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Autore: ChelseaH    05/08/2011    7 recensioni
“Parli proprio tu, che da qui a qualche mese diventerai la nuova icona dell’obesità inglese se non la smetti di strafogarti di gelato.” aveva replicato Danny quando gliel’aveva fatto notare.
Cioccolato e meringa.
E il fatto che in quel preciso istante avesse fra le mani una coppetta non significava nulla.
Tutti si permettono dei vizi, perché lui non poteva?
In fondo era solo gelato.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dougie Poynter, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Tom Fletcher, Danny Jones, Harry Judd & Dougie Poynter purtroppo non mi appartengono, non ho alcun rapporto con loro e con questo scritto non intendo dare rappresentazione reale dei loro caratteri e/o delle loro azioni.


NOTE INIZIALI.

Questa oneshot ha più di un anno, per la precisione è stata scritta il 7 giugno 2010, usando il prompt gelato della challenge Mc4Prompts indetta da McFly Italia. Non so esattamente perché mi sia preso lo schizzo di postarla anche qua a così tanto tempo di distanza, forse perché ci sono particolarmente affezionata ed è un periodo in cui la mia produttività è calata al punto da essersi persa in un pozzo senza fondo, forse per altro, non saprei dirlo.


In ogni caso, la smetto di blablare a vuoto & enjoy the reading. Aggiungo solo che a dispetto del titolo, è una shot sull'angst andante ma l'ho specificato anche nei generi.


I vostri pareri sono come al solito molto apprezzati :)



Cioccolato e meringa.


Cioccolato e meringa.

Con il cono in mano prese a passeggiare nei dintorni di una Piccadilly Circus invasa come al solito dai turisti.

Gli piaceva starsene in mezzo a quella massa di gente che non conosceva e alla quale non importava nulla di lui, gente che a malapena lo notava, gente che magari non parlava nemmeno la sua lingua nonostante l’inglese fosse ritenuto universalmente una lingua internazionale.

Mentre assaporava il gelato si strinse nella felpa, anche se intorno a lui la gente indossava per lo più indumenti estivi. Non aveva freddo anzi, sudava più del dovuto vestito in quella maniera, ma la larga felpa che lo avvolgeva lo faceva sentire protetto e la merenda che si era scelto lo aiutava a bilanciare la temperatura.

In quel momento avrebbe dovuto essere a un meeting con i compagni e il loro staff ma non si era presentato. Non aveva nemmeno avvisato e aveva come l’impressione che nessuno fosse rimasto troppo sorpreso dalla sua assenza dato che non aveva ricevuto nessuna chiamata.

Del resto lui e gli altri la pensavano in maniera diametralmente opposta riguardo alla questione del giorno, probabilmente aveva fatto un favore a tutti quanti standosene alla larga ed evitando loro un pomeriggio passato a cercare di fargli cambiare idea.

Ma lui non avrebbe cambiato idea.

Per quello che lo riguardava, gli scaffali dei negozi di musica non avrebbero mai visto un nuovo cd uscire alla voce McFly. E se gli altri si fossero intestarditi fino in fondo, avrebbe negato loro il diritto di pubblicare tutto ciò che portava la sua firma, tracce al basso e interi pezzi di testi.

No, quell’album non sarebbe uscito, a costo di giocarsi tutto quanto – compresa l’amicizia di chi aveva condiviso con lui trionfi e momenti difficili negli ultimi dieci anni – lui l’avrebbe impedito.

Il tradimento non sarebbe stato ripagato con un’altra vetta delle classifiche.

Non finché lui avrebbe avuto il potere e la forza di impedirlo.


***


Aveva quindici anni e non si lasciava sfuggire un solo numero di NME.

La rivista era solo una delle molte a tema musicale che comprava a cadenza regolare e della quale leggeva perfino le didascalie più inutili pur di non perdersi nulla, ma gli piaceva particolarmente perché, a differenza delle altre, dava ampio spazio alle band emergenti.

