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Autore: V a l y    06/08/2011    4 recensioni
A volte è più facile non ascoltare che non guardare.
{ Ambientata prima di Silent Hill 2, spoiler del finale del gioco - James centric }
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Mason, Heather Mason, James Sunderland, Mary Sheperd Sunderland
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Questa fic è una raccolta di drabble scritte per il Multifandom Drabble Fest, come la precedente su Vincent e Heather. Per capire davvero la storia bisogna leggerle in ordine. Se vi va, perché siete curiosi, qui la lista dei prompt della challenge che ho seguito per le mie drabble.
Qualche cosina prima di iniziare.
Premessa numero uno: la timeline è sballata, ya know, ma desideravo troppo che James, in qualche modo, potesse interagire con Harry e Heather. In fondo, lo fanno sempre a Silent Hill durante i finali scemi con gli UFO, no? Se lo fa il gioco, è canon.
Premessa numero due: questa fanfiction doveva spiegare tante cose, e alla fine le ha spiegate davvero poche. Inizia in un modo e finisce in un altro, seguendo un genere che non avevo mai sperimentato prima ma che mi ha sempre affascinato, quello "psicologico"... o forse "freudiano". "Psichedelico". "Criptico". "Lynchano"? Lynchano è quello che si avvicina di più.
Premessa numero tre: l'ho riletta e, gh. Non dirò nulla sulla trama, ma forse qualcuno storcerà un po' il naso. Ci sono rapporti un po' particolari tra i personaggi, situazioni assurde e forse incomprensibili... e se vorrete esporre una bella ipotesi finale del tutto, mi renderete solo felice.
Premessa numero quattro: Oh, James. ♥

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Grattaceli e cascate



James ricorda ancora il viso estasiato di Mary quando vide per la prima volta i grattacieli di New York.
Quella stessa settimana viaggiarono fino al confine per vedere le cascate del Niagara. La macchina aveva avuto qualche intoppo, ma per il resto fu un tragitto sereno. Le acque erano più cristalline e maestose di quelle che lasciavano presumere le cartoline e i ritagli dei giornali.
Ma adesso Mary è costretta al letto a causa della malattia. Girare il continente è diventata una chimera. James lo sa, ma ha pensato di farsene una ragione.
Quella mattina di primo autunno, quando va a farle visita, le appende un quadro naif di cascate e grattacieli variopinti sotto un cielo stellato.
“Così potrai viaggiare con la mente assieme a me,” le dice, sorridendo.







There's nothing you can do that can't be done


La sua amicizia con Harry comincia con un libro. S'intitola Non c'è niente che non si possa fare, una sorta di romanzo autobiografico in cui Mason racconta ciò che aveva passato durante la malattia terminale della moglie.
James si era impersonato subito nel protagonista del libro. Lo sentiva pulsare tra le righe del testo come un'entità reale, viva, riuscendo a comprenderlo persino più di se stesso. Voleva conoscerlo meglio, conoscere colui dietro cui si nascondeva la creazione.
Capisce subito che Harry è un tipo di poche parole come i suoi libri. Quando gli apre la porta di casa, lo scruta appena un attimo mormorando un laconico: “Sì?”
“Harry Mason? Sono James, James Sunderland. Io... Noi non ci siamo mai visti, ma ho letto il suo romanzo e l'ho trovato incredibilmente bello e toccante, così volevo conoscerla per dirglielo di persona...”
“Per... dirmelo di persona?” chiede Harry, spaesato.
“So che... è un po' inusuale,” riprende parola James, incerto, “e non è una cosa che faccio tutti i giorni, anzi, non l'ho mai fatta, però il titolo del suo romanzo dice Non c'è niente che non si possa fare, così ho pensato di seguire l'esempio e presentarmi a casa sua...”
Harry ride sommessamente. “Non mi era mai successo che un lettore venisse a trovarmi per congratularsi di un mio lavoro.”
“Credevo che lei fosse abbastanza famoso per queste cose, signor Mason.”
“Chiamami Harry,” gli concede lui, sorridendo.








La malattia


Mary scarta l'involucro del regalo sul letto.
“James... è bellissima...” mormora grata prendendo dalla confezione la collana e occhieggiandone i ciondoli in rame e ambra. Le sono sempre piaciuti i pendagli. Alla loro luna di miele ne aveva addosso così tanti che James ci aveva messo un'eternità a spogliarla per fare l'amore con lei. Ricorda le coperte viola, la serata estiva un po' secca ma non troppo afosa. Ricorda il chiasso e i bagliori cangianti di una festa paesana per strada che si proiettavano sul corpo di Mary, sui suoi sospiri e le grida attutite, sui suoi occhi che rifulgevano di una luce più sfavillante dei riflessi dorati dei suoi pendagli.
“Dai, indossala,” dice James, e Mary obbedisce, si guarda allo specchio esplorando con le dita la superficie di ogni ciondolo.
“Ti amo tanto, James,” gli confessa con lo stesso calore di cinque anni prima. “Anche tu mi ami, vero?”
“Certo che ti amo,” risponde lui teneramente.
“Mi ami come una volta? Anche adesso... che sono così?” chiede Mary con un'inflessione esitante nella voce, aggrappandosi al colletto della sua camicia in una richiesta sorda, indecifrabile, intrisa di una disperazione che lo mette a disagio. “Baciami, James.”
Lui si china e la bacia. Quando si ritrae, osserva da vicino la moglie, il volto scavato, la carnagione cerulea, gli occhi infossati che non sprizzano più la luce vivida e dorata dei suoi pendagli.
Vede in faccia la malattia per ciò che è.









