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Autore: Elbereth    01/04/2006    2 recensioni
Quell'amicizia era un porto sicuro: era l'approdo che tanto desidera il viaggiatore esausto, l'acqua che allieta una gola riarsa; era la sensazione di sentirsi a casa, il calore di una stretta di mano, la certezza che dopo ogni litigio sarebbe sempre tornato il sereno. Vivevano quella stagione della vita con gioia e gratitudine, lieti di ogni nuovo evento che trasformasse un giorno di scuola in un'avventura, forti del rapporto che avevano l'uno nei confronti dell'altro.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I



"Mentre aspetto il tuo ritorno
metto in ordine le idee
non so davvero in quale fortunato
giorno da quella porta spunterai [...]"

Renato Zero



Una dodicenne timida e composta sedeva silenziosa accanto alla finestra, picchiettando ritmicamente le dita sul banco. L'inverno era ormai giunto alla sua conclusione, un inverno rigido portatore di molta neve, e lei, stanca di seguire la lezione di geografia, osservava assorta il cielo grigio foriero di pioggia. Non c'erano verifiche quel giorno, nè ci sarebbero state fino al termine della settimana. Sorrise tra sè e sè, lieta di potersi dedicare per la prima volta dopo quasi un mese alla sua passione: leggere gli intramontabili classici per ragazzi che avevano fatto sognare intere generazioni. Chi non avrebbe desiderato una panchina in un parco e la compagnia discreta di Kim, di Gulliver, di Sandokan, dei Ragazzi della via Pal ? Dal canto suo avrebbe trascorso così ogni pomeriggio, se la scuola e i compiti non glie l'avessero spesso impedito.

Le piaceva molto la scuola, questo va da sè. Non le pesava, e anzi, ci andava volentieri, per quanto alcune materie le risultassero profondamente ostiche. A prescindere da ciò, però, considerava suo dovere non lasciare nulla di intentato; era profondamente convinta che, se pur con fatica, non c'era ragione per cui non avrebbe potuto raggiungere un buon livello di conoscenze e mettersi in pari con gli altri. Il sacrificio faceva parte del gioco, soprattutto se la sua pignoleria la portava a voler stabilire un certo standard di voto sotto il quale faceva di tutto per non andare. Non rientrava nei suoi programmi farsi prendere di sorpresa, e per questo era conosciuta come una ragazza che ben di rado ignorava se, come e quando fare qualcosa. Il suo stupore fu quindi grande quando mostrò i primi segni di una confusione del tutto inaspettata, che mai e poi mai avrebbe voluto accadesse così presto e con una tale intensità.

Era da poco finito il primo quadrimestre, e con esso le fatiche teatrali del mettere in scena una rappresentazione basata su una sceneggiatura originale. Era stata molto impegnata con le prove, la sistemazione dei costumi e la composizione di un fondale a tempera che ritraesse gli interni di un edificio adibito a portineria, e dopo due settimane di lavoro febbrile, la prima dello spettacolo si stava infine concludendo nel migliore dei modi. Lei, finita la sua parte, era seduta tra il pubblico aspettando la chiusura del sipario, pienamente soddisfatta del risultato dei suoi sforzi.

Amava l'odore di quella piccola aula magna, odore di palcoscenico e di vecchie cortine di velluto rosso; le entrava nelle narici nell'attimo in cui ne varcava la soglia, e strisciando nella penombra la seguiva, diventando quasi parte di lei, impregnando il costume di scena che indossava, già saturo della naftalina respirata nell'armadio della cantina in cui occupava un posto da più di vent'anni. Otto generazioni di studentesse l'avevano indossato, e quella seta viola aveva vestito Elena, Penelope, Giulietta, Lisistrata e molte altre donne ancora di cui la ragazza non aveva memoria. Durante questi voli di fantasia si sentiva grata a chi l'aveva costretta ad affrontare il terribile mostro della sua timidezza, e il teatro acquistava una luce nuova: non più didattica, non più vergogna di fronte all'intera scuola, ma l'opportunità di essere protagonista per una sera, senza imbarazzo di sentirsi inadeguata, senza paura di giocare un ruolo marginale. La sua Catherine, la sua Wilma, tutti i suoi personaggi di quegli anni meravigliosi erano importanti quanto ogni altro che avrebbe, di lì a un'ora e mezza, calcato le sacre assi del palcoscenico.

