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Autore: cane_bastardo    08/08/2011    0 recensioni
Narra l'avventura di una ragazza dagli occhi blu come il cielo... Misuzu.
A volte per salvaguardare ciò che amiamo dobbiamo RINUNCIARCI.
Citazione iniziale presa dall'anime AIR TV, e citazioni finali da FF e KH.
"...il cielo pianse."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Uomo, ascolta attentamente
La storia che ti sto per raccontare è molto importante
È una lunga storia di un viaggio
Una storia che sarà tramandata in eterno
Di generazione in generazione
Che inizia da qui”

“Dall’altra parte di questo cielo c’è una ragazza alata
Anche ora apre le sue ali e continua a volare
Sul vento di un lontano passato, come faceva tanto tempo fa.”



Così parlò mia madre. Ed ora eccomi qua, a cercarla. Ridotto a vagabondare di città in città. Ridotto a fare il burattinaio per strada per guadagnare qualche soldo. Eppure…sento un’aria strana qua. Un’aria di pace, serenità. Sarà forse che son arrivato alla meta? Mi guardo intorno, il vento mi parla, gli alberi mi stanno sussurrando qualcosa. Mi siedo su un muretto vicino al mare. Mi tuffo con i pensieri sulle onde che portano al cielo. E rimango fisso a guardarlo come se non ne avessi mai avuto la possibilità. Come deve’esser bello lassù. Ma è possibile che il cielo porti tanto dolore ad una persona? È possibile che dietro a tanta spontaneità, trasparenza si celi l’essere alato?


Per poter comprendere la mia storia credo vi debba raccontarne una ancor più lontana, ancor più assurda, ma dolorosa allo stesso modo.