La figlia


“Grazie per lo strappo in auto,” dice James dopo essere montato in macchina.
“Nessun disturbo, dovevo comunque accompagnare mia figlia da queste parti,” lo rassicura Harry. “A proposito, lei è Heather. Heather, lui è James.”
James si gira e nota una ragazza stravaccata sui sedili posteriori coi piedi incrociati. Quando anche lei si accorge di lui, piega una gamba per mettersi composta e l'orlo della gonna segue i movimenti ricadendo sotto le ginocchia. Si toglie gli auricolari del lettore CD e fa un cenno di saluto con la mano, abbozzando un sorriso.
“Io e James ci siamo conosciuti qualche settimana fa,” racconta Harry alla figlia. “È piombato in casa nostra dopo aver cercato l'indirizzo nell'elenco telefonico per dirmi quanto gli era piaciuto il mio libro.”
“Perché, qualcuno legge i tuoi libri?” chiede Heather appoggiandosi agli schienali dei sedili anteriori con le braccia.
Harry le lancia un'occhiata contrariata, ma è solo finta, una messinscena giocosa come quella di lei, che ridacchia dolcemente e gli accarezza la guancia con l'indice.
“Credevo che queste cose succedessero solo a Stephen King o Chuck Palahniuk,” dice in tono scherzoso. I suoi occhi cadono casualmente sul centro commerciale oltre il parabrezza. “Papà, siamo arrivati, accosta vicino alla piazza.”
“A che ora torni domani?”
“Ci sarebbe un treno alle tre, tre e cinque, tre e dieci o giù di lì.”
“Non avevi detto che tornavi di mattina?”
“Ma papà, domani è domenica, non mi va di alzarmi presto...”
Harry sospira. “D'accordo, ma torna dopo pranzo che devi finire i compiti.”
Heather schiocca contenta un bacio veloce sulla guancia di Mason e s'incammina spedita alla fontana della piazza.
“Mia figlia è quasi una donna, eppure sembra solo ieri quando l'ho trovata in fasce... Carina com'è avrà sicuramente un sacco di spasimanti... magari un fidanzato segreto...” riflette Harry, prendendosi un momento di silenzio per meditare tra sé e sé. “Chissà se va davvero a dormire da quella sua amica... non lo so, forse... forse sono solo paranoico.”
“Fa parte dell'essere genitori.”
“Anche raccontare balle ai genitori fa parte dell'essere adolescenti...” sostiene Mason osservando la figlia dallo specchietto retrovisore. “Un giorno parlerò di lei nei miei libri.”








Segreteria telefonica I


James chiude la porta di casa alle sue spalle, ripone la giacca sull'attaccapanni e abbandona la borsa a tracollo. A tentoni, nel buio della sera, preme l'interruttore della luce, apre la credenza e si prende un bicchiere di scotch.
Schiaccia il tasto per ascoltare la segreteria telefonica. Tre messaggi: il suo vecchio vicino di casa gli chiede come sta e se l'invito alla partita di baseball è ancora valido. Il secondo è il datore di lavoro, gli domanda se la prossima settimana può sostituire il collega più anziano e andare al negozio di mattina. Al terzo messaggio, James sente un ronzio strano, attutito. Smette di bere e si avvicina incuriosito al telefono.
“Non mi rispondi... ti chiamo sempre... non mi rispondi... sei solo un brutto stronzo. Fottiti. Fottetevi, tu e lei, tu e lei... ma lei fotte già, si fotte Yama e gode come una cagna... come una cagna schifosa... sei davvero patetico. Non voglio più vederti.”
James cancella il messaggio, scosso. Era solo un pazzo, un pazzo che ha sbagliato numero.







Perché questo orrore, se l'amore, solo l'amore, mi aveva fatto da guida?


“Ti ho portato un regalo.”
James si avvicina al letto di Mary. Quando le posa una mano sulla spalla, la sente divincolarsi in uno scatto brusco, inaspettato.
“Mary...?” mormora confuso accorgendosi che sta tremando.
“Perché mi tratti così?” chiede lei con voce rotta. “Ti faccio schifo? Mi odi così tanto? A volte mi fai paura... L'ultima volta che abbiamo fatto l'amore sei stato brutale e... non era mai successo, James... credevo volessi picchiarmi.”
“Che stai dicendo? Non ti ho mai fatto niente del genere, e non facciamo l'amore da prima che tu venissi ricoverata in ospedale,” le ricorda James moderando la voce. Le prende la mano, delicatamente. Mary la ritrae come scottata.
“Non toccarmi! Voglio che vai via! Voglio che mi lasci stare!” urla, coprendosi il volto e rannicchiandosi sul letto. James si allontana, lentamente.
“Ti lascio il regalo qui,” le dice, posando la confezione sul tavolo ai piedi del letto.

“È probabile che la malattia le abbia intaccato il cervello,” spiega il dottore da dietro la scrivania, guardando meditabondo la cartella clinica.
“Significa che delirerà come oggi per il resto dei suoi giorni?” chiede James disperato.
“Non possiamo dirlo con certezza. Come già sa, quella di sua moglie è una malattia rara di cui si conosce poco. Gli studi a riguardo vagano ancora tra le ipotesi. Solo il tempo potrà darci delle risposte.”
“Sei mesi non sono già stati un tempo sufficiente?!”
“Stiamo cercando di fare il possibile, signor Sunderland,” afferma il dottore, ma il possibile non è mai abbastanza.








