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Autore: Nemesea    03/04/2006    1 recensioni
Faraone, Faraone, devi tornare, non puoi isolarti da tutto e andartene! Non puoi scappare! Non sarà piacevole, ma è così! Faraone! Avanti, rispondi, se non sei un codardo! Avanti, abbiamo bisogno di te! Non puoi abbandonare la lotta che sostieni da così tanto tempo! La catena del destino ti tiene legato fin dalla tua nascita, non si spezzerà ora!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno a tutti!

Questa fic sarà su Yugioh, il mitico anime che, purtroppo,è finito da poco.

Sarà alternate universe e ooc, quindi non molto fedele all'originale.

Forse ci sarà anche un po' di yaoi, ma sarà comunque una cosa molto soft, leggibile a tutti.

I personaggi.. be, non saranno estremissimi, ma deludo subito chi pensa di leggersi una storia completamente IC. (ad esempio yami sarà abbastanza effemminato)

Si, diciamo pure che mi prenderò molta libertà con i personaggi.

Sarà au, infatti prenderò alcuni aspetti del manga e dall'anime, altri no oppure saranno molto distorti.

Spero di non creare troppa confusione!

Più o meno è ambientata dopo la fine della serie.

Chiedo di lasciare un commentino, dopo aver letto.

Ci tengo veramente a migliorare il mio stile, e voglio riflettere sui miei errori.

Detto, questo, inizio con la fic!



Capitolo I: Specchi




Yugi era quasi immobile. Il suo respiro usciva piano dalle labbra, come se non volesse farlo udire da nessuno. Con molta calma, iniziò a scendere le scale. Un passo dopo l'altro. Cercava di non fare rumore, si muoveva lento e preciso, senza fretta.

Il sole era già sorto, probabilmente. Non aveva ancora visto il cielo, quel giorno. Poteva essere umido, con le nuvole grigie cariche di pioggia, o di un fresco e intenso blu, o limpidissimo, o coperto da un sottile strato di nebbia.

E a seconda del sole, tutto quanto avrebbe avuto un aspetto diverso.

Le piante, i fiori, perfino l'asfalto, i riflessi delle finestre, gli usci delle porte.

Non faceva molto caldo. Probabilmente non c'era il sole, per ora. Oppure era coperto o appena sorto, e non scaldava ancora molto.

Scese anche l'ultimo gradino. Si guardò intorno d'istinto. Due occhi ametista spalancati e annebbiati gli restituirono lo sguardo.

Specchi. Quella casa era piena di specchi. In ogni stanza, almeno tre. E nel soggiorno, nel salotto, era tutto un riflesso, un luccichio di specchietti, vetri e superfici lucide.

A Yugi non piacevano gli specchi. SI sentiva sempre osservato, ed a volte vedeva così tante sue immagini girargli intorno, che si sentiva estraneo a loro, estraneo a lui stesso, e si sentiva fluttuare nella stanza senza un viso né un corpo.

Ma a lui piacevano, non ci si poteva far nulla.

Chiuse gli occhi e andò in cucina.

Un buon profumo gli riempì le narici, gli fluttuò intorno.

Era l'odore del latte, della liquirizia, della frutta, delle albicocche e delle arance.

Era un odore buono.

Sentiva la casa farsi meno disumana, quell'odore rituale, lo stesso di ogni mattina, lo faceva sentire al sicuro.

In cucina non c'erano specchi. Gli piaceva, quella stanzetta con le sedie fatte di paglia, e le conchiglie chiuse nei barattoli.

Non era lì che conservavano i cibi. Per quello avevano la dispensa. Lì semplicemente si sedevano per far colazione.

E basta.

Non c'era nemmeno un frigorifero, o un forno.

Tutto conservato negli armadietti. Di latte poco poco, da finire giorno dopo giorno.

Nessun tappeto sulle piastrelle.

Sui muri quasi nudi nulla.

E oltre, c'era una porta che dava sull'esterno.

Senza tende.

Dava sul giardino. Yugi aveva già allungato la mano verso la maniglia, quando udì dei passi.

Veloci veloci, che scendevano rumorosamente le scale.

Yugi strinse i denti, consapevole di non potersi nascondere. Un bambino colto sul fatto.