E gli Ataiz, la band nella quale suonava il basso e cantava, un giorno sarebbe potuta apparire proprio fra quelle pagine, accanto a nomi ben più importanti, e lui non smetteva di sognare quel momento ogni volta che aveva la rivista fra le mani.

Aveva quindici anni e poteva permettersi di sognare a occhi aperti, quindi lo faceva in grande stile.

Fu proprio su un numero di NME che vide quell’annuncio.

La Universal Island Record cercava un batterista e un bassista per una nuova band.

Gli sembrò strano che cercassero solo due musicisti, ma tanto valeva tentare, sarebbe stato divertente.

Fu così che rispose a quell’annuncio e lo fece più per fare un’esperienza nuova che per altro, mai e poi mai avrebbe pensato di essere selezionato.

Quando si presentò al provino scoprì che la band era già formata da due ragazzi di poco più grandi di lui – che suonavano la chitarra e cantavano - con un buon numero di canzoni già scritte e un contratto discografico firmato. Avevano bisogno di un batterista e di un bassista per completare il loro organico e iniziare a fare sul serio, ma il progetto sembrava già avere un futuro concreto ed era sponsorizzato indirettamente da una delle band per teenager che andava per la maggiore in quel periodo, i Busted.

A dargli tutte quelle informazioni fu un ragazzo che era lì per il posto di batterista, uno dei pochi la in mezzo che oltre a sembrare teso esattamente quanto lui, non lo aveva catalogato semplicemente come potenziale avversario e quindi nemico e aveva attaccato bottone.

Si chiamava Harry, Harry Judd.


***


Quando tornò a casa, trovò Tom ad attenderlo.

Non gradiva particolarmente la visita, ma se l’era immaginato.

Senza dire nulla lo invitò con un cenno della testa a seguirlo in casa.

“Non ti sei presentato al meeting.” gli fece notare il ragazzo, accomodandosi sul divano in salotto.

“Avevo da fare.” replicò Dougie, senza aggiungere spiegazioni.

“Non è difficile solo per te, sai?”

Si, lo sapeva.

E come avrebbe potuto non saperlo? Glielo ripetevano ogni volta che lo incontravano.

Non sei l’unico a starci male.

E lo sapeva, sapeva che anche se Tom e Danny stavano metabolizzando il dolore in maniera diversa, anche loro soffrivano.

Ma loro si limitavano a soffrire.

Non si sentivano traditi.

Non vedevano il tradimento in ciò che era successo.

Lui si.

E stava male il doppio per quello.

“Vuoi qualcosa da bere?” gli chiese svogliatamente, eludendo di proposito la domanda.

“Una birra se ce l’hai.”

“Si ma non in frigo.” gli disse, alludendo al fatto che con il caldo che faceva probabilmente sarebbe stata imbevibile.

“Non puoi metterla cinque minuti in freezer?” propose Tom, di quei tempi aveva spesso voglia di affogare i pensieri nell’alcol, di qualunque tipo esso fosse.

Senza rispondere Dougie andò in cucina, prese un paio di lattine dalla confezione da sei e aprì il freezer.

Il primo cassetto era pieno.

Vaschette di gelato cioccolato e meringa.

Il secondo era pieno.

Vaschette di gelato cioccolato e meringa.

Il terzo e ultimo era pieno.

Vaschette di gelato cioccolato e meringa.

Sbuffando mise le due lattine in frigorifero.

“Le ho messe in frigo, dovrai pazientare un po’.” disse poi a Tom tornando in soggiorno.

“Perché non in freezer?”

“Non ho spazio.” rispose secco.

“E perché le tieni al caldo?” Tom non riusciva proprio ad afferrarne la logica.

Gli faceva schifo la birra calda, quindi non la beveva.

Ne la birra ne qualunque altro tipo di alcolico.

L’alcol era subdolo, quando ce l’aveva in circolo dimenticava per un po’, gli sembrava quasi che tutto andasse bene. E anche se quei momenti potevano essere preziosi, tornare alla realtà era sempre come sbattere con una formula uno contro a un muro, traumatico.