Dischi in vinile


“Ehi, giovane commesso!”
Una voce familiare. James si gira e adocchia la figlia di Mason vicino la cassa. Ha le braccia incrociate sul banco, le labbra delineano un sorriso ampio. È come quello di Harry, ma più beffardo, e, in qualche strano modo, più femminile.
“Ehi... ciao, Heather,” la saluta James. “Che ci fai qui?”
“Papà mi ha detto che lavori in questo negozio di musica,” spiega lei, rigirando tra le mani e rimirando con sguardo vago un disco imballato preso dal ripiano di fianco. “Mi serve una consulenza tecnica. Tra poco è il compleanno di papà, così ho pensato di prendergli un CD di un qualche gruppo anni '70, sai, come piacciono ai quarantanovenni come lui, i vecchi figli dei fiori della generazione Beatles.”
“Ma i Beatles non hanno avuto una generazione sola,” ritiene James, accennando un sorriso.
“È questo il problema, vorrei comprargli qualcosa che sia meno scontato ma che gli piaccia comunque... che mi consigli?”
“Non so... Harry che genere di musica ascolta?”
Heather appoggia il mento sulla mano con fare pensoso. “Quando scrive, a volte, mette della roba melodica in stile jazz...”
“A casa avete un giradischi?”
“Sì... da qualche parte nello scantinato.”
“Potresti comprargli qualche disco in vinile di musica jazz. Ne abbiamo tanti a prezzo scontato,” dice James, accompagnandola nel reparto. “Alcuni costano solo un dollaro perché sono usati. Potresti prendergliene diversi.”
“Wow, però... non so quali scegliere, sono tantissimi...”
“Compra i titoli che ti ispirano di più. Casomai, se non piacciono a Harry, puoi restituirmeli e cambiarli.”
“Posso davvero?”
“In realtà sto un po' contravvenendo alle regole... ma visto che nessuno compra mai dischi in vinile, il capo non si accorgerà di niente.”
“Mi hai convinto, James!” esclama Heather allegra. “E guarda che a convincermi ci vuole sempre tanto... Sei un affarista nato.”
James sorride. “Da piccolo scambiavo le figurine comuni con quelle rare.”
“Se sei così volpone che ci fai in un posto come questo?”
“Non ho sempre lavorato qui. Una volta facevo da consulente legale presso uno studio abbastanza famoso.”
“E perché te ne sei andato?”
Mary si è ammalata e lui ha dovuto starle vicino. Quel lavoro lo teneva troppo tempo fuori casa. “Perché...” comincia lui, incerto, “era un brutto ambiente.”
Heather mugola con fare casuale. “Compro questi,” decide, posando cinque dischi sul banco. “Se papà non si arrabbia come al solito dicendo di abbassare la musica mentre li ascolto, significa che gli piacciono.”
E sorride, quel sorriso beffardo e femminile.








Segreteria telefonica II


Un altro giorno è finito.
James chiude la porta di casa e si leva la giacca. Nel buio del salone nota subito la luce lampeggiante della sua segreteria telefonica. Due messaggi:
“Ore 15.24. Ciao James, sono Harry. Pensavo... ti va di venire a cena a casa mia? Magari quando hai un buco libero la sera. Se l'idea ti piace, richiamami.”
James sorride. Harry è una brava persona. Da quando ha saputo della salute precaria di Mary si è dimostrato sempre gentile e disponibile.
“Ore 18.32. Sorridi, ti ho preso un regalo! È un libro di favole. Conosci la storia di Cappuccetto Rosso? Era una bambina ingenua e troppo buona che subiva il potere della madre, le cattiverie del lupo, le sofferenze della nonna... ma nessuno pensava a lei o capiva come si sentiva. Neppure raccogliere fiori riusciva a distrarla. Era così triste, povera Cappuccetto Rosso...”
Il telefono emette il segnale breve e acuto della fine dei messaggi. James riavvolge il nastro per ascoltarlo di nuovo. Gli procura nostalgia e sollievo, ma non capisce perché.








Save me


“Hai fatto la tavola?”
“Sììì!” urla Heather al padre, un po' scocciata. Sta guardando la televisione, non vuole essere disturbata. Harry sospira.
“Vedi perché non voglio la tv in casa?” dice con eloquenza a James. Lui sorride, semplicemente.
“Hai un bell'appartamento, Harry,” esordisce, tanto per parlare di qualcosa.
“Questo è il massimo che uno scrittore medio può permettersi, ma in fondo è vero, non è male rispetto ai precedenti, ci siamo trasferiti un sacco di volte prima di trovarne uno carino come questo,” racconta Harry, e poi, con voce stentorea: “Heather! Vieni che è quasi pronto!”
“Vado a chiamarla io,” si offre gentilmente James, avviandosi in salone.
Trova Heather seduta sul divano coi piedi sul guanciale. Muove le gambe a tempo di una canzone dei Queen trasmessa in televisione.
It started off so well
They said we made a perfect pair
I clothed myself in your glory and your love
How I loved you
How I cried

Le labbra canticchiano il motivetto. Alza la testa, chiude gli occhi, e continua a dondolare a ritmo le gambe. È trasognata, immersa in una dimensione intima. Forse crede di essere sola. Fa l'amore con qualcosa di impalpabile.
Save me, Save me, Save me
I can't face this life alone
Save me Save me Save me

Salvami.
È da mesi che James vorrebbe urlarlo.