Mille anni fa, in un palazzo isolato, viveva una ragazza che senza motivo era stata allontanata dal mondo. Dicevano di sua madre che fosse una strega, e pure lei era accusata di esserlo. Delle persone buone e con un cuore umano decisero di strapparla alla società che non voleva accettare il destino di questa giovane fanciulla.
Kanna, che l’unico posto dove poteva rifiugiarsi erano i suoi pensieri, si sentiva affogare. Sognava di volare nel cielo, sognava la libertà. Le impedirono di vedere chiunque, in quanto questa persona poi sarebbe stata soggetta a sciocche polemiche e a pregiudizi e la gente è disposta ad uccidere, a causa di stupide superstizioni mai provate. L’unica persona con cui Kanna si confidava era una domestica, Rose, l’unica a cui poteva confidare i suoi desideri di libertà, d’amore.
Era stato assunto un nuovo guardiano al palazzo. Ebbero l’opportunità di vedersi per un istante, e fu subito amore. Il giovane s’accorse dello sguardo malinconico e dolorante della fanciulla, ma notò anche i due begli occhi blu e profondi come il cielo. Occhi pieni di speranza, occhi desiderosi di libertà. Nessuno era propenso a concerderle di vedere per un'altra volta il giovane, e perciò fu lui di nascosto a venire da lei, e confessarono entrambi il grande sentimento che li legava. Lei, chiaccherona e di una dolcezza sovraumana, confermò il sentimento che lui provò la prima volta che la vide. Un sentimento innocuo, innocente. Come poteva un’amore così portare alla distruzione? Lui era consapevole che stando con lei rischiava la vita, ma non si era sentito mai prima tanto sicuro di ciò che stava facendo. Decise di portarla via, decise di cancellare una buona volta quello sguardo pieno di tristezza. Decise di esaudire quel suo desiderio pur sapendo entrambi dove conducesse. Lei accettò, ad una condizione. Rose doveva venire con loro, doveva viaggiare con loro. Quest’ultima ebbe qualche dubbio prima di prendere la decisione definitiva. Il bene che provava verso Kanna, tutti i segreti che ella le aveva confidato fidandosi di lei più di chiunque altro. I rari sorrisi della ragazza e l’ardente desiderio di vederla felice la spinsero ad accettare questa follia. Era come una sorella minore per lei. Per lei era la persona più importante per Rose, la persona che le aveva dedicato tutta se stessa.
Partirono quella notte, e si inoltrarono nel bosco. Dormirono tra gli alberelli. Di mattina appena svegli, Kanna rivolse il suo sguardo al colle di fronte a loro, ed il cielo pianse. Sua madre si era nascosta la sopra, imprigionata tra il freddo e la solitudine. Il popolo l’aveva allontanata.
Kanna non se la ricordava, era troppo piccina quando subì la separazione. Dentro di se però sentiva di volerle bene, dopotutto era sua madre. Erano le sole due persone che realmente potevano comprendersi vivendo una situazione simile. Kanna si pentì per un momento di essere fuggita dalla sua prigione, deludendo la propria madre mettendo a rischio la propria vita. Cosa avrebbe pensato una madre di una figlia tanto imprudente?
Si misero in cammino per raggiungere il colle. Scorsero in lontananza delle sbarre con una persona che li guardava da dentro. Kanna la riconobbe. “Madre, madre” gridò. Quanto più si avvicinavano tanto più Kanna si accorgeva dello sguardo serio e ghignante della madre. Le arrivò tanto vicino da riuscir a scorgere la piccola pupilla negli occhi ma non trovò ciò che si aspettava. La madre la insultò, la chiamò “rovina mia” e le disse di andarsene il più lontano possibile ed espresse il desiderio di non rivederla mai più. Gli altri due la raggiunsero e la staccarono dalla madre appena sentirono ciò che ella stava dicendo al sangue del suo sangue. I cieli piangevano. Tornati in mezzo al bosco Kanna espresse tutta la sua delusione, tutto il suo odio verso se stessa. Pensò che sua madre avesse fatto apposta a mandarla via per salvarle la vita. Nemmeno questo pensiero la fece sorridere.
Era sera. Rose stava già dormendo mentre i due innamorati si allontanarono un po’ per discutere ma Kanna impazzì e urlando, allontanava il giovane ogni qual volta egli cercasse di avvicinarla.
“Vattene via finché sei in tempo, non vedi che la mia è una maledizione e che per portare felicità alle persone a cui voglio bene sono costetta a starmene chiusa in una stanza, isolata da tutti.”. Per lui invece non c’era cosa che lo rendesse felice quanto vedere la sua amata accanto. Rose sopraggiunse in quell’istante confermando che la loro gioia più grande è stata quella di cercar di esaudire l’infinito sogno di Kanna. E promisero di continuare a farlo finché fosse stato possibile.
Kanna non capiva più dove fosse il suo posto al mondo. Ovunque fosse, qualcuno soffriva. Si sentiva un essere superfluo. Piansero tutti e tre abbracciandosi e sforzandosi di fingersi felici.
La mattina si svegliarono delusi. Sapevano di essere ricercati da una moltitudine di gente, disposta ad uccidere per impedire che la “maledizione” di Kanna s’imbattesse su di loro: disposti ad uccidere le due persone che le stavano a fianco per cancellare ogni ricordo che la riguardasse. Cercò un’altra volta di convincere gli amici ad allontanarsi da lei ma come previsto, rifiutarono senza dubitare, pur soffrendo della loro decisione.
La sera si udì un dolce sospiro. Dietro a questo dolce sospiro c’era la morte. Il giovane era morto, l’amante di Kanna era morto! Qualcuno da lontano lo aveva colpito, qualcuno lo aveva centrato diritto al cuore. Kanna non pianse più. Non era nemmeno arrabbiata. Era delusa da quella vita. Si librò nell’aria stendendo le sue lunghe ali e spogliandosi dei peccati umani. E mentre volava nel cielo blu, com’erano i suoi occhi, freccie maligne la colpirono da tutte le parti. Sangue uscì dalle sue ali, sangue che sembrava pioggia. A piangere sembrava fossero le stelle. Era sangue che portava una rivoluzione su quella terra, sangue che avrebbe portato un periodo di pace, l’ultimo dono dell’essere alato, un dono che solo Rose sapeva da chi provenisse, un dono al quale fu riconoscente solo lei.