Era ancora immersa in questi dolci pensieri quando improvvisamente, inspiegabilmente, il battito del cuore aveva accelerato nel petto e le si era mozzato il respiro vedendo l'amico di una vita entrare in scena nel vecchio vestito da sposo di suo padre. Era un abito troppo lungo, anche se lui era alto per la sua età: le maniche gli coprivano in parte le mani e i pantaloni finivano ad ogni passo sotto la suola delle scarpe. Appariva un po' goffo per via di quest'ultime, forse troppo grandi, e stringeva nervosamente nella mano sinistra una valigetta di cuoio nero, che gli conferiva un'aria di maturità in evidente contrasto con i lineamenti ancora infantili del viso. L'amico aveva finto di guardare il cielo, come da copione, e sorridendo ai presenti aveva esclamato: "Mmh.. buongiorno. Dite che pioverà oggi ?"
Udendo quella semplice frase, la ragazza sentì un'improvviso rossore imporporarle le guance. Avvertiva una nuova e strana sensazione attanagliarle la bocca dello stomaco, mettendole ogni cosa sottosopra. Più lo guardava, più desiderava che quell'atto non finisse mai. Voleva smarrirsi nella contemplazione di quei gesti lenti, di quegli sguardi penetranti all'indirizzo dei compagni di scena; voleva osservare ogni moto dell'animo sul suo volto, ora calmo e disteso, ora adombrato, ora risentito, spesso fintamente ingenuo. Ormai si conoscevano da circa otto anni, erano in classe assieme da uno e mezzo, ma mai prima le era capitato di guardarlo come stava facendo in quel momento.
Che fosse.. ?
No, non poteva essere.

Avevano condiviso tutto fin dall'asilo: pasti, gioco, persino una brandina del dormitorio. Erano stati dottori, capostazione, commessi, avvocati, e avevano passato molti pomeriggi a casa dell'uno o dell'altra, impegnati in mille e più attività divertenti, colorando, costruendo, e qualche volta anche distruggendo. Erano inevitabilmente diventati migliori amici, e anche se divisi durante le elementari, il filo non si era mai spezzato del tutto: ritrovatisi alle medie, sembrava che il distacco di cinque anni non fosse mai avvenuto.
Per mesi erano stati compagni di banco, giocherelloni e complici tra di loro quanto impacciati e a disagio con gli altri. Erano arrivati al punto di capirsi con il solo sguardo, e sapevano di avere un legame che non avrebbe mai richiesto conferme: c'era, c'era sempre stato, con esso erano cresciuti e non vi avrebbero rinunciato volontariamente. Quell'amicizia era un porto sicuro: era l'approdo che tanto desidera il viaggiatore esausto, l'acqua che allieta una gola riarsa; era la sensazione di sentirsi a casa, il calore di una stretta di mano, la certezza che dopo ogni litigio sarebbe sempre tornato il sereno. Vivevano quella stagione della vita con gioia e gratitudine, lieti di ogni nuovo evento che trasformasse un giorno di scuola in un'avventura, forti del rapporto che avevano l'uno nei confronti dell'altro.

Che cosa era cambiato ?
Perchè, tutto ad un tratto, la ragazza non riusciva più a vedere il suo migliore amico come tale ?

Ne sentiva la terribile mancanza nei pomeriggi, mentre si indaffarava a casa impegnata nei compiti e quando le capitava di uscire a fare una passeggiata. Ogni mattina era tra le prime ad arrivare, e all'una si attardava a sistemare i libri in cartella solo per scendere assieme a lui. Che cosa non avrebbe fatto per un suo sorriso, un semplice sorriso spontaneo e dolce che di tanto in tanto gli faceva brillare gli occhi ?
Sarebbe stata pronta a tutto, lo sapeva: ma sapeva anche che, per il bene di entrambi, egli non avrebbe mai dovuto sapere quello che lei provava.

  
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