Poi dici cose giuste al tempo giusto, e pensi il gioco è fatto è tutto a posto


La maniglia, quel giorno, è così pesante, così pesante.
James si fa forza e apre la porta. Entra piano per non svegliarla. Mary gli ha detto di non tornare più, ma la verità è che lei ha bisogno di lui. Che lui ha bisogno di lei. Non può abbandonarla.
Mary apre gli occhi, si alza col busto puntellandosi coi gomiti sul letto. Quando lo vede, una gioia immensa le attraversa gli occhi.
“James...” sussurra, allargando le braccia. Lui, sollevato, le va incontro e affonda nel suo abbraccio delicato.
“Scusami, James... scusami... sono stata una stupida e un'insensibile... mi perdoni, vero?” dice Mary dispiaciuta. “Non so cosa mi sia preso, ma non succederà più. Per te farei qualsiasi cosa... sei tutta la mia vita, tutto ciò che rimane della mia vita.”
“È tutto a posto,” la rassicura James, dolcemente.
“Davvero è tutto a posto?”
“Certo,” dice lui, ma la verità è che sta mentendo. Non è vero che è tutto a posto. Va male sotto qualunque punto di vista, ma non da quand'è stato cacciato l'ultima volta che è andato a farle visita. La sua vita è ridotta a un'esistenza precaria da un tempo immemore e andrà sempre peggio, perché non ci sarà scampo, la malattia profanerà sua moglie in modo lento e doloroso e la ucciderà. James vorrebbe urlarglielo, piangere, farsi consolare da lei, ma si trattiene e sorride, tranquillizzandola con parole meditate e bugie dolci, abbrancandosi alla speranza illusoria che tutto torni davvero come una volta.
“Ti amo, James.”
“Anch'io ti amo,” dice lui. Le bacia la fronte chiudendo gli occhi, per non vedere il dolore, il deterioramento, la vita che sfugge a tutti e due.








Pece


James sorride appena la vede entrare in negozio. Ci ha messo un po' a capire che si trattava di Heather. Quel giorno è diversa, è un'altra.
“Ti piace la mia nuova tinta?” gli chiede, prendendosi un ciuffo biondo tra le dita.
“Ti sta bene,” confessa con sincerità James, “anche se, secondo me, stavi bene anche prima.”
“Scherzi?! Prima i miei capelli erano di uno schifoso color pece!”
“La pece, in antichità, veniva usata per rivestire gli scafi delle navi, per non farle affondare... senza la pece l'America non sarebbe mai stata scoperta, lo sai?”
Dopo un attimo di perplessità, Heather ride, sinceramente divertita. “Dici cose davvero strane.”
“Ah sì?” chiede James perplesso.
“Sì. Ma mi piace,” ammette lei, e il cuore di James si scalda in modo strano.
“Comunque tu non hai di questi problemi, sei biondo naturale,” sostiene Heather, scostandogli il ciuffo dalla fronte. Ha le dita calde. Le mani di Mary sono sempre fredde, invece. “Sei davvero fortunato, vorrei avere io i capelli biondi e lisci che hai tu.”
Salvami.








La scatola dei ricordi


È diventata una consuetudine che lui le compri un regalo ogni volta che va a visitarla, e ne sono così tanti che hanno dovuto riporli in una scatola di cartone nascosta sotto il tavolino.
“Sai, gli infermieri si sono lamentati un po'... dicono che tutti questi regali occupano troppo spazio,” racconta Mary amareggiata.
“Ma adesso che è tutto dentro la scatola non ci sono problemi, no?” sostiene James.
Mary sorride. A volte vorrebbe dirgli che i suoi regali non servono a niente, che la maggior parte sono fiori che si seccano subito e l'altra oggetti inutili, per quanto belli e da rimirare ogni giorno, come collane, pupazzi, foto. Apprezza i gesti di suoi marito, ma in cuor suo sa anche che i regali non portano la felicità, persino se ne sono uno scatolone pieno.
“Guarda qui,” esordisce James, cacciando dalla scatola una cassetta, “il filmato del nostro ultimo viaggio.”
“Ma il nostro ultimo viaggio l'abbiamo fatto a Silent Hill.”
“Infatti, sulla cassetta c'è scritto...” asserisce James, finendo la frase a metà, perplesso. La cassetta non ha nessuna etichetta.
“L'avevi dimenticata in albergo, ricordi?” dice Mary.
Una fitta alla testa di James.








Segreteria telefonica III


“Ore 19.11. La nonna era tanto felice di essere stata mangiata dal lupo, perché soffriva così tanto, così tanto. Ma questo nessuno lo capiva, come nessuno capiva il dolore di Cappuccetto Rosso. La nonna pensò che fosse giusto così, che richiamare il lupo a sé era stata la scelta più saggia, perché non aveva senso che vivesse ancora, era affetta da un male incurabile che la torturava ogni giorno. Il lupo non lo sapeva. Se l'avesse saputo non l'avrebbe mai mangiata. Ma ormai era tardi, il male incurabile si era impadronito anche del lupo, che si struggeva dal dolore e aspettava che arrivasse un cacciatore che lo uccidesse. Sapeva che la sua vita era stata segnata, eppure non poteva fare a meno di desiderare Cappuccetto Rosso, che era così bella, così giovane. In fondo, il lupo voleva solo vivere...”