I passi gli risuonavano nelle orecchie pesanti pesanti, come se volessero farsi sentire.

Abbassò lo sguardo, struscicando i piedi.

Intanto l'altro era arrivato, davanti a lui.

Restò un attimo un silenzio, poi parlò.

-Yugi... perché ti sei già alzato?-

Yugi non rispose, continuando a dondolarsi.

-Avanti, dimmi.-

Che voce pacata e calma. Sembrava una mamma che sta per sgridare il figlio. E sa di aver ragione.

Yugi alzò un po' gli occhi.

-Mmh....-

-Su, avanti.-

-Mmh....-

Yami gli prese il volto fra le mani, in modo da costringerlo a guardarlo negli occhi.

-Yami, io ho paura! Ho paura di non essere la persona più importante, per te! Ho paura che mi metterai dietro qualcosa, un giorno o l'altro! Sapessi che sogni, che faccio.. -

Disse, la lingua pesante pesante mentre mormorava queste parole.

-No, Yugi, non devi aver paura. Tu sei la persona più importante per me, sei il mio preferito. Nessuno e niente cambierà mai questo, mai!-

-Si yami.-

-Ora vieni, avanti.-

Dovette intuire che Yugi non ce l'avrebbe fatta a tornare in camera da solo, perché lo prese immediatamente in braccio. Senza aspettare un suo ipotetico rifiuto.

Risalirono le scale tappezzate con tessuto morbido, girarono per il corridoio, e infine lo depose sul letto.

Le tende, grigie e pesanti, erano ancora tirate. Yugi, singhiozzando, si rese conto che non aveva ancora guardato il cielo.

Sentì la stanchezza invadergli le ossa come acqua calda mentre si fa il bagno.

-no - voleva mormorare, ma il grido si spense a metà della gola. Stava già dormendo. Ma forse era meglio cadere nell'oblio che stare cosciente e terrorizzato.

Che stare a torturarsi lì, nel letto matrimoniale.

Yami lo guardò, un’espressione indecifrabile sul suo giovane volto.

Yugi indossava ancora il pigiama. Lui era già vestito.

Si sedette sul materasso, guardandolo meglio.

Aveva provato a scendere prima di lui... si era alzato prima del suo permesso.

Non andava bene.

Si guardò le dita, nella semioscurità. Lo smalto nero luccicava. Come se le sue unghie fossero piccoli specchi.

Nella loro stanza non c'erano specchi.

L'unica della casa, con la cucina. Era stato lui a volere tutti quegli specchi. Gli piacevano, ma gli facevano anche un po' di soggezione. A volte, mentre era arrabbiato, vedere tanti yami che lo fissavano torvi non era una cosa molto piacevole.

Lì però non li aveva voluti.

Forse perché sarebbero stati inutili, la stanza era sempre buia.

O forse perché almeno lì non voleva sentirsi osservato.

Scostò una ciocca di morbidi capelli biondi dagli occhi.

Si alzò, e prese qualcosa dal comodino. Lo mise in tasca.

Poi aprì un cassetto del tavolo.

Rossetto nero e carta da lettere. Lo aprì e scribacchiò qualcosa su un foglio. Lo mise accanto a Yugi, che ancora ignaro, dormiva più o meno dolcemente.

Si alzò e uscì dalla stanza.

Si vedeva molto meglio, fuori.

La giornata era grigia grigia, iniziava perfino a piovigginare.

Sospirò inquieto, e percorse tutto il corridoio, fino allo studio.

C'erano sempre tende alle finestre, ma meno spesse.

Entrava tutta la luce che occorreva per scacciare l'oscurità.

Si sedette e accese una luce, per vedere meglio.

Doveva scrivere, e non valeva la pena dover perdere la vista per quello.

La stanza era disseminata da specchi.

Ce n'erano quattro piccoli, ben a portata di mano sul tavolo.

Yami non resistette a lungo, e appena dopo aver finito l'intestazione della futura lettera, ne afferrò uno, quello tondo.

Lo portò vicino al suo volto.

Si studiò con calma tutte le sue caratteristiche.

Gli occhi rosso rubino si spostavano velocemente su quella superficie liscia.

