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Autore: lmutpimi    31/03/2006    2 recensioni
[..]-Boh, non so. Poi vogliono andare all'Extra.
-Capito. E' ancora come quando lo frequentavo?
-Sì. Sempre la solita gente, i soliti giri...
-L'Extra è un po' la versione in piccolo di Padova.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ricordo esattamente perché, quella sera d'agosto, avessi deciso di uscire sola.
Con ogni probabilità, il motivo era che ero davvero, e a tutti gli effetti, sola. Gli amici che avevo avuto fino a otto mesi prima avevano smesso di farsi sentire, e, anche se non potevo certo dire di non capirli, rimaneva il fatto che molti sabati sera (e sabati pomeriggio, e giorni feriali) non avevo proprio idea di che cosa fare.
Ma sono sicura che non fosse questa la vera ragione; sono sicura che non sia stata la solitudine in sé, a spingermi fuori dalla porta. Avevo passato così molti sabati. Avrei, senz'ombra di dubbio, potuto passarne così anche un altro.
Il punto è che se quella sera sono uscita senza un accompagnatore di sorta, non è stato solo per una scelta obbligata.
Volevo andare fuori di lì e respirare l'aria blu vellutato della notte, a qualunque costo, anche se avrei sicuramente corso molti rischi.
Diciamo pure che mi ero stancata di quella condizione, ecco.
Sì, insomma: avevo voglia di mettere il naso fuori casa, punto e basta. Comprensibile per una diciottenne, no? Decisamente comprensibile.
Anzi, guardate, fate finta di non aver sentito, fate finta che non abbia cercato qualche giustificazione per aver voluto respirare l'aria illuminata della Padova serale assieme a qualche altra persona che non fosse un mio genitore che, alternativamente, avrebbe avuto un'aria o preoccupata o astiosa.
Fate finta che io, ancora, consideri quella serata un episodio irrilevante, senza influenza, privo di peso e consistenza, come il velo di una sposa che striscia veloce sul pavimento e poi subito si rialza volteggiando.

-Esci, Lucia?
-Sì, prendo la macchina.
-Ma esci con qualcuno?
-No, mamma, vado sola. Ti faccio uno squillo quando torno.
Lanciai un'occhiata all'espressione di mia madre. Un po' di perplessità, e anche un po' di condivisibile preoccupazione, per la figlia adolescente neo-patentata che, senza amici e senza programmi, parte per una gita notturna in quel del centro storico patavino.
-Dai mamma, parcheggio in via Trieste, faccio un giro per le piazze e poi torno.
-Ma così, da sola?
-Massì, lì qualcuno che conosco lo trovo sicuro, dai.
-Ah... vabè. Per quand'è che torni...?
-Non so. Ti telefono, semmai.
-Sicura che non vuoi che ti accompagniamo?
-Ma no, non c'è bisogno, sul serio.
Lei annuì, senza molta decisione.
Ma la decisione che mancava a lei ce l'avevo io, quindi, afferrate le chiavi, puntai dritta al garage, e, dopo una sapiente retromarcia, partii tentando di tenere la testa vuota dai pensieri.

*

Forse non avrei dovuto giustificarli.
Sì, più passa il tempo e più me ne rendo conto: non avrei dovuto assumermi tutte le colpe di ciò che è successo, sia davanti a quello che era il mio ragazzo, sia davanti ai miei amici, che sono stati i più crudeli, e al contempo erano quelli che c'entravano meno di tutti.
Sono d'accordo anch'io che un bambino a diciassette anni non è la prima cosa che ti auguri.
Ma forse non hanno capito che non me l'auguravo neanch'io.
Quello che, ora, con la saggezza portata dagli anni, mi salta immediatamente in mente, è che è stato assurdo darmi la colpa di qualcosa che abbiamo fatto in due, e che soprattutto non era programmato.
Ecco, forse il mio errore è stato dire "no, guarda, mi spiace, ma io lo tengo".
Avranno confuso questo mio desiderio con una sorta di principio prettamente cattolico? Potrei vagamente addurlo come giustificazione al loro comportamento, se solo non fossi stata sempre dichiaratamente atea.