Era come rivivere tutto da capo, doversi ricordare ciò che aveva dimenticato nel breve momento in cui si era permesso di affogare la memoria in uno o più bicchieri.

Ma non lo disse a Tom, si limitò a fare spallucce come se a lui andasse bene bere birra calda.

“Dobbiamo decidere cosa fare dell’album.” sospirò Tom lasciando perdere la birra.

“Io so esattamente cosa fare dell’album.” replicò brusco.

“Dougie, abbiamo lavorato mesi su quelle canzoni, non pensi che lo dobbiamo a noi stessi e a Harry?” gli chiese sconsolato, avevano già affrontato quella discussione decine di volte nelle settimane precedenti.

“Quell’album è stato scritto e registrato da quattro persone, non verrà pubblicato da tre.” rispose Dougie, con un tono che non ammetteva repliche di sorta.

“Ma Harry-“

“Harry se n’è andato, mollandoci qui come tre poveri fessi, non si è nemmeno degnato di dare un preavviso o qualcosa del genere!” sbottò il ragazzo.

“Le cose non sono andate esattamente così.” Tom si lasciò andare a un sorriso cinico.

“Le cose sono andate esattamente così.”


***


Era un noiosissimo giovedì mattina come tanti altri, e lui stava sonnecchiando sul banco di scuola facendo finta di prestare attenzione alla spiegazione di matematica, quando il cellulare gli vibrò, attirando istantaneamente su di se l’attenzione di tutta la classe e del professore.

Lo teneva nell’astuccio perché tanto non lo chiamava mai nessuno durante l’orario scolastico dato che i suoi amici erano tutti segregati in classe come lui, e quando controllò il display vi lesse un numero che non conosceva ma il cui prefisso era quello di Londra.

Lui non conosceva nessuno a Londra, non che ricordasse almeno.

“Signor Poynter, perché non condivide con tutti noi la sua chiamata?” gli chiese ironicamente il professore e lui, senza cogliere la vena ironica, rispose sul serio.

“Dougie Poynter?” gli chiese la voce dall’altra parte.

“Si...” replicò lui incerto e fu l’ultima cosa razionale che riuscì a dire, mentre usciva dalla classe senza nemmeno badare all’insegnante.

L’uomo all’altro capo del telefono parlò per cinque minuti buoni, e lui passò cinque minuti ad annuire scioccamente come se l’altro potesse vederlo.

L’avevano preso.

Se era ancora del parere di entrare in quella band che aveva messo l’annuncio su NME, non doveva far altro che presentarsi a Londra con un genitore o un tutore legale e firmare il contratto discografico.

Terminata la chiamata non si prese nemmeno la briga di tornare in classe, corse a casa per dare la news alla madre e alla sorella, che gli importava se il professore avrebbe probabilmente richiesto una sospensione per quel comportamento?

La scuola, o quantomeno quella scuola, non era più affar suo.

Dougie Poynter, quindici anni, bassista professionista.

Suonava bene in una maniera quasi illecita.


***


Dougie non capiva quale fosse il problema di Danny.

Perché Danny evidentemente aveva un problema.

Il fatto che passasse da un letto all’altro con la frequenza con cui lui si cambiava le mutande, di per se non era indicativo del problema che palesemente aveva.

Ma il fatto che fosse arrivato a pagare tali ragazze per averle, quello non solo mostrava un problema ma era un problema.

“Ognuno reagisce alla sua maniera.” gli aveva detto burbero Danny quando era andato a sventolargli in faccia una pagina del Mirror che parlava del suo comportamento sregolato.

Sacrosanta verità, ma quello era un po’ eccessivo.

“Parli proprio tu, che da qui a qualche mese diventerai la nuova icona dell’obesità inglese se non la smetti di strafogarti di gelato.” aveva replicato Danny quando gliel’aveva fatto notare.

Cioccolato e meringa.

E il fatto che in quel preciso istante avesse fra le mani una coppetta non significava nulla.

Tutti si permettono dei vizi, perché lui non poteva?