Era un bel colore, gli piacevano i suoi occhi. Sapeva che a molti adolescenti quegli occhi perfettamente sangue avrebbero fatto gola. Bastava sfogliare un giornale di moda: le lenti a contatto con colori estremi, verde vetro, blu elettrico, rosa schocking, profondo rosso andavano moltissimo.

Sperava piacessero anche a Yugi. Ma a lui faceva soggezione, più che altro. Sì, gli piacevano quando erano dolci dolci, o tristi tristi, ma altrimenti si perdevano in quelle macchie colorate, e si sentiva cavar via l'anima, ed era costretto a distogliere lo sguardo.

I capelli erano assolutamente incredibili. Sparati per aria, rossi, neri, biondi.

Ma ormai c'aveva fatto l'abitudine. Dopotutto, li aveva portati per tutta una vita, quindi non li aveva mai sentiti strani.

Gli piacevano quelli biondi. Erano i più obbedienti alla legge di gravità.

Ed erano soffici, e gli cadevano proprio sulle guance. Poteva mangiucchiarseli e prenderli in bocca in ogni momento.

Restò ancora lunghi minuti a rimirarsi, poi scostò lo specchietto e si rimise a scrivere.

Il sole era già più alto, quando, tempo dopo, ripose di nuovo la penna. Cinque righe di inchiostro rosso erano comparse sulla carta.

Si, un po' poco, effettivamente.

Ma non se ne preoccupava. Non gli importava molto, di quel lavoro.

Alzò gli occhi davanti a sè, osservandosi.

Davanti alla scrivania, sul muro aveva collocato un grande specchio a parete.

Rimirò i suoi vestiti.

I pantaloni erano neri, aderentissimi. Le scarpe erano scure anch'esse, lucide.

Indossava una camicia nera con i primi tre bottoni slacciati. Dopo, il torso nudo.

Ai polsi aveva polsini borchiati e varie catenine argentate.

Si stiracchiò, come un gatto appena svegliato.

Guardò la lettera come uno studente alle prese con una difficile verifica.

Che altro doveva scriverci?

Be, tanto, a essere sinceri. Ma preferì autorispondersi: -Stai facendo un ottimo lavoro, hai quasi finito!-

Prese di nuovo in mano la penna, ringhiando debolmente.

L'inchiostro sporcò di nuovo la carta.



7 settembre



Scrive il grande signore dei giochi

Per un rompiballe.


Scherzi, a parte…

Il luogo lo sai

Sai che scrivo io, e sai

che questa lettera è intestata a te,

quindi cominciamo subito al sodo

con le cose importanti.



Bene,


Stiamo bene, se è questo che t'interessa. Ma non penso, vero? Il bambino sta bene, io sto bene. Non è accaduto nulla di strano. Nessuna presenza di morti che ritornano, nessun vulcano si è formato sotto i nostri piedi. Siamo ancora vivi. Scommetto che ne sei dispiaciuto. Sono sempre più pazzo, va bene? Si, mentre scrivo mi sto ancora specchiando con uno dei miei stupidi vetrini da parrucchiera.

Ma sto parlando di pazzia con l'esperto mondiale, vero? Non m'interessa, cosa pensi. Non voglio continuare questa storia. Per una volta, me ne posso stare al sicuro come ogni essere umano con yugi? Se non mi vengono a cercare, col cavolo che lo farò io. Se vengono a cercare te, non osare avvicinarti!

Non sono più il grande Faraone, va bene? Sono solo un pazzo che se ne sta bello, tranquillo e quasi felice in una casa piena di specchi!

Felice... Chi sa cos'è la felicità? Io no! È da quando ho cinque anni che non mi sento felice! Potresti ragionevolmente dirmi (si, anche un pazzo come te) che non mi posso ricordare di quando avevo cinque anni.

Bravo Einstein! Infatti, non mi ricordo di essere mai stato felice! Adesso non sono triste, non sono depresso, è già qualcosa, va bene! Ok, sono pazzo, ma chi se ne importa? A te? Be, a me basta Yugi. Yugi non pensa sia un pazzo.

Ma sai quando ci sto mettendo a mettere già queste dieci righe per dirti che mi stai qui? E che per una volta mi comporterò da codardo?

è già più di mezz'ora che scrivo!