Forse credevano che una scelta simile mi avrebbe rovinato la vita, ed è per questo che mi hanno portato tanto rancore? Forse, ma lasciarmi sola con i miei pensieri e il mio bambino non è stato quanto di più azzeccato potessero fare per migliorarmela almeno un po'.
Tuttora, a distanza di anni, e anni, e anni, continuo a cercare di dare un motivo, ma un motivo che spieghi, no, peggio, un motivo che li assolva. Che mi faccia capire che, no, non avevo cattivi amici. Ero stata io ad agire in modo scorretto.
Perché l'unica verità è sempre e solo stata che si sono comportati come delle facce di merda di prima categoria.
Si sono comportati da immaturi e da traditori, da ipocriti e da codardi, e quel che più conta è che si sono comportati da insensibili.
Ma non è bello, a diciassette anni, renderti conto che, sì, beh, per cinque anni sei stata circondata di stronzi e, hmm, sì, li credevi anche tuoi amici. Ooops. A quanto pare ti eri sbagliata.
Forse è un'informazione che il cervello non è in grado di accettare. Aver condiviso anni di risate e lacrime e puttanate con delle persone non ti aiuta, quando cerchi di distaccartene. Quindi, è più facile incolpare te e prodigarti per guadagnare una redenzione, che credere a ciò che la razionalità cerca di sussurrarti in un orecchio. Sicuramente, è più facile che accettare che prima non eri molto meno sola di adesso.

No, non è bello, affatto, avere diciassette anni.
Credi di stare tra adulti e ti rendi conto che sei tra facce adulte, sì.
Poi provi a vivere e ti rendi conto.

*

Parcheggiai, come avevo promesso, in via Trieste, che non era un granché come posto; anzi, a dirla tutta era proprio un posto di merda, tra la stazione dei treni e quella degli autobus, vicino a un parcheggio deserto e a delle gallerie altrettanto silenziose.
Ero disperata, ma non stupida.
Rimisi in moto e mi diressi verso via 20 Settembre, che era vicino al ghetto e al Duomo, e per di più era una zona sicura e frequentata. Assieme a me, scese da una Punto rossa una coppietta di trentenni, da poco uscita dal mondo luccicante delle discoteche e dei pub, ed entrata a pieno diritto nel mondo delle passeggiate la domenica pomeriggio ad Abano, della spesa il sabato alle tre e mezza e della televisione assieme il sabato sera.
Fra poco avranno un figlio, mi ricordo di aver pensato. Fra poco avranno un figlio, e quel figlio riempirà almeno metà della loro giornata, e loro saranno sicuri di aver fatto la cosa migliore perché un figlio è una gioia, dai, nella vita bisogna avere almeno un figlio, è lo scopo di tutto, altrimenti che ti resta?
Io credo che se hanno vissuto finora senza un figlio possono farcela benissimo ancora, e che se la loro vita è così vuota da non saper trascinarsi senza una terza persona, beh, qualcosa non va di principio.
Ma non sta a me giudicare; non a me che ho preso un figlio sì con buona volontà, ma anche come un peso, come un'imposizione, come una sorta di castigo se vogliamo. Non sono io ad avere il diritto di parlare; io che ho preso come la fine del mondo ciò che per milioni di donne è un desiderio struggente, disperato, e purtroppo irrealizzabile. So che mi è capitata tra le mani una fortuna che non saprò mai e poi mai apprezzare, che io non ho apprezzato, che chi mi circondava non ha apprezzato allo stesso modo.
Può darsi che questa ragazza con i capelli biondi freschi di parrucchiere desideri ciò che io, in alcuni momenti, ho ripugnato profondamente.
Non so, davvero, ancora non so come dovrei pensarla. Non so se dovrei odiarmi per i pensieri di repulsione che ho avuto per Lui. Non so se sia giusto o sbagliato cercare di convincermi che in fondo, anche se me la sono cercata, non l'avevo chiesto io; che avevo tutto il diritto di odiarlo, a volte, e di non volerlo, a volte.
