Salve ragazzi! Questa storia nasce inzialmente come OneShot ma avrei anche qualche idea per svilupparla e continuare, tutto sta a voi. Mettetevi comodi, leggete e poi giudicate. Critiche positive e negative ben accette e mi raccomando, fatemi sapere se volete che continui oppure che mi fermi qui :-) Beh, non voglio annoiarvi oltre. Buona lettura!
Joe Jonas
arrivò
al John F. Kennedy, l’aeroporto più famoso di New
York, con qualche minuto di
anticipo rispetto all’orario prefissato ed era nel complesso
contento di quel
volo.
Diede uno sguardo alla
porta
scorrevole che l’avrebbe condotto all’aperto,
sperando vivamente di non
incontrare paparazzi, giornalisti o fans scatenate. Il suo desiderio
venne
esaudito.
Ad aspettarlo non c’era
nessuno.
Joe socchiuse gli occhi e si
godette per un momento la sensazione di vita e di libertà
che scorreva dentro
di lui. Aveva bisogno di una pausa, di tempo.
La casa discografica gliene
aveva dette di tutti i colori dopo quel piccolo incidente accaduto solo
una
settimana fa. A Joe pareva passata un’eternità.
Aveva dato un pugno, provocando
danni da 2,000 dollari, ad un paparazzo che lo stava importunando con
continue
domande all’uscita di uno dei locali più in di
Hollywood.
Subito, manager e casa
discografica lo avevano ripreso continuando a borbottare di marketing,
fans e
vendite di dischi presto in calo se avesse continuato in questo modo.
I tabloid più importanti si
erano subito buttati a capofitto su questo nuovo scandalo, definendolo
un
“cattivo ragazzo” ed una “delusione per
milioni di fans”.
La sua famiglia gli aveva
fermamente consigliato di prendersi una pausa dal lavoro e dai continui
impegni, per ritrovare il vecchio Joe, quello che sopportava le
insistenze dei
paparazzi con pazienza, che cantava con il cuore e non solamente
perché era un
suo dovere, quello che accoglieva i fans con un sorriso in qualunque
momento.
Chissà
se quel Joe esiste ancora, pensò lui.
Raccolse la sua valigia e si
incamminò all’esterno. Indossava degli abiti
semplici, una maglietta scura, dei
jeans scolorati e l’immancabile paio di occhiali scuri.
La sua agenzia, che lo aveva
aiutato a rendere il suo viaggio e soprattutto la sua destinazione
segreti, gli
aveva procurato anche una vettura per i vari spostamenti, accuratamente
parcheggiata nello spiazzo esterno dell’aeroporto. Joe
salì in macchina ed
emise un profondo respiro.
Era solo. Niente bodyguard, niente
paparazzi, niente fratelli.
Joe non aveva mai viaggiato
senza Nick e Kevin prima e avvertiva la loro mancanza ma, deciso
com’era a
lasciarsi alle spalle la sua vita, mise in moto e raggiunse in breve
tempo il
suo hotel in centro. Il Royal York Hotel.
Entrò nella hall, dirigendosi
a passo deciso verso la reception quando all’improvviso si
ritrovò a terra, gli
occhiali da sole improvvisamente spazzati via dall’altra
parte della sala.
«Ma che diavolo…» esordì il
ragazzo, in tono furioso.
Alzò gli occhi verso
qualsiasi cosa l’avesse appena buttato a terra e ne rimase
sconcertato. Era una
ragazza. Già, una ragazza con indosso un’uniforma
da Hockey e con una pesante
mazza in mano. Da sotto il casco, Joe scorse una cascata di capelli
scuri. Lo
sguardo del ragazzo fu improvvisamente catturato da un paio di occhi
color oro
che parevano senza fondo.
«Scusami! Oddio…» farfugliò
la ragazza evidentemente turbata.
Joe si rialzò facilmente da
terra e la osservò meglio. Era di statura media, ma aveva un
fisico slanciato e
magro. La divisa aderiva perfettamente alla sua fisionomia a parte la
grande
casacca nera con rilievi argentati, decisamente di una taglia
più grande del
necessario. Aveva il numero ‘5’ stampato sul fronte
della casacca. Per ultimo,
il ragazzo notò un paio di pattini da ghiaccio protetti da
delle speciali
attrezzature di gomme utili per preservare la lama.
«Tranquilla. Non verrai
citata per danni solo per una caduta! » scherzò
Joe, che stava aspettando il
momento in cui la ragazza gli sarebbe saltata addosso.
Lei, d’altra parte, si
mordicchiò un labbro in evidente imbarazzo.
«Quindi giochi a Hockey? »
chiese Joe indicando l’attrezzatura e i pattini.
«Si anche se…» diede una
veloce occhiata all’orologio a pendolo nella Hall e
sbuffò, contrariata. «Sono
in ritardo per l’allenamento. Non che faccia molta
differenza… mi hai visto.
Sono un’idiota su questi aggeggi. Non fa per me».
Joe si sorprese alla
rivelazione di un carattere deciso ma allo stesso tempo estroverso da
parte di
quella ragazza.
«Senti, mi dispiace davvero
averti messo sotto» disse lei, abbassando gli occhi.
«Ti ho detto che non c’è
problema. Davvero. Allora…non devi chiedermi
qualcosa?». Un ombra passò sul
viso di Joe.
Eccomi
di nuovo, a fingere di essere l’idolo perfetto
e senza difetti di un’altra fan… ma ci sono
così tante cose che non vanno in me,pensò.
La ragazza lo guardò per un
istante. «Giusto, scusami. Non ci siamo presentati. Io sono
Danielle e tu…?».
Joe rimase sconcertato. Aveva
creduto che quella ragazza stesse per chiedergli un autografo.
Possibili che
non l’avesse riconosciuto?
Danielle aspettava e lo stava
squadrando dall’alto in basso, domandandosi forse
perché quel tizio ci mettesse
così tanto tempo a rispondere ad una semplice domanda.
Joe parve riscuotersi dal suo
torpore e si schiarì la voce. «Io
sono…»
Ma venne interrotto da un
forte rumore alle sue spalle. Fece appena in tempo a voltarsi che li
vide:
decine di giornalisti che l’avevano trovato, che desideravano
un nuovo scoop e
che si chiedevano perché fosse fuggito da Los Angeles
così in fretta. I flash
iniziarono ad accecarlo e Joe fu colto dal terrore. Come avevano fatto
a
trovarlo così in fretta?
Danielle era ferma davanti a
lui, con la fronte corrugata. Joe
capì
che era confusa.
La cosa incuriosì il ragazzo
che però non aveva tempo da perdere.
«Corriamo» gridò Joe
afferrandole la mano.
Ringraziando gli allenamenti
intensivi in palestra, trascinò la ragazza con sé
dall’altro lato della sala, verso
gli ascensori. Premette in fretta il tasto “sopra”
e diede un piccolo pugno
alla porta d’acciaio, imprecando fra sé.
Muoviti.
Quando finalmente le porte si spalancarono Joe ci si buttò a
capofitto dentro,
seguito subito da Danielle. La ragazza non aveva fiatato durante la
corsa ma
ora che le porte si stavano richiudendo, Joe osservò il suo
viso passare dalla
sorpresa, alla confusione, alla determinazione di avere delle risposte.
«Chi diavolo sei tu? »
sussurrò.