Quanto tempo mi fai perdere! Ma perché continui a mandarmi ogni giorno almeno due lettere?

Bella, davvero, l'ultima. Cinque facciate scritte con calligrafia piccola piccola... E solo una parola, sempre quella, ripetuta: scrivi scrivi scrivi scrivi scrivi scrivi scrivi scrivi.

Mi è andata insieme la vista, sopratutto quando hai scritto attaccato, e o fatto uno sforzo immane per capirci. O quando hai iniziato a fare della grammatica: scrivo scrivi scrive scriviamo scrivete scrivono scriverò scriverai scriverà scriveremo scriverete scriveranno

ecc ecc.

Ma perché le apro, mi chiedo io, e le leggo, non lo so.

Io sto bene qui, capito? E se non ti è chiaro, ti scriverò dieci facciate di "sto bene qui sto bene qui sto bene qui sto bene qui"

e vediamo se ti entra nella testa!

A me quello di scriverti mi è entrato, magari sarò fortunato. Buon per te che oggi non avevo in programma nulla, e Yugi dorme, altrimenti avrei sbattuto su una cartolina un complimento e un "sto bene qui non rompere i....".

E invece ti spiego con relativa calma. Molta calma, te lo dico io!

Mi potresti chiedere: -Ma perché ci stai così bene? cosa c'è di bello, lì?-

Be, non lo so. Non faccio nulla che a qualcuno procurerebbe felicità. Non mi annoio, però! E come.. una specie di nirvana. Il paesaggio è stupendo, ma sono un mostro e non riesco ad assaporarlo, va bene!

Il mio angelo invece ieri è scoppiato a piangere, tanto era bello il tramonto!

Me lo sto godendo, finalmente, il mio Yugi! Forse è quello, anche. Cosa c'è qua? C'è il mio Yugi. Finalmente siamo divisi, sai, non è piacevolissimo stare imprigionato in un dannato puzzle!

So che solo qui, al riparo da tutto e da tutti, posso stare in un corpo mio. E non ho intenzione di cambiare! Tu non capisci, tu saresti già impazzito!

3000 anni! 3000 anni di.. buio…solitudine… una prigione infernale! E non potevo nemmeno morire! Tu non capisci! E ora mi rimproveri perché voglio starmene un po’ da solo con la mia luce! Pazzo e bastardo! Non hai mai udito l’espressione “vado in vacanza”? Be, la senti ora! Voglio starmene un po’ a riposo, con il mio dolce hikari, a pensare, a riposarmi, a.. divertirmi. Prima che il destino mi afferri di nuovo con le sue ingrati mani. Ma ti assicuro, farò tutto ciò che posso, perché non accadi! Si, hai capito bene!

E ora basta, prima che diventi veramente maleducato. Non ti aspettare un altro scritto tanto presto, capito? Spediscimi altre lettere, e io le brucerò! Non m’importa più di nulla, di nulla! Ora qua c’è tutto quello che mi serve! Arrivederci a tardi, molto tardi!


Il tuo faraone a cui dovresti portare un po’ più di rispetto, Atem.

Ma che ora è semplicemente

Yami

The best Pharaoh


Yami, con una sorte di stanco sorriso, rilesse la sua firma. Non male. Riprese in mano la lettera. Andava bene, non diceva esattamente tutto, ma andava bene. Le lettere non le avrebbe bruciate, forse, ma sarebbe passato ancora un bel po’ di tempo, prima che riprendesse in mano la penna per quel scocciatore.

Prese una busta e l’intestò. Piegò la lettera e la mise dentro. Sarebbe andato dopo in paese a imbucarla. Si alzò stiracchiandosi e di diresse verso la camera dove dormiva il suo hikari.

Il suo viso era tranquillo, ora immobile. Non sembrava nemmeno respirasse. Chiuso gli occhi, sorridendo, cercando di percepirlo, isolando tutto il resto.

Due braccine gli avvolsero il petto.

-Buongiorno Faraone- mormorò con voce atona.

-Ciao, Yugi- rispose quello, note di felicità nella sua voce.

/No, no, non mi porterete via da qui. Non mi lascerò sfuggire questa felicità. / Pensò Yami, mentre accoccolava Yugi fra le sue braccia, la testolina appoggiata al suo petto.



  
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