A volte, comunque; non sempre. Solitamente sentivo già di volergli un po' di bene. Sia chiaro.
Ma come posso non odiare chi, anche se involontariamente, ha causato più o meno la mia rovina sociale? Sono umana. Sono umana e ho bisogno di essere amata, proprio come tutti gli altri.

L'Highlander era come sempre gremito. Ricordo che mi sorse una cocente nostalgia per i tempi in cui prendevamo quel tavolo enorme, e dopo tiravamo giù il macello finché Dio non diceva basta. Ci ero tornata altre volte, questo sì, magari con qualche ragazzo con cui avevo provato ad uscire.
Ma quando sei costretta a raccontare di te, e hai certe cose sulla coscienza, hai due possibilità: non raccontare nulla e fare la figura della scontrosa, oppure raccontare tutto e non fare nemmeno la figura, perché alla figura metti che rimedi, ma al disprezzo e alla diffidenza non si può rimediare in nessun modo. O se un modo c'è, io non l'ho mai conosciuto.
Feci fronte come potevo alle occhiate, reali o immaginarie, che accompagnavano una ragazza tutto sommato carina da sola in un pub, e per di più una su cui non giravano voci propriamente encomiastiche. Mi concentrai sul mio riflesso in un vetro, controllando se i miei riccioli castano-rossicci erano a posto o si erano gonfiati magicamente nel giro di mezz'ora. Ma, no: i miei riccioli cadevano perfettamente sulle spalle, come sempre, e io non sapevo su cosa concentrarmi per rilassarmi un po'.
Alla fine mi sedetti al bancone, al posto più solitario che mi riuscì di trovare a quell'ora; in fondo, a destra.
Un ragazzo grazioso, con un piercing al labbro e dei sorprendenti occhi azzurri, mi salutò e mi chiese cosa volessi.
Bella domanda, pensai.
Da te potrei volere anche una scopata, pensai ancora, perché tutto sommato non ho un granché da perderci, da questa serata.
Ma mi limitai a chiedere svogliatamente una vodka alla menta, e a pensare a un modo per distrarmi nel mentre che aspettavo.
Per prima cosa controllai accuratamente se, attorno a me, ci fossero i miei vecchi amici.
Attorno a me c'erano orde di fighetteria padovana, fighetteria che, girando dalle parti del Duomo, sicuramente era a conoscenza degli ultimi avvenimenti della mia vita, e altrettanto sicuramente avrebbe comunicato quanto prima della mia straordinaria presenza agli ex-amici in questione; ovviamente premurandosi di precisare che ero sola, e con una faccia sbattuta che non sembravo io, e che, toh!, sembravo aver perso tutti i chili acquisiti con la gravidanza, che culo sfacciato.
Oltre alla fighetteria, saltava subito all'occhio qualche sparuto adulto comunque non al di sopra dei trent'anni; uno o due di questi, tra parentesi, mi aveva già puntato.
Stavo giusto riflettendo se era stato il caso di venire sola, considerato che poi alla macchina dovevo tornarci con il rischio di essere seguita, quando sentii battermi su una spalla.
Con un piccolo salto, preoccupata che uno dei trentenni stesse già tentando la fortuna con me, mi voltai a guardare.
-Buonasera - disse una voce fredda ma compitamente cordiale.
Solitamente, ci si aspetta che dopo un saluto la gente aggiunga qualche altra frasetta del cazzo che possa incalzarti a sostenere una conversazione almeno un po' allegra; ma la voce non si espresse ulteriormente. Osservò bene la mia reazione ed aspettò che fossi io a mostrare in che disposizione d'animo ero.
-Andrea - mormorai - Ciao.
Non avevo la forza d'animo di mostrare uno stupore o uno spavento che non avevo provato. Vivere per tanto tempo nell'assenza totale di stimoli provenienti dall'esterno, anche minimi, non significa sempre che alla prima occasione salterai su come una molla. Può significare anche che ti adatterai placidamente a questa nuova situazione e che ti risulterà difficile scomporti anche per le emozioni davvero forti.