L'incongruenza determina assoluta incertezza


Le strade fuori il negozio sono vuote, l'orologio sul muro segna le otto di sera passate. James ripone gli ultimi dischi sul ripiano e sistema i soldi nella cassaforte.
“Devo chiudere, Heather.”
Lei non risponde. Mastica la gomma e si siede su un tavolo vicino al banco.
“Voglio stare qui con te. Mi piace qui,” dice, dondolando le gambe.
“A me no, ci lavoro tutto il giorno.”
Heather punta le mani sul piano del tavolo e allarga le gambe. James distoglie subito lo sguardo da lei, dalla sua minigonna scozzese che scivola sulle sue cosce quasi scoperte. Era un gesto voluto o involontario? Si sente imbarazzato, a disagio, inebriato di un calore conturbante che non dovrebbe provare perché sbagliato e immorale.
“E io ti piaccio?” chiede Heather, candidamente.
James nasconde il proprio sconcerto in un sorriso forzato, che tenta in tutti i modi di apparire naturale. “Sei... simpatica.”
“Ma ti piaccio in quell'altro senso?”
“Cosa intendi?”
“Lo sai cosa intendo. Rimani sempre più del dovuto a lavoro perché ci sono io.”
“Mi piace il mio lavoro,” risponde James, esitante.
“Ma hai appena detto che ti fa schifo.”
James apre e richiude la bocca più volte, e lei sorride sbarazzina, divertita da quell'evidenza che lui cerca in tutti i modi di nascondere da settimane.
Heather si sfila le mutandine davanti ai suoi occhi come se fosse la cosa più normale del mondo. Si leva la maglietta, si slaccia il reggiseno, con quella timidezza trasognata che è dolce e sensuale insieme. James si avvicina, titubante, e le tocca il collo, i seni. Lei alza la testa e chiude gli occhi, estatica.
È sbagliato e immorale. Non importa. La prende per la nuca, l'attira a sé: il bacio che dà è rovente e intenso come non ne dava da tempo. Sente la sua gomma da masticare sulla propria lingua. Ha una consistenza strana, che non è flessibile né compatta.
James si mette due dita in bocca e caccia fuori un pezzo di carta.
Non perder tempo a raccogliere fiori.
Si sveglia di soprassalto nel letto di casa. Apre il palmo della mano, ma non trova niente.








Mary


Nei corridoi dell'ospedale, vede una ragazzina uscire dalla camera di Mary.
“Oh, rainy days, I can't stand you anymore, and I miss the sun, I miss the sky there were before,” canta, dondolando la testa a tempo. Ha la voce squillante, bianca e smodata dei bambini. Alza la testa e chiude di colpo la bocca, sgranando sorpresa gli occhi.
“Tu sei James. Sei James, vero?”
“Sì... e tu chi sei?”
“Sei venuto all'ospedale per farti curare?” chiede lei, curiosa.
“No...” risponde incerto James. “Sono venuto a trovare mia moglie.”
“Quindi non sei tu che sei malato?”
“È mia moglie che sta male. Mary. È la donna ricoverata nella stanza da cui sei uscita. Voi... vi conoscete?”
“Io la conosco, e tu?”
James aggrotta la fronte, disorientato. “Lei è... mia moglie.”
“Non c'è niente di cui vergognarsi ad ammettere di stare male.”
“Ti ho detto che è Mary che-”
“Mary, Mary, Mary, Mary,” lo interrompe la bambina ridendo. “Mary I want to please the Lord, Mary I like the sun, Mary I want to please the Lord away!”








Segreteria telefonica IV


“Ore 18.43. Oh, nonna, che orecchie grandi che hai... che mani pelose... che occhi gialli... che denti aguzzi che hai... che gambe secche, che guance scavate, che sguardo morto, che mani fredde, che pelle gialla, che voce roca, che tosse violenta, violenta, violenta, annaspi, annaspi, annaspi, stai annaspando, stai annaspando e forse, forse finalmente muori, finalmente muori – James! James! Aiuto, James!”
James stacca sconvolto la presa del telefono, ma la voce non smette di girare per la stanza. Si tappa le orecchie, chiude gli occhi, urla, ma è tutto inutile.
Salvami.
“Voglio strapparti i capelli uno a uno e romperti l'osso del collo con le mie mani!”
Vorrei che tu morissi.








Rose secche


“Ti ho portato un regalo,” dice James, chiudendo la porta. Mary accenna un sorriso spento, rigido. Non è brava come il marito a contenere i propri stati d'animo, è candida come una bambina, e allo stesso modo di una bambina ha bisogno di conforto e protezione, adesso più che mai.
“Cos'hai?” le chiede preoccupato James.
“Sono... solo un po' triste, perché mi sono accorta che non vieni a trovarmi quasi mai,” spiega Mary sottovoce. “Guarda le rose che mi hai portato l'ultima volta. Sono secche.”
Sono secche come la sua pelle, le sue parole, la sua voce, i suoi capelli, e hanno i petali neri come quella malattia incurabile, come il loro dolore, l'animo di James, la rabbia improvvisa e incontenibile di Mary che dà un colpo al vaso di porcellana sul comodino e lo fa cadere a terra, gridando, mettendosi le mani nei capelli, scalciando le lenzuola.
“Calmati, Mary! Ti prego!” urla James, abbracciandola, e lei piange. Piange sempre, ormai, piange e basta. “Ti prego...”
Mary ricambia l'abbraccio singhiozzando sulla sua spalla. James sussurra parole dolci e rassicuranti, le accarezza la testa, la culla sul proprio petto, aspettando che tutto finisca e lei si addormenti per poi adagiarla sul letto. Le sistema le coperte e le bacia la fronte.

Un altro giorno è finito. James torna a casa, sistema male la giacca sull'attaccapanni e la fa cadere, le braccia tremano, il viso si contrae. Si accascia a terra nascondendo il volto stravolto e disperato tra le mani che odorano di rose secche. Tutto odora di rose secche.
La luce della segreteria telefonica lampeggia nel buio della stanza. James prende il telefono e lo lancia al muro.








Muro imbrattato


Il giorno seguente lo trascorre a casa di Harry. È solo in quei momenti che si sente davvero bene.
Harry è il suo sostegno morale, la sua guida, la famiglia che non ha. Heather è al compleanno di un'amica, ma la vorrebbe con sé, gli basterebbe guardarla scarabocchiare il libro di chimica stufa di studiare perché fuori c'è tanto sole e non può uscire. A volte l'ha aiutata con lo studio per ricambiare in qualche modo la loro ospitalità e gentilezza, ma la verità è che quel favore è soltanto un pretesto in più per poter rifugiarsi nel loro nido confortante.
Quando la sera torna a casa e accende la luce, vede la parete del salone imbrattata di scarabocchi. La vernice è verde fosforescente e ancora fresca. C'è un disegno infantile di Cappuccetto Rosso con in mano un coltello insanguinato.
Ora è il lupo che è malato.
Sconvolto, James prende il cellulare dalla borsa e chiama la polizia. Si accorge che i libri sullo scaffale sono stati tutti buttati a terra. Quello scritto da Harry è stato strappato in mille pezzi.








