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Autore: manubibi    03/08/2011    2 recensioni
[Gattaca] A volte Jerome sembra non farcela. O meglio, a volte sembra crollare sotto sé stesso, come una palafitta dalle fondamenta marce. Dice sempre che non gli mancano i giorni in cui era perfetto, ma quello che non dice è che gli fa ribrezzo anche condurre una vita troppo sedentaria, troppo monotona, troppo guardare Vincent che vive. Jerome/Vincent, regalo di compleanno per velocity girl.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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A volte Jerome sembra non farcela. O meglio, a volte sembra crollare sotto sé stesso, come una palafitta dalle fondamenta marce. Dice sempre che non gli mancano i giorni in cui era perfetto, ma quello che non dice è che gli fa ribrezzo anche condurre una vita troppo sedentaria, troppo monotona, troppo guardare Vincent che vive. A questo punto, allora, quando realizza che la sua unica esistenza reale se n'è andata con le gambe di qualcun altro, quella che sta facendo scorrere sui suoi giorni non può più essere chiamata "vita". No, è una sopravvivenza, uno stato di cose in cui lui potrebbe benissimo anche non esistere.

Ma... No. Poi ricorda che l'esistenza - anche solo quella nominale - di Vincent dipende da lui. Da tutte quelle piccole perfezioni - o meglio, le perfezioni che Gattaca ed il mondo cercano - delle quali non può più fare niente. Si dice che la cosa più bella del mondo è donare se stessi per qualcun altro. Ma Jerome non la vede, tutta questa bellezza. Vede solo un ragazzo come lui, ma Invalido, che corre dietro ad un sogno troppo lontano il quale però lo tiene in piedi. Gli piacerebbe pensare che Vincent, per la luce di decisione che porta negli occhi, meriterebbe un'occasione, anche solo un volo fra le stelle; Jerome è abituato a quel tipo di panorama, di privilegi, di riconoscimenti. 

Ma sono tutte cose che ha scoperto di volere indietro, tanto intensamente quanto sono irraggiungibili, ormai.

Trasportato da Vincent fino al materasso, ubriaco come sempre, con la stupida sensazione di stare volando, pensa tutte queste cose e non può fare a meno di lasciarsi andare ad una breve risata sarcastica. 

«Ma io sono vero». 

Vincent gli rivolge solo un'occhiata incuriosita, mentre lo adagia a letto, alzando un sopracciglio. Naturale, naturale. Come poteva seguire il filo dei suoi pensieri?

«Sto dicendo,” Riprende Jerome. «Sto dicendo che io sono vero, tu sei solo una stupida... Malfatta... Replica finta,» Conclude, guardandolo dal basso in quel suo modo altezzoso. Sembrerebbe davvero un principino, non fosse che ha delle gambette bianche che non si muoveranno mai più, che il suo trono è una sedia a rotelle e che è caduto persino più in basso degli Invalidi.

E Vincent ama tutto questo. Forse non dovrebbe, forse non è nemmeno normale provare piacere nello stare con lui - lui che brontola, lo sgrida, gli ricorda perennemente che lui è perfetto, che lui dovrebbe stare al Gattaca, che lui dovrebbe... Ma non è. Forse perché gli fa pena, dopotutto. Forse perché sa che Jerome è un rottame nella realtà dei fatti. E potrebbe benissimo lasciar andare le cose così, continuare ad usare il suo sangue, il suo DNA, le sue impronte digitali, la sua identità per farsi una vita da sogno, fuori da quello scantinato. E lasciarlo lì ad ubriacarsi giorno per giorno: in fondo se ha imparato qualcosa in quest'epoca fredda è che bisogna sempre pensare a se stessi prima di tutto. Affari suoi se ha avuto un incidente, è stato sfortunato, non può dare via anche la propria vita per preoccuparsi di uno storpio. Forse, però, è troppo tardi per escludere la propria coscienza dai progetti futuri. 

Jerome ormai ne fa parte e non può più cancellarlo o dimenticarsi che esiste. L'ha ascoltato tutte le mattine, quando si alza, quando geme per salire sulla sedia a rotelle, quando impreca senza motivo e quando comincia il suo solito lavoro: dare il sangue, letteralmente, per Vincent. L'ha ascoltato talmente tante volte, nel dormiveglia, che ormai sono suoni che può chiamare familiari. Ed anche questi gesti, come portarlo a letto dopo averlo visto ciondolare la testa per via dell'alcol, ormai sono un'abitudine. Che, per quanto sia un tipo avventuroso ed alla ricerca di cose nuove, per lui è rassicurante.

«E tu sei uno storpio ubriaco,» Sussurra, con l'intenzione di farsi udire, mentre gli sistema le gambe bene dritte sul letto. Jerome annuisce rassegnato e guarda il muro, dove la luce della lampadina disegna la sua ombra.

«Ma tu hai bisogno di me,» Ribatte atono. Vincent l'osserva a lungo, colpito. Ironicamente, ha ragione. 

«Già,» Annuisce, drizzandosi e dirigendosi verso la porta.

«So che me ne pentirò, ma aspetta, Vincent,» Sospira, fissando la propria silhouette spalmata contro il muro, impietosa quando lo ritrae come una figuretta quasi senza forme, dritta ed anonima.

L'altro, voltandosi e guardando la sua schiena ferma la mano sulla maniglia, colto di sorpresa. «Cosa c'è?»