E vi posso assicurare che quella era stata forte davvero.
-Che fai qui? - domandò tranquillo, accettando di buon grado il fatto che lasciavo a lui la responsabilità di dare un tono al nostro colloquio.
-Ah, un giro - replicai distrattamente; avrei potuto porgli la stessa domanda, ma non avevo voglia di dialoghi pesanti e pregni, quali sicuramente sarebbero stati i risvolti di un simile ribaltamento di posizioni.
-Sola?
-Sola. Anche tu? - buttai lì, più per educazione che per reale curiosità.
-No, io sono con gli altri. Ma sono al piano di sopra.
-Ah, ok. Suppongo sia meglio così.
-Sicuramente sì.
Il ragazzo carino con il piercing mi porse la mia vodka, ornata di un sorriso gentile. Sorrisi a mia volta e iniziai a sorseggiarla lentamente, per farla durare, per rimanere lì di più, nonostante ogni momento fosse una sfida contro un giudizio che galleggiava nell'aria, intossicandola.
-Da quando tu bevi? - fece lui, stupito e con una punta di scherno.
Domanda insidiosa, considerai.
-Boh, qualche mese - replicai evasiva - Ho cominciato un po' alla volta.
Lui annuì; la conversazione intensa che stava, con ogni evidenza, cercando, veniva puntualmente smorzata dalle mie risposte volutamente evasive.
Funzionava a meraviglia.
Non è che non volessi parlare con lui; è solo che lui cercava melodrammi, e io di drammi ne avevo già avuti abbastanza.
-Beh - afferrò uno sgabello e si sedette alla mia destra, ancora più in fondo - Se ti va rimango un po' qui.
-Se va a te, piuttosto - mormorai, senza traccia di risentimento tra le mie parole. Come ho già detto, non avevo voglia di litigi né di scenate.
-Sì. Sì, mi va. Anche se non so se tu lo consideri il caso.
Alzai le spalle, senza sollevare gli occhi dal bicchiere che tenevo tra le mani.
-Lucia?
Feci dondolare il ghiaccio, per sentirne il tintinnio contro il vetro. Poi, lentamente, alzai lo sguardo.
-Sì?
Forse esageravo a mostrarmi così noncurante. Non volevo sembrare scortese. Era solo che mi aveva preso un'ondata di stanchezza.
-No, nulla. Vuoi essere lasciata sola?
-No, no - dissi piano, con tono conciliante - Resta.
-Ok. - si adagiò meglio sullo sgabello, appoggiandosi al bancone - Allora, che hai fatto in questi mesi?
All'improvviso mi resi conto che non era lui, a cercare appositamente domande insidiose.
Il fatto è che quando la situazione è quella che è, ovvero potenzialmente esplosiva, o già più che abbondantemente esplosa, qualsiasi domanda diventa per forza un potenziale pericolo.
-Niente di che.
Era vero. Niente di che.
Mesi passati a non fare proprio un cazzo, erano stati, ma non potevo mettergliela così; sicuramente si sarebbe sentito in colpa, o avrebbe finto di sentircisi, o avrebbe preso il mio come un tentativo di farcelo sentire, e nessuna di queste tre opzioni figurava tra i miei intenti.
-Come, niente? - incalzò lui.
-Niente, Andrea. Qualche uscita con qualcuno. Nulla di eclatante...
-Capito.
-Anche tu sei uscito con qualcuna?
-Sì, qualcuna - annuì, ma l'argomento non sembrava interessarlo molto. Decisi di non chiedere altro di queste "alcune".
Mandai giù qualche altro sorso, così da passare a lui la palla della ricerca dell'argomento.
-Alla fine sei riuscita a passare l'anno?
Territorio neutro. Per quanto può esserlo in circostanze del genere.
-Sì, ho recuperato. Fortunatamente i mesi peggiori sono stati quelli estivi.
-Ora stai bene?
-Sì, sto bene. In fondo non era ancora cresciuto molto.
Non appena pronunciai quella frase, capii che era stato un errore.