Il rimedio che non c'è



Ha gli occhi infossati, la pelle tirata. Il labbro trema, la fronte è aggrottata, Harry se ne accorge subito. Vede l'amico in uno stato pietoso.
“Harry... una volta mi hai detto che... possono succedere cose strane nella vita, cose sovrannaturali... mi hai detto che ci sono cose che non possono spiegarsi da sole,” esordisce James.
“È vero, l'ho detto,” conferma Harry, serio.
“Ecco, io... non so spiegarmelo, mi succedono cose strane. C'è un uomo che mi pedina, mi lascia messaggi folli nella segreteria telefonica, ma non me ne sono preoccupato troppo fin quando non mi è entrato in casa e mi ha messo sottosopra il salone, lasciando delle scritte strane sul muro. Ho chiamato la polizia e ho spiegato tutto, ma quando sono venuti a vedere non sono riusciti a trovare nulla che potesse ricondurre a uno scassinamento. Non c'erano impronte digitali, non c'era nulla, nessun indizio e nessuna prova. Non so di cosa ho paura, ma... c'è qualcosa di lui che mi terrorizza e non posso fermarlo...”
“Be', suppongo ci converrà trovare un rimedio. Si trova sempre un rimedio per tutto, basta solo provarci.”
“Li ho provati tutti, Harry,” confessa abbattuto James. Forse non vuole cercare rimedi. Forse vuole essere solo capito.








Nessuno si è mai sentito felice nel presente, a meno che non fosse ubriaco


Ma parlare con Harry non ha portato a niente. Non è stato che il ribadimento di una congettura imperscrutabile e senza senso.
James sa ciò che ha visto. Decide che non importa se non può provarlo e se è solo Harry a credergli: incontrerà l'uomo che lo perseguita e lo fermerà una volta per tutte, così una parte delle sue angosce si sarebbe finalmente placata. Ma l'altra parte, quella inerente a Mary – per quell'altra parte non esistono cure.
James posa il bicchiere vuoto sul banco del bar. Non c'è nessuno oltre il barista. Il locale è silenzioso, l'unico rumore presente è il brusio della televisione accesa che trasmette la telecronaca di una partita di baseball.
Gli gira la testa. Non sa che ora sia, ma decide che è tardi. Si alza dallo sgabello vacillando e lascia i soldi al barista.
Fuori il tempo è freddo, manca poco all'inverno. Una coppia di adolescenti passeggia mano per la mano.
Mary non è mai cambiata, incarna l'innocenza e la voglia di vivere di quand'era al liceo. La guardava sempre sorridere da lontano. Lui, invece, era uno studente riservato e silenzioso, uno di quelli che non combinano mai niente e aspettano il momento opportuno per tutto. Ha aspettato che lei si sedesse vicino al suo banco, che gli rivolgesse per prima la parola, che si confidasse con lui.
È sempre stato così. È tutta la vita che aspetta.
Ma ora il tempo si è fermato col primo bicchiere di whisky.








213


Barcolla un'altra volta, mantenendosi alla parete del palazzo. Cerca di centrare con la chiave la fessura della porta effettuando diversi tentativi.
Quando la porta è finalmente aperta, si dirige in ascensore e schiaccia il tasto del secondo piano.
Appena uscito, nella penombra del corridoio, nota qualcosa di inusuale. Le porte hanno tutte il numero civico sui battenti. Osservandole più attentamente, James si accorge che sono i numeri delle stanze di un albergo. Anche il corridoio è diverso. Il pavimento è rivestito da una moquette bianca. Ricorda quella moquette. L'ha già vista, ma non sa dove.
Avanza reggendosi al muro, senza pensare.
Si ferma davanti alla porta 213. Infila la chiave nella fessura, la serratura scatta, il battente si apre.
Dei gemiti. Spalanca gli occhi incredulo. Due persone stanno facendo sesso sul suo letto. Ma quello non è il suo letto. James mette a fuoco l'immagine e vede una branda e sua moglie vestita con il camicie dell'ospedale. L'uomo la sta fottendo da dietro prendendola per i capelli. È brutale, incontrollabile.
Mary urla. È piacere o dolore?
Quando James accende la luce, si trova da solo nell'anticamera del proprio appartamento.









L'intruso


Sono passati giorni, ma non ha contato quanti. Il tempo deperisce. Lo ha deperito.
Sente la porta che si apre, dei passi. Si alza dal letto e accende l'interruttore. Manca la corrente. I passi si avvicinano sempre più. James apre il cassetto del comò e prende una torcia. Silenziosamente, gira la maniglia della porta di camera e avanza in punta di piedi. C'è qualcuno. Sicuramente si tratta di lui. Lo coglierà nel fatto, stavolta.
Ogni rumore cessa. Poi, lo scricchiolio di una porta. James accende la torca elettrica e la punta in avanti. Lo vede, vede l'uomo, lo rincorre ma lo perde subito di vista, si volta circospetto e scorge se stesso nello specchio, accecato dalla sua stessa luce.
La porta d'ingresso si chiude. James si gira di scatto, sondando con la torcia il salone. Nessuno è più in casa. Riattiva la corrente dal contatore nell'anticamera e analizza lo specchio. 
Cappuccetto Rosso prende una pillola ogni mattina prima di uscire, e alle sette di ogni sera passa sotto il parco di Madison Street.
I caratteri che deturpano lo specchio sono nervosi e obliqui come quelli che l'uomo aveva lasciato la volta prima sul muro del salotto. Anche il colore della vernice è la stessa.