In fondo era solo gelato.


***


Qualche giorno dopo la madre lo accompagnò a Londra, all’appuntamento con i discografici.

Oltre a loro ci sarebbero stati anche Danny e Tom – i due che avevano formato la band – e il batterista che avevano scelto.

Era talmente nervoso che senza mamma Sam al suo fianco probabilmente sarebbe scappato a gambe levate all’altro capo dell’Inghilterra invece di varcare la soglia della sede londinese della Universal.

Una signora di mezza età molto gentile li accolse alla reception e, quando si furono presentati, li introdusse in una piccola saletta conferenze, pregandoli di accomodarsi e dicendo loro che a minuti sarebbero arrivati tutti quanti.

Nella saletta c’era anche un altro ragazzo, con quelli che così a occhio dovevano essere il padre e la madre.

“Tu?!” gli si rivolse lui sorpreso.

Era Harry, l’unico ragazzo con cui aveva parlato ai provini.

Harry Judd, se non ricordava male.

“Non ci posso credere, quante possibilità c’erano che scegliessero proprio noi due?!” continuò entusiasta, mentre lui era troppo incredulo per tutto quanto per riuscire a spiccicare parola.

“Immagino voi due vi conosciate. – si intromise Sam – Io sono la mamma di Dougie, Sam.” gli tese la mano e da lì iniziarono tutti quanti a parlare, tutti tranne lui che se ne stava imbambolato in un angolino, le braccia tese lungo i fianchi e le mani risucchiate dalle tasche dei pantaloni.

“Vai sullo skate?” la voce di Harry lo fece quasi trasalire.

“C-come fai a saperlo?”

“Per come sei vestito.” rise il ragazzo indicando l’abbigliamento skater di Dougie.

Una risata tesa e nervosa che gli fece capire che non era l’unico a essere sull’orlo del collasso nervoso, quello scenario sembrava talmente improbabile che entrambi faticavano a crederci.


***


Non sapeva dare una definizione precisa alla parola tradimento.

C’erano così tante maniere per tradire una persona che sceglierne una appropriata gli veniva veramente difficile.

A questo pensava mentre consultava i risultati della voce “tradimento” comparsi su google, seduto da Starbucks a mangiare gelato stando attento a non sporcare il portatile.

Non che avessero visto di buon occhio il fatto che si fosse accomodato a un tavolino con qualcosa preso alla pasticceria di fianco, ma aveva rimediato ordinando un frappuccino e un pezzo di torta che ora giacevano intoccati in un angolo del tavolo.

Cioccolato e meringa.

Molto ma molto meglio.

In ogni caso, non riusciva proprio a definire ciò che aveva fatto Harry.

Non era tradimento nel senso di infedeltà coniugale.

Non era nemmeno tradimento nel senso di un reato di chissà quale specie.

Magari era un tradimento di fiducia.

Una promessa mancata.

Si, poteva essere qualcosa del genere.

In realtà non sapeva nemmeno perché perdesse tempo a definire il comportamento del compagno, come se questo avesse potuto far cambiare le cose.

Ex compagno, per la precisione.

Ex amico anche, non aveva alcuna intenzione di perdonarlo, ne ora ne mai.

Era convinto che perfino nelle amicizie più profonde ci fossero confini che non si dovevano mai oltrepassare, e Harry li aveva oltrepassati di netto e lui non poteva certo far finta di nulla.

Il cellulare vibrò e lui respinse la chiamata stizzito.

Era Tom.

Era sempre Tom.


***


Gli altri membri degli Ataiz non presero bene la notizia.

In un certo senso li capiva, aveva tenuto loro nascosto il fatto che si fosse presentato al provino e anche i successivi sviluppi.

Un giorno si era semplicemente presentato alle prove dicendo che andava a vivere a Londra perché l’avevano preso in una band e aveva appena firmato il contratto.

E gli altri Ataiz la presero piuttosto male.

Si erano promessi molte cose nel periodo in cui avevano suonato insieme, prima fra tutte che avrebbero fatto di tutto per sfondare e l’avrebbero fatto per l’appunto insieme.