Avevo menzionato Il Bambino, e questo argomento ci aveva trascinati in un baleno in una dimensione più intima, rovente, infinitamente più pericolosa.
E, quel che è peggio, mi ci ero trascinata con le mie mani.
-Mh - fece lui, ma era impallidito - E' stata una cosa dolorosa? - riuscì, faticosamente, a domandarmi.
-Abbastanza, sì.
Ero stata lapidaria, ma era soltanto un tentativo di riportare il discorso su un binario più neutrale.
-Mi spiace, Lucia..
Annuii. Sapevo che non diceva bugie, e che gli dispiaceva davvero.
Perché non si era dispiaciuto d'avermi lasciato sola ed essersi portato via con sé tutti quelli che erano stati i miei amici, proprio no; non una parola di scuse né di comprensione, né in quella serata né in nessun'altra passata o successiva. Il che significava che se mi diceva di dispiacersi, era pura, assoluta, irreversibile verità.
-Beh, in fondo è passato. Sono cose che si dimenticano - dissi, giusto perché l'avevo sentito dire da molte partorienti, e i luoghi comuni aiutano più volte di quanto si possa pensare.
-Una volta ho letto su un libro della Littizzetto che tutte dicono così, ma poi saprebbero raccontarti il loro ultimo parto momento per momento, ogni singolo muscolo contratto minuziosamente registrato nella memoria, una cosa angosciante, davvero...
Sgamata.
-Beh - sorrisi - in fondo il mio non è stato un parto.
-Vero - osservò lui, fissando un punto indistinto con sguardo vacuo, uno sguardo che si vede solo nei vecchi.
Mentre si riprendeva, buttai giù un altro po' di vodka. Maledetta anche la vodka, pensai, neanche capace di darmi un po' di slancio, giusto un po', giusto per dirgli che è stato proprio stronzo, e che io lo odio, e che lo odierò per sempre.
Ma la vodka doveva proprio star facendo il suo effetto, perché senza che me ne accorgessi mi uscì di bocca una frase che nella mia testa, mai, in otto mesi di solitudine, avevo neanche lontanamente formulato:
-Quel bambino, poi... che voleva nascere a cinque mesi; aveva così tanta fretta di vedere il mondo...
Davanti al sorriso un po' triste che mi si stava formando, Andrea si limitò a un sogghigno; poi, senza nemmeno guardare da un'altra parte, gettò la bomba.
-Tutte che dicono così. Ce ne fosse una che la vede da un'altra ottica. Dì, ma hai mai pensato che forse voleva semplicemente uscire da quella tua cazzo di pancia...?
Stavo ancora facendo tintinnare il ghiaccio quando me lo disse, e anche dopo che la frase si concluse rimbombando nell'aria (anche se non rimbombava, perché il locale era piccolo, e anche pieno di gente) non alzai lo sguardo.
La prima cosa che pensai non fu che era la cattiveria più lurida che avrebbe mai potuto uscirgli dalla bocca.
Nella mia testa, mi limitai a osservare come, non appena elargisci un briciolo della tua confidenza, fosse anche solo tramite una frase un poco più intima e personale, la gente se ne prenda dell'altra di prepotenza, e finisca con il pensare di poter arrivare a dirti frasi del genere.
Sono frasi che a un estraneo non direbbero; ma tu, stupida diciottenne che si è sbilanciata a fare una confidenza, a svelare un pensiero un poco più sentimentale, ti sei automaticamente esclusa dalla classe degli sconosciuti a cui il rispetto va portato.
Errore tuo, considerai; quindi non replicai nulla.
-Lucia?
-Mh?
-Scusami.
-No, non scusarti. So che lo pensavi, e che lo pensi ancora.
-Proprio per questo, mi scuso.
-No, non ha senso. Se tu non lo pensassi e l'avessi detto per ferirmi, ne avrebbe; ma tu di queste cose sei convinto, quindi le tue scuse sono - mi schiarii la voce. Non volevo un aggettivo provocatorio, ma allo stesso tempo ne volevo uno che rendesse la totale insensatezza delle sue scuse - insomma, non servono.