«Puoi restare finché non mi addormento?» Chiede, come se gli stessero strappando le parole di bocca. «E non ce la faccio a svestirmi da solo. Devo mettere il pigiama,» Puntualizza poi, come a voler precisare che non c'è nessun altro motivo dietro la sua richiesta. Vincent, paralizzato per qualche secondo, annuisce e si avvicina di nuovo al letto, dove l'altro lo fissa inerme, irritato dalla situazione.

Jerome, intimamente, è grato che gli sia capitato Vincent a prendersi cura di lui. Poteva arrivare un essere completamente cinico e disinteressato e, per quanto ami negarlo, la compagnia è piacevole. A volte gli sembra che a Vincent importi qualcosa di lui, il che non è scontato né automatico, soprattutto di questi tempi. Forse Jerome gli fa pena, forse si sente in dovere di accompagnarlo a letto o, come ora, di esaudire strane richieste, ma è qualcosa. Sospetta che nessun altro lo farebbe, nemmeno per pietà. E nemmeno lui è mai stato particolarmente generoso o disinteressato, ma c'è qualcosa che lo fa sentire più uomo e meno vegetale nel modo in cui Vincent si assicura che sia comodo a letto, che abbia il minimo indispensabile per vivere ed il modo in cui lo guarda. La gratitudine, almeno quella, in parte c'è. Anche se non dimentica che Vincent vive per tutt'altro, qualcosa che sta al di fuori di quelle mura.

Lo guarda sedersi sul bordo del letto, guardandolo senza muoversi.

«Dormi presto però, domani mi devo svegliare prima di te,» dice Vincent, tradendo un certo disagio nella voce.

Jerome non risponde, si limita a fissare il muro con gli stessi occhi vuoti di sempre, perso in pensieri che non si darà mai il disturbo di esprimere ad alta voce. E questo affascina Vincent: spesso lo osserva mentre guarda il vuoto, con aria assente; solo un'immensa tristezza nei suoi lineamenti. Una tristezza quasi dolce però, una tristezza affascinante, che mette melanconia, che lo dissuade dal parlare ma lo fa rimanere lì, a guardarlo contemplare il nulla ed il vuoto al quale si è ridotta la sua vita. Jerome non avrebbe mai pensato che un paio di gambe fossero così importanti, ma si è reso conto presto che il malfunzionamento di una parte del corpo pregiudica tutto: vita, affetti, carriera, fino alle più piccole cose. Per esempio: odia dover chiedere a Vincent di prendere qualcosa su uno scaffale troppo in alto per lui. Si sente ancora più disabile, ancora più vecchio, ancora più Invalido.

Ma ama averlo accanto ora che non può muoversi, che può averlo davanti o dietro di sé. L'ha costretto ad amarlo, qualche volta. 

E dopo un po' di tempo, si accorge che non ce la fa più: sorge un bisogno di avere, anche solo per un attimo, il corpo di Vincent. Quello che, in un certo senso, è anche il suo corpo. Gli afferra una mano, facendolo voltare di sorpresa, e lo guarda. Sempre la stessa espressione seria e cinica, ma non più vuota.

Vincent, guardando il suo viso, capisce. Capisce quello che vorrebbe capire, cioè che ha bisogno di conforto. Ed è mettendosi a carponi che slaccia lentamente e con cura i suoi pantaloni neri, la fibbia della cintura in pelle, e poi le scarpe nere italiane. E scopre le sue cosce bianche e malate, fitte di linee che si intrecciano sulla pelle come delle mappe complicate; gambe troppo magre, quasi prive di muscolatura per la mancanza di esercizio. Gambe che lui accarezza, avvicinandosi al suo corpo e facendole piegare contro il suo petto.

Si avvicina, fendendo l'aria tesa e piena di disagi, satura di silenzio, guardando i suoi occhi ed osservando una singola lacrima cristallizzarsi su una guancia. Jerome è solo, quasi tutto il tempo

Vincent, all'improvviso, vorrebbe curarlo, renderlo migliore, solo per non sentire più quella vaga fitta di dispiacere in fondo allo stomaco.

Ma sa che, inevitabilmente, è impossibile, è tutto inutile. Jerome resterà per sempre così, non può né migliorare né muoversi meglio, neanche in cinquant'anni. È lasciando un bacio breve e leggero sulle sue labbra che capisce che Jerome se ne andrà, prima del previsto. 

Non sulle sue gambe, però.

 

 

 

NdA: Allora, questa fic doveva essere una PWP. E doveva essere IC, ma come si suol dire, le storie si scrivono da sole. Non posso però dire che doveva essere più allegra, perché guardando bene il film di allegro c'è ben poco... E mi dispiace che questo sia un regalino di compleanno, dato che è così deprimente, ma è da mesi che ho deciso di scrivere su Gattaca apposta per lei, dato che ama questo pairing e che probabilmente siamo le uniche due in Italia a shipparli (sì Fra, la verità è che li shippo anch'io, ma mi piace trollarti XD). Insomma, non ci vuole tanto a farlo, ma pare sia proprio così. Il che ha reso un po' più complicato plottare anche solo una OS, ma alla fine mi ci sono divertita...
Quindi, è appena passata la mezzanotte e la posto subito *^*

E Velocity Girl, Capitano mio Capitano, OH! TROGLIE, spero tantissimo che ti piaccia, perché non ho altri regalini in mano D': 

TANTI AUGURI FRA!!

   
 
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