In un certo senso li aveva traditi, ma dentro di se non si sentiva poi tanto male.

A dirla tutta era felice, parecchio felice.

Si stava per trasferire in pianta stabile a Londra.

Stava per debuttare con una band che prometteva solo belle cose.

Aveva conosciuto tre persone – i suoi nuovi compagni di band – coi quali si era trovato subito a proprio agio, a prescindere dalle idee musicali e artistiche.

Non si era mai sentito così tanto parte di qualcosa e, per quanto potesse dispiacergli per gli Ataiz che si lasciava alle spalle, non poteva fare a meno di pensare che quella fosse stata una delle scelte migliori della sua vita.

Era stata proprio una questione di pelle, si era sentito fin da principio spiritualmente vicino a tutti e tre, come se prima di un’ottima collaborazione lavorativa stesse per iniziare un’amicizia vera e duratura, di quelle che ti porti fino alla tomba.


***


Che tu ci creda o no, sono preoccupato per te più che per l’album.

Si girava e rigirava il cellulare fra le mani, rileggendo all’infinito quel messaggio.

Non faticava a credere che Tom fosse preoccupato per lui, del resto lui era preoccupato per Tom e anche per Danny.

Erano tutti preoccupati per tutti, tranne Harry.

Harry non si preoccupava per nessuno e nessuno di loro era più tenuto a preoccuparsi per lui.

Una preoccupazione in meno per tutti quanti.

Anche se non doveva finire così e lui continuava a essere dell’idea che non l’avrebbe mai perdonato.

Si chiese quando l’avrebbe rivisto.

Si chiese se l’avrebbe rivisto.

La cosa non era per nulla scontata perché lui non aveva la minima idea di dove si trovasse Harry in quel momento.

Non sapeva nemmeno se era felice, se era triste, se era consapevole di qualcosa, qualunque cosa.

Per la prima volta dal giorno in cui l’aveva conosciuto non sapeva dove andarlo a cercare.

Prese la vaschetta di gelato che aveva accanto a se, ormai era quasi del tutto sciolto.

Cioccolato e meringa.

Anche così però non era male, il sapore in fondo era sempre lo stesso.


***


La casa discografica li aveva messi a vivere insieme in una casa che per loro era come il paradiso. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Erano un quindicenne, un sedicenne e due diciassettenni, abitavano da soli a Londra e l’unica cosa che veniva loro richiesta in cambio di tutto ciò era che facessero musica. E fare musica per loro non era niente più che un divertimento.

Avevano deciso di chiamarsi McFly, in omaggio a Ritorno al Futuro e la passione – o per meglio dire, ossessione – di Tom per quella saga di film.

Per quanto avesse legato veramente tantissimo con tutti quanti, quello con cui si sentiva più a suo agio era Harry. Inizialmente i due si erano sentiti esclusi per il solo fatto che Danny e Tom si conoscevano e lavoravano insieme da tempo così, anche se i due non avevano fatto veramente niente per farli sentire in quella maniera, si ritrovarono a passare la quasi totalità del proprio tempo libero a fare cose insieme.

Harry era diversissimo da lui, cresciuto in tutt’altro ambiente e con una famiglia solidissima alle spalle, non aveva idea di cosa volesse dire frequentare una scuola come tante altre, passare i pomeriggi a fare skate al parco e avere come sede centrale della propria band un vecchio deposito in disuso che cadeva a pezzi.

Eppure stranamente capiva tutto di lui e, soprattutto, accettava tutto.

I suoi silenzi, le sue logorree, le sue stupidaggini, la sua ossessione per lo skate e per i Blink, i suoi momenti seri.

Impiegò soltanto un paio di mesi per iniziare a considerarlo il migliore amico che avesse mai avuto o che potesse desiderare, quell’amicizia sembrava semplicemente perfetta.

“Sai, mi sembra di essere il batterista dei McFly da tutta la vita.” gli disse una sera Harry, mentre mangiavano popcorn seduti sul suo letto.