-Va bene - annuì lui.
Anche se forse avrei voluto che mi dicesse che l'aveva fatto per ferirmi. Che il suo male era volontario, spinto da qualche impulso forse non giustificabile ma comprensibile. Non volevo disprezzo ed educazione. Volevo affetto e maleducazione. Era poi così strano?
-Quanto rimanete ancora? - domandai, constatando che la mia voce s'assottigliava sempre di più.
-Boh, non so. Poi vogliono andare all'Extra.
-Capito. E' ancora come quando lo frequentavo?
-Sì. Sempre la solita gente, i soliti giri...
-L'Extra è un po' la versione in piccolo di Padova.
-Già - annuì. - Comunque vado anch'io con loro.
-Sicuro.
-Sicuro - convenne.

Com'è prevedibile, la vodka, a stomaco vuoto e per una che l'alcool lo reggeva poco, un certo effetto lo fece.
Mi chiese se voleva che m'accompagnasse, giusto perché tanto tra poco sarebbero usciti anche gli altri, quindi si sarebbe preparato fuori.
-Sicura, piuttosto, di guidare così?
Non gli risposi nemmeno. Sentivo le gambe un poco molli; mantenevo l'equilibrio, ma non mi sentivo molto sicura.
-No, non puoi guidare così - decretò lui. Mi afferrò per un braccio; poi si premurò di aprire la portiera e di adagiarmi sul sedile, mentre io fissavo il vuoto con aria truce. - Senti, vuoi che rimanga un po' qui?
Respirai a fondo e mi passai una mano sulla fronte. Non avevo alcuna voglia di scegliere per lui.
-Fai come preferisci - riuscii a sussurrare, lasciando cadere la testa sul sedile.
-Beh - lui si guardò intorno - in fondo sei qua da sola, e neanche tanto sobria. Non è il caso. Sto con te.
-Non c'è bisogno.
-No, ce n'è. Ed è abbastanza evidente.
Avrei potuto obiettare che si ricordava cos'era successo l'ultima volta che mi aveva fatto compagnia quand'ero ubriaca?
Ma non sarebbe stato molto saggio. Avrebbe potuto andarsene. Andrea non era un tipo molto sensibile; era capace di lasciarti lì come un'idiota solo perché gli avevi fatto uno sgarbo, di mandarti a quel paese per una parola di troppo. Chissà, forse era da lui che avevo preso la mia proverbiale moderazione, adattandomi al suo temperamento. O forse era per questo che m'aveva scelta.
Forse, e dico forse, e lo dico anche a distanza di molti anni, è stato proprio per quella mia moderazione, per quel mio non replicare nulla, che s'è chinato verso di me, verso la mia bocca che ancora bruciava d'alcool.
C'è anche da dire che io non sono mai stata una ragazza forte. E che la prospettiva di una breccia nella solitudine era molto più forte di qualsiasi altra remora che potesse venirmi in mente, e che, comunque, non m'è venuta in mente affatto.
Ho ricambiato il bacio, perché non dirlo. L'ho ricambiato e se gli anni non hanno offuscato i ricordi posso dirvi che quel bacio mi è piaciuto da morire. La sensazione che fossero solo le sue labbra, e solo le sue, quelle adatte alla mia bocca, le uniche a cui avrebbe mai potuto aderire con quell'estatica perfezione, s'è fatta sentire. Sopra l'alcool, sopra la solitudine, sopra la rabbia e sopra il gelo del ghiaccio che avevo fatto scivolare sulle labbra.
Poi ci siamo staccati, lentamente. Ma il suo viso è rimasto davanti al mio; pur se non stavamo guardandoci negli occhi, ma solo sulle labbra rosse e umide.
-Ci vieni con noi all'Extra stasera?
-No, mi spiace.
Ma continuammo a baciarci.
Un'altra mezz'ora, credo.

(Nda: questa è nata come cornice alla frase stronza che gli dice lui. E lo stile... boh, mi sto rileggendo l'Etxebarría in questo periodo, forse si nota qualche influenza, non so. Ditemi se vi piace :O.)

  
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