I ricordi delle stelle sono ora passati a me. é mia la missione salvare l’essere alato.
La riconobbi. In piedi sul muretto, una ragazza stese le mani facendo finta di volare, una ragazza che sorrideva alla vista del mare e del cielo, “com’erano i suoi occhi”. Le chiesi qualcosa. Non ricevetti risposta. Prese la mia mano delicatamente e dolcemente e mi costrinse a seguirla nel parco. Mi raccontò la sua storia. Compresi che viveva in solitudine, senza amici e senza particolari hobby, a parte quello di osservare ogni minimo particolare della natura. C’era in lei un grande desiderio di affetto. Disse di vedere qualcosa in me che poteva appagare questo suo desiderio. Mi portò a casa sua, dove viveva con la madre in quanto il padre le aveva abbandonate quando lei era ancora piccina. Notai che Natsumi (la madre di Misuzu) non si curava molto della figlia, la considerava un “caso disperato” per quanto brutto sia dirlo. Amante dell’alcol (non poteva farne a meno), completamente ubriaca, si comportò molto male con me, a tal punto che mi disgustò. Ormai stanco delle sue chiacchere vaneggianti raggiunsi Misuzu in camera sua dove la madre la mandava ogni qual volta le stesse tra i piedi. Giocammo a carte e m’accorsi che la ragazza sorrideva sia quando vinceva che quando perdeva. Capii che si comportava così in quanto non aveva mai giocato con nessuno prima d’ora tranne che con se stessa. D’un tratto iniziò a piangere, accusò vari dolori alla schiena. La madre entrò precipitosamente nella camera e lì compresi che in fondo si preoccupava molto per sua figlia. Mi spiegò che ogni qual volta Misuzu cercava di farsi qualche amico, iniziava a piangere e sentire dolori abnormi sulla schiena. Capii che erano le sue ali che cercavano di stendersi per poter volare libera. Raccontai a Natsumi della leggenda, e si mise a piangere. Comprendeva che sua figlia aveva i giorni contati. Sapevo che più amore le veniva offerto, più velocemente sarebbe morta. Però Misuzu lo desiderava, era cosciente della propria situazione ma comunque voleva affetto, voleva sorridere e sentirsi amata prima di andarsene, e lottava per sopravvivere il più possibile desiderando amore. Dissi alla madre di smettere con la sua finta ostilità e di stare con Misuzu il più tempo possibile. Ella mi capi in pieno, e si decise a diventare una madre affettuosa.
Intanto iniziai ad avere degli incubi tremendi di notte, che non mi facevano più dormire. Di giorno tentavo di nascondere il mio nervosismo ed avevo imparato ad amare Misuzu. Ne ero innamoratissimo e non la volevo lasciar morire per nessun motivo al mondo. I nostri sentimenti non gli esprimevamo con baci o cose giovanili, ma con sguardi intensi che parlavano da soli. Quella sera, lei mi confessò che la sua vicinanza mi stava portando lentamente alla morte, proprio come fu per quel giovane. Espresse l’ardito desiderio che io me ne andassi. Non voleva che la mia vita dipendesse dalla sua. Ora capii come potevo rendermi utile. La mattina successiva feci la mia scelta. Me ne dovevo andare, solo così l’avrei resa felice, ecco cosa il giovane aveva sbagliato. Ero depresso e mi sentivo morire dentro, il sentimento che provavo verso quella creatura dolce, amabile, fragile e forte allo stesso tempo, era immenso. Pensai di non riuscirmene a separare, ma, per il bene di entrambi, fui costretto a farlo. Quel pomeriggio con le lacrime agli occhi strinsi Misuzu forte a me e le diedi un bacio sulle sue labbra sottili e tristi. Ero amareggiato ma, in fondo in fondo, un po’ felice di quel che avevo fatto, avevo regalato a quella ragazza i momenti più belli della sua vita, le avevo regalato una vera madre che ora le dimostrava affetto in tutto e per tutto. Sapevo che Misuzu sarebbe morta presto, era questione di poche settimane o forse pochi giorni.
Avevo fatto qualcosa in più di tutti i tentativi precedenti di salvare l’essere alato, ed ora i ricordi delle stelle sarebbero passati a qualcun altro, qualcuno che avrebbe forse completato quello che io avevo iniziato, qualcuno che avrebbe salvato la ragazza alata e l’avrebbe finalmente liberata dalla sua maledizione.


"Sai... quando sei solo e pensi troppo, la fronte ti si riempie di rughe. Se continui così quella ferita non guarirà mai. Guarda, proprio ora che stava per cicatrizzarsi!"

"Il cuore può essere debole e, talvolta, arrendersi, ma ho imparato che in profondità c'è una luce che non si spegne mai."
  
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