Oblio


“Ora so dove trovarlo, me lo ha scritto lui,” dice animato a Harry. “Riuscirò a beccarlo, gli farò confessare tutto e lo porterò alla polizia.”
Harry abbassa lo sguardo, meditabondo. “James... questa ossessione sta diventando pericolosa. E in più sei sotto stress per la situazione con Mary. So che hai detto che non è servito a nulla, ma è la soluzione migliore.”
James lo guarda confuso. “Cosa non è servito a nulla?”
Harry apre la bocca, muove le labbra. Sta parlando, ma non fa uscire alcun suono. I rumori delle macchine, della strada, del viavai quotidiano della gente: James non sente più niente.
Qualcuno gli tappa gli occhi da dietro le spalle, si gira e vede Heather.
“A volte è più facile non ascoltare che non guardare,” gli dice, avvicinandosi a lui fino sfiorargli il naso con la fronte.
James la scruta confuso. “Che ci fai qui?”
Heather sorride, gli mette una mano sul grembo e accosta le labbra all'orecchio. “Posso succhiartelo fino a farti vedere le stelle.”
James si mantiene la testa, colto da un'emicrania fortissima.
“Cos'hai?” gli chiede preoccupato Harry posandogli una mano sulla sua spalla.
In lontananza, James sente lo scoppio della bolla di una gomma da masticare.








La resa dei conti


Si trova al parco di Madison Street. Sono le sette di sera.
James aspetta su una panchina. Le stradine sono vuote, illuminate dai pochi lampioni presenti. Ha portato con sé una mazza da baseball. Stavolta sarà lui a sorprenderlo.
Ci sono la paura, la frenesia che gli attraversa i nervi, la gioia di sapere che quella sera tutto finirà, la frustrazione e la rabbia per ciò che gli sta accadendo.
Sente stormire i cespugli alla sua sinistra. Si alza dalla panchina e si nasconde dietro a un albero. Sgrana gli occhi. È lui, l'uomo che sta cercando. Ha le stesse movenze, la stessa sagoma, lo stesso odore d'inchiostro. Aspetta che si avvicini, con pazienza, trattenendo il fiato. Aspetta che si avvicini ancora un po'.
Lo coglie di sorpresa alle spalle e gli tira una bastonata in testa. L'uomo cade a terra e James sente qualcosa montargli dentro, come una sensazione di vittoria che non aveva mai provato prima, un'esaltazione indescrivibile. Il cuore gli batte forte dall'emozione. Si guarda le mani tremanti, ancora scosse dall'eccitazione, e si accorge che sono macchiate di inchiostro verde. Lascia cadere la mazza e apre bene i palmi, buttando l'occhio sull'asfalto della stradina. Sotto i suoi piedi è stata vergata con lo stesso inchiostro che ha sulle mani una scritta obliqua, nervosa: Ci può essere sesso senza amore, ma non può esserci amore senza sesso.
Scappa nel bagno pubblico. È spaventato, inondato da una paura incontrollabile. Si lava trafelato le mani cercando di togliersi di dosso ogni macchia, e si rende conto che l'inchiostro non è verde, ma rosso. Che non davvero inchiostro, ma sangue. L'odore gli entra nelle narici fino a stordirlo.
Si guarda allo specchio e nota che il ciuffo biondo sulla fronte è lordo di sangue. Vede se stesso, finalmente. E una parte di lui capisce.
Perde le forze e si accascia sul pavimento piastrellato del bagno.










“James... questa ossessione sta diventando pericolosa. E in più sei sotto stress per la situazione con Mary. So che hai detto che non è servito a nulla, ma è la soluzione migliore. Dopotutto, è uno degli psichiatri più bravi della nazione. Ci vuole tempo per queste cose.”

“Il dottor Fletcher? Sì, ha lo studio a Madison Street 213. È libero il martedì e il giovedì alle sette di sera. Le prenoto per questi giorni?”

“Mi ami davvero?”

“Non c'è niente di cui vergognarsi ad ammettere di stare male.”

“Mi fai male, James!”

“È una medicina per i nervi. Prenda una pillola ogni mattina prima di uscire.”

Salvami.










We go blind when we needed to see


Mary viene svegliata di soprassalto da un rumore anomalo. C'è qualcuno nella sua stanza. Eppure, le infermiere non fanno visite a quell'ora.
Nella penombra della camera, riconosce la sagoma di suo marito. Le spalle larghe, la chioma liscia, le mani grandi.
“James...” mormora felice.
“Sono venuto a farti una sorpresa,” dice lui inginocchiandosi di fronte alla testata del letto.
“Sono contenta di questo... James... è notte fonda, come hai fatto a entrare in ospedale?”
“Ti ho portato un regalo.”
“Cos'hai sulla testa? Stai perdendo sangue!” esclama Mary turbata, sfiorandogli il viso. Lui sorride, accarezzandole dolcemente i capelli.
“Anch'io ti amo, Mary.”
Le bacia la fronte, e lei capisce che qualcosa non va. Lo sguardo di suo marito è apatico e lontano. I suoi gesti sono automatici e innaturali.
“James, guardami,” gli dice preoccupata, prendendogli il viso tra le mani. Lui spalanca gli occhi terrorizzato. Lei non è Mary. Mary è morta sei mesi fa. Lei è solo ciò che è rimasto, una carcassa putrefatta che non ha più motivo di vivere. È l'ibrido mostruoso di un essere a cavallo tra la vita e la morte, che non può più offrire nessun amore, nessuna gioia, nessun sesso, nessun appagamento mentale o fisico.
Le ruba il cuscino da sotto la testa e la soffoca. Mary urla, si dimena, si aggrappa alla manica della giacca, alla maglietta grigia, e James affonda più, sempre più con le mani.
La malattia non rovina mai una sola vita, e loro, loro indugiavano soltanto sui propri inganni.
Un ultimo spasmo, un'ultima contrazione. Le braccia di Mary ricadono sul letto, i muscoli smettono di tirarsi.
Un barlume di gioia passa sugli occhi di James.








