«Alla fine hai cambiato idea su di lui?»
«Diciamo di sì», rispose Katia. «È uno che ha sofferto... Dice di essere un mostro. Ah, e poi è impulsivo.»
«E prova una smisurata ammirazione verso il professore», aggiunse lui. «Più che ammirazione, direi che si fidanzeranno da un momento all’altro.»
«Chi è che si fidanzerà?,» chiese Clive, ignaro, riaffiorando dai servizi.
«Nessuno, perché?» Katia finse di cadere dalle nuvole.
«Nulla, dicevo per dire.»
Anton sogghignò. «Il tuo treno è fra mezz’ora, giovanotto. Sa già come fare per il biglietto?»
«Ehm.»
«Per stavolta ti è andata bene. Il Molentary Express appartiene a mio fratello. Così potrai tornare dalla tua specie di famiglia
Clive sorrise, rincuorato. Dopo tanti anni, forse adesso le cose stavano riprendendo ad andare per il verso giusto.
 
Dopo mangiato Katia si era offerta di accompagnarlo alla stazione - «Non vorrai mica perderti!» aveva detto -, così ora stavano attraversando l’Ingresso della Città. Al centro c’era una fontana.
«È un peccato essere al verde,» mormorò Clive. «Una monetina è un ottimo prezzo per un desiderio.»
Katia alzò le spalle. «Vieni, mancano pochi minuti.»
La stazione era ricca di foto della città scattate una sessantina d’anni prima, appese sulla parete rosso sangue.
«Dunque è così che era la città, un tempo.»
«Sessant’anni fa, ma anche dieci.»
«Non sono sicuro di aver capito bene com’è stata la tua vita.»
«Nemmeno io per quanto riguarda la tua. Un buon motivo per rivederci, un giorno o l’altro.»
Salendo sul treno, Clive borbottò un «Grazie».
«Figurati. È sempre un piacere aiutare qualcuno che sta per diventare una brava persona.»
 
Il treno si allontanò, sferragliando e sprizzando scintille dalle ruote. Girò l’angolo, piano, lasciandosi indietro un filo di fumo grigio; infine la coda verde del Molentary Express scomparve dietro una collina.
La sua specie di famiglia lo attendeva.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Professor Layton / Vai alla pagina dell'autore: Cucuzza2