“Anche a me.” concordò Dougie.

“Non mi importa dove arriveremo o non arriveremo. Mi piace pensare che rimarremo comunque i McFly per sempre e che qualunque cosa succederà l’affronteremo insieme.” aveva poi aggiunto, in uno strano sprazzo di serietà meditabonda.

“Sarebbe bello.” aveva commentato lui.

“Beh, in fondo dipende da noi, no? Se decidiamo che così sarà, così dovrà essere per forza.”

“Dici?” Dougie non ne era molto convinto.

“Te lo prometto. Saremo per sempre i McFly!” aveva esclamato Harry, porgendogli la mano per suggellare la promessa.


***


Era andato all’ennesimo meeting che era stato indetto solo per chiarire una volta per tutte il suo punto di vista che, secondo lui, era comunque chiaro in ogni caso.

Potevano far uscire quell’album, potevano fare qualunque cosa.

Ma per farlo avrebbero dovuto togliere le tracce registrate al basso e ogni singola parola di testo scritta da lui.

Danny e Tom continuavano a sostenere di non capire quella sua presa di posizione, ma lui la comprendeva fin troppo bene.

Che senso aveva far uscire l’album di una band che non esisteva più?

Perché i McFly non esistevano più.

Perché Harry non faceva più parte della band.

Perché lui non voleva far parte di una band con un batterista diverso da Harry.

Perché Danny e Tom non si sarebbero mai cercati un batterista di rimpiazzo e nemmeno un bassista.

Perché anche se Harry aveva violato la promessa che gli aveva fatto anni prima, nessuno di loro voleva portare avanti i McFly con una formazione diversa da quella che era sempre stata.

E in ogni caso gli sembrava un insulto a tutto ciò che di sano c’era al mondo speculare sulla fine di un gruppo facendo uscire un ultimo lavoro, giusto per pagare qualche altra escort a Danny e qualche altra bottiglia di birra a Tom.

E magari qualche altro gelato a lui.

Cioccolato e meringa.

No, quell’album doveva rimanere una cosa privata, personale.

Un ultimo ricordo di ciò che erano stati, un ultimo ricordo di un’amicizia talmente vera e profonda che non avrebbe mai ritrovato, fosse vissuto altri cent’anni.


***


Avevano finito da qualche giorno le registrazioni del nuovo album.

In realtà lui e Harry avevano terminato le proprie parti da settimane, ma erano rimasti comunque in studio con Danny e Tom a dare supporto morale come avevano fatto per ogni registrazione precedente.

Ora però si godevano il riposo e la sensazione di appagamento che li investiva ogni volta che creavano insieme qualcosa di nuovo.

Passeggiavano per il centro di Londra, ridevano, scherzavano e Harry mangiava gelato.

Sosteneva che il gelato d’inverno si gustava mille volte di più che in estate, si scioglieva più lentamente e non dovevi divorarlo voracemente per non farlo gocciolare in ogni dove.

Dougie aveva optato per un bel cappuccino di Starbucks, d’inverno si voleva scaldare lui.

E si stavano divertendo con niente, perché a entrambi era sempre bastata la reciproca presenza per star bene.

Non aveva mai pensato a quanto spericolati fossero gli automobilisti londinesi.

Era abbastanza sicuro che nemmeno Harry si fosse mai fermato a pontificarci sopra.

Sempre a premere l’acceleratore al massimo anche in pieno centro, incuranti dei passanti, della gente che si recava al lavoro o a scuola tutta trafelata o dei gruppi di turisti.

Non ci aveva mai pensato, non prima di allora, non prima che un tassista con più fretta del solito travolgesse Harry.

Così, in un soffio.

Così, senza motivo.

Solo quando rientrò a casa ore dopo, notò che aveva una macchia piuttosto vistosa sulla scarpa.

Non era sangue, come aveva pensato in un primo momento e come sarebbe stato logico che fosse.

Era una macchia di gelato.

Cioccolato e meringa.

   
 
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