Amnesia


Si sveglia su una panchina del parco, toccandosi confuso la fronte. Ha fatto un incubo, ma non ricorda quale. Si guarda intorno spaesato. Com'è arrivato fin lì?
Esamina l'orologio. È il 14 di dicembre, sono quasi le cinque del pomeriggio. Si alza dalla panchina e prende il vialetto alberato.
“James,” sente dire alle proprie spalle. È la voce di Mason.
“Ehi, Harry, ciao. Mi piacerebbe fare due chiacchiere, ma è tardi, devo andare in ospedale.”
“In ospedale?”
“Vado a trovare mia moglie.”
Harry lo blocca al suolo con le mani sulle spalle, fissandolo con aria grave.
“James... Mary è morta.”
James guarda disorientato l'amico. Non riesce del tutto a capire. Le parole di Mason suonano farneticanti. Qualcosa non torna. Com'è arrivato fin lì?
“L'hanno trovata ieri mattina in ospedale. Me l'hai detto tu, James, ricordi?” dice Harry con voce contenuta.
James si accorge che il parco in cui si trova non è quello di Madison Street. Harry indossa un completo nero. Sua figlia, dieci passi più lontana, distoglie lo sguardo dispiaciuta. Harry la raggiunge e le cinge le spalle.
James si guarda le mani e sente uno strano odore d'inchiostro, rose secche e sangue. Si fa strada tra la gente, confuso. Davanti a lui si staglia una collinetta sulla quale è stato edificato un piccolo cimitero. Nota della terra più fresca, appena scavata. Sulla lapide, riconosce la foto del viso delicato e sorridente di Mary quando non era ancora stato corroso dalla malattia.
Il volto di James si contrae, le forze lo abbandonano. S'inginocchia davanti alla tomba della moglie e piange.








Per l'avvenire


“Ho fatto domanda di trasferimento a un negozio a Philadelphia, e forse, più avanti, riprenderò in mano il lavoro del consulente legale. Anche lo psichiatra mi ha consigliato di andarmene per un po' da questa città e allontanarmi da casa mia, dalla vita che facevo, ora che Mary...”
James lascia cadere le parole nell'aria. Harry gli posa una mano sulla schiena per confortarlo.
“Fa' ciò che è meglio per il tuo bene.”
James sorride grato, scandagliando con sguardo malinconico le pareti gialle, i quadri e le foto della casa dell'amico. “Heather dov'è?”
“Lo sai com'è, vive più fuori che a casa,” scherza Harry.
“Già... dille che la saluto.”
Harry lo abbraccia forte. “Quando puoi passa a trovarci.”
“Lo farò,” promette James.
Esce in strada, mette nel bagagliaio le ultime valige ed entra in auto.
“Buh!”
Si gira spaventato e trova Heather seduta sui sedili posteriori.
“Cavolo che faccia che hai fatto!” esclama lei mentre ride di gusto.
“Come sei entrata nella mia macchina?”
“Hai lasciato gli sportelli aperti come fa sempre papà prima di partire... Questo è per te,” gli dice allegra porgendogli un CD.
“È un album dei Beatles?” chiede James in tono di battuta.
“No, tu mi sembri più un tipo da Police. Così li puoi ascoltare durante il viaggio.”
“Grazie,” dice James, magari un po' troppo banalmente commosso, ma le è davvero grato, così com'è grato Harry. Heather sorride e gli accarezza la guancia con l'indice caldo.
“Torna presto, biondo.”
James la vede uscire in fretta dall'auto e salutarlo vivacemente con la mano. Mette in moto la macchina, imbocca la strada principale, guarda nello specchietto retrovisore e la figlia di Harry è come scomparsa. Gli sembra di scorgere un'altra persona al suo posto, pallida, dai capelli neri. Le somiglia e allo stesso tempo è completamente diversa. Ma è solo un attimo, e Heather ricompare tra la folla del marciapiede.
James immette il disco nel lettore della radio e le casse borbogliano interferenze stridule e fastidiose. Dà qualche colpo, poi tutto torna come prima.























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Al di là di quello che potrebbero pensare tutti dopo aver letto questa fanfiction, voglio bene a James, e tanto. Se l'ho torturato così è solo perché è una mia prerogativa - ma anche perché il suo background e la sua personalità non lasciano scelta, visto che è davvero un ragazzo altruista, sessualmente frustrato, con tanti lati oscuri del carattere e che non ricorda di essere un assassino. Oh, James∼
E... Silent Hill. Il secondo capitolo di questa saga è un capolavoro. Poesia, semplicemente. Perché non fanno più giochi così?
Heather e Harry. Non è che esistano delle vere motivazioni che spieghino perché sono dentro la storia, a parte che stravedo per tutti e due. In più, mi piaceva immaginare che tipo di ruoli potevano coprire con un personaggio come James. Insomma, Harry, nel gioco, è davvero uno scrittore, gli è davvero morta la moglie di malattia. Era perfetto per essere la "guida spirituale" di James. E Heather... Heather è bella, e la conseguenza vien da sé: incarna il desiderio sessuale e la giovinezza. E' tanto carina e adolescente, lei. Magari non troppo nel gioco (chi lo sarebbe nel fog world e nell'Otherworld di Silent Hill?), ma ha avuto comunque i suoi momenti di lol. Per me è davvero come qui descritta fuori dal mondo orrifico di Silent